HOME       BLOG    VIDEO    EVENTI    GLI INVISIBILI    MUSICA    LIBRI    POLITICA LOCALE    POST PIU' COMMENTATI

lunedì 7 settembre 2009

PRESA DIRETTA - RESPINTI



Da quando sono cominciati i respingimenti in mare sono stati finora 800 gli uomini e le donne che le autorità italiane hanno riconsegnato alla Libia. Eppure di tutti questi respingimenti non abbiamo mai visto neanche unimmagine : nessun telegiornale italiano, nè pubblico nè privato ha potuto documentare che cosa sia successo . Presadiretta per la prima volta è riuscita ad alzare il velo sul primo respingimento, quello fatto nei giorni 6 e 7 maggio dalla motonave Bovienzo della guardia di finanza insieme ad altre due unità della capitaneria di porto .

In esclusiva la RAI sono state mandate in onda le foto scattate da Enrico Dagnino l'unico giornalista che si trovava a bordo della Bovienzo e che ha assistito al primo respingimento dal momento in cui è stato avvistato il gommone carico di migranti fino a quando sono stati letteralmente buttati sui pontili del porto di Tripoli . Non solo, Presadiretta è riuscita anche a dare un nome e cognome a 24 dei primi respinti : tredici eritrei e undici somali, tutta gente che scappa dalla guerra e dalla dittatura , gente che se fosse riuscita ad arrivare a Lampedusa avrebbe potuto ottenere lo status di rifugiato e il permesso di restare in Italia. E invece agli uomini e alle donne trovati allo stremo delle forze in mezzo al mare nessuno ha chiesto il nome e il cognome e sono stati rimessi nelle mani della polizia libica. Che fine hanno fatto? Che cosa succede nelle carceri libiche ? Come vengono trattati i i migranti e hanno la possibilità in Libia di vedere riconosciuto il loro diritto di asilo come sostenuto da Berlusconi durante la conferenza stampa che ha fatto con Gheddafi durante la visita a Roma nel giugno scorso? E infine la politica dei respingimenti ha contribuito al successo elettorale della Lega Nord ? Per capirlo Presadiretta è andata a Reggio Emilia dove la Lega è diventata il secondo partito della città e il terzo della provincia.

















ASD NARDO' vs ATLETICO TRICASE 2-0

Il Toro travolge il Tricase. Nel primo tempo le reti dei sudamericani Di Rito al 10' che sblocca il risultato, e Marini al 30' con una delle sue sortite offensive su calcio d’angolo. Nel secondo tempo il Nardò controlla la partita e potrebbe anche dilagare

LE PAGELLE

NARDÒ:

Bassi 7 Anche se impegnato poche volte si fa trovare pronto in una doppia respinta ravvicinata. REATTIVO

De Donno 6,5 (Calabuig 31' s.t.) Molto utile in fase difensiva; ci si aspetta di più in fase di proposizione offensiva. ACCORTO

Contessa 7,5 Difende ed offende come se fosse un veterano. UN’IRA DI DIO

Ruggiero 6,5 La sua padronanza tattica lo fa trovare sempre nel posto giusto al momento giusto. SAGGIO

De Padova 6,5 Grande grinta ed umiltà; va su tutti i palloni senza tirarsi indietro. ROCCIA

Marini 8 Non gli manca niente: difende, imposta e segna. INCONTENIBILE

Montaldi 6 (De Benedictis 27's.t.) Da uno come lui ci si aspetta di più. Molto impegno ma poca efficacia. FUOCO DI PAGLIA

Frascolla 6,5 Grande caparbietà su tutti i palloni, non lascia un metro agli avversari. TESTARDO

Di Rito 7,5 Decisivo. Segna un gran goal dopo una bella cavalcata e non disdegna la rifinitura. MATTATORE

Tartaglia 6,5 Lavoro oscuro il suo per impegno e acume tattico. Certo è che da un numero 10 ci si aspetta qualche delizia. SCATTA PIGNATE

Parlacino 6,5 (Turitto 30' s.t.) Gode di ottima tecnica individuale e firma l’assist per Di Rito. Bene nel primo tempo ma nel secondo si spegne. FUNAMBOLICO

In panchina: Vetrugno, Petilli, Massarelli, Patera.

All. Longo 7 Tatticamente la squadra è preparata. Nel secondo tempo ci si aspetta la goleada ma preferisce difendere il risultato. TIMIDO

TRICASE: Cesari, Mastria, Giannuzzi, Di Lonardo, Citto, Raffaello, Calabrese (D'Urso 24' s.t.), Pellegrini (Stefanelli 1' s.t.), Striano, Mitri, Ruberto. In panchina: Marzo, Brigante, Ciardo, Pirelli, Corvaglia. All. Orlandini

ARBITRO: sig. Roca di Bari

UNA TIFOSERIA FANTASTICA
Lo spettacolo andato in scena ieri sera al Comunale “Giovanni Paolo II” in occasione del derby Nardò –Tricase è stato davvero un qualcosa di strabiliante ed al tempo stesso sorprendente; potremmo dire assolutamente neretino! E’ sin troppo facile, infatti, allestire cori, danze e coreografie quando si milita in categorie di una certa importanza, quando si viene da una serie di vittorie, quando si è neo promossi, quando le tifoserie sono finanziate dalla stessa società…
Non è il caso dell’ ASD Nardò, che milita nel campionato di eccellenza, ma può contare su di un pubblico da grandi palcoscenici e su di una squadra che ieri, all’esordio in campionato si aggiudica in scioltezza un derby storicamente stregato, dando la sensazione di una squadra matura, che non sente le pressioni e le tensioni di una vigilia fin troppo chiaccherata.





L’AMICO QUALSIASI

“Qualsiasi” è l’italiano medio, scontento, convinto di avere e di rappresentare una dignità culturale. Il rappresentante di quell’Italia che si prende molto sul serio, perennemente arrabbiata, e che perciò si ritiene in dovere di essere critica, perché “il mondo è in costante debito”.

Tra le mie conoscenze ricorderò Qualsiasi. Nel mio taccuino trovo molti appunti che lo riguardano. Ecco il primo: “I secoli hanno lavorato per produrre questo individuo di stanche ambizioni, furbo e volubile, moralista e buon conoscitore del codice, amante dell’ordine e indisciplinato, gendarme e ladro secondo i casi. Nazionalista convinto, vi dice come si doveva vincere l’ultima guerra e a chi si potrebbe dichiarare la prossima. Evade il fisco ma nei cortei patriottici è quello che fiancheggia la bandiera e intima ai passanti: giù il cappello”.
Q. è davvero un uomo qualsiasi: purtroppo egli è convinto di essere qualcuno. E’ però soddisfatto del suo nome, che porta con umile civetteria. Abita in una casa qualsiasi, che adorna di oggetti qualsiasi: spende molto per questi oggetti (ha vivissimo il senso della proprietà) ed è convinto così di allietarsi l’esistenza. Le sue macchine musicali sono potenti, egli le tiene in moto tutto il giorno, impedendo ai vicini di pensare. Segue il progresso per nelle minuzie, ma no trascura la tradizione. Crede che la poesia sia fatta di buoni sentimenti, oppure di crudeli perversità. Non si stima molto abile, ma ha fiducia nel suo buon gusto: senza questo buon gusto il cattivo gusto non avrebbe tanto dilagato nel suo paese. Qualsiasi è padre affettuoso: ama i figli per le soddisfazioni che dovranno dargli in avvenire ed ha un unico vero amico: se stesso. Se poi ci addentriamo ad esplorare le sue idee morali e politiche troviamo di che giustificare largamente le avversioni che hanno ridotto il suo paese nelle attuali deplorevoli condizioni e il Re a vivere in un albergo senza pagare il conto. Ha un animo senza dubbi, un cervello lucido: non si pone problemi che non abbia risolto in anticipo. Potevo coglierlo a contraddirsi tre volte nella stessa frase, potevo metterlo alle strette con le sue stesse affermazioni. Allora, da uomo che rinuncia alla lotta per generosità, concludeva che – dopotutto – non gliene importava nulla.
Lo frequentai negli anni che seguirono la grande sconfitta; e ancora oggi gioca a fare lo scontento. E’ scontento di sé e del suo paese che vorrebbe tranquillo, confortevole, simbolico come la Svizzera – un paese dove non si rubano le biciclette. La folla lo infastidisce con le sue eterne, mal formulate minacce, ed è convinto che il popolo non ami le cose belle, che lui ama, e che non abbia ideali disinteressati – che lui ha. “Il popolo” dice spesso “è sporco, si accanisce nella piccola compravendita, è superstizioso, pronto a derubarvi, prontissimo alle barricate, soprattutto se si tratta di farle con i vostri mobili”. Egli sente, quindi, come massimo dei suoi doveri, di controllare il popolo, di impedirgli di far pazzie. Miglior alleato in quest’impresa gli sembra l’esercito, il quale, se non ha generali abbastanza validi per vincere le guerre, ne ha sempre per tenere a bada chi non vorrebbe farne.
Qualsiasi è anche scontento della storia che lo sovrasta. Per la verità si tratta di una storia ingrata, che gli ha limitate tante aspirazioni. Gli ultimi avvenimenti hanno insinuato nel suo animo questa verità: che la morale si modella sull’economia. Si meraviglia perciò, anzi finge di meravigliarsi, che certi concetti una volta tenuti in gran conto – come l’Onestà, l’Onore, la Tolleranza, l’Umanità – siano scaduti a tal punto da essere invocati da tutti e osservati da nessuno. Non si chiede se, per caso, quei concetti non servirono troppo a salvare la sua concezione dell’esistenza, cioè la sua stessa esistenza, a scapito di quella degli altri.
Un confuso scetticismo lo invita a conquistarsi un benessere personale ad ogni costo. Sospirando ammette che “siamo in un paese di ladri”: si difenderà col furto. Il furto è talmente entrato nelle sue abitudini che ruba senza accorgersene: vi chiede la matita per segnarvi un indirizzo e dopo se la mette in tasca. Dai massacri che hanno insanguinato la sua terra, ha cavato l’insegnamento del suo diritto alla vita comoda, difesa dalle leggi e dalla polizia. Dice che paga la polizia per essere difeso da quelli che non possono pagarla. Dice anche di no avere idee politiche perché gli sembra inutile averne in un’epoca in cui le armi permettono ad un’idea armata di sopraffarne altre mille disarmate. Se gli osservate che nessun arma può uccidere un’idea, vi risponderà che il più piccolo temperino può uccidere però un uomo: lui.
Quanto alla libertà, che la trascorsa dittatura gli negava, ha imparato a farne a meno. Neanche oggi se ne preoccupa: preferisce l’ordine, da quel bravo disordinato che è. Se gli ricordate che già una volta ha rinunziato alla libertà per i treni in orario, vi risponderà che i treni in ritardo sopraffacevano egualmente la sua libertà, perché quel ritardo scaturiva da un’intransigenza politica, non dalla cattiva qualità del carbone.
Non ebbe un Sigfrido tra i suoi antenati e nemmeno uno di quei cavalieri che partivano senza provviste alla difesa della vedova e dell’Orfano. I proverbi gli hanno insegnato che l’audacia è superflua, quando non è esclusivamente retorica. E il sole, il bel sole del suo paese che tanto piace ai turisti, gli ha impedito di credere a ciò che non può essere provato, fatta eccezione per i miracoli e le statistiche. Il suo concetto preferito è la povertà del paese: “I pezzenti sono poveri”, questa è la sua massima.
Si tratta in verità di un paese piene di montagne e di abitanti, di fiumi asciutti e di brevi pianure, con un sottosuolo inadeguato, sordo ad ogni trivellamento. Non è più nemmeno il giardino del mondo, come una volta. Nell’antico mare quella penisola era un trampolino verso altre terre, altri continenti; oggi è un corridoio senza uscita: arrivati in fondo bisogna tornare indietro. Perciò Qualsiasi soffre di evasionismo. Quando gli dissero che le aquile avrebbero volato daccapo in suo onore, ci credette: e ci crederà sempre, benché oggi dica di non credere più a nulla. Ma è inutile che cerchiamo di frugare nelle ampie riserve di propositi che la sua speranza custodisce ancora: allo stesso modo, i materassi di certi vecchi mendicanti sono pieni di biglietti fuori corso.

Ecco un terzo appunto sul mio taccuino: “Non credere ai conterranei che gli somigliano e che non la pensano come lui. Odia e disprezza anche un poco gli stranieri, benché gli ammiri per i motivi più futili. Crede realmente solo a se stesso, si sente migliore di coloro che lo circondano per strada, al caffè, ovunque. Si rammarica sovente di essere costretto a vivere fra imbecilli. La notte s’addormenta sorridendo di pietà al ricordo di imbecilli che ha dovuto salutare, intrattenere, persino lodare”.
Frequentandolo, mi sono convinto che le sue colpe sono immense, ma ereditarie: egli ha potuto soltanto aggravarle con una certa ben curata ignoranza. Sono secoli Che chiede tuttavia di conoscere gli articoli di quell’armistizio che fu firmato in suo nome da un venerato plenipotenziario, dopo la sconfitta che gli inflisse la Coscienza. Da quel giorno, vive alla giornata.
Arrivato ultimo al gioco delle nazioni, era fatale che vi perdesse quel po’ di prudenza e di criterio che aveva messo in serbo coi secoli. Avrebbe potuto vivacchiare con la vendita delle indulgenze, preferì lavorare come gli altri, e ben presto rimase disoccupato. Non aveva confini e li volle, per accorgersi che è quasi impossibile difenderli, giacché i popoli vicini, per non rovinare le loro colture agricole, usano darsi battaglia sul territorio del suo paese, che offre vasti campi operativi, specie nelle regioni settentrionali.

di Ennio Flaiano

ENNIO FLAIANO

Ennio Flaiano nasce a Pescara, il 5 marzo 1910. Ha studiato architettura, passando poi al giornalismo ed alla critica cinematografica e teatrale: nel 1939 è recensore per il settimanale "Oggi", quindi collabora a "Documento", "Cine Illustrato", "Mediterraneo", "Star", "Domenica", "Il Mondo". La sua attività di sceneggiatore inizia con "Pastor Angelicus" (1942) di Romolo Marcellini, ed è destinata a continuare, parallela alla sua carriera di scrittore, con non minore fortuna.
Come narratore, esordisce nel '47 con il romanzo "Tempo di uccidere", vincitore del Premio Strega: dal libro verrà tratta nel 1989 una versione per il cinema, diretta da Giuliano Montaldo.
Mentre i suoi articoli di critica, cronaca e costume proseguono senza interruzione sulle pagine di "L'Europeo", "La Voce Repubblicana", "Il Corriere della Sera", egli firma innumerevoli soggetti e sceneggiature che trovano realizzazione in oltre 60 film: nella sterminata mole di titoli, ricordiamo "Roma città libera" (1948), "Guardie e ladri" (1951), "La romana" (1954), "Peccato che sia una canaglia" (1955), "Le notti di Cabiria" (1957), "La dolce vita" (1960), "La notte" (1961), "Fantasmi a Roma" (1961), "La decima vittima" (1965), "La cagna" (1972).
In particolare, il rapporto con Fellini - cominciato nel '51 con "Luci del varietà" e durato sino a "Giulietta degli spiriti" (1965) - si rivelerà intenso e assai fruttuoso: l'ironia, lo sguardo lucido e impietoso del Flaiano gioveranno non poco alla riuscita di molte pellicole del regista riminese, da "Lo sceicco bianco" (1952) a "I vitelloni" (1953), da "La strada" (1954) a "Il bidone" (1955), fino a quel capolavoro che è "Otto e mezzo" (1963).
Tornando alla vicenda letteraria del Nostro, meritano menzione i due volumi di racconti e satira "Diario notturno" (1956) e "Una e una notte" (1959), cui faranno seguito "Il gioco e il massacro" (1970, Premio Campiello), i 5 testi teatrali di "Un marziano a Roma e altre farse" (1971) e "Le ombre bianche" (1972).
Nei due tomi di "Opere. Scritti postumi" ed "Opere 1947-1972" della collana Classici Bompiani (1988 e 1990) sono confluiti i suoi testi letterari, mentre un'ampia scelta dei carteggi è stata riunita in "Soltanto le parole" (1995).

Nuovi sbarchi sulle coste del Salento: rintracciati 17 clandestini

Sono di origine afghane i clandestini rintracciati ieri mattina dai carabinieri della Compagnia di Tricase, guidati dal Capitano Andrea Bettini. I militari gli hanno individuati in località San Gregorio, nel capo di Leuca. I clandestini, tutti sprovvisti di documenti, sono diciassette, dei quali circa la metà sono minorenni e non vi sono donne.Alcuni di loro indossavano abiti umidi, mentre gli altri si erano già cambiati ed avevano conservato gli abiti bagnati in alcuni borsoni.

Condotti in caserma sono stati rifocillati e fatti visitare da personale sanitario che ne ha accertato il sostanziale buono stato di salute. Le ricerche finalizzate ad individuare ulteriori immigrati irregolari sono tuttora in corso.

da IlCorriereSalentino

Maglie: Copersalento basta con le idiozie

Lecce (salento) - Resoconto della posizioni determinata ribadita nella partecipatissima riunione d’emergenza di venerdì sera, dell’Unità di Crisi Permanente sorta in seno al Coordinamento Civico di Maglie e che sta vedendo anche l’avvicinamento di ulteriori realtà associative, politici di destra, centro e sinistra, e liberi cittadini provenienti da ogni parte del Salento.

“In merito alla proposta dell’ istituzione di un ‘Osservatorio Permanente’ dell’attività di Copersalento, interviene il Coordinamento Civico di Maglie: «Per favore, smettiamola con queste idiozie, specchietti per allodole, con cui continuamente si cerca di distrarre ed aggirare l’attenzione della totalità dei cittadini, dalle vere problematiche contingenti e di forte emergenza sanitaria:
prima la folle richiesta a cittadini e associazioni di volontariato, di accollarsi i costi di chiusura di una fabbrica, che deve ancora pagare i danni causati agli abitanti e alle vessate aziende agricole e pastorali, nonché i danni di immagine per tutta la Città e alla salute delle persone di tutto il Salento; stigmatizzammo, allora, quella proposta che in effetti cadde nel vuoto, nonostante la manifestata buona volontà di qualche facoltoso cittadino che la sottoscrisse in solitudine. Oggi il teatrino si ripropone con un “Osservatorio Permanente” per controllare l’attività di Copersalento. Una mossa che cela solo la volontà di una nuova, questa volta perenne, (‘permanente’), riattivazione di quell’inquinante inceneritore di biomasse o rifiuti che siano. E’ mai possibile, ci chiediamo allibiti e sconcertati, arrivare a chiedere ai cittadini e alle associazioni di volontariato di dovere perennemente controllare una fabbrica privata, che inquina elargendo solo fumi mortali e nocive ceneri al territorio? Se qualcuno crede che queste forme di pseudo-democrazia partecipata possano distogliere dai veri obiettivi che è necessario perseguire per uscire davvero dalla catastrofe ambientale e sanitaria in cui siamo sprofondati, e per costruire un futuro migliore per questa vilipesa Città, si sbaglia e si inganna. Cadrà qualcuno forse in questi tranelli, ma la Città tutta è stanca e vuole soltanto cambiare pagina e chiudere definitivamente con il passato di fumi e veleni. Vuole un’amministrazione che abbia il coraggio e la responsabilità di dire ‘No’, a qualsiasi nociva per natura attività di incenerimento o di combustione di materiali di origine biologica sul territorio comunale e su quello dei paesi vicini. Per questo invitiamo l’amministrazione tutta ad un atto di serietà politica e a scoprire finalmente le carte in tavola, parlando apertamente ai cittadini dei progetti del nuovo inceneritore-termovalorizzatore di cui già diversi suoi consiglieri hanno timidamente parlato, quasi a sondare le acque, o della nuova centrale a biomasse che sia. Si tratta sempre della stessa tipologia di impianto che può bruciare differenti masse combustibili; sia che si tratti di cdr (combustibile da rifiuti), o di ramaglie (scarti di potatura), o di cippato (legno), o di qualsiasi altro prodotto di origine biologica, il problema non cambia, come ha dimostrato bene Copersalento che ha emesso alti quantitativi di diossina anche solo nelle fasi in cui ha bruciato soltanto legno. Le perifrasi non ci ingannano, né ci ingannano i tentativi, nei momenti del massimo crollo del consenso, da parte di qualcuno, di fare passare tutto il celato indicibile progetto come una semplice ristrutturazione! I cittadini hanno diritto alla verità, dopo tanto tormento e sofferenze, non meritano di essere ancora e da più fronti apparentemente disgiunti, ma sottobanco ben accordati tra loro in una sola fatale regia, presi ripetutamente in giro! Non è quello di Maglie il popolo dei guitti, o non lo è più, come qualcuno, con offensiva arroganza, ancora ritiene. Nell’ostinata lucrosa aspirazione politico-imprenditoriale ad avvelenare i cittadini, incurante financo della tragedia sanitaria abbattutasi su Maglie e sul suo circondario, se si vuole davvero dare testimonianza di democraticità, si indica un ‘referendum popolare’: siano gli abitanti a dire, nella rispettosa segretezza del voto, se vogliono ancora un futuro di fumi e di industrie nocive nel densissimamente abitato cuore del Salento, o un futuro finalmente rispettoso della loro vita e del loro diritto inalienabile alla salute! Una decisione di così vitale importanza, quale la ripresa di veleniferi processi industriali di combustione, deve essere lasciata alla volontà dei cittadini di Maglie e dei paesi vicini, le vere vittime di tutto quanto è avvenuto e si vuole ancora perpetrare a loro oltraggio. Ogni altra apparente soluzione aggiunge soltanto la beffa all’inganno!» (il Coordinamento Civico di Maglie).”


COORDINAMENTO CIVICO PER LA TUTELA DELLA SALUTE E DEL TERRITORIO

Rete Civica delle Associazioni del Salento: Coordinamento Civico di Maglie, sodalizio di 25 associazioni, che arriva a oltre 45 con tutta la rete dei comitati e movimenti partner, ufficialmente registrato e presentatosi pubblicamente al Prefetto di Lecce, dott. Mario Tafaro, in data 10 dicembre 2008.

Sede presso il Tribunale dei Diritti del Malato nell’Ospedale di Maglie: TDM MAGLIE-ASL Le/2 c/o Ospedale civile "M.Tamborino" Via N. Ferramosca CAP 73024 - 0836 4201(Cent. Osp.) - 0836/420552 - gianfranco.andreano@email.it Questo indirizzo e-mail è protetto dallo spam bot. Abilita Javascript per vederlo.

Alcune delle associazioni membre e partner del Coordinamento Civico: Cittadinanza Attiva/Tribunale dei Diritti del Malato (TDM); Lega Italiana Tumori (LILT); Movimento per “La Rinascita del Salento”; Associazione culturale Socrate (Poggiardo); Federconsumatori; Associazione il Ciclone (Maglie); Amici della Città (Maglie); Associazione nazionale Giovani & Liberi; Italiana Medici per l’Ambiente (Tricase); Coordinamento Medici Emergenza Territoriale; Associazione La Rinascita del Bosco del Belvedere (Parco dei Paduli-Supersano, ecc.); Associazione Amici della Musica (Diso); Biblioteca di Sarajevo (Maglie); Associazione Porta di Mare (Nardò); Associazione Giovani Avvocati della Provincia di Lecce; Fondazione Popoli e Costituzioni (Galatina); Associazione Marinai d’Italia (Maglie e P.to Cesareo); Gruppo Leccese Meet-up Beppe Grillo (Lecce); Associazione Italiana Medici Cattolici (Otranto); Associazione Italiana Familiari Vittime della Strada (Maglie); Associazione Rangers d’Italia (Lecce); World Wildlife Fund (WWF) Italia; diversi circoli locali salentini di Legambiente (Cutrofiano, ecc.); Codici Cursi, Generazione (Cursi); Forum Ambiente e Salute di Lecce; Coda Libera (Cursi); Nuova Messapia (Soleto-Grecìa Salentina); Grande Salento; Io Conto (Ugento); SUM (Ass.ne Stati Uniti del Mondo, sede di Maglie); ecc. ecc.

La rete del Coordinamento è aperta all’adesione di altre realtà associative e all’adesione e collaborazione di liberi cittadini normalmente nelle attività standard volte alla tutela della salute, dell’ambiente, della cultura e del paesaggio, e nei momenti di massima urgenza, quale quella vivificata nella costituzione dell’ ‘Unità di Crisi Permanente’ presso il Coordinamento, contro la costruzione dell’ “Orco di Maglie”, il nuovo mega-inceneritore previsto sul suolo della Città.

da IlPaeseNuovo

SIAMO TUTTI SULLO STESSO TETTO!!!

Tettologia marxista


L’estate ci ha consegnato uno scenario delle lotte sociali nel paese probabilmente inaspettato. Oggi possiamo sostenere ironicamente di essere passati ad uno “sviluppo verticale delle vertenze”, ovvero dalle piazze e dalle strade ora si sale sui tetti, verso l’alto, da una gru al tetto della fabbrica, dal tetto del provveditorato a quello di un museo. L’esperienza della Innse a Milano ha senza dubbio segnato uno spartiacque per quelle che sono le lotte che si svilupperanno. Come tutti gli anni i movimenti si sforzano di annunciare autunni caldi, caldissimi, bollenti, fino ad esaurire gli aggettivi. La recente propensione dei metereologi a considerare l’estate con un mese in più potrebbe venir incontro a molti. Questo per dire che di autunni freddissimi ne abbiamo vissuti diversi, e negli ultimi anni solo grazie all’onda e grazie ai movimenti in difesa dei beni comuni c’e’ stata più calura o quanto meno temperature miti.Ma andiamo con ordine, in una riflessione pre-autunnale che prova a svilupparsi sulla fase e la tendenza e sull’approccio al conflitto sociale che ne deriva. La fluidità delle dinamiche della crisi ci portano a misurarci con una dinamica del tessuto sociale che invece di costruire comune si rinchiude nella risoluzione della propria personalissima condizione davanti al depauperamento globale.
Noi la crisi non la paghiamo….certo, senza dubbio…
Ma molti lavoratori (spesso anche studenti) smettono di iscriversi ai sindacati (tutti) e smettono anche di percepire loro stessi come soggetti in conflitto, vivono come normalità la rifunzionalizzazione lavorativa e la riqualificazione professionale, il precariato si tramuta in disoccupazione e lavoro nero, ed i lavoratori autonomi, principalmente legati al settore manifatturiero, si tramutano in disoccupati con l’aspettativa di esserlo per lunga durata, spesso cinquantenni e quindi espulsi dai processi produttivi, tutto questo senza un elemento che ci porti a constatare la tendenza ad una ricomposizione di classe che permetta la costruzione di una dinamica di conflitto adeguata davanti alla crisi.
Insomma, piuttosto che rappresentare l’accelerazione di un processo di trasformazione della società in termini di costruzione di comune, la crisi ed una dinamica di gestione videocratica del dominio, che ha portato ad un mutamento biopolitico del paese, ci raccontano altro. Ci parlano di un tessuto sociale incapace di opporsi ad una gestione della crisi fatta di smantellamento dello stato sociale e trasformazione/espulsione del/dal mercato del lavoro e davanti alla quale l’italiano medio si ipersoggettivizza rendendo evidente un meccanismo di sussunzione del lavoro al capitale che assume una ulteriore complessità perché avviene anche in termini biopolitici.
In sostanza viviamo in un paese di merda.
Nonostante l’onda ed i movimenti in difesa dei beni comuni, il nodo centrale delle condizioni materiali di vita e quindi i nodi legati al lavoro/reddito/welfare restano in termini di conflitto nel nostro paese poco in salute. La fase dunque ci mette davanti all’impossibilità, al momento, di costruire percorsi di trasformazione sociale che siano immediatamente incompatibili con il quadro generale che analizziamo o che siano, più semplicemente, profondamente rivoluzionari rispetto all’esistente. Davanti a ciò dobbiamo avere la capacità di riaggiornare pratiche, codici di linguaggio, modelli organizzativi del conflitto sociale e specialmente avere un’ idea differente dei termini vertenziali dello scontro sociale.
Davanti a questo scenario piombano, tra agosto e settembre, nell’ordine : i gruisti di Milano, i vigilantes capitolini, le leonesse del Sannio, ancora gli sfrattati capitolini e con in mezzo la Manuli, la Lasme, la Cnh, ecc. ecc.
Senza dubbio queste esperienze hanno avuto il merito importante di rappresentare una destrutturazione della logica di dominio del capitale: la fabbrica si chiude e si vende – no, la fabbrica la occupiamo e tu non vendi. Un paradigma semplice ma che tiene in sé un meccanismo di destrutturazione ed al tempo stesso una auto valorizzazione delle lotte che non si tramuta immediatamente in incompatibilita’. La Innse ha avuto il merito di cominciare, e anche di vincere….dicono.
Sono sempre dell’idea che sia complicato parlare di sconfitte e di vittorie.
La Innse rappresenta un modello di auto valorizzazione delle lotte importante, rappresenta la speranza per centinaia di migliaia di operai del settore manifatturiero che vedono scomparire il proprio lavoro perché l’azienda non riaprirà, oppure perché si troveranno alla fame perché finisce la C.i.g, e non ci sono ammortizzatori sociali. Ma infondo la Innse cosa ha significato? Al di là della scommessa profondamente azzeccata delle pratiche di lotta, resta da fare una considerazione di carattere vertenziale. Gli operai licenziati occupano la fabbrica e sono loro stessi a trovare un altro padrone. Al di là delle considerazioni sulla “gioia del lavorare in fabbrica”, ed anche sulla necessità di trasformazione profonda del tessuto produttivo industriale del nostro paese, nonché del sostituirsi ad un compito proprio del capitale, ma i paragoni con l’argentina Zanon sono eccessivi da questo punto di vista. Siamo ancora lontani dall’autogestione delle fabbriche e dalla costruzione di reti di cooperative autogestite capaci di essere un’anomalia affermata, come le esperienze di “bajo controlo obrero” in argentina. Lontani anni luce.
Innse no es del pueblo. Ma la Innse ci da un esempio oppure no ?
Ci racconta del conflitto sociale ai tempi della crisi e di come dobbiamo provare a cimentarci oggi nel conflitto capitale/lavoro. Quegli operai hanno costruito comune, hanno avuto la forza e la consapevolezza di cosa rappresentavano in quel momento ed hanno dato un esempio di come si possa affrontare oggi, ai tempi della crisi, il nodo delle condizioni materiali. Essere licenziati senza prospettive con un rischio altissimo di espulsione dal mercato del lavoro per i più e di perenne ed incerta riqualificazione per altri, rimanere senza reddito assoluto e senza prospettive di ammortizzatori sociali, oppure attraverso il protagonismo vero prendere in mano in termini collettivi le sorti della propria sopravvivenza senza piegarsi ad una fine triste ed inenarrabile. La Innse non ha chiuso, ha un nuovo padrone, i costi di questa operazione probabilmente ricadranno sulle condizioni di lavoro e di salario degli operai stessi, ma quel protagonismo che c’e’ stato significa mantenere aperto un terreno di conflitto, mantenere viva una resistenza, non piegarsi tout court alla logica dominante di gestione della crisi. Gli operai avranno ancora un salario.
L’andamento di quella lotta non può essere che merito degli operai stessi, della loro capacità di decisione collettiva e di autogestione. La Fiom senza dubbio ha avuto un ruolo, ma non per questo rappresenta oggi la punta avanzata del conflitto. La stessa Fiom che alla Innse è stata al fianco del protagonismo operaio, alla Lasme di Melfi fa scendere gli operai dai tetti. Giusto per intenderci. Questo ci racconta che non possiamo guardare a queste lotte a partire dalla considerazione sulle organizzazioni sindacali che vi partecipano, ma solo ed esclusivamente dalla capacità di autorganizzazione e di autonomia degli operai stessi. C’e’ da sperare, ne sono certo, nella volontà non solo della Fiom, ma anche dei sindacati di base, di investire in esperienze come queste che vedano il protagonismo vero dei lavoratori. In particolar modo i sindacati di base portano nel loro dna questa tendenza. Tutto questo, che è volontà in potenza, deve però sempre misurarsi con il reale radicamento dei soggetti sindacali in questione. La stessa crisi delle organizzazioni sindacali tutte, potrebbe essere superata in avanti da un tale protagonismo. Perché, infatti, dalla Innse si sono poi sviluppate con le stesse pratiche altre lotte. La Manuli e la Lasme senza dubbio, ma anche i precari della scuola che a Benevento occupano il tetto del provveditorato ad oltranza e che rappresentano un settore sociale e lavorativo diverso dal mondo operaio, ed è proprio per questo che oggi le lotte dei precari della scuola possono contribuire ulteriormente a quella tendenza alla ricomposizione di classe che tutti auspichiamo. Ma anche qui dobbiamo guardare alla Innse per capire che 57 mila precari senza incarico, davvero come dicono i sindacati di base il più grande licenziamento di massa, dovranno misurarsi con la stessa dinamica avuta alla Innse. Non hanno bisogno di un nuovo padrone, ma di reddito o salario che venga garantito attraverso una serie di misure che siano il più durature possibile. In questo modo potremmo parlare di generalizzazione delle pratiche, di spinta positiva delle lotte sociali, di consolidamento di una resistenza sociale dal basso, ed anche di una nuova militanza che bisognerebbe mettere a valore.
In questo scenario quindi, senza dubbio non stiamo parlando della trasformazione definitiva e completa dell’esistente…ci mancherebbe, ma stiamo parlando dello sviluppo di lotte che passano per un protagonismo sociale vero e che vertenzialmente portano qualcosa a casa, ed in questo il segno è positivo. Inoltre la diffusione delle pratiche, l’occupazione, il blocco, il salire sui tetti, rappresenta di per sé una costruzione di comune tra segmenti diversi della moltitudine, ed è questo un altro segno positivo.
Davanti a questo quadro non lo so se dobbiamo ripetere la solita prosopopea di aggettivi per descrivere l’autunno, ma senza dubbio c’è qualcosa di interessante che si muove.
Il patchworking, ovvero il mettere insieme i pezzi, è una delle priorità dei movimenti oggi. Rispetto a questo duro e complesso lavoro sociale e politico, ognuno fa anche i conti con la propria inadeguatezza. Viene semplice per l’Onda, fortunatamente, provare a costruire un terreno di lotta comune con i precari della scuola, seppur tenendo conto delle “temperature” diverse che ci sono in questo preciso periodo, ma la sfida è costruire comune in maniera molto più ampia. Se è vero come detto che esiste una crisi complessiva della forma sindacato che investe tutti, dai confederali a quelli di base, ovviamente caratterizzati da una prefigurazione di via d’uscita diversa dai primi, è pur vero che il resto delle strutture di movimento, a cominciare dai presidi territoriali rappresentati dai centri sociali, devono fare i conti con la loro composizione e con la loro capacità di stare dentro i termini del conflitto di cui stiamo parlando e dei suoi nodi centrali. Nonostante ciò, proprio perché l’Onda ed i movimenti in difesa dei beni comuni hanno prodotto tanto, sia in termini di soggettività sia in termini di trasformazione dei territori politici, oggi più che mai è necessario consolidare queste posizioni per provare ad avere un ruolo proprio in quel percorso di ricomposizione descritto prima.
E lo stesso vale per i centri sociali attraversati più che mai da questi movimenti.
Fermo restando che la fluidità della moltitudine ci consente di conoscere la lotta alla precarietà, la lotta per i beni comuni, per la formazione e per la casa spesso nello stesso luogo politico e nello stesso territorio.

di Antonio Musella da GlobalProject

Afghanistan, il rapimento di Stephen Farrell e l'informazione "embedded"

Stephen Farrell è uno dei colleghi che frequentemente si incontra a Kabul. E' stato rapito mentre svolgeva una delle più basilari ma fondamentali attività di un giornalista in Afghanistan: andare a vedere di persona. Sempre più l'informazione in Afghanistan è "guidata" dagli uffici stampa dei contingenti, che spesso offrono un "embeddment" dove al massimo vedi quello che qualcuno vuole farti vedere e dove sei staccato dalla realtà del paese, senza contatti diretti con la popolazione. Dall'altra parte ci sono i Talebani, con le loro telefonate piene di cifre approssimative, di annunci magniloquenti, di video di propaganda grondanti sangue, e soprattutto con le minacce nei confronti di chiunque ponga anche solo semplici domande, con le accuse ai giornalisti di essere spie.In mezzo i giornalisti. Prima di tutto quelli afgani sempre più sotto pressione anche dal governo. Basta ricordare il caso di Parwaz da tre anni in galera condannato in primo grado a morte e poi in secondo grado a vent'anni, per un semplice pezzo sulla libertà delle donne afgane. Il mestiere di giornalista non è mai stato più difficile in un paese in cui la comprensione "diretta" delle cose è forndamentale. DOve basta poco per avere una viisone distorta degli avvenimenti, dove i sentito dire, diventano verità incontrovertibili in pochi minuti. Un paese con i nervi a fior di pelle dove il ruolo di una libera informazione è sempre più cruciale. Stephen stava verificando le circostanze dell'eccidio di Kunduz, sapere quanti civili erano rimasti uccisi, quanti talebani. Ora, come già in altre occasioni, ci rivolgeremo alle associazioni dei giornalisti afgani, agli stessi portavoce dei talebani, per dire che Farrel non è altro che un osservatore indipendente, che il suo lavoro è una garanzia per tutti. I Talebani dimostrerebbero capacità di distinguere e di comprendere se lo lasceranno libero senza condizioni. Sarebbe un modo per dimostrare che anche da parte nostra c'è possibilità di distinguere tra le fila di un movimento, quello dei talebano, tutt'altro che monolitico.

di Duilio Giammaria da Articolo21

Algeria, estorcevano dai 2 ai 3mila euro per un viaggio verso l'Italia sulle carrette del mare. Sgo

Lo riporta il giornale arabo 'al-Sharq al-Awsat'

Organizzavano i pericolosi viaggi dalle coste algerine all'Italia per la gente in fuga dalla povertà e dalla guerra, approfittando della loro situazione per spillare loro soldi. E la polizia algerina li ha scoperti e arrestati.

Lo riporta il giornale arabo 'al-Sharq al-Awsat', la banda utilizzava le coste della città orientale di Annaba per far partire le carrette del mare cariche di clandestini africani verso la Sardegna. Gli inquirenti hanno a lungo seguito i movimenti del gruppo, capeggiato dal pericoloso criminale Ali Bin Zahwa, 40 anni, scoprendo come riusciva a raggruppare numerosi immigrati in arrivo dall'Africa centrale e meridionale.I clandestini entravano in Algeria attraverso i confini meridionali e arrivavano ad Algeri, dove un complice li inviava ad Annaba. Da qui la partenza. I disperati potevano spendere dai 2 mila ai 3 mila euro per un viaggio verso l'Italia. Zahwa guidava la banda insieme al fratello: entrambi avevano lasciato la scuola all'età di 15 anni e da allora hanno sempre operato nell'ambito della criminalità organizzata locale.Fondamentali per la cattura, le testimonianze di alcuni membri della banda che avevano litigato con il capo per la spartizione dei proventi delle attività illecite.

di Stella Spinelli da PeaceReporter

"Dortmund è antifascista!"

Migliaia di compagn* impediscono la marcia neonazista. Oltre 200 fermi di polizia che protegge i nipotini di Hitler e lancia una gran quantità di gas lacrimogeni.

Dortmund, 5 settmbre 2009

La cronaca - Le autorità tedesche decidono dapprima - e non è la prima volta che succede - di illegalizzare la marcia antifascista, quindi l'autotizzano sotto strettissima ed asfissiante controllo poliziesco.

Nel primo pomeriggio la polizia cittadina si rende conto di non poter gestire la mobilitazione antifascista di oltre 3000 compagn* provenienti da varie zone della Germania, molti giunti in autobus (da Berlíno, Freiburg, Düsseldorf...). 600 i neonazisti presenti (di fronte ai 1000 che si aspettavano). La polizia decide dunque di impedirne la manifestazione e spostare il luogo del concentramento.

La manifestazione antifa sfila dietro lo striscione "Dortmund non tollera i nazisti!" e, a fin corteo, più di metà dei parteipanti sfonda i cordoni polizieschi. La polizia carica coi lacrimogeni. I manifestanti rispondono con lanci di pietre e bottiglie di vetro. Fronteggiamenti e scontri continuano per tutto il pomeriggio.
A fine giornata si contano 243 fermi/arresti tra gli antifascisti
e 12 feriti (di cui 10 poliziotti) e 15 automezzi della polizia variamente danneggiati. Alle 21 dis era inizia il festival musicale (Per Dortmund, contro i nazisti!" che arriva a radunare quasi 10.000 persone.

Compagni e compagne del movimento antifa tedesco (presenti tutte le aree della galassia antifascista: autonomi, libertari, marxisti-leninisti , pezzi di sinistra istituzionale) giudicano molto positivamente il risultato della giornata. Anche il tentativo nazista di iniziare il corteo viene respinto e impedito dalla compattezza e determinazione della manifestazione.

da Infoaut

"Berlusconi? si sente più dio di dio"


«Più che feroce direi che è assurdo. L'attacco alla stampa italiana da parte di Silvio Berlusconi ha dell'assurdo, essendo lui padrone di tre reti televisive, controllandone altre tre o quattro, e poi di giornali. Insomma essendo lui il padrone di un terzo buono dell'informazione italiana, come fa a dire che l'informazione è ridicola? A meno che non parli di sé». Giorgio Bocca è Giorgio Bocca: un partigiano, un decano del giornalismo, un veterano dell'antiberlusconismo. Che pure un passaggio in Fininvest l'ha fatto, negli anni 80, i tempi in cui l'uomo del Biscione a qualcuno era sembrato un innovatore, dall'altra parte c'era la Rai dei Bernabei e degli Agnes. «L'antitaliano», la sua rubrica sull'Espresso, è ormai da tempo un'osservatorio dell'Italia berlusconiana, come dire ai tempi del colera, «il paese delle fiction», «il verissimo della saga familiare». Aderisce alla manifestazione per la stampa senza bavaglio dei 19 settembre, «arriva anche troppo tardi».
Come giudica lo scontro in corso fra il presidente del consiglio, attraverso il suo Giornale, e il Vaticano?
Ho l'impressione che Berlusconi sia in vera difficoltà. Non vorrei che fosse solo un mio desiderio, ma stavolta si è trovato contro la Chiesa, che è la sola che può mettere fine al suo potere. Quindi è terrorizzato che stia arrivando la fine. E ha perso il controllo. La pretesa di dire che Vittorio Feltri (il direttore del Giornale, ndr) abbia pubblicato quell'attacco a Dino Boffo (l'ormai ex direttore di Avvenire, ndr) senza che lui ne sapesse niente, poi, non sta né in cielo né in terra. Chi lo conosce sa che nulla nelle sue aziende avviene senza il suo permesso. Io, del periodo in cui ho lavorato per Canale 5, ho un ricordo kafkiano. Una volta mi scelse per farsi intervistare sul tema della tv. Arrivò, con tutti i suoi aiutanti, facemmo l'intervista, e io proprio perché ero un dipendente del 'padronissimo' cercai di fare qualche domanda poco simpatica. L'intervista non venne mai trasmessa. Più tardi cercai di sapere chi l'aveva soppressa. In un palazzo di mille persone non ce n'è fu una che ebbe il coraggio di dirmi che l'aveva deciso lui.
Lì capì il personaggio?
Ci ho messo molto tempo a capire, anche perché alla fine sono un ingenuo, che tra lui e la democrazia non c'è il minimo rapporto.
Però ritiene che nel caso Boffo, Berlusconi si sia fatto prendere la mano, senza valutarne le conseguenze?
Per capire Berlusconi bisogna pensare che nell'87 lui diventa padrone del Giornale fondato da Indro Montanelli. Qualsiasi altro imprenditore al mondo ne avrebbe fatto un Corriere, o una Repubblica, insomma un grande quotidiano di informazione. Lui no: ne ha fatto un giornale giallo. E lo ha adoperato per le sue liti con gli avversari e per la loro diffamazione.
Stavolta però Berlusconi ha ingaggiato una sfida con l'Altissimo.
Scegliendo anche male l'avversario. Boffo non aveva fatto una campagna antiberlusconiana. Si è limitato a scrivere che al suo giornale arrivavano lettere di cattolici che non approvavano il comportamento di Berlusconi. Ma il solo essersi permesso di parlar male di lui ne ha fatto un nemico da uccidere. Perché hanno ragione quelli che dicono che si tratta di un omicidio.
Cosa pensa di Vittorio Feltri?
Niente. Ci sono alcuni personaggi di cui preferisco non pensare niente. Mi fanno paura.
Attaccare il giornale dei vescovi, provocando una rottura con le gerarchie vaticane, è stata un'ingenuità, o l'effetto della sua temerarietà?
Lì il contributo di Feltri è stato notevole. Come Berlusconi, anche Feltri è un megalomane. Cerca grane e scontri. È già stato mandato fuori dall'associazione della stampa. Ha sempre vissuto borderline. Sceglierlo per una direzione dice già tutto: se c'è lui sarà un giornale di lotta e di diffamazione.
Lei prima ha detto: «la Chiesa è la sola che può mettere fine al suo potere».
Vista l'opinione pubblica, che sopporta tutto, l'unica speranza è che la Chiesa gli si metta contro e gli faccia perdere le prossime elezioni.
Succederà davvero?
Non lo so. Alla lunga la Chiesa non vuole, almeno non desidera, un governo irresponsabile, spregiudicato, che - tanto per dire - dall'oggi al domani si allea con Gheddafi.
L'approvazione di qualche legge eticamente sensibile, come quella sul testamento biologico, potrebbe far tornare il sereno fra Palazzo Chigi e Oltre Tevere?
Non lo so. Ma il conflitto è organico, andrà avanti comunque. Perché Berlusconi si sente più dio di dio.
Se l'unica speranza è la Chiesa, vuol dire che le opposizioni non sono in buono stato.
Sono in uno stato penoso. Sosterrò il Pd, nonostante tutti i suoi errori. Ho fatto una vita nella sinistra laica, e adesso non cambio certo opinione. Ma mi dolgo di vedere il Pd così sbriciolato e fiacco.
C'è un candidato alla segreteria del Pd che le sembri meno fiacco?
Questo di Bettola...
Pierluigi Bersani.
Bersani. Almeno è uno che si capisce quando parla.
Walter Veltroni le piaceva?
Veltroni scrive romanzi. Lasciamoglielo fare.
Tutta questo scontro Berlusconi ha l'effetto di cancellare alcuni grandi problemi del paese. La crisi, innanzitutto. Alla fine non le sembra un trappolone?
Trappolone piuttosto mi sembra la posizione dei fascisti democratici, come Gianfranco Fini. Fanno un gioco a due: uno fa l'estremista, l'altro il moderato. Poi però non a mette in crisi il governo.
Lei non crede alla sincerità di Fini.
Ci credo. Penso nel nuovo comportamento di Fini ci sia il fatto che dopo la separazione ha potuto cambiare amicizie e ha potuto finalmente ragionare in tranquillità. E si è convinto che la democrazia è meglio del fascismo. Ma è il gioco complessivo che non va. Lui alla fine puntella questo governo. O comunque aspetta, per sostituirlo alla guida del partito.
Lei la Lega la conosce bene. Qual è il ruolo della Lega in questa vicenda?
La Lega è un movimento misterioso. Impossibile da capire. È un insieme di motivazioni di potere locale. Io ho fatto molte interviste a Umberto Bossi. Sembrava sempre di parlare con un matto.
Lei pensa che sia un matto?
No, è un furbo. Ma l'idea della secessione è totalmente stupida nella globalità attuale.
E Berlusconi? Anche lui un matto furbo?
No, Berlusconi è Berlusconi. Quando l'ho conosciuto Eugenio Scalfari diceva: 'Giorgio si è innamorato di lui'. Apprezzavo alcune doti imprenditoriali e anche umane, fin lì avevamo una tv di stato in cui per fare un'intervista arrivavano venti persone. Con Berlusconi ne bastavano tre. Mi sembrava un progresso.
Cosa pensa del giro di escort a Palazzo Grazioli?
Mi dispiace che l'attacco al presidente del consiglio sia partito da questi fatti minori. In Italia l'amore per le mignotte non è una novità. Loro sono povere diavole, a volte furbe, che cercano di sfruttare l'occasione. Non sono certo le puttane ad essere pericolose, sono gli uomini politici. E in più Berlusconi è il capo del governo, non può circondarsi di gente di malaffare. Non intendo queste ragazze ma i loro gargagnan.
Nel dopo Berlusconi chi vede?
La classe politica italiana è di livello bassissimo, come gli italiani del resto. Il fatto che l'attacco alla democrazia lasci indifferenti gli italiani, per uno che ha fatto il partigiano è una roba triste e dolorosa. E Berlusconi ha buon gioco per l'inerzia di tutti. Da noi non c'è un'opinione pubblica. Il personaggio più coraggioso di tutta questa vicenda è la moglie di Berlusconi. Se non ci fosse stata lei, non era successo nulla.
Allora come si esce da quest'anomalia italiana?
Come siamo usciti dal fascismo. Quando eravamo rassegnati a tenercelo per tutta la vita, è capitato qualcosa che lo ha fatto cadere.
Qualche giorno fa, alla festa del Pd, il centrista-cristiano Bruno Tabacci ha proposto un comitato di liberazione nazionale da Berlusconi. Un Cln.
Sono perfettamente d'accordo. Ma ho visto che D'Alema ha subito dissentito.
D'Alema sostiene che più che più che un comitato straordinario di antiberlusconiani serve un'alternativa di governo. Un vera alleanza con l'Udc, insomma.
Quello che serve è una maggioranza. Certo, Casini è un altro bel personaggio. Mi ricordo di lui al processo Andreotti a Palermo. Sosteneva un amico di Salvo Lima. Insomma il materiale umano a disposizione è pessimo dappertutto. Ma tra i partiti ci saranno pure politici ragionevoli. Tabacci è uno dei migliori.
Senta, nel '43 però c'erano gli americani. Speriamo in Obama?
Gli americani si fanno sempre gli affari loro. Quello che nessuno avrebbe immaginato era la guerra partigiana. A liberarci, dobbiamo pensarci noi.

di Daniele Preziosi da Il Manifesto

L'associazione culturale pediatri: non c'è affatto pandemia!


Lettera aperta ai politici, ai professionisti della salute e ai mezzi di comunicazione

Quello che sappiamo per certo di questo nuovo virus influenzale A/H1N1, è che per ora si è dimostrato meno aggressivo della comune influenza stagionale. Diventa perciò difficile capire perché sia stato dichiarato lo stato di pandemia,modificando addirittura i criteri della definizione (è scomparsa ad esempio l’elevata mortalità), come spiega Tom Jefferson della Cochrane vaccines field in un’intervista a Spiegel. Nessuno è però in grado di dire se in futuro questo virus si modificherà e diventerà pericoloso. Il suo comportamento, come quello di tutti i virus, è assolutamente imprevedibile.
La bassa mortalità, ossia quanti morti rispetto ai casi, riscontrata finora nei paesi dove l’A/H1N1 è già circolato ampiamente (dello 0,3% in Europa e 0,4% negli USA), potrebbe essere in realtà ancora inferiore perché facilmente diversi casi con sintomi lievi sfuggono alla sorveglianza e alcuni decessi possono essere dovuti ad altre cause presenti e non al solo virus.

I sintomi della nuova influenza sono assai generici (febbre, tosse, raffreddore, dolori muscolari, malessere, vomito o diarrea) e, come quelli dell’influenza stagionale, possono essere causati da molti altri virus o batteri. Questo è uno dei motivi per cui il fenomeno “influenzale” nel suo complesso, viene generalmente sovrastimato.

I vaccini contro il nuovo virus A/H1N1 sono ancora in fase di sperimentazione. Nessuno è in grado oggi di sapere se e quanto saranno efficaci e sicuri. Ma per diventare aggressivo il virus dovrebbe cambiare (per mutazione? riassortimento con altri virus?), quindi i vaccini mirati al virus attuale, potrebbero non essere utili. Sulla sicurezza sia l’Organizzazione mondiale della sanità (OMS) che l’Agenzia del farmaco europea (EMEA), fanno presente la necessità di un’attenta sorveglianza postmarketing per rilevare eventuali effetti collaterali che potrebbero manifestarsi con l’uso su grandi numeri, anche perché alcuni vaccini sono allestiti con tecnologie nuove. Abbiamo già visto durante la pandemia del 1976, diversi casi di Guillain-Barré (una neuropatia periferica) associati alla vaccinazione di milioni di americani contro un virus anch’esso di derivazione suina. Chi decide di vaccinarsi, dovrebbe firmare un “consenso informato” che illustri con precisione benefici e rischi.

Quanto al vaccino contro l’influenza stagionale, recenti studi confermano i dubbi sulla sua efficacia sia nei bambini che negli anziani. E sotto i 2 anni di età, è risultato del tutto inefficace. Non si vedono quindi motivi per offrire la vaccinazione stagionale ai bambini sani, per la quale oltre a tutto, ci dice il Center for Disease Control europeo (ECDC), per prendere decisioni servono informazioni basilari come l’impatto della vera influenza (numero di casi, ricoveri e complicazioni) nelle varie età dell’infanzia. Informazioni che non abbiamo.

Riguardo agli antivirali a cui il nuovo virus è risultato sensibile in laboratorio - Oseltamivir (Tamiflu) e allo Zanamivir (Relenza) - non sappiamo quanto siano efficaci “in vivo”. Per ora non abbiamo studi al riguardo. Si sa però che entrambi sono poco efficaci verso l’influenza stagionale e sono già state segnalate resistenze del nuovo virus all’Oseltamivir, in alcuni paesi (Danimarca, Giappone, Cina, USA). Inoltre non va dimenticato che gli antivirali possono dare a volte effetti collaterali importanti. Il 18% dei bambini in età scolare del Regno Unito a cui è stato somministrato l’Oseltamivir in occasione dell’epidemia di A/H1N1, ha presentato sintomi neuropsichiatrici e il 40% sintomi gastroenterici. Gli antivirali vanno quindi usati solo su indicazione medica e solo per casi gravi o persone in cattive condizioni di salute.
Sull’uso dei vaccini e degli antivirali, c’è chi come Ernesto Burgio (direttore scientifico di ISDE, Medici per l’ambiente) esprime un’ulteriore perplessità: entrambi potrebbero favorire la mutazione del virus verso ceppi più aggressivi.

Cosa fare?
Andrà innanzi tutto mantenuta calma e lucidità, di fronte alle notizie allarmanti diffuse quotidianamente dai mezzi di comunicazione. Se i casi di influenza saranno più numerosi del solito o il virus dovesse diventare aggressivo, sarà importante permettere ai medici e alle strutture sanitarie di dedicarsi ai pazienti più gravi.
La chiusura delle scuole – con tutte le sue ricadute sociali - potrebbe essere presa in considerazione solo se in futuro dovesse circolare un virus altamente aggressivo (non l’attuale A/H1N1). In tal caso andrebbero chiusi anche tutti i luoghi di ritrovo come i cinema, le discoteche, ecc.

Potremo invece mettere in atto da subito le uniche misure che si sono dimostrate efficaci nell’impedire la diffusione di tutti i virus respiratori (come l’H1N1 anche se dovesse cambiare):
- lavarsi le mani spesso e accuratamente, con acqua e sapone
- ripararsi la bocca e il naso quando si tossisce o si starnutisce (e dopo lavarsi le mani)
- evitare di toccarsi occhi, naso e bocca, facili vie di entrata dei virus
- stare a casa quando si hanno sintomi di influenza
- evitare i luoghi affollati quando i casi di malattia sono molto numerosi

L’uso della mascherina è risultato efficace negli ambienti di assistenza sanitaria, mentre per altre circostanze l’efficacia non è stata stabilita.

Luisella Grandori
Responsabile Gruppo vaccinazioni ACP

Michele Gangemi
Presidente ACP

da Indymedia

Il Giudice Imposimato: 'Aldo Moro doveva morire perche' scomodo per troppe persone e troppe fazioni'


Bugie, depistaggi, omissioni nell'Italia di 30 anni fa: un magistrato ed un giornalista hanno deciso di tornare sul caso Moro, puntando l'attenzione su quei 55 giorni che vanno dalla strage di via Fani alla morte del presidente democristiano.

Il magistrato è Ferdinando Imposimato, che ieri a Pietracatella, in un incontro organizzato dalla Pro loco Pieramurata con la collaborazione del consiglio comunale del paese, ha tracciato il quadro storico-politico dell'Italia della fine degli anni '70.
Imposimato, assieme al giornalista Sandro Provvisionato, ha esposto in un libro la sua tesi sul rapimento e sull'uccisione del Presidente della Dc. Una tesi che è chiara fin dal titolo del libro: «Doveva morire. Chi ha ucciso Aldo Moro: il giudice racconta». Quel «doveva morire» serve a sottolineare che troppe persone e troppe fazioni hanno voluto la morte di un uomo considerato scomodo. «Il sequestro Moro, partito come azione brigatista alla quale non è estraneo l'appoggio della Raf e l'interessamento, per motivi opposti, di Cia e Kgb, è stato gestito direttamente dal Comitato di crisi costituito presso il Viminale. Il delitto Moro non ha avuto una sola causa», ha detto nel corso del convegno il giudice Imposimato riprendendo quanto si può leggere nel libro. L'omicidio Moro avrebbe dunque rappresentato il punto di convergenza di interessi di varia natura. Ha spiegato infatti il giudice conosciuto per la sua azione contro il terrorismo e la criminalità organizzata: «In questa operazione sono intervenuti la massoneria internazionale, agenti della Cia, del Kgb, la mafia ed esponenti del governo, gli stessi inseriti nel comitato di crisi. Tutti questi dopo il 16 marzo hanno vanificato le opportunità emerse per salvare la vita di Moro, spingendo di fatto le Br ad ucciderlo». L'assunto che fa venire i brividi è che «in sette occasioni Moro poteva essere salvato», ma nelle stanze del potere qualcuno tramò invece perché venisse ucciso. Ordini di cattura bloccati, i collegamenti provati con la RAF, il ruolo di Cossiga, i verbali del Comitato di crisi nascosti per lungo tempo. Trent'anni dopo, uno dei magistrati più impegnati a risolvere il caso, ripercorre i meandri dell'inchiesta che lui stesso cominciò nove giorni dopo la morte dello statista ed offre testimonianze e rivelazioni decisive. «Se ad assassinare il presidente furono le Br, i mandanti vanno cercati altrove»: Imposimato intende parlare di chi c'era, di chi sapeva. Ne esce il resoconto di un'Italia e di un contesto internazionale in cui la lotta per il potere non ha lasciato ben pochi completamente «candidi».

da Indymedia

SENEGAL - COOPERATIVA FEMMINILE CONTRO LE ALLUVIONI

“Anche quest’anno, come tutti gli anni in questo periodo, ci troviamo sotto l’acqua. Le nostre case sono inondate e i nostri bambini giocano e vivono nel fango. Tutto questo deve finire, mi sono detta un giorno di cinque anni fa”: è iniziata così l’avventura di Mae Omar, ideatrice e presidente della cooperativa di donne di Guinaw-Rail, circa 20 chilometri a sud della capitale, della quale fanno parte ormai 800 socie. “Quello che facciamo è aiutarci l’una con l’altra per comprare terreni lontano dalla periferia della capitale, dove il terreno è friabile e argilloso” racconta la responsabile alla MISNA, precisando che “l’idea si basa sul fatto che nessuna di noi ha la possibilità da sola, di richiedere un mutuo alla banca: gli interessi sono alti e le garanzie impossibili da soddisfare. Allora creiamo gruppi di 10 o 15 persone che ogni mese depositano quello che possono e, quando la cifra raggiunge una certa consistenza, la depositiamo in banca e apriamo le pratiche per il prestito”. Quello che ogni socia deposita viene meticolosamente appuntato su un registro, con la data e la cifra che la persona si impegna a versare mensilmente. “Con questo sistema abbiamo già comprato terreni per 96 membri, a circa una ventina di chilometri da qui, a Kounoun” prosegue la Omar, “e speriamo di poter ottenere presto i documenti che certificano l’acquisizione e ci consentiranno di costruire le nostre case”. Quest’anno le alluvioni in Africa occidentale hanno già causato diverse vittime e migliaia di sfollati tra Mali, Niger, Togo, e Burkina Faso, mentre intense precipitazioni hanno investito varie regioni del Senegal. “Purtroppo le periferie delle grandi città come Dakar spesso sorgono in modo disordinato, abusivo – afferma la presidente – e in caso di emergenze, la situazione peggiora causando danni all’intera popolazione”. Lo scorso anno, a Guinaw-Rail diverse centinaia di persone sono state costrette a lasciare le loro case e trovare riparo in edifici scolastici o altre strutture messe a disposizione per l’emergenza. “Ormai siamo esperte, sappiamo quando le piogge arriveranno e i danni che causeranno. Ma per tutelarci e venire fuori dalla miseria in cui si vive a Guinaw-Rail dobbiamo trovare un altro posto dove costruirci una casa e un futuro” dice ancora Omar “o creare le condizioni perché lo facciano, un giorno, i nostri figli”.

da Misna

BLOB A VENEZIA