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mercoledì 26 agosto 2009

Il Nardò chiamato al primo esame casalingo

Dopo aver conquistato il primo trofeo "Tony Cavallo", in un triangolare a Mesagne ricco di goal e sicuramente all'insegna del divertimento e dello sport, i granata di Mister Longo DOMENICA 30 AGOSTO h. 20.30 Stadio "Giovanni Paolo II" - Nardò - nella loro prima uscita ufficiale sono chiamati a confermare le grandi aspettative che quest'anno circondano questa città. L'incontro di Coppa Italia Eccellenza vedrà opposte ASD Nardò Calcio e Copertino Calcio

VS

Puglia, Latorre: "Il Pdl ha un piano per sabotare l´intesa con l´Udc"

Il senatore: "Vogliono impedire il laboratorio Puglia"
di Paolo Russo

Un piano per sabotare l´intesa tra Pd e Udc in Puglia. Una strategia per impedire "il laboratorio Puglia che il centrodestra non vuole": è quanto denuncia il vicecapogruppo del Pd al Senato, Nicola Latorre che anche ieri è tornato sulla candidatura alla presidenza della Regione nel 2010.
"È evidente - afferma - che il Pd non può che ripartire da Vendola, dal presidente in carica, nell´ambito di una discussione che stiamo portando avanti con i nostri attuali alleati al governo regionale e anche con coloro che vorremmo al nostro fianco. Ed è evidente che innanzi tutto con Vendola dobbiamo discutere della candidatura alla presidenza. E´ un fatto naturale in politica che il dibattito riparta dall´uscente". Prosegue Latorre: «Alcuni esponenti del centrodestra vogliono impedirci con ogni mezzo di replicare per la Regione il laboratorio che abbiamo inaugurato con la vittoria di Brindisi». Parole che rendono l´idea di quanto si stia facendo incandescente il braccio di ferro tra Pd e Pdl.

Il cerino è stato nuovamente acceso ieri dopo le polemiche scoppiate in seguito a un´intervista rilasciata da Latorre al quotidiano Libero, secondo la cui titolazione "Il Pd ha deciso: candidiamo Vendola». Una notizia che ieri ha messo in allarme i vertici nazionali dell´Udc che, proprio con D´Alema, stanno trattando la possibile alleanza per le prossime regionali. I centristi non hanno mai nascosto la loro indisponibilità a sedere in un governo retto dall´attuale governatore pugliese. Per questo, il virgolettato del numero due del Pd al Senato ha fatto trasalire gli uomini del suo partito e quelli dell´Udc che, proprio in queste ore, hanno intensificato i contatti per trovare un´intesa sulla Puglia.

«Quell´intervista - ha dichiarato ieri Latorre - è stata scritta in maniera improvvida. Sembra sia stata costruita ad arte, con uno scopo ben preciso: sabotare la nostra trattativa con l´Udc». Il luogotenente dalemiano, il cui telefonino ieri non ha mai smesso di squillare, ha fornito indizi molto dettagliati per motivare il suo sospetto.


«La giornalista che mi ha intervistato - ha spiegato ieri - ha trasformato una mia frase in una decisione del Pd: è ovvio che ripartiamo da Vendola ed è vero che l´ho detto e lo ripeto, ma non è vero che il Pd ha deciso. Tutto qui. Ho fondati motivi per credere che l´intervista volesse creare delle tensioni tra noi e l´Udc e permettere al Pdl di insinuarsi in questo rapporto».

E poi ancora: «La mia idea su Vendola e sull´Udc, al contrario di quello che si può evincere dall´intervista non è cambiata. Il Pd ricomincia da Vendola. Ma siamo dell´idea che il nome del futuro candidato debba essere concordato anche con tutti gli altri partiti che decideranno di coalizzarsi con noi». Latorre racconta di aver avuto conferma di questa macchinazione ai danni del Pd "dalla inusuale tempestività con la quale Quagliariello è intervenuto". Stesso schema replicato, in rapida sequenza anche da Gasparri, Vitali e Urso. Tutti hanno rivolto inviti espliciti all´Udc.

Ma ieri sulla possibile alleanza del centrosinistra con l´unione di centro è arrivato il veto dell´Italia dei Valori: «Noi dell´Idv vogliamo costruire un centrosinistra diverso e aperto alla società civile - ha dichiarato il coordinatore regionale, Pierfelice Zazzera - ma abbiamo davvero difficoltà a credere che questa politica di rinnovamento si possa fare con l´Udc di Cuffaro, Cesa e Sanza. Il Pd ora non può più barare».

Trovato il quarto scheletro nella grotta degli orrori

Un altro macabro rinvenimento nella grotta di Zazzano, nelle campagne di San Marco in Lamis, considerato ormai il cimitero delle vittime della lupara bianca. Ieri gli speleologi e i carabinieri hanno scoperto all´interno della grotta, a circa 104 metri di profondità, il quarto scheletro dall´inizio di agosto. Secondo quanto accertato dalle prime indagini il cranio era avvolto in una busta di plastica e sulla parte sinistra della regione occipitale vi erano due fori, molto probabilmente causati da un´arma da fuoco: una vera e propria esecuzione mafiosa. Poco distante sono stati recuperati anche un paio di scarpe e brandelli di vestiti, che potrebbero essere utili per riuscire ad identificare le generalità della vittima. Lo scheletro, completo fuorché per una parte della mandibola, saranno portati in superficie oggi perché gli speleologi intendono recuperare i resti con una barella, per evitare che possa danneggiarsi durante le operazioni.

Nella grotta degli orrori rinvenuto un altro cadavere, ha due fori sul cranio

FOGGIA - Un altro cadavere, questa volta quasi completo, e' stato ritrovato oggi, poco dopo mezzogiorno, a 104 metri di profondita' dagli speleologi nella grava 'Zazzano', in localita' San Marco in Lamis, in provincia di Foggia. Potrebbe trattarsi del terzo o quarto corpo ritrovato. Lo stabiliranno gli esami di laboratorio e del Dna che dovranno attribuire i vari resti scoperti nella grotta dal 4 agosto scorso. Il cadavere ritrovato oggi comprende le costole, la colonna vertebrale, le ossa degli arti superiori e inferiori e il cranio, conservato in una busta di plastica, tranne la mandibola.

Poco lontano venerdi' pomeriggio fu ritrovata proprio una mandibola e una vertebra che a questo punto quasi sicuramente sono da ricondurre al cadavere trovato oggi. Di quest'ultimo non c'e' una possibile data, ne e' stato stabilito il sesso. Gli speleologi lo hanno trovato sotto il terriccio che negli anni si e' distaccato dalla grotta e vi e' caduto sopra. Scoperti anche brandelli di vestiti e di carne. Sulla parte sinistra del cranio ci sono due fori, il che fa pensare a un caso di lupara bianca come per i ritrovamenti precedenti.

Del resto si ritiene che la grotta degli orrori sia una sorta di cimitero della guerra di mafia che si combatte' nella provincia di Foggia agli inizi degli anni duemila. L'ultimo cadavere e' rimasto giu' perche' il medico legale ha chiesto che venga issato con una barella per non spostare le ossa.

G8 - Strasburgo: «Giuliani fu ucciso per legittima difesa»




Mario Placanica, il carabiniere che nel luglio del 2001 uccise Carlo Giuliani durante il G8 di Genova, «non ha fatto un uso sproporzionato della forza» e per questo non c’è stata alcuna violazione dell’articolo 2 della convenzione europea sui Diritti umani: in pratica, hanno deciso i giudici della Corte Europea dei Diritti dell’uomo, Placanica ha sparato per legittima difesa, perchè aveva «onestamente percepito un pericolo, reale e imminente, per la sua vita e per quella dei suoi colleghi».

La Corte, si legge nella sentenza resa nota oggi, ha dato invece ragione ai familiari di Giuliani, che hanno presentato diversi ricorsi per quanto riguarda l’inchiesta che l’Italia avrebbe dovuto svolgere su quanto possa avere pesato sui fatti di Genova, una «scarsa pianificazione e gestione in materia di ordine pubblica e pubblica sicurezza».La Corte ha osservato che quando uno Stato ospita un evento come il G8, considerato «ad alto livello di rischio», è necessario prendere ogni misura di sicurezza necessaria anche per salvaguardare i diritti di chi protesta e la libertà di espressione: l’Italia, nel pianificare e preparare le misure di pubblica sicurezza, avrebbe «minimizzato» i rischi.

Anche se la Corte non ha riconosciuto alcun legame diretto e immediato tra i «difetti» nella preparazione delle operazioni e la morte di Carlo Giuliani, lo Stato italiano dovrà risarcire con 40.000 euro i familiari del giovane.

Infine, la Corte europea, contrariamente a quanto sostenuto dai familiari di Giuliani, ritiene che il governo italiano abbia cooperato a sufficienza con la Corte stessa, consentendole di condurre un esame «appropriato» del caso e che, quindi, l’Italia non abbia violato l’articolo 38 della convenzione che impone agli Stati contraenti di fornire tutte le informazioni richieste dai giudici di Strasburgo.

Le reazioni
Gasparri: confermati i fatti, rispetto per i vivi e per i morti
«La decisione della Corte europea dei diritti dell’uomo, che ha stabilito che durante gli scontri per il G8 di Genova del 2001 il carabiniere che sparò a Carlo Giuliani agì per legittima difesa, è un’importante conferma della reale dinamica dei fatti». Lo sottolinea il presidente dei senatori del PDL Maurizio Gasparri. «A distanza di oltre otto anni da quei momenti che videro due ragazzi protagonisti di un evento tragico - dice - mi auguro che questa sentenza possa mettere fine a ogni sorta di polemica o strumentalizzazione. L’auspicio è che a questo punto possa prevalere il rispetto, per i morti, per i vivi e per la verità dei fatti».

Il padre di Giuliani: sentenza positiva, ma ricorreremo.
«La sentenza della Corte europea dei diritti umani la possiamo considerare positiva, soprattutto nella parte in cui sostiene che l’inchiesta in Italia avrebbe dovuto valutare aspetti dell’organizzazione e della gestione dell’ordine pubblico e che non è stata adeguata nella misura in cui non ha ricercato quali siano state le persone responsabili di questa situazione. E non è cosa da poco». Ha commentato così Giuliano Giuliani, padre di Carlo, la sentenza della Corte europea dei diritti umani pubblicata stamani. «Noi, comunque, faremo ricorso - prosegue - e impugneremo la sentenza nella parte in cui non vengono messe in luce le violenze che le forze dell’ordine hanno fatto sul corpo di Carlo subito dopo la sua morte, per cercare di fare credere che il colpo fosse stato deviato». «Questa sentenza - conclude Giuliani - esprime davvero quello che abbiamo sempre detto, e cioè che ci fu una volontà politica di creare quel disastro. Del resto anche il tribunale genovese aveva detto nella sentenza ai 25 manifestanti che buona parte della reazione dei manifestanti era stata motivata da un comportamento violento delle forze dell’ordine».

Il carabiniere: finito un incubo
«Ho sofferto per tanto tempo, era ora che si chiudesse questo brutto capitolo della mia vita. Spero solo che non debba più riaprirsi, perché mi ha portato solo sofferenza e sono stato peggio che in carcere». Lo ha detto all’Agenzia italia Mario Placanica, il carabiniere in servizio al G8 di Genova che sparò e uccise Carlo Giuliani a luglio del 2001, dopo la decisione della Corte europea, che ha stabilito che Placanica ha agito per legittima difesa. «Non voglio commentare la decisione della Corte europea - ha aggiunto l’ex militare dell’Arma - ringrazio i carabinieri, che mi sono stati molto vicini e mi hanno sostenuto, il Coisp con il suo segretario generale Maccari, e tutte le forze di polizia italiane». Una posizione, quest’ultima, che corregge le ultime polemiche e iniziative di Placanica che, mai ripresosi da quella vicenda, aveva recentemente evidenziato di essere stato solo. L’avvocato Taormina nei mesi scorsi aveva poi rilanciato la tesi del 4° uomo presente in piazza Alimonda.

Heidi Giuliani: commissione di inchiesta per la verità
«Invece di dire frasi basate sul vuoto, Francesco Storace e Maurizio Gasparri farebbero bene a darsi da fare per una commissione d’inchiesta parlamentare che faccia piena luce sui fatti di Genova». Lo dice all’Agi Haidi Gaggio Giuliani, madre di Carlo, già senatrice per il PRC, commentando le dichiarazioni di Storace e Gasparri. «La verità è che non si è voluta un’inchiesta perché questo avrebbe significato far uscire delle notizie, pubblicare dei verbali, rendere note delle carte che si è preferito tenere nei cassetti. Così - aggiunge Haidi Gaggio Giuliani - sarà più chiaro chi voleva ammazzare chi e chi è stato ammazzato per davvero», riferendosi in particolare alle parole del segretario nazionale de `La Destrà, Francesco Storace, che ha definito «una vergogna intitolare una sala del Senato a chi voleva ammazzare un carabiniere».

da Indymedia

USA: GLI OMISSIS DI CIA E OBAMA, SBIANCHETTATI 3 MORTI

l'erede nero di Bush già ci aveva provato ad assolvere l'operato non esattamente 'pulito' degli uomini della Cia... adesso è scontro Obama-Cia, parrebbe...o forse sarebbe meglio dire...comune imbarazzo?

Washington, 23:06
USA: GLI OMISSIS DI CIA E OBAMA, SBIANCHETTATI 3 MORTI

La tanto ostentata operazione trasparenza cui la Cia e' stata costretta da Barack Obama nasconderebbe invece degli omissis imbarazzanti. Il rapporto del 2004 dell'ispettore generale della Cia, tenuto nascosto dall'amministrazione Bush, nasconderebbe almeno tre casi di detenuti morti mentre erano in custodia degli Stati Uniti e altri di cui non si sa piu' nulla. E' quanto rivela la Abc citando un ex alto funzionario dell'intelligence che ha letto il dossier nella sua versione integrale. Delle 109 pagine del rapporto 36 erano completamente sbianchettate nella versione resa pubblica ieri, mentre altre sono state sostanzialmente censurate per motivi di ''sicurezza nazionale''. Dei 3 detenuti del programma "extraordinary rendition" della Cia, due sarebbero morti in Iraq e il terzo in Afghanistan.
(25 agosto 2009)

BLACK OUT: What We Still Don't Know About CIA Terror Interrogations
Deaths, fate of missing detainees still hidden under heavy redaction.
http://abcnews.go.com/Blotter/story?id=8410340

Extraordinary rendition
http://it.wikipedia.org/wiki/Extraordinary_rendition

da Indymedia

Svastichella ringrazia Fisichella

La gerarchia cattolica è contraria alle leggi per la lotta all'omofobia

Leggiamo dai quotidiani di oggi che l’aggressore dei due ragazzi gay a Roma è soprannominato “Svastichella” per i suoi trascorsi nell’estrema destra e che è noto da anni alle forze dell’ordine per diverse imprese delittuose.

Mentre diversi criminali continuano quasi impunemente ad aggredire ed insultare i cittadini lgbt, monsignor Fisichella, rettore della cappellania della Camera, potente alto prelato, avrebbe nelle settimane scorse convocato i deputati cattolici del PDL più fedeli alla gerarchia, per ribadire il niet del Vaticano sulla legge giacente in Parlamento contro l’omofobia e per bloccare anche qualsiasi ipotesi di discussione sui DiDoRe.

La gerarchia cattolica non è nuova a simili pressioni, ricordiamo che tutte le volte che si è aperta una minima possibilità di confronto sui diritti delle persone lgbt, immediata è stata la reazione da parte di Ruini e compari. Fa certo impressione che la notizia di queste continue ingerenze sia apparsa proprio oggi, forse a dire che tutti gli Svastichella possono contare sul sostegno morale di monsignor Fisichella.

da toscana.indymedia

Rifugiati: Il prefetto prende tempo..


Rinviato il trasferimento/sgombero della palazzina occupata in corso peschiera.

Torino - Questa la notizia di oggi, dopo giorni e giorni di propaganda mediatica sul trasferimento /sgombero senza se e senza ma del ex clinica San Paolo occupata da quasi un anno da circa 350 Rifugiati.

Il prefetto Paolo Padoin ha ritenuto opportuno rinviare e meta' settembre quello che sarebbe dovuto avvenire il 29 agosto, accettando di fatto le richieste di Rifugiati, Comitato di Solidarieta' e associazioni. Rinvio dovuto a problemi tecnici ma che in realtà nosconde prblemi più importanti.

Non a caso questa proroga arriva dopo la tragica morte dei 73 eritrei avvenuta qualche giorno fa nel Mar Mediterraneo, e più in generale sulle politiche dei respingimenti in mare che sicuramente ha influito non poco sulla decisione del prefetto di allungare i tempi nella speranza si attenuino le polemiche sulla tragica notizia.

Questo "accontentino" del prefetto non influisce minimamente sulle richieste presentate dai Rifugiat* sulla gestione di via Asti, in particolare sul regolamento interno, sulle visite e sul presidio militare all'ingresso della caserma.

Su quest'ultima sembra ci siano delle novità e cioè l'utilizzo di volontari dell'associazione alpini all'ingresso della caserma, sempre in linea (e ci mancherebbe che il prefetto non lo fosse..) con le politiche xenofobe del "pacchetto sicurezza".

Anche sul numero di persone da trasferire sembra non esserci più problema; il prefetto fa sapere che troverà, per le persone che rimarranno fuori da via Asti, una soluzione con il sindaco di Settimo utilizzando il centro di prima accoglienza.
"Soluzione" anche questa temporanea decisa senza comunicarla ai Rifugiati i quali dovranno esprimersi in tal senso..

Un passo indietro quindi, di prefetto e comune, sullo sgombero ancora una volta allontanato dalla forte determinazione dei Rifugiati che si preparano ad affrontare questa nuova scadenza.


Comunicato Stampa

rinvio mediatico o incapacita'istituzionale?

Corso Peschiera è occupata da ottobre 2008, e da allora le istituzioni si sono via via alternate sui giornali con proclami, sgomberi e soluzioni provvisorie... ultima notizia lo sgombero ed il parziale trasferimento in via Asti che secondo il sindaco in persona doveva avvenire a fine agosto. Oggi leggiamo dal prefetto che non sarà così, che ci saranno soluzioni per tutti e tutte..... ma il come e il dove e il quando è ancora incerto!

L'atteggiamento di continuo attacco, ritrattazione, rimpalli che sindaco, assessori e prefetto stanno continuando a fare sulla pelle e la vita degli occupant* ci mostra soltanto la loro incapacità di garantire una vita dignitosa a chi ne avrebbe diritto.

Siamo disgustate/i dal continuo balletto di numeri, e dalla girandola di proposte vendute come "soluzioni al problema profughi": i numeri servono per le statistiche e la burocrazia e forse questi sono gli unici interessi reali dell'Assessore Borgione e del suo staff; le "soluzioni" vanno trovate sul terreno dei diritti; "il problema" da risolvere non sono gli uomini e le donne che abitano in corso Peschiera, ma le politiche complessive su immigrazione e accoglienza del nostro Paese che a livello centrale rimane uno dei pochi in Europa sprovvisto di una legge organica sul diritto all'asilo, e che a livello locale mostra tutta l'ipocrisia e l'inefficienza di amministratori buoni solo a scaricare su altri le proprie responsabilità .

Quanto succede a Torino è in continuità con la tragedia avvenuta in questi giorni al largo di Lampedusa e ai respingimenti verso la Libia: i richiedenti asilo affogano in mare o vengono respinti; coloro che sopravvivono e che ottengono lo status di rifugiati/e vengono poi trattati come fastidiosa incombenza, senza alcun rispetto per la convenzione di Ginevra che li equipara ai cittadini e alle cittadine italiane, arrivando a negare loro la residenza e quindi l'accesso a diritti quali il lavoro, la casa, l'assistenza.

Ci viene quindi il sospetto che il rinvio dello sgombero abbia poco a che fare coi reali bisogni degli/delle occupanti di corso Peschiera, ma sia solo un modo per sottrarsi alla polemica di questi giorni sulle modalità italiane di gestire i rifugiati/e, cercando di abbassare i toni ed aspettando un momento più propizio.

La "soluzione via asti", che rimane come unica alternativa, è una sistemazione temporanea e provvisoria, per nulla strutturale, con una proposta di gestione e regolamento che limita fortemente le libertà individuali e rientra in una logica più ampia di criminalizzazione aprioristica dei e delle migrant*.

Non accettiamo questa logica, non vogliamo nella nostra città un laboratorio di repressione che potrebbe poi essere esportato nelle altre città come modello di "accoglienza" e che invece, come il Cie di corso Brunelleschi, sarebbe un altro luogo di negazione di diritti e libertà.

Noi continueremo a supportare le lotte dei rifugiat* che non hanno intenzione di abbassare la testa ma anzi che intendono partecipare attivamente alla vita politica della città con la propria presenza e la propria determinazione e la resistenza a chi continua a trattarli come pacchi postali di cui ancora non conosce la destinazione nascondendone i reali, e tuttora validi, bisogni.

Continueremo a non accettare soluzioni provvisorie, ma a rivendicare diritti per tutti e tutte!

I diritti se non sono per tutti e tutte si chiamano PRIVILEGI!
CASA LAVORO RESIDENZA
DIGNITA' PER I RIFUGIATI E LE RIFUGIATE

comitato di solidarietà con rifugiati e migranti - Torino

da Infoaut

Il muro di gomma

I parenti degli eritrei morti nel Mediterraneo chiedevano da un mese informazioni sui loro congiunti, ignorati da tutti

La prima mail l'ha spedita il 31 luglio scorso. Al Consiglio dei rifugiati di Bonn, in Germania, dove vive da vent'anni. Suo fratello era partito dalla Libia soltanto tre giorni prima, eppure lei già presagiva che quel viaggio avrebbe potuto trasformarsi in tragedia.Da Tripoli le avevano detto tutti di non preoccuparsi, perché dal gommone avevano telefonato col satellitare il 29 luglio, verso le sette di sera, dicendo che vedevano già Malta all'orizzonte. Tuttavia su internet non c'erano notizie di sbarchi. E nemmeno di respingimenti. Lei glielo aveva sempre detto di non partire. Perché 16 anni sono troppo pochi per sfidare la morte attraversando il Mediterraneo. Gli aveva consigliato di chiedere asilo politico in Libia, ma lui si era scoraggiato. Le Nazioni Unite gli avevano dato appuntamento per il 10 gennaio del 2010, ma con le continue retate della polizia, un futuro in Libia era inimmaginabile. Ed era partito senza dirle niente. A Bonn non sapevano niente, così sempre più preoccupata, ha iniziato a contattare chiunque potesse darle informazioni sulla sorte del fratello. Nel giro di due settimane è arrivata fino al ministero dell'Interno maltese, ma senza risultati. La conferma l'ha avuta soltanto sabato. Dopo vari tentativi, è riuscita a parlare al telefono con uno dei cinque superstiti al centro d'accoglienza di Lampedusa, che suo fratello lo conosceva e come. Prima di partire, a Tripoli, vivevano nella stessa casa.

C'era anche lui sul gommone. L'hanno visto spegnersi lentamente, e poi l'hanno abbandonato in mare come tutti gli altri. Il dolore per il lutto, aggravato dal senso dell'ingiustizia, l'ha spinta a consegnarci una copia del fitto scambio di email che ha avuto nelle prime due settimane di agosto con varie associazioni e autorità a Malta e in Germania, che dimostrano come la notizia della presenza di questa imbarcazione alla deriva fosse filtrata attraverso vari canali fin dalla fine di luglio.
I primi contatti furono con gli eritrei a Malta. Sì perché a Malta correva voce che il tre agosto un eritreo avesse ricevuto una richiesta d'aiuto da un parente che viaggiava a bordo del gommone dei 78. Lo aveva chiamato col satellitare prima che le batterie del telefono si scaricassero definitivamente. A far perdere le tracce di questa pista fu il respingimento del 12 agosto. Un gommone con un'ottantina di persone a bordo era stato respinto in Libia dalla Marina italiana. Una donna somala che aveva partorito in mare era però stata trasferita in elicottero all'ospedale Mater Dei di Malta. Il numero di passeggeri, la posizione, la data, tutto faceva presupporre che fosse quello il gommone dove si trovava il fratello della signora. Nel carteggio spuntano una serie di mail scritte a partire dal 14 agosto proprio all'ospedale Mater Dei.

C'è anche una foto in allegato. La signora chiede di mostrarla alla donna ricoverata per chiederle se lo riconosce. La risposta è negativa. Il Consiglio dei rifugiati di Colonia allora scrive direttamente al ministro dell'Interno maltese. Risponde un funzionario dell'ufficio richiedenti asilo, che il 20 agosto alle 6:40 scrive "Come le ho detto al telefono non abbiamo avuto sbarchi tra il 25 luglio e il 12 agosto, pertanto sono sicuro che suo fratello non sia arrivato Malta". Il consiglio è di rivolgersi alla Croce rossa tedesca. Ma la signora lo ha già fatto, il 12 agosto. E l'ufficio per la ricerca delle persone scomparse di Monaco le ha detto che hanno girato la segnalazione a Malta e a Lampedusa senza risultati. Ma ormai è troppo tardi. Il giorno dopo infatti, sui quotidiani tedeschi campeggiano i titoli della strage a Lampedusa.

Prima di riagganciare il telefono, la signora mi chiede notizie sulla sorte delle salme dei naufraghi ripescate nel Canale di Sicilia. Difficilmente si ripescherà il corpo del fratello e difficilmente sarà identificabile. La famiglia tuttavia confida in una busta di plastica chiusa ermeticamente. Dentro c'è un biglietto di carta con su scritto il suo nome. Se lo era messo in tasca prima di partire, dicono gli amici rimasti a Tripoli. Un giorno i pescatori ritroveranno quella busta in mezza al pescato. E scuoteranno la testa pensando a quando il mare non assomigliava tanto alla morte.

di Gabriele Del Grande da PeaceReporter

Missione archeologica del CNR e dell’Università del Salento in Turchia: italiani scoprono statua di Apollo alta 4 metri

Notevole scoperta archeologica italiana a Hierapolis, in Turchia. La Missione archeologica del CNR e dell’Università del Salento ha individuato e portato alla luce una statua marmorea colossale alta più di 4 metri. “Il ritrovamento assume un valore eccezionale”, spiega il CNR, “per la qualità stilistica, per la particolarità dell’immagine di culto e per la rarità di queste opere – meno di una decina – in Asia Minore”. La statua rappresenta con ogni probabilità il dio Apollo seduto in trono e con la cetra nel braccio sinistro: la figura indossa una tunica drappeggiata con un effetto di trasparenza che lascia intravedere la possente muscolatura. (Notizia su Adnkronos)

LEGGI IL COMUNICATO STAMPA DEL CNR

Hierapolis – Missione del Consiglio Nazionale delle Ricerche e dell’Università del Salento – ritrova statua colossale di Apollo

La presenza di una statua marmorea di grandi dimensioni era stata identificata già all’inizio della campagna di scavo del 2009, dalla Missione Archeologica italiana del Consiglio Nazionale delle Ricerche e dell’Università del Salento a Hierapolis in Turchia, verso la fine del luglio scorso.

Ora le lunghe operazioni di scavo sono state completate con il recupero di due grandi blocchi di marmo appartenenti al busto ed alla parte inferiore della figura. I due frammenti permettono di ricostruire una statua colossale in marmo di più di 4 metri di altezza. La figura è seduta su un trono e indossa una tunica mirabilmente drappeggiata con un effetto di trasparenza che lascia intravedere la possente muscolatura.

La statua colossale di Hierapolis rappresenta con grande probabilità Apollo, seduto in trono, che regge con il braccio sinistro la cetra e si può riferire al culto reso al dio nel vicino tempio costruito sotto l’imperatore Tiberio. Il ritrovamento assume un valore eccezionale per la qualità stilistica, per la particolarità dell’immagine di culto e per la rarità di queste opere – meno di una decina – in Asia Minore.

Lo stile dell’opera si ispira ai grandi capolavori dell’età classica ed ai modelli creati da Fidia. La parte posteriore è sommariamente sbozzata perché la statua era concepita per una visione frontale; le braccia, lavorate a parte, erano fissate con una serie di perni. Il lavoro di scavo in quest’area continua e non è escluso che si possa ritrovare la testa, che permetterebbe di completare l’immagine.

Le statue colossali erano diffuse nell’antichità – basti pensare al colosso di Rodi, alle statua di culto crisoelefantine (oro ed avorio) di Atena nel Partenone e di Zeus nel tempio ad Olimpia, al Colosso di Nerone e al celebre ritratto di Costantino nei Musei Capitolini – che però in gran parte sono state distrutte per il reimpiego dei metalli preziosi e del marmo.

Le più famose tra quelle conservate sono state ritrovate nel Santuario di Claros, uno dei più famosi oracoli del mondo antico. Alte più di 7 metri, rappresentano Apollo seduto in trono, affiancato dalla sorella Artemide e dalla madre Latona, mentre una replica della stessa statua di Apollo, alta 3 metri, è stata ritrovata di recente a Sagalassos, non lontano da Antalya.

Tra le statue raffiguranti gli imperatori sono state ritrovate la testa di Domiziano ad Efeso, la testa di imperatrice a Sardi e tre teste degli imperatori Adriano, Antonino Pio e Faustina nelle terme di Sagalassos.

Francesco D’Andria
Direttore dell’Istituto per i beni archeologici e monumentali (Ibam) del Cnr di Lecce