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martedì 17 novembre 2009

LECCE - La Finanza alla Lupiae

Le Fiamme gialle hanno sequestrato faldoni di documenti ed atti amministrativi della Lupiae servizi. Sotto la lente gli anni di gestione Siciliano-De Iaco, coincidenti con il governo cittadino di Poli Bortone

La Guardia di finanza fa visita alla Lupiae servizi e si porta dietro un po' di faldoni. Documenti, atti e libri contabili della società municipalizzata sono finiti sotto la lente delle Fiamme gialle che sono intervenute su mandato della Corte dei Conti che intende fare luce sulla gestione degli anni passati. In particolare, sul periodo in cui amministratore delegato della Lupiae era Gino Siciliano e presidente del Consiglio di amministrazione era Franco De Iaco. Gli anni coincidenti, in pratica, con il governo cittadino di Adriana Poli Bortone.
Da chiarire è se le risorse economiche a disposizione della società siano state spese in maniera oculata e rispondente alle regole o se invece i vertici non abbiano eseguito assunzioni ed affidato consulenze in maniera illegittima.
Secondo il centrodestra leccese, guidato da Paolo Perrone che è socio di maggioranza della Lupiae, non tutto, nella gestione Siciliano-De Iaco sarebbe andato nel verso giusto. Ecco spiegata l'azione di responsabilità di circa 3,5 milioni di euro da parte del primo cittadino, appoggiata anche dall'opposizione. Ed ecco partita, a quel punto, l'attività di verifica della Guardia di finanza.

da IlTaccoD'Italia

SHOCK NEL SALENTO Telefonate tra mandante dell'omicidio Padovano e l'ex sindaco Fasano

GALLIPOLI (LECCE) - Retroscena inquietanti dietro l’omicidio del vecchio capo della Sacra corona, Salvatore Padovano, freddato a colpi di pistola, la mattina del 6 settembre dello scorso anno, da un killer di origine siciliana. Riguardano il progetto di uccidere l’ex sindaco di Gallipoli ed ex patron della Squadra di calcio alla sua prima, storica promozione in serie B, nonché senatore della Repubblica, Vincenzo Barba, oggi onorevole del Pdl, e la moglie dell’ex capo bastone del sodalizio criminale, Anna Raeli.


Ma anche la circostanza emersa dalle intercettazioni telefoniche, secondo la quale, all’indomani del delitto, il consigliere del mandante dell’assassinio sarebbe stato l’av vo c at o Flavio Fasanodel Pd, già sindaco della città dello Jonio. A parlare dei retroscena è lo stesso stesso killer pentito, Carmelo Mendolìa, che con le sue dichiarazioni, ha fatto arrestare tre persone, accusate di essere uno il mandante dell’omicidio di Salvatore Padovano e gli altri i suoi fiancheggiatori. Il primo è Pompeo Rosario Padovano, fratello della vittima, ed i secondi, il cugino Giorgio Pianoforte e l’amico Fabio Della Ducata.

E se per il primo ormai c’è la certezza che si tratti del mandante, perché l’uomo è reo confesso, per gli altri due si tratta di fiancheggiatori ancora soltanto presunti. A sentire lo stesso Mendolìa, che avrebbe dovuto compiere anche gli altri due delitti, proprio Pompeo Rosario Padovano avrebbe ordinato l’eliminazione dell’uomo politico e della moglie di Salvatore Padovano. Il primo perché avrebbe ostacolato la sua scalata politica a Gallipoli, la seconda perché avrebbe allontanato il marito dalla famiglia e quindi anche dal fratello.
Dalle pesanti accuse, attraverso il proprio legale, l’avvocato Luigi Piccinni, Pompeo Rosario Padovano ha preso le distanze, ed ha chiesto pure scusa all’onorevole Barba, per il disagio che le rivelazioni di Mendolìa gli hanno creato.

Quanto all’avvocato Fasano, che di Pompeo Rosario Padovano un tempo è stato il legale di fiducia, si è detto vittima della capacità mimetica del pericoloso criminale. Questi, tornato libero dopo aver trascorso quasi 18 anni di carcere, aveva dato a tutti l’impressione di aver chiuso col passato di malavitoso, al punto da dedicarsi ad attività benefiche, non ultima la creazione di una cooperativa per portatori di handicap. La notizia dell’esistenza delle intercettazioni in cui più volte l’avvocato Fasano parla e dà appunto consigli al mandante dell’omicidio del vecchio boss della Scu, ha determinato l’alzata di scudi all’interno del partito. Ed in una conferenza stampa, il senatore del Pd Alberto Maritati, ha dichiarato: «Non possiamo difendere una persona solo perché ha la tessera del nostro partito».

http://www.lagazzettadelmezzogiorno.it/GdM_dallapuglia_NOTIZIA_01.php?IDNotizia=284982&IDCategoria=11

Maruggio(TA), il sindaco cambia lo Statuto. Basta donne

Il sindaco di Maruggio, in seguito alle decisioni dei giudici che gli hanno imposto di nominare una donna assessore entro il 27 di questo mese, sta persuadendo in queste ore la signorina Chiego di entrare in giunta. Perché allora, se il sindaco si sta adoperando per sbrogliare la matassa, ha convocato il consiglio comunale per mercoledì 18 novembre? Per cambiare l’articolo 53 e dintorni dello statuto comunale. Ricordate l’articolo 53? E’ quello per effetto del quale i giudici hanno emesso la sentenza e ordinato al sindaco la presenza delle donne in giunta. Il sindaco porta in consiglio comunale l’articolo 53 per modificarlo. L’articolo in questione, se sarà modificato, conferirà il potere al sindaco di «tenere conto, per quanto possibile», di nominare una donna assessore. Il sindaco, dunque, potrà e non dovrà più «assicurare» la donna in giunta. Dai prossimi giorni in avanti, quindi, la donna in giunta sarà un forse. Gli uomini resteranno fissi al loro posto in giunta perché numericamente capaci di contarsi e contare, mentre la donna rimarrà in bilico perché sola e non più protetta. La donna per il piacere e non per il dovere di averla in giunta. Alla faccia delle leggi sulle «pari opportunità». Vedremo – in ogni caso – dove e come si muoveranno le due donne consigliere e, soprattutto, come reagiranno le donne della Consulta Femminile le quali, corre voce, non demorderanno. A loro dire c’è ancora qualcuno a cui non è valso lu spramièntu.

Nell’attesa che il consiglio comunale si riunisca per decidere in merito, vogliamo ricordare a chi ci legge che lo statuto comunale di Maruggio, in vigore dal 27 marzo 2003, fu voluto e disposto dal sindaco Vanni Longo per adeguarlo al Testo Unico degli Enti Locali. Il sindaco Longo, dobbiamo riconoscerlo, è stato l’antesignano della presenza delle donne in giunta. Prima dello statuto e dopo. Nel 1998, infatti, e fino al 2002, volle in giunta Anna Molendini. In seguito alle elezioni amministrative del 2002, Quel sindaco dall’apparenza maschilista, malgrado l’assenza di donne in consiglio, proseguì nel volere «assicurare» la presenza delle donne in giunta attraverso lo statuto comunale. Se fosse rimasto in vita, ne siamo certi, non avrebbe esitato un solo attimo a nominarne almeno una e a garantire per il futuro le altre.

Vogliamo ricordare, inoltre, che il famigerato articolo 53 («assicura» per dovere e non per piacere le donne in giunta) fu voluto da Quel sindaco e approvato dagli stessi consiglieri-assessori che oggi lo vogliono cambiare. Perché? Che paradosso: nel 2003, un consiglio tutto al maschile approvava uno statuto per «assicurare» le future donne in giunta, oggi, un consiglio di uomini e donne, si appresta ad approvare uno statuto per donne in giunta a tempo determinato. Che facezia.

Perché spezzare la continuità tra chi (saggio e protettivo, generoso e fedele alla parola data) ha voluto l’articolo 53 (per proteggere le donne dalle insidie) e i consiglieri che ieri lo approvarono e che oggi lo disapprovano? Perché il sindaco di oggi vuole cancellare la sostanza del suo stesso statuto? Perché definire “insensata” una donna (Anna Molendini) che si oppone a tutto questo? Perché il sindaco risponde al vetriolo alle legittime richieste di una donna (Anna Molendini) che rivendica «assicurazioni» per le donne di Maruggio? Perché non risolvere il problema nominando una donna assessore prima di mercoledì prossimo? Anche perché c’è una donna “interna” alla maggioranza, capacissima di fare l’assessore a tempo pieno e fino alla fine del mandato. O forse no?

Consulta Femminile Maruggio
da GrandeSalento.org

L'acqua in mano ai privati. Il decreto alla Camera. Ma la piazza organizza la protesta

Sbarca a Montecitorio la legge sugli obblighi comunitari, che contiene l'articolo 15 sulla privatizzazione della gestione idrica. Il Pdl insiste 'niente stralcio'. L'Idv: ''Norma gravissima'' e il Fime (Forum Italiano dei Movimenti per l'Acqua) ''L'acqua è un diritto umano'' e indice una manifestazione nazionale

Approda oggi alla Camera per la discussione generale il decreto legge sugli obblighi comunitari, che contiene anche l'articolo 15 sulla privatizzazione della gestione dell'acqua (VIDEO). Sulla richiesta di stralcio dell'articolo la maggioranza non intende assolutamente fare marcia indietro. Chi sperava che il sit in dei giorni scorsi davanti Montecitorio faccese cambiare idea all'esecutivo si sbagliava e lo stesso vale per il continuo tam tam che prosegue su facebook: la maggioranza ribadira' un secco 'no' allo stralcio anche in Aula.
"Abbiamo detto no in commissione e lo ribadiremo in Assemblea - scandisce all'ADNKRONOS la relatrice del provvedimento Anna Maria Bernini (Pdl) - In primis, perché nell'articolo in questione è contenuta una riforma dei servizi pubblici locali che riteniamo un modello molto soddisfacente di adeguamento alla normativa europea. In secondo luogo perché l'articolo 15 è il frutto della mediazione già realizzata al Senato in prima lettura".

L'Italia dei Valori intanto si prepara a denunciare "la gravità della norma sul servizio idrico". "Spiegheremo - annuncia Domenico Scilipoti - quali effetti comporterà la privatizzazione definitiva dell'acqua, perché - rimarca - è di questo, nei fatti, che si tratta". Ma per il parlamentare dell'Idv non è solo sbagliato il modo in cui l'articolo 15 disciplina il settore dell'acqua, ma anche il fatto che il governo abbia scelto di intervenire senza tenere "minimamente in considerazione che esiste una proposta di legge di inizitiva popolare firmata da ben 500mila cittadini e che chiede la ripublicizzazione del servizio idrico. Sarebbe stato giusto portarne avanti l'iter". Spero comunque che governo e maggioranza riflettano e stralcino l'articolo 15 in Aula perché l'acqua "non può essere trattata come una merce. Senza - scandisce - non si vive".

La battaglia, però, non finirà all'indomani dell'approvazione del decreto perché la società civile si sta già 'tirando su le maniche' per obbligare il governo a non lasciare l'acqua ai privati. A mettere in piedi i tasselli della lotta a difesa di questa preziosa risorsa, c'è, in particolare, il Forum Italiano dei Movimenti per l'Acqua, nato nel 2005 dalla decisione assunta da diverse realtà sociali di ritrovarsi per rendere più incisive le lotte in difesa dell'acqua facendola diventare una vertenza nazionale.

E' il segretario del Forum, Paolo Carsetti, a tessere il mosaico che punta a smontare l'impalcatura che, dalla legge Galli in avanti, sta convertendo l'acqua in una merce con tutte le coseguenze del caso. "Stiamo raccogliendo in tutta Italia e con successo - fa sapere all'ADNKRONOS - le firme affiché venga presentata presso ogni comune una delibera di iniziativa popolare in cui si afferma che l'acqua è un diritto umano e, di conseguenza, il servizio idrico non e' un servizio pubblico di rilevanza economica. Fatto da cui discende che la competenza sull'acqua è solo ed esclusivamente degli enti locali. Presentata la delibera - spiega Carsetti - il consiglio comunale e' tenuto a discuterne e, se approvata, obbliga alla scrittura di una norma che, in sostanza, affida l'acqua all'ente locale che la gestisce non in forma di Spa ma di ente di diritto pubblico, quindi senza dover soggiacere alla 'legge degli utili'".

http://www.acquabenecomune.org/
da Indymedia

FAUSTO AMODEI - SE NON LI CONOSCETE..........



Se non li conoscete
La canzone politica degli anni '70 (1970-1980)


Se non li conoscete guardateli un minuto
Li riconoscerete dal tipo di saluto.
Lo si esegue a braccio teso mano aperta e dita dritte
Stando a quello che si è appreso dalle regole
[prescritte.
È un saluto singolare fatto con la mano destra
Come in scuola elementare si usa far con la maestra
Per avere il suo permesso ad assentarsi e andare al
[cesso.

Ora li riconoscete senza dubbio a prima vista
Solamente chi è fascista
fa questo saluto qui.

Se non li conoscete è norma elementare
Guardare la maniera con cui sanno marciare
Le ginocchia non piegate vanno al passo tutti quanti
Chi sta dietro dà pedate nel sedere a chi sta avantij
Chi le piglia senza darle è chi marcia in prima fila
Chi le dà senza pigliarle siano in dieci o in
[diecimila
È chi un po' meno babbeo sta alla coda del corteo.

Ora li riconoscete senza dubbio a prima vista
Solamente chi è fascista
marcia in questo modo qui.

Se non li conoscete guardategli un po' addosso
L'organica allergia che c'hanno per il rosso
Non gli riesce di vedere senza scatti di furore
Fazzoletti o bandiere che sian di questo colore
Forse tu li paragoni a dei tori alle corride
Ma son privi di coglioni e il confronto non coincide
Si è saputo da un'inchiesta che li tengon nella testa.

Ora li riconoscete come se li aveste visti
Solamente dei fascisti
sembran tori ma son buoi.

Se non li conoscete guardate quanto vale
Quel loro movimento che chiamano sociale
Movimento di milioni ma milioni di denari
Dalle tasche dei padroni alle tasche dei sicari
Già eran chiare ad Arcinazzo le sue vere attribuzioni
Movimento ma del cazzo come le masturbazioni
Fatte a tecnica manuale con la destra nazionale.

Li riconoscete adesso che sapete chi li acquista
Solamente chi è fascista
sa far bene da lacchè.

Se non li conoscete guardate il capobanda
È un boia o un assassino colui che li comanda
Sull'orbace s'è indossato la camicia e la cravatta
Perché resti mascherato tutto il sangue che lo
[imbratta
Ha comprato un tricolore e ogni volta lo sbandiera
Che si sente un po' l'odore della sua camicia nera
Punta a far l'uomo da bene fino a quando gli conviene.

Ora lo riconoscete Almirante è sempre quello
Con il mitra e il manganello
ben nascosti nel gilet.

Se non li conoscete pensate alla lontana
Ai fatti di Milano e di Piazza Fontana
Una volta andavan solo con 2 bombe e in bocca un fiore
Mentre adesso col tritolo fan la fiamma tricolore
E ora rieccoli daccapo contro la democrazia
Con un dì con la Gestapo ora invece con la CIA
Concimati dalle feci di quei colonnelli greci.

Ora li riconoscete sti fascisti ste carogne
Se ne tornino alle fogne
con gli amici che han laggiù.

Crocifisso in aula, blitz neofascista nella sede del Partito radicale

Questo articolo risale al 12 novembre 2009.
Ecco i bravi ragazzi della destra nazionale italiana.

Lanciati volantini offensivi e inchiodati pezzi di legno a forma di croce
Le vittime: "Cultura violenta, impregnata dell'illiberalità del dogma"
Crocifisso in aula, blitz neofascista nella sede del Partito radicale

ROMA - Alcuni militanti di Lotta Studentesca, movimento giovanile vicino al gruppo neofascista Forza Nuova, hanno fatto irruzione nella sede romana dei Radicali, lanciando volantini e affiggendo crocifissi. La notizia è stata diffusa dall'ufficio stampa dei Radicali. Il senatore radicale Marco Perduca ha denunciato il blitz in aula al Senato.
Secondo le prime ricostruzioni, i militanti di Lotta studentesca hanno fatto esplodere una bomba carta davanti all'ingresso della sede in via di Torre Argentina, per poi entrare nel palazzo e gettare per le scale diversi volantini offensivi nei confronti dei radicali. Tre, in totale, i crocifissi che sono stati introdotti nell'edificio. Il primo sul portone, al terzo piano, dove sono stati "inchiodati" due pezzi di legno a forma di croce. L'altro, simile, è stato appeso su un muro vicino alla porta. Il terzo, infine, è stato abbandonato per le scale.

Il blitz, avvenuto verso le 10:30 del mattino, è stato rivendicato dall'organizzazione neofascista, che ha annunciato di voler dare battaglia "per riportare i crocifissi nel nostro Paese, non solo nelle scuole ma anche negli edifici pubblici". "Si è trattato di un'azione pacifica - ha dichiarato il portavoce romano del gruppo, Roberto Benignetti - finalizzata alla critica della visione di un'Europa priva di quei valori che l'hanno costruita nei secoli: cristianità, nazione, popolo". I radicali, ha proseguito, "sono tra coloro che vorrebbero distruggere questi principi e svuotare l'Europa sia spiritualmente che moralmente. La sentenza sui crocifissi della corte di Strasburgo è un esempio di disgregazione dell'identità comune ai popoli europei". Ancora più estremista il coordinatore nazionale del movimento, Gabor De Arcangelis: "Non permetteremo a nessuno di imporre dogmi ultra-laicisti in Italia. Chi tenterà di rimuovere il crocifisso si troverà di fronte un muro umano guidato da Lotta studentesca".

Parole di rammarico sono arrivate da Demetrio Bacaro, segretario dell'Associazione Radicali Roma. "Credo che accusare proprio i radicali di voler imporre alcunché la dica lunga sull'ignoranza storico-politica di questi signori", ha commentato in una nota. "La loro è una cultura violenta, impregnata dell'illiberalità del dogma", ha aggiunto Bacaro: "Vedremo come si porrà politicamente l'amministrazione capitolina nei confronti di questi gesti, che sono certamente dimostrativi, ma violenti nella genesi dell'azione".
(12 novembre 2009)

http://www.repubblica.it/2009/11/sezioni/scuola_e_universita/servizi/crocefissi-aule/crocefissi-lotta-studentesca/crocefissi-lotta-studentesca.html

da Antifa

La leggenda di "O'Mericano"


di Teo Lepore*
Tutti conoscono il nome d' “o' mericano”, in provincia di Caserta. Il suo è uno di quei nomi che non si pronunciano così per strada. Nicola Cosentino politico di Casal di Principe è conosciuto in ogni angolo di Terra di Lavoro, dai monti del Matese al litorale Domitio, da Sessa Aurunca a Maddaloni, passando per l'Agro Caleno. E si, l'Agro Caleno, un territorio formato da tanti piccoli paesi confinanti gli uni con gli altri: Sparanise, Calvi Risorta, Vitulazio, Pignataro Maggore, comune dove alle provinciali del 2005 Cosentino ottenne un numero di consensi in proporzione addirittura maggiore rispetto a quelli presi a Casal di Principe, suo paese natale.Ma procediamo per gradi. Oggi Nicola Cosentino è Sottosegretario di Stato

all'Economia e alle Finanze nel Governo Berlusconi, una carica istituzionale

importante che giunge dopo una brillante carriera politica iniziata, da giovanissimo, alla fine degli anni settanta. Dapprima diventa consigliere comunale in quella Casal di Principe che Roberto Saviano ha portato all'attenzione dell'opinione pubblica mondiale con il suo best seller “Gomorra”, poi passa alla provincia come consigliere e, dall'83 all'85, all'età di soli 24 anni, è Assessore provinciale con delega ai servizi sociali. Sempre nell'85, alla nuova tornata elettorale, Cosentino viene nominato Assessore alla Pubblica Istruzione e, non c'è due senza tre, nel 1990 ricopre la carica di Assessore provinciale all'Agricoltura.

Secondo i magistrati che in questi giorni hanno richiesto misure cautelari nei suoi confronti, è a partire dagli anni '90 che Cosentino si avvale di consolidati rapporti con il clan dei casalesi per ricevere un consistente ritorno elettorale. Nel 1995 riportando il 31,50% dei voti di preferenza espressi nella sola Provincia di Caserta, viene eletto Consigliere Regionale della Campania e, l'anno dopo, finalmente, approda in Parlamento con i favolosi 35.560 voti riportati nel collegio Capua-Piedimonte Matese. Da allora è un susseguirsi di successi, è membro della Commissione Parlamentare per le questioni regionali e della Commissione Difesa ma, dalla fine degli anni novanta in poi, il suo impegno è per il partito a cui appartiene, Forza Italia, di cui diventa coordinatore per la Provincia di Caserta e, dopo aver ricevuto divina investitura direttamente dalle mani di Silvio Berlusconi, assume la carica di coordinatore Regionale nel giugno del 2005. Sotto la sua guida, Forza Italia fa un balzo di ben 16 punti percentuali: dall’11% dei consensi registrati nelle elezioni regionali dell’aprile 2005 al 27% delle politiche di appena un anno dopo.
E diviene il primo partito della Campania.

Cosentino tesse, grazie agli incarichi ricevuti in questi anni, una fitta rete relazionale con politici, consiglieri, sindaci e amministratori di comuni grandi e piccoli, divenendo un vero e proprio Deus ex Machina della politica che conta, sia nel suo territorio d'origine e vero e proprio feudo, la provincia di Caserta, sia nel resto del territorio campano. Si dice che nulla si muova, soprattutto nel settore dei rifiuti, che non passi per la sua approvazione. Ma non è solo con la politica e con i suoi rappresentanti che Cosentino esprime le sue doti di politico navigato, conosce l'importanza dell'immagine e della comunicazione ed in molti raccontano di quelle sue frequenti visite alla redazione di un noto quotidiano casertano, accompagnato dal suo fedele ed immancabile autista “don Peppe”.

Tuttavia sono i rifiuti, a giudicare da quanto emerge dalle inchieste giudiziarie e dalle proverbiali malelingue dei casertani che “dal basso” hanno già emesso la propria personale sentenza, ad interessare l'attività dell'imprenditore casalese. La munnezza, nelle parole di molti pentiti, è oro. È oro perché smaltirla illegalmente rende enormi profitti, è oro perché i consorzi hanno a che fare con tutti i comuni, con le istituzioni e sono capaci di determinare equilibri importanti spostando rilevanti somme di denaro, è oro perché attraverso la gestione dei posti di lavoro legati alla filiera dello smaltimento, legale ed illegale, si ha la possibilità di tessere una solida e pervasiva rete clientelare. Soldi, voti e potere.

Un mix del genere mal si concilia con la litania della lotta tra Stato e Anti-Stato che si fronteggiano in una battaglia senza quartiere per la legalità. E lo sanno bene quanti, in provincia di Caserta ma non solo, hanno subìto la dura repressione poliziesca per aver osato opporsi ai progetti criminali generati da questo diabolico intreccio di potere. Lo sanno bene, ad esempio, gli abitanti di Santa Maria La Fossa, che hanno lottato contro l'ennesimo inceneritore made in Campania e targato FIBE, necessario a risolvere il problema rifiuti secondo Commissari Straordinari, Prefetti e Questori ed ora al centro delle dichiarazioni di Gaetano Vassallo. Secondo il pentito che, insieme ad altri cinque, è bene ricordarlo, tira in ballo il sottosegretario Cosentino l’”individuazione dei terreni [avvenne] da parte della criminalità organizzata, [...]

vi fu una forte pressione da parte di Michele e Sergio Orsi, insieme all’onorevole Cosentino e all’onorevole Landolfi (al tempo in cui Landolfi era alla commissione vigilanza RAI) e al sindaco di Santa Maria La Fossa, affinché si costruisse il termovalorizzatore dopo che era fallito il progetto di realizzare una discarica nello stesso posto. Era il periodo subito prima che fosse nominato Catenacci Commissario Straordinario per l’Emergenza Rifiuti in Campania[...]”. E pensare che Cosentino, l'onorevole Coronella ed il Sindaco di Santa Maria La Fossa, Abbate, andavano pure ai cortei contro l'eco-mostro, ma questa è un altra storia.

Michele e Sergio Orsi, entrambi DS, sono gli imprenditori che gestivano l'ECO4.

Quest'ultimo è stato per anni il braccio operativo per la raccolta e lo smaltimento dei rifiuti del consorzio Ce4, consorzio che raggruppa 18 comuni dell'area casertana.

L'Eco4 è stato oggetto di diverse inchieste che hanno coinvolto boss della camorra, politici (anche di rilievo nazionale, come il mondragonese onorevole Mario Landolfi di AN), imprenditori ed anche uno dei tanti sub commissari all'emergenza rifiuti che si sono susseguiti nel tempo, Claudio de Biasio. Nel 2006 i fratelli Orsi finiscono in manette, accusati di essere il tramite tra la camorra e la politica casertana. Uno dei due, Michele, decide di collaborare con i magistrati. Lo fa cominciando a parlare di un vero e proprio sistema clientelare basato su assunzioni chieste da politici e personalità di vario genere, tra cui spunta anche il Cardinale Sepe, oltre che di irregolarità nel sistema di smaltimento. Michele fa nomi illustri e il 1 giugno 2007, mentre si reca al bar per comprare delle bibite, un commando lo trivella di colpi in una piazza di Casal di Principe. Lo Stato non aveva ritenuto opportuno affidargli una scorta. Al funerale non c'erano rappresentanti istituzionali, a trasportare il feretro un carro funebre di un'azienda sottoposta a sequestro (poi dissequestrata) in un'inchiesta

della Dda sul boss Francesco Bidognetti, «Cicciotto 'e mezzanotte», ras di Casale di Principe ora in carcere. Anche quando muori, in Terra di Lavoro, paghi la tangente.

Secondo il pentito Vassallo in realtà dietro il consorzio ECO4 ci sarebbe l'on.

Cosentino: “quella società song’ io”, avrebbe affermato in uno dei tanti incontri tra i due. Ormai noto è l'episodio della busta gialla, busta contenente la tangente da 50mila euro che i fratelli Orsi, mensilmente, avrebbero dovuto versare al clan Bidognetti.

Sempre secondo Vassallo, la tangente veniva consegnata direttamente nelle mani dell'onorevole di Casal di Principe, a casa sua.

Gaetano Vassallo, tesserato di Forza Italia, socio dell'Eco4 e referente, per sua stessa ammissione, del clan Bidognetti all'interno di tale struttura, è l'uomo che per vent'anni ha inondato la Campania di rifiuti di ogni genere. È uno di quei personaggi che ha permesso a decine, centinaia di aziende di tutta Italia di tagliare i costi per lo smaltimento dei rifiuti pericolosi prodotti. In che modo? Sversandoli nei terreni della Campania Felix, nelle cave del casertano, devastando il litorale domitio, imbottendo ettari ed ettari di terreno coltivato di scorie, liquami e munnezza d'ogni sorta.

Inondando le discariche fatte per i rifiuti solidi urbani, il celeberrimo 'tal quale', di

rifiuti speciali che non sarebbero mai dovuti finire li dentro. È chiaro allora, il motivo per cui le popolazioni campane da un certo punto in poi hanno cominciato a protestare contro un sistema che inquinava ed inquina la terra in maniera irreversibile, che trasforma la monnezza in oro, che fa schizzare il tasso di morti per tumore a livelli record in molti territori oramai al collasso. Ma risulta essere più chiaro anche il perché per più di 15 anni la gestione del ciclo dei rifiuti in Campania è avvenuto secondo logiche 'emergenziali', attraverso un commissariamento che con poteri speciali e molto poco trasparenti ha sollevato da ogni possibilità di controllo un settore che pare sia stato completamente gestito dalla camorra. Molte delle discariche abusive di cui parla Vassallo sono state direttamente o indirettamente legalizzate dallo Stato attraverso i Commissari di volta in volta succedutisi, in nome dell'emergenza, della salute pubblica e della legalità.

Vero eroe dei nostri tempi, mi verrebbe da dire, con un pizzico di umorismo noir,

Gaetano Vassallo afferma di aver conosciuto il sottosegretario Cosentino prima della costituzione dell'Eco4 quando, su invito diretto di «Cicciotto 'e mezzanotte», alias Francesco Bidognetti boss di spicco del clan dei casalesi, si incontrò con il politico che, a dire suo e di altri pentiti, era stato prescelto dal clan come uomo da sostenere politicamente alle scadenze elettorali.

Vassallo, anche in questo caso, era l'uomo giusto nel momento giusto, una sorta di 'grande elettore' che con le sue conoscenze e la famiglia allargata di cui faceva parte, forniva sistematico appoggio elettorale agli uomini indicati dal clan dei casalesi.

Il quadro che emerge, insomma, rappresenta un sistema di potere che si fonda su una stretta commistione tra criminalità organizzata e politica all'insegna del profitto.

Montagne di soldi ricavati controllando l'intero sistema di smaltimento dei rifiuti,

che andavano a finanziare investimenti e business sempre maggiori, specie in settori in cui l'appoggio delle istituzioni, per avere permessi e coperture legali, è

fondamentale.

Una delle nuove frontiere del profitto assicurato è, per esempio, quella dell'energia.

Un recente caso giudiziario ha mostrato come, anche in questo settore, la corruzione e la longa manu dei clan si mescolano in un intrigo perverso. Parliamo del grande business delle centrali elettriche.

Il 28 Aprile del 2009 la Guardia di Finanza di Caserta esegue 23 ordinanze di

custodia cautelare nei confronti di soggetti responsabili di associazione per

delinquere finalizzata alla truffa, alla corruzione, alla rivelazione di segreti di ufficio ed alla realizzazione di falsità in atti pubblici. Oggetto dell'inchiesta è la realizzazione di una centrale a “Biomasse vergini” nel territorio del comune di Pignataro Maggiore, nell'Agro Caleno. La maggior parte degli indagati sono personaggi pubblici, la maggioranza legati al PD, che rivestono importanti cariche politiche, sia a livello provinciale che regionale: oltre a funzionari del Genio Civile di Caserta, assessori comunali e lo stesso sindaco PDL di Pignataro Maggiore Giorgio Magliocca, tra gli indagati figurano anche Gianfranco Nappi, capo della segreteria politica di Bassolino,

l'assessore regionale Cozzolino e l'assessore con delega alle attività produttive della provincia di Caserta Capobianco. Secondo gli inquirenti, dietro la costruzione della centrale della “Biopower” ci sarebbe un complesso giro di tangenti. Quello che di inquietante emerge dalle intercettazioni è che con ogni probabilità il modus operandi per la realizzazione della centrale in oggetto fosse un vero è proprio sistema utilizzato consuetudinariamente per la attuazione di opere simili. Gli atti sono stati secretati, ma dalle indiscrezioni sembrerebbe che tale sistema possa aver riguardato la realizzazione di un altra, contestatissima, centrale elettrica stavolta a turbogas, entrata in funzione nel 2007 e realizzata sempre nell'Agro Caleno, nel vicino comune di Sparanise.

Sorta nell'area, ormai lottizzata, della ex Pozzi, una fabbrica di piena era fordista che occupava migliaia di lavoratori e che rappresentava il cuore non solo produttivo ed economico dell'area, la centrale termoelettrica di Sparanise è stato uno degli impianti più contestati e discussi realizzati in Campania negli ultimi anni. Eppure, nonostante le lotte della popolazione schiacciata tra la paura dei poteri forti e la preoccupazione per il proprio futuro, la centrale termoelettrica da 800 Megawatt è stata sostenuta da un impressionante schieramento bi-partisan. Ognuno ha fatto la sua parte, dal maresciallo dei carabinieri che intimoriva i giovani ambientalisti, agli uomini della DIGOS che si presentavano a bussare alle case degli agricoltori contrari, dal sindaco forzista d'allora Antonio Merola pronto a fornire il sito idoneo per un impianto del genere, fino all'assessore regionale DS Cozzolino che definì la centrale “un esempio di Campania positiva”.

Se come esempio di Campania positiva prendiamo un eco-mostro totalmente inutile che sorge in un luogo dove prima venivano impiegate migliaia di persone, se come modello di politica del territorio prendiamo un lembo di terra con un valore archeologico inestimabile sventrato dalla TAV, riempito di rifiuti e asfissiato dalle polveri sottili di mezzi pesanti e centrali, allora è alquanto evidente che ci troviamo sull'orlo del baratro.

Ma anche ora, con calma, procediamo per gradi. Per fortuna la storia non la fanno solo le Procure, la magistratura ed i giudici. Per fortuna, certe volte, la cronaca giudiziarie viene a valle di eventi molto più complessi di cui protagoniste sono le persone, i loro sogni, le loro lotte. E la storia della centrale termoelettrica di Sparanise fa parte di una più ampia storia che vede un gruppo di persone scegliere la strada dell'opposizione sociale, la strada dell'autonomia e dell'indipendenza praticate in un territorio che lascia poco spazio sia all'una che all'altra. Il centro sociale Tempo Rosso, occupato dal '99, nasce a Pignataro Maggiore e da subito entra in rotta di collisione con l'apparato politico che fin qui abbiamo visto descritto, tutto intento ad assicurarsi che gli affari, quelli degli amici soprattutto, vadano a buon fine.

In un articolo del 2003, a firma di Roberto Saviano per conto de “Il Manifesto” le

dichiarazioni degli attivisti di Tempo Rosso, anticipatrici di quanto emergerà molti anni dopo in una inchiesta ad opera del settimanale “L'Espresso”: «Noi siamo contrari ad un sud che per rilanciarsi economicamente diventi l'immondezzaio d'Italia. Serve energia e quindi edifichiamo centrali che genereranno enormi danni [...]. La centrale a nostro avviso serve solo a far rimpinguare le tasche di alcuni esponenti del centrodestra che sono i proprietari delle terre [...]». Ed è così che ritorniamo là dove eravamo partiti.

Sul finire degli anni novanta l'Immobiliare 6C, di proprietà della famiglia Cosentino, acquista ad un prezzo di favore parte dei terreni dell'area industriale ex Pozzi dalla SCR, società con capitali provenienti dalla Campania ma con sede legale a Roma. Il prezzo di vendita di tali terreni è talmente basso (310 milioni di lire) che, nonostante la SCR sia una società anonima, la circostanza ingenera forti sospetti che abbia un legame con la famiglia Cosentino. Ma questo è solo un indizio, occorre andare oltre per farsi un'opinione più precisa.

La SCR, nel 1999, aveva acquistato in verità la totalità dei terreni dell'area ex Pozzi disponibili, per più di 2 milioni di euro, e nel 2001 rivende ad un prezzo molto elevato ciò che le resta dopo la cessione alla 6C dei Cosentino. Ad acquistare, questa volta, è una municipalizzata, la AMI, azienda municipalizzata di Imola.

Quest'ultima, però, pone una precisa condizione: pagherà a patto che le autorità

permetteranno la realizzazione di una centrale termoelettrica turbogas su quei terreni.

Il caso ha voluto che, pochi mesi prima che tale accordo fosse stato stipulato, il

sindaco di Sparanise, il forzista Antonio Merola notoriamente vicino a Cosentino, individua proprio quei terreni come idonei a costruire la centrale. Un raro esempio di lungimiranza della politica. L'affare è concluso, la Ami si fonde in Hera e, insieme alla SCR, nel 2004 mettono sul mercato il pacchetto di terreni ed autorizzazioni per la realizzazione dell'impianto. Il gruppo svizzero Egl compra tutto. Dall'operazione la SCR guadagna complessivamente ben 10 milioni di euro e si garantisce un flusso di 1 milione di euro l'anno grazie all'ottenimento di una partecipazione che vale il 5% degli utili prodotti dalla vendita dell'energia. A questo punto, arriva un secondo indizio: indovinate da chi si fa rappresentare l'anonima SCR nel consiglio di amministrazione di Hera Comm Med? Dall'imprenditore Giovanni Cosentino, fratello di Nicola.

Non sappiamo con certezza se in questa vicenda, oltre alla prontezza di riflessi della politica nell'assicurare il buon esito di affari che riguardano potentati economici legati a familiari dei politici stessi, vi sia anche un giro di tangenti. Quello che è certo è che il bene comune sembra essere sparito dall'agenda di amministratori del calibro di Merola. Così come resta evidente che, in tempi non sospetti, le denunce dei cittadini sono state ignorate e le autorità dello Stato, non solo quelle elettive e quindi politiche, si sono guardate bene non dico dall'intervenire ma finanche dall'assumere un atteggiamento imparziale.

Il caso dell'ex prefetto di Caserta Elena Maria Stasi, colei che fece avere il tanto

agognato certificato antimafia all'Aversana Petroli, l'azienda madre della famiglia

Cosentino, quella a cui erano diretti i serbatoi di gpl esplosi a Viareggio il giugno

scorso, è emblematico a riguardo. Il certificato antimafia è indispensabile per

permettere alle aziende di avere rapporti con la pubblica amministrazione. Ed

analizzando la posizione dei titolari dell'azienda, i fratelli Cosentino, la Prefettura di Caserta, nel 1997, la nega all'Aversana Petroli: Giovanni, è sposato con la figlia del boss defunto Costantino Diana, Mario è sposato con Mirella Russo sorella di Giuseppe Russo, alias 'Peppe 'u Padrino', condannato all'ergastolo per associazione mafiosa e omicidio e un terzo fratello, Antonio, è stato beccato nel 2005 in compagnia di un soggetto con precedenti per tentato omicidio, associazione mafiosa e tentata estorsione. Il Tar del Lazio, al quale i Cosentino presentano ricorso, conferma: “[...]ragionevolmente può dedursi che sussisteva il pericolo di infiltrazione mafiosa". Ma il nuovo prefetto, utilizzando una procedura usata molto raramente, sollecita il comitato per l'ordine e la sicurezza a riconsiderare il caso. L'Aversana Petroli ottiene il certificato antimafia senza il quale rischiava di vedere bloccata la propria espansione. Alle ultime elezioni Elena Maria Stasi viene candidata in un collegio blindato nelle liste del PDL e diviene Deputata con il sostegno esplicito del sottosegretario Cosentino.

L'ultima volta che ho sentito nominare l'onorevole è stato nello scorso mese di

settembre. Era stato invitato dall'amministrazione comunale di Vitulazio a

presenziare alla parata militare per l'inaugurazione del Circolo delle Forze Armate. Il nome ingombrante del sottosegretario campeggiava sui manifesti del comune insieme a quello di alte cariche delle forze dell'ordine pluridecorate e di impettiti generali. A molti un immagine del genere può sembrare stridente e contraddittoria, la maggior parte dei commentatori delle vicende politico-giudiziarie odierne non può fare a meno di incastrarsi nella logica del binomio Stato/anti-Stato. La verità è che il confine tra ciò che è legale e ciò che non lo è viene stabilito dai potenti, dai rapporti di forza che si stabiliscono nella società.

Ciò che ci appare come l'anti-Stato è in realtà una forma di capitalismo armato che sfrutta ed opprime i deboli e va a braccetto con il potere costituito.

* Centro Sociale Tempo Rosso (Pignataro Maggiore – Caserta)
da Global Project

L'arresto di Raccuglia: una nuova rottura per gli equilibri di Cosa Nostra



di Aaron Pettinari
Palermo. Erano quindici anni che riusciva a sfuggire alla cattura. Da ieri Domenico Raccuglia, conosciuto come “'u veterinario”, non è più una primula rossa.
La sezione Catturandi della squadra mobile di Palermo lo ha arrestato alle 17,30 presso un'abitazione di Calatafimi in via Cabbassini 80. Il boss originario di Altofonte era inseguito da tre condanne all'egastolo, di cui una per l'omicidio del piccolo Giuseppe Di Matteo, 20 anni di reclusione per omicidio ed altre pene per associazione mafiosa. Un killer spietato, considerato come il successore del boss di San Giuseppe Jato Giovanni Brusca. Così Raccuglia ha scalato i vertici di Cosa Nostra fino a diventare il numero due dell'organizzazione mafiosa, immediatamente dopo il superlatitante Matteo Messina Denaro.
Durante la latitanza è stato chiamato a “commissariare” un mandamento spigoloso come quello di Partinico, falcidiato da guerre intestine ed arresti eccellenti come quelli dei Vitale “Fardazza”. Un ruolo che ha saputo gestire con occulatezza riducendo al minimo i propri spostamenti e rendendosi irreperibile spesso anche per i suoi stessi uomini. Solo pochi fidatissimi sapevano come mettersi in contatto con il boss. E' durante la latitanza che il “peso” di Raccuglia all'interno di Cosa Nostra si è rafforzato. Con la cattura di Riina, Leoluca Bagarella, Giovanni ed Enzo Brusca il “veterinario” non era più solo un killer ma una figura carismatica che aveva esteso il proprio dominio in tutto il territorio nella provincia di Palermo e non solo. Nel tempo era diventato uno specialista nella gestione degli appalti pubblici e poteva contare su importanti appoggi anche oltreoceano, laddove aveva trascorso parte degli ultimi quindici anni. Negli ultimi mesi, complice anche la scarcerazione di Michele Vitale, aveva abbandonato i territori di Partinico e Borgetto.
Gli inquirenti lo sospettavano da tempo ed alla fine le indagini hanno portato fino alla provincia di Trapani, nei territori controllati da Matteo Messina Denaro. 
Ed è proprio sulla vicinanza tra i due padrini che si stanno concentrando adesso le attenzioni della Dda. Il procuratore aggiunto Antonio Ingroia ed i pm Francesco Del Bene e Roberta Buzzolani, coordinatori dell'indagine della squadra mobile, hanno detto ieri: “Dalle indagini è emerso che il capomafia aveva stretto un’alleanza con il latitante di Castelvetrano e recentemente aveva spostato i suoi interessi proprio nel trapanese”.

Quali rapporti avevano stretto i due boss? Che la riorganizzazione di Cosa Nostra passasse da loro vi sono pochi dubbi. I segnali di un possibile coinvolgimento di Matteo Messina Denaro nel tentativo di istituire una nuova commissione erano già emersi nell'inchiesta Perseo. Sia il gruppo vicino ai Capizzi, favorevole alla nuova commissione, sia quello avverso capeggiato dalla famiglia di Porta Nova vantavano contatti con il boss di Castelvetrano: alcuni tramite pizzini, altri con l'intermediario “zio Franco” (Franco Luppino di Campobello di Mazara). 
“Abbiamo accettato un certo tipo di situazione di parlare con lui per andare fuori” raccontava Sandro Capizzi a Giovanni Adelfio e Pino Scaduto. E riguardo il progetto sulla nuova commissione aggiungeva: “lo Zio Franco mi ha detto ‘sistematevi tutte cose…anzi ci avete perso tempo… dopodiché non cambia niente… o prima o dopo da parte nostra avrete il massimo appoggio”.
E' forse dopo le operazioni dell'ultimo anno che i due boss avevano deciso di stringere un nuovo patto. Secondo gli inquirenti Raccuglia stava trascorrendo la propria latitanza a Calatafimi da almeno un mese e mezzo e non era un ospite ma un boss in “piena attività” tant'è vero che 
in alcune intercettazioni di recenti inchieste antimafia tra Alcamo e Castellammare non mancherebbero riferimenti all'ex latitante. Qualche settimana fa, in un blitz compiuto dai carabinieri presso la sua abitazione ad Altofonte, erano stati rinvenuti 12.500 euro in contanti nascosti dentro i piedi del letto. Denaro liquido che è stato rinvenuto anche nel blitz di ieri. Ben 138 mila euro che il boss ha cercato di nascondere in un borsone gettandolo poi dalla finestra. Soldi provenienti dalle estorsioni e, si sospetta, anche dagli appalti dei lavori pubblici in corso nel trapanese. A confermare il ruolo di comando di Raccuglia sono stati rinvenuti anche numerosi “pizzini”, ora all'attenzione degli investigatori.
E' possibile che tra questi vi possa essere qualche comunicazione con Messina Denaro anche perché sembra impossibile che il boss di Castelvetrano potesse ignorare la presenza di una figura così “importante” sul proprio territorio.
Un rapporto che potrebbe affondare le proprie radici ancor più indietro nel tempo. Entrambi non avevano simpatie per i Lo Piccolo con contrasti che si sono presentati in momenti differenti. 
Altro aspetto da non sottovalutare è anche l'appartenenza storica dei due boss all'ala “Corleonese” di Cosa Nostra quella più sanguinaria e spregiudicata. Lo stesso si può dire per il capomandamento di Pagliarelli Gianni Nicchi (“delfino” di Nino Rotolo) che oggi il Procuratore capo di Palermo ha indicato come possibile capo a Palermo. “I boss mafiosi pensano di investire sul latitante Gianni Nicchi – ha detto - Ha una forte protezione dell'organizzazione mafiosa. Le recenti indagini su questo fronte fanno pensare che l'organizzazione mafiosa investirà su di lui. Negli ultimi tempi ha acquisito una certa visibilità mediatica, è collegato alla Cosa Nostra americana. Insomma, è stato inserito in un contesto di una certa rilevanza". Raccuglia poteva essere il trade d'union tra Palermo e Trapani. Cosa accadrà ora che l'equilibrio è saltato? Il rischio è che Cosa Nostra possa tornare a far sentire il rumore delle armi per una nuova spartizione del potere a meno che i due latitanti, Nicchi e Messina Denaro, stringano un nuovo patto in nome degli affari.

da AntimafiaDuemila