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lunedì 10 agosto 2009

Giuseppe Pinelli - L'anarchico defenestrato


In “Reti Invisibili” vedete affrontati fatti della storia recente italiana, contrassegnati da morti "strane", sulle quali non si è mai ottenuta completa chiarezza né (soprattutto) verità o giustizia.
Ma c’è un altro aspetto "mancante" che contraddistingue le vicende di cui ci siamo occupati: la memoria tradita. Nel senso che l’omicidio di Carlo Giuliani, quello di Piero Bruno, quello di Peppino Impastato ed altri ancora, ci parlano di vicende in cui oltre a non ottenere (in tutto o in parte) la verità sui nomi degli assassini e/o dei mandanti, si è cercato di modificare e accomodare la memoria stessa di quei fatti, al fine di renderli meno "scomodi". In questo modo quegli episodi vengono confinati nell’area indefinita dei misteri d’Italia, e alle vittime, nella migliore delle ipotesi, l’opinione pubblica regala solo una vaga pietà…
Ma per Giuseppe Pinelli (ferroviere anarchico morto in circostanze misteriose nella notte fra il 15 e il 16 dicembre del 1969, precipitando dal quarto piano della questura di Milano) l’operazione di stravolgimento della memoria è stata particolarmente odiosa e particolarmente riuscita, tanto da dover parlare più correttamente di "cancellazione" più che di "stravolgimento" della memoria. Ogni volta che si cerca di riprendere in mano il filo degli avvenimenti che parte dal 12 dicembre 1969 (attentato in Piazza Fontana) ai giorni nostri ("caso Sofri"), passando per l’omicidio del commissario Calabresi, si tende a sorvolare sulla morte di Pinelli, quasi si trattasse di un "incidente di percorso", un episodio da dimenticare, ininfluente per la comprensione degli eventi… Invece la storia di Pinelli è fondamentale per capire l’evoluzione e la stretta connessione di quei fatti.
Credo che questa frase di Licia Pinelli, estratta dal libro-intervista che Licia rilasciò a Piero Scaramucci nel 1982, sintetizzi meglio di ogni altra la vicenda. "Pino è stato il granellino di sabbia che ha inceppato il meccanismo. Dopo la bomba di Piazza Fontana avevano cominciato la caccia agli anarchici, che erano la parte più debole… la morte di Pino è stata un infortunio sul lavoro, per loro sarebbe stato più comodo metterlo in galera con gravi imputazioni e tenerlo dentro per anni…"..
Ecco un breve sunto di quei fatti.
L’attentato in Piazza Fontana, alla Banca dell’Agricoltura, è del 12 dicembre 1969; il triste bilancio sarà di 16 morti e 88 feriti. Le indagini si orientano da subito verso gli ambienti della sinistra, in special modo verso gli anarchici. Numerose persone vengono fermate il giorno stesso. Fra queste c’è Giuseppe Pinelli, che nella notte fra il 15 e il 16 dicembre cade dalla finestra dell’ufficio del commissario Calabresi, e muore poco dopo il ricovero al Fatebenefratelli.
Nella stessa notte il Questore Marcello Guida ed il Commissario Calabresi danno la notizia durante una conferenza stampa. Secondo la loro versione Pinelli si è suicidato, in quanto sul suo conto gravavano pesanti indizi. Questa versione comincia presto a fare acqua da tutte le parti. Il 27 dicembre Licia Rognini (moglie di Giuseppe Pinelli) querela il Questore Guida per diffamazione. Ecco un estratto dall’intervista che Licia Pinelli rilasciò a Piero Scaramucci nel 1982 "… io ero sicura al mille per cento che Pino non avesse fatto assolutamente niente di quello di cui lo incolpavano e quindi sono partita prima di tutto querelando il questore Guida per quello che aveva osato dire. Dopo avrei pensato alla morte… Probabilmente ero imbevuta della mia educazione, delle mie letture. Pensavo: prima l’onore, poi il resto…". Guida sarà assolto nel dicembre del 70.
Sempre nei giorni immediatamente seguenti la morte di Pinelli, "Lotta Continua" comincia ad accusare esplicitamente il Commissario Calabresi di essere il diretto responsabile della morte dell’anarchico.
Nel 1970 Calabresi querela per diffamazione il periodico; il processo denominato "Calabresi/Lotta Continua" comincia nell’ottobre dello stesso anno. Questo processo, nel quale il Commissario si presenta come parte lesa, diviene ben presto il palcoscenico sul quale ridiscutere il caso Pinelli.
Nel giugno del 71 la vedova Pinelli denuncia Calabresi e tutti gli agenti presenti ai vari interrogatori cui fu sottoposto il marito fra il 12 ed il 15 dicembre 69 per omicidio volontario: il giudice istruttore è Gerardo D’Ambrosio, che manda avvisi di reato a tutti i denunciati.
Il 17 maggio 1972 il Commissario Calabresi viene ucciso a Milano. Proprio quel giorno era prevista la presentazione al Palazzo Reale di Milano de "I funerali dell’anarchico Pinelli", quadro di Enrico Baj. Questa presentazione fu annullata in seguito alla notizia dell’omicidio di Calabresi e non fu più riproposta.
Il 27 ottobre 1975 D’Ambrosio chiude definitivamente la sua inchiesta, lasciando l’amaro in bocca a molti: leggendo per esteso la sentenza si ha l’impressione che il giudice abbia trovato una matassa troppo intricata da dipanare. Le sue ricerche chiudono con poche certezze; esclude categoricamente che Pinelli si sia suicidato (e quindi conferma che tutti quelli che dichiararono il contrario mentirono, ma senza approfondire le motivazioni che stavano alla base di quelle menzogne); esclude l’omicidio non trovandone le prove (e lo esclude con un vero bizantinismo: "la mancanza assoluta di prove che un fatto è avvenuto equivale alla prova che un fatto non è avvenuto") e ritiene "verosimile" l’ipotesi di un malore.
Scartata l’ipotesi del suicidio e pure quella dell’omicidio "volontario"; scartato pure il volo di fantasia di D’Ambrosio del 1975 (che salomonicamente parlò di un "malore attivo", per districarsi fra le scomode ipotesi di suicidio ed omicidio), fra le altre ipotesi che furono fatte restano le seguenti. Un interrogatorio "forzato" e svoltosi fuori dalle procedure legali, in cui a qualcuno saltarono i nervi giungendo a picchiare Giuseppe Pinelli fino a temere di averlo ucciso; da qui la repentina decisione di sbarazzarsi del corpo inscenando un suicidio più o meno verosimile. A favore di questa ipotesi ci sarebbero l’ora di chiamata dell’ambulanza (uno dei punti più controversi dell’intera vicenda e che anche la sentenza D’Ambrosio spiega poco e male: sembrerebbe che l’ambulanza sia stata chiamata pochi minuti PRIMA della caduta dal balcone) e la famosa "macchia ovalare" trovata sul collo del Pinelli (che i sostenitori di questa ipotesi addebitarono ad una percossa particolarmente violenta o ad un colpo di Karate). Una colluttazione finita tragicamente per pura fatalità, al termine dell’interrogatorio. O ancora: Pinelli aveva sentito o visto qualcosa che non doveva sentire e/o vedere (teoria questa che Pietro Valpreda, un altro degli anarchici accusati in un primo tempo per la strage, scomparso per malattia nel luglio 2002, confidò in un’intervista a Mauro Bottarelli).
Nel 1988 Leonardo Marino, ex componente di Lotta Continua, raccontò che pochi giorni prima dell’omicidio del commissario Calabresi incontrò Adriano Sofri a Pisa, il quale gli comunicò la decisione di uccidere il commissario. Secondo questa ricostruzione l’omicidio sarebbe stato materialmente compiuto da un commando composto da militanti di L.C.: Ovidio Bompressi, Giorgio Pietrostefani e lo stesso Marino (con ruolo di autista). Non è questa la sede per affrontare il "caso Sofri", o per parlare delle tante contraddizioni che si possono trovare nel racconto di Marino. Basti dire che la vicenda processuale si è per ora chiusa, e che la Magistratura ha ritenuto credibile la versione del "pentito" Leonardo Marino, condannando per omicidio gli ex esponenti di Lotta Continua.
Nel maggio 2002 si è tornati a parlare (seppure indirettamente) del "caso Pinelli". Pochi giorni prima del trentesimo anniversario dell’omicidio Calabresi, il Corriere della Sera, sul proprio settimanale "Sette", pubblicò un’intervista con Gerardo D’Ambrosio. Il Magistrato in quell’occasione ribadì di essere assolutamente sicuro dell’estraneità di Calabresi (a qualsiasi livello) nella morte di Giuseppe Pinelli. Ma al di là dei giudizi che si possono esprimere sul convincimento di D’Ambrosio, è certo che il Magistrato commette un grave errore; ad un certo punto afferma: "Poi ottenni un’altra prova sull’innocenza di Calabresi. La testimonianza di uno degli anarchici fermati, Pasquale Valitutti: aveva visto Calabresi uscire dalla sua stanza prima che Pinelli cadesse".
Il punto è che Valitutti all’epoca dell’inchiesta disse ESATTAMENTE IL CONTRARIO (confermando sempre, successivamente, la stessa versione): NON SOLO Valitutti non aveva visto Calabresi uscire dalla stanza, ma affermò pure che (considerata la posizione che occupava nel corridoio) avrebbe senz’altro notato se il commissario fosse uscito. Dunque anche l’intervista a D’Ambrosio si rivelò un’occasione persa nell’ottica di ristabilire la verità sulla vicenda, diventando invece un altro elemento che va a confonderne la memoria.

Francesco “baro” Barilli


Salento, terra di Aracne

Il Salento è detto “terra di Aracne”, denominazione associata al “tarantismo”, il fenomeno derivato dal morso dalla tarantola locale, un ragno velenoso appartenente alla famiglia degli aracnidi, avente il suo habitat nelle campagne salentine. Per tradizione ogni 29 giugno, giorno della festa dei santi Pietro e Paolo, si svolgeva anche il rito di “religiosità minore” riferito alla guarigione delle tarantate, che riconoscevano in San Paolo il loro “sposo mistico”. Nel rito le donne morse dalla tarantola o affette da aracnoidite, una forma di infiammazione delle meningi, che provoca febbre, vertigini, cefalea e spasmi muscolari incontrollati, perpetuavano il fenomeno delle “tarantolate” di millenaria memoria. Danzavano fino allo sfinimento simulando il moto caotico della tarantola aracnide salentina e solo quando raggiungevano uno stato catartico, di trance, potevano ottenere la quiete e la guarigione.
Il moto caotico saltellante nella danza delle tarantate simulava due stadi dell'azione del ragno: quella parossistica del momento in cui fa vibrare caoticamente la ragnatela e quella ordinata, dal lento moto spiraliforme, compiuta dall'animale per tesserla. Tale doppia azione del ragno, caotica e ordinatrice, nell'immaginario collettivo rimandava alla metafora degli aspetti distruttivi e costruttivi dell'ancestrale dea Madre, immaginata al centro della volta celeste, o “tela cosmica” e denominata “Grande Ragno” per il suo doppio aspetto di dea terribile e benevola. La “possessione” della donna affetta da tarantismo (o da aracnoidite) da parte della “Grande dea Ragno” era perciò anch'essa ambivalente, ossia era ritenuta un “privilegio” e, insieme, una “punizione” che la dea aveva il potere di infliggere, orientando in senso positivo o negativo gli influssi del Sole e della Luna sulla Terra, potendo cioè influire sulla quantità e qualità di energia da essi irradiata. In modo traslato, il filo del destino degli uomini era riposto nelle mani della “Grande Madre Ragno”, come il filo secreto dal piccolo ragno terrestre era riposto nelle sue zampe impegnate a tessere la tela. Stando nel centro della grande “tela cosmica” del cielo come il ragno nel centro della sua ragnatela, la dea deteneva il duplice potere di concedere la vita e di condurre verso la morte. Ritenuta divinità ambivalente, le si riconosceva il potere benevolo di carattere solare nel favorire la vita permettendo l'orientamento durante la ore diurne lungo il percorso apparente del Sole a forma di “spirale destrogira”, ma anche, all'opposto, il suo più misterioso carattere lunare rendeva insidioso il cammino notturno a forma di “spirale sinistrogira” tracciato dal moto della Luna, per cui l'avventurarsi nelle tenebre della notte poteva far procedere inevitabilmente verso la morte, sempre in agguato. Tale aspetto distruttivo della Grande Madre Ragno fu ereditato in fase storica dalle despoti dee lunari Persefore, Armonia, Parche e Moire, tessitrici e detentrici del filo del destino dell'uomo, che guidavano inesorabilmente verso il “centro” lungo il percorso involutivo della vita compiuto secondo la spirale sinistrogira lunare, che conduceva alla morte.
Nel mito greco Aracne era una dea minore rappresentata anche in forma di ragno, perché in qualità di provetta tessitrice e ricamatrice sapeva usare il filo abilmente. Era preposta a coadiuvare in senso costruttivo l'operato della grande dea Atena, la figura rinnovata in forma benevola della dea Madre ancestrale, di cui Giunone, moglie di Zeus, ne impersonava l'aspetto negativo. Atena, figlia di Zeus non era nata, però, dalla terribile Giunone, ma eccezionalmente dal cervello del padre, ereditandone la razionalità. Tale facoltà, che era comunemente ritenuta maschile, le permetteva di agire con “idee chiare”, opposte alle “idee oscure” dei miti terrifici elaborati in fase arcaica, ai quali apparteneva anche Giunone.
Immagine positiva di dea-Ragno, Atena, quale “dea della sapienza”, tesseva ordinatamente la “tela cosmica”, ponendo ogni elemento astrale al proprio posto nell'universo, sapientemente coadiuvata dalla giovane dea-minore Aracne.
Nel contesto culturale greco la figura originaria di Aracne era derivata dal mito che ricordava le vicende di Teseo, l'eroe che aveva liberato Creta dal turbolento Minotauro, il mostro che viveva nel sottosuolo (metafora demoniaca della caratteristica caotica della natura sismica dell'isola) e del “filo” che permise ad Arianna di guidare il suo amato verso la superficie.
Aracne, emula di Arianna, corrispondeva pertanto alla figura femminile benevola, erede della dea Madre buona, che svolgeva in positivo, secondo una spirale destrogira, il filo della vita degli uomini. Riportata anche in sembianze di ragno ne rappresentava gli aspetti benefici, poiché aiutava Atena nel suo compito di “divinità ordinatrice del cosmo”.
Entrambe operavano in sintonia in cielo e in terra per vincolare indissolubilmente, secondo un processo di omotetica riflessione, il piano terreno con la sfera celeste, ai fini di stringere in un rapporto di costante armonia il ciclico svolgersi dei cicli temporali nel cosmo.
La denominazione del Salento di “terra di Aracne” derivava da una ordinata suddivisione del territorio, sapientemente organizzato in tempi molto remoti dal popolo costruttore di megaliti e prevalentemente mantenuta anche dalle civiltà che si susseguirono nel tempo.
La suddivisione megalitica era costituita da “celle geodetiche” circolari a forma di “tela di ragno”, rotanti intorno alle grandi specchie, ossia ai cumuli di pietre informi elevati sulle alture delle Serre salentine con riferimento alle costellazioni nel cielo, a costituire i “centri geodetici”, aventi funzione di “nodi cosmogonici” e di “poli cosmologici”.
Intorno a esse furono elevati, a passi costanti, menhir e dolmen, secondo uno sviluppo radiale e concentrico ottenuto osservando il percorso apparente del Sole all'orizzonte.
Una serie di sistemi megalitici estesi “a macchia d'olio” e radialmente orientati vincolavano pertanto tutto il territorio, che diveniva un diretto riflesso armonico del cielo
Per un retaggio dell'antica ambivalenza attribuita alla dea Madre, nell'interpretazione cristiana del mito greco, la dea Aracne assunse l'aspetto negativo e, in veste di ragno, divenne il simbolo demoniaco di San Norberto. Fu attribuito anche ad Aracne il significato che era stato già di Seth in Egitto, di Tiamat in Mesopotamia, del Minotauro in Creta, di Dioniso in Grecia, di Bacco nella cultura romana, ossia delle divinità “instabili e caotiche” e di tutti gli animali dal comportamento subdolo, come i serpenti, gli scorpioni e i ragni, che erano sempre in agguato nel misterioso sottosuolo e pronti a colpire con il loro morso venefico.
L'aspetto demoniaco attribuito a tali animali derivava dalla paura che incuteva negli uomini il misterioso sottosuolo salentino, percorso da lunghe cavità e da fiumi sotterranei, territorio carsico e instabile , che i sistemi megalitici intessuti “con sapienza” in superficie dovevano vincolare e rendere stabile, essendo preposti a stringere un rapporto di natura energetica equilibrante con la volta celeste e fare del territorio un diretto riflesso terreno dell'ordine costituito nel cielo dalle antiche divinità benevoli “ ordinatrici del cosmo”.

di Marisa Grande da Corriere Salentino

SAN LORENZO SENZA FALÒ, GIRO DI VITE A NARDÒ E DINTORNI


Nardò e marine, Porto Cesareo, Torre Lapillo, Torre Castiglione e Punta Prosciutto: nella notte delle stelle saranno banditi i fuochi sulle spiagge. Controlli delle forze dell'ordine anche in borghese... NARDO’ - Guardate il cielo, osservate le stelle e se trovate la vostra stella cadente, esprimete un desiderio. Ma non accendete fuochi sulle spiagge. E salvaguardate l’ambiente e la sicurezza. Domani, nella notte di “San Lorenzo”, in tanti si ritroveranno per una serata conviviale, osservando la volta celeste. In questo periodo dell’anno lo sciame di meteoriti delle Perseiadi incontra l’orbita terrestre ed è facile osservare “palle di fuoco” che accendono il cielo. Ma è stata messa al bando la tradizione dei falò sulle spiagge. Pericolosi e forieri di problemi ambientali. Per saranno Nardò spiegherà diverse pattuglie della polizia municipale, a supporto della polizia di Stato e dei carabinieri. Via mare, anche alcune vedette della capitaneria di porto di Gallipoli e della polizia.

La decisione è stata presa nel corso di una riunione che si è svolta presso la questura di lecce nei giorni scorsi proprio per pianificare l’evento di agosto. All’incontro erano presenti rappresentanti di tutte le forze dell’ordine, dei vigili del fuoco, della capitaneria di porto di Gallipoli, del corpo forestale dello Stato, e le autorità politiche dei comuni rivieraschi. All’unisono, il messaggio principale è stato quello di prodigarsi al massimo per scoraggiare la pericolosa consuetudine di accendere falò sulle spiagge e su altri siti.

Per la città di Nardò è stato pianificato, inoltre, un servizio antincendio di pronto intervento che assicurerà fino a notte inoltrata sia la presenza costante di mezzi antincendio a cura del Cep di Nardò (che controlleranno tutta l’area di Porto Selvaggio), sia il presidio dei siti balneari più a rischio, con l’ausilio dei volontari della “polizia costiera”. “Si confida – ha dichiarato il dirigente del settore polizia locale, il tenente colonnello Cosimo Tarantino - nell’imprescindibile buon senso di tutti: ci si astenga dall’accendere fuochi di ogni genere, pericoloso veicolo di incendi a più largo raggio, e si eviti di abbandonare rifiuti in modo improprio. Si trascorra una notte di San Lorenzo all’insegna del divertimento e della spensieratezza, ma senza allentare completamente i freni inibitori: la civiltà, il rispetto dell’ambiente e la sicurezza pubblica sono beni troppo preziosi per essere messi in discussione da una ricorrenza, indipendentemente dalla natura della stessa”.

Come noto, anche sulle coste di Porto Cesareo, Torre Lapillo, Torre Castiglione e Punta Prosciutto, sarà impiegata una task force composta dai carabinieri di Campi Salentina, dalla motovedetta dei carabineri di Gallipoli, dai poliziotti del commissariato di Nardo, da un natante della squadra nautica della polizia, dalla forestale, dalla polizia provinciale, dalla capitaneria di porto e locale polizia municipale. Un impiego massiccio di uomini e mezzi che effettueranno, in sinergia, un servizio di prevenzione incendi, occupazione abusiva di suolo pubblico e di contrasto contrasto al consumo di sostanze stupefacenti ed alla guida in stato alterazione psicofisica. Non mancheranno agenti e militari in borghese. “Si confida nella collaborazione e nel senso di responsabilità dei partecipanti all’evento”, commenta il comandante della compagnia di Campi Salentina, il capitano Simone Puglisi. “Ciò nell’interesse di salvaguardare il patrimonio paesaggistico delle coste cesarine nonché per garantire una pacifica fruizione delle spiagge il giorno successivo”.

RONDE LEGHISTE A CASAL DI PRINCIPE

Le ronde leghiste nel territorio del clan dei Casalesi. Non si tratta di uno scherzo. Il sindaco di Casal di Principe, Cipriano Cristiano del Pdl è l’unico tra i sindaci campani ad avere accolto la proposta padana. Ma come reagirebbero gli affiliati a ’o sistema se in futuro si trovassero tra i piedi i city angels? "Me ne frego di come reagirebbero i camorristi - spiega il primo cittadino - qui rischiamo ogni giorno e non abbiamo certo paura di mettere in strada dei controllori della sicurezza, anzi." Salvo poi specificare. "La camorra è un problema più grande. Non potremmo essere così sciocchi da pensare che le ronde possono sconfiggerla. Le ronde non servirebbero per la criminalità organizzata che ha interessi fuori da Casal di Principe, ma per l’immondizia e l’abusivismo edilizio. Qui esiste un problema di viabilità, c’è ancora tanta immondizia per le strade, abbiamo bisogno di vigili e di qualcuno che controlli dove le persone vanno a sversare i rifiuti illecitamente. Serve anche un grosso aiuto per contrastare il fenomeno dell’abusivismo edilizio." Insomma per il sindaco le ronde a Casal di Principe servono per la monnezza e gli abusi edilizi. Nessun problema di droga e furti. Parola di Cristiano. Il primo cittadino però ammette che le forze dell’ordine non riescono ancora a tenere il controllo del territorio. "Non penso alle ronde come alle figure di sceriffi, ma a vigili o agenti della protezione civile impegnati per questo, potremmo pensare ad un incentivo economico per loro, per la salvaguardia del territorio." Il sindaco giovedì aveva chiesto poteri speciali per la microcriminalità, ma poi ha elogiato l’operato delle forze dell’ordine. E le ronde per avvistare punti di spaccio come al Nord? "Qui tranne alcuni ragazzi neri, lo spaccio non si vede. Casal di Principe ha vissuto in passato momenti di grande ghettizzazione, quando la camorra ammazzava le persone per strada, ma adesso la situazione sta cambiando anche grazie ai messaggi lanciati da Roberto Saviano. I problemi rimangono altri: viabilità, l’asfalto sulle strade e immondizia." Il sindaco preferisce non parlare del coprifuoco che permane nel comune casertano nonostante i riflettori accesi dall’autore di Gomorra. Tante ancora solo le centrali dello spaccio nei dintorni della cittadina. La camorra continua ad usare Casal di Principe come fortino. "La camorra si è internazionalizzata - spiega ancora il sindaco - non si nasconde più qui." E’ notizia di mercoledì però l’arresto di latitanti Casalesi tra Casal di Principe e San Cipriano D’Aversa. Ed è solo del 13 luglio la cattura proprio a Casal di Principe di Ernesto De Luca, fedelissimo del boss Antonio Iovine. La camorra continua a vivere a Casal di Principe. L’accordo sulla stazione unica appaltante per il controllo sull’intromissione dei clan negli appalti pubblici, cui ha aderito il comune di Casal di Principe, è uno strumento importante. Ma a cosa serve in un territorio che è rimasto deserto e pensa di risollevarsi con l’aiuto delle ronde?

di Ilaria Urbani da Il Manifesto

Silvio cala le braghe davanti a Bossi: si alle gabbie salariali

Oggi Berlusconi ha dichiarato di essere favorevole all'introduzione di salari differenziati tra nord e sud

Proprio quando Calderoli aveva negato di volerle, Silvio s' è abbassato i pantaloni al cospetto di Bossi, promettendogli che introdurrà salari differenziati tra nord e sud.
Ulteriore dimostrazione che il vero padrone della coalizione di governo, è il ducetto in camicia verde. Non il pulcinella di Arcore, che di lui ha una fifa matta e quindi gli concede tutto ciò che vuole.

Giorni fa l' Istat ha informato come al sud, il costo della vita sia mediamente inferiore del 37% a quello del nord. Su questa notizia si è subito buttato il ducetto con la richiesta di gabbie salariali. La reazione degli altri partiti è stata, dall' estrema sinistra all' estrema destra, un no trasversale. Cosa che ha indotto Calderoli a fare marcia indietro, negando di volere le gabbie. Invece oggi Pulcinella ha fatto sapere di essere favorevole e perciò le gabbie si faranno. Dunque per le stesse mansioni e stesso orario di lavoro, stipendiati e salariati meridionali verranno pagati di meno dei loro colleghi del nord.

E' pur vero che al sud la vita costa, mediamente, di meno. Ma è anche vero che ciò corrisponde alla realtà solo nelle campagne e piccole città. Non certo nelle grandi. Il costo della vita a Napoli, Bari, Palermo è infatti identico o solo di poco inferiore a quello delle grandi città del nord.
Quindi occorrerebbero altre gabbie tra grandi città e piccoli comuni, non solo al sud ma anche al nord. Perché anche lì esiste la differenza.
Inoltre va considerato che nel meridione la metà se non più delle famiglie è monoreddito. Non cosi al nord, dove la maggioranza delle donne lavora e i due stipendi compensano largamente il maggior costo della vita.

Ma queste considerazioni a Silvio non fanno un baffo. A lui interessa solo rimanere attaccato alla poltrona e se alla bisogna necessita di calarsi le braghe davanti al ducetto, non ci pensa due volte.

da Indymedia

Diamante :: La Lega fa scuola in Calabria..... ma il Pd.

DIAMANTE :: 01/08/2009 :: Leggiamo la delibera n.22 emessa dal Sindaco di Diamante, nonché consigliere provinciale del PD Ernesto Magorno, e restiamo davvero stravolti. Non è un sindaco leghista, Ernesto Magorno, è il sindaco di Diamante, paese a forte presenza turistica, dirigente del partito democratico e consigliere provinciale.

Nell'ordinanza, si parla di vendita abusiva e di merce contraffatta, facendo fuori in un solo colpo centinaia e centinaia di immigrati che arrivano nelle nostre coste per raggranellare qualche lira, che possa servire loro a passare l'inverno oltre che a mandare qualcosa alle loro famiglie. Ma non solo gli immigrati si fanno fuori con questa ordinanza! Vengono colpiti anche tutti quei piccoli venditori di frutta, che si posizionano lungo le strade frequentate dai turisti, alle entrate dei campeggi, sui lungomare. Gente nostra, precari, disoccupati, che aspettano l'estate per fare qualche piccolo guadagno e che nulla tolgono alle grandi catene di supermercati, in cui si annidano I riciclatori di soldi di mafia , ( questi si che dovrebbero preoccupare il sindaco in questione ) o ai commercianti che comunque mantengono la propria clientela per diversi altri motivi. Chesenso ha quindi questa ordinanza, che speriamo non venga adottata da altri sindaci solerti ?

Una ordinanza grave che parte comunque da un sindaco di centrosinistra , appartenente ad una provincia che si dice politicamente a forte presenza progressista, e che potrebbe fare da apripista per i sindaci di centrodestra che di queste politiche fanno il loro cavallo di battaglia. Come associazioni che si occupano delle problematiche degli immigrati e dei tanti soggetti deboli e precari esistenti nei nostri territori, crediamo che non sia questa la strada che conduca verso la legalità, anzi, è sempre stata nostra convinzione che solo attraverso l'accoglienza, il riconoscimento dei diritti e delle diverse culture, oltre la tutela delle fasce più deboli, si possa giungere a un giusto quadro di legalità e rispetto dei diritti e dei doveri da parte dei cittadini tutti. Pertanto chiediamo un immediato pronunciamento, a tal proposito, al Presidente della provincia, Oliverio, il quale in campagna elettorale ha più volte espresso la sua convinzione di improntare questi futuri cinque anni di governo al sostegno dei meno abbienti, ed ai suoi alleati, distratti forse dalle corse alle poltrone in giunta. Inoltre chiediamo allo stesso sindaco Magorno un ripensamento su quanto espresso con l'ordinanza in questione.

NON VORREMMO CHE IL PROSSIMO PASSO SIANO LE RONDE ?!?

P.Alex Zanotelli ( P.Comboniano)

Domenico Lucano ( Sindaco di Riace )

Associazione Yaraiha

Associazione La Kasbah

Rete Antirazzista Calabria

Associazione “Baobab”

Mo.C.I. – ONG

Sentiero non violento – Onlus

da Indymedia

In Ottomila a Messina contro il ponte e la crisi!

Era difficile immaginare di riuscire a realizzare, già dai primi passi del rinato movimento contro la costruzione del ponte sullo stretto, una mobilitazione numericamente significativa.
Eppure il corteo di circa ottomila persone che questo sabato ha attraversato Messina ha mostrato, nonostante i due anni di ibernazione procurati dalle ambigue promesse del governo Prodi, che il popolo NoPonte non solo è ancora in ottima salute ma anche combattivo come, del resto, è sempre stato. L'obiettivo massimo per quest'appuntamento è stato, dal punto di vista dei numeri, raggiunto e superato, ma il corteo di sabato ha mostrato anche altro.
Le note positive sulla giornata dell'otto non riguardano infatti solamente, come già detto,il dato quantitativo, ciò che anzi fa guardare al prosieguo della mobilitazione con ottimismo è la capacità che il corteo ha avuto di legare le questioni del ponte e della crisi in tutte le sue declinazioni (uno dei ruoli che il ponte avrà sarà infatti quello di trasferire ingenti quantità di denaro pubblico nelle mani di pochi affaristi incarnando, secondo la formula della socializzazione dei debiti e privatizzazione dei profitti, l'exit-strategy futura che i governi si sono dati a quella che propagandano come una congiuntura già superata) e tutti i nuovi contributi che hanno arricchito e rinnovato il patrimonio di saperi collettivi generati dalla e nella lotta in questi anni, ponendo l'attenzione, non più e non tanto su questioni di mero ambientalismo, quanto piuttosto sulla militarizzazione che l'eventuale costruzione del ponte porterà sui due versanti dello stretto o sulla insostenibilità economica e sociale di un opera grottescamente abnorme eppure inutile.
Un corteo quello di sabato che è inoltre riuscito anche a muoversi oltre il pur ampio orizzonte della questione ponte e grandi opere, portando, con lo striscione immediatamente successivo a quello storico d'apertura, solidarietà agli operai dell'INSSE che da circa un anno lottano affinchè il loro stabilimento non venga smantellato dall'avidità di un pugno di speculatori.

Ottimi sono dunque gli auspici per quella che si annuncia però essere una lunga e durissima lotta, su una questione tanto cruciale per i destini degli abitanti dello stretto.

da Infoaut

Le accuse di Tehran a Gran Bretagna e Usa

Un centinaio di imputati è comparso ieri davanti al tribunale di Tehran, per la seconda udienza di un inedito processo di massa per le proteste seguite alle contestate elezioni del 12 giugno scorso.
Una seconda fase con nuovi imputati e un’accusa specifica: noti giornalisti e dirigenti politici iraniani, una giovane ricercatrice francese e due iraniani impiegati rispettivamente dell’ambasciata britannica e di quella francese, sono accusati di spionaggio e di aver istigato le proteste d’intesa con potenze straniere per rovesciare la repubblica islamica in modo «soft».
La scena era molto simile a quella della prima udienza, una settimana fa: imputati con la divisa carceraria che sembra un pigiama grigio, nessun avvocato difensore, volti smagriti, deposizioni contrite. Tra gli imputati sono stati visti dirigenti politici come l’ex deputato della sinistra islamica Ali Tajernia, l’attivista Shahab Tabatabaì (capo della sezione giovanile della campagna per Mir Hosein Musavi, il principale candidato presidenziale riformista), e Javad Emaam, capo della campagna per Musavi a Tehran. E’ il gruppo che l’agenzia Fars ha definito «gli antagonisti e affiliati con i servizi stranieri» (prima c’erano stati «gli organizzatori del complotto», da ultimo verranno «gli hooligans» che hanno «disturbato la sicurezza pubblica»).
Tra loro anche Clotilde Reiss, 24 anni compiuti in carcere, arrestata il 1 luglio all’aeroporto: ricercatrice a Isfahan, ha ammesso di aver partecipato a manifestazioni e scattato foto poi inviate via e-mail agli amici, e anche «scritto un rapporto di una pagina inviato alla sezione culturale dell’ambasciata francese». Ha addotto «motivi personali: «Ma ammetto che è stato un errore», facendo appello al perdono.
Clemenza hanno invocato anche Hossein Rassam, analista politico dell’ambasciata britannica, e Nazak Afshar, impiegata a quella francese. Le loro confessioni sono più delicate, soprattutto quella di Rassam: ha detto che aveva un budget di 500mila dollari per stabilire contatti con gruppi politici, attivisti e persone inflienti, e aveva stabilito contatti anche con la campagna di Musavi; il suo compito, ha detto, era raccogliere informazioni da questi contatti a Tehran e altre città e mandare rapporti a Londra, che poi passavano anche a Washington.
Confessioni simili - e quelle di altri imputati, che hanno ammesso contatti con agenti americani - vanno a confermare la tesi dell’intero processo di massa: che la contestazione del voto e le proteste sono state parte di una cospirazione per rovesciare il regime, e che tale complotto era istigato da potenza straniere. L’atto d’accusa letto ieri è chiarissimo: Gran Bretagna e Stati uniti hanno fomentato i disordini per rovesciare il regime attraverso un «rivolgimento soft», ha detto il vice-procuratore capo Abdolreza Mohebbiati (citato dall’agenzia Fars); a questo scopo hanno anche dato assistenza finanziaria a ong e gruppi riformisti.
E’ il «teorema» del complotto straniero. L’Occidente ha cambiato tattica, ha detto il magistrato, ha sostituito il suo approccio militare con uno politico: non pianifica attacchi armati ma «progetti di regime change leggeri», rivoluzioni di velluto. In particolare, dice, l’amministrazione Usa ha organizzato un «programma di scambio», gestito da un ufficio a Dubai, attraverso cui giornalisti, accademici, intellettuali e artisti vengono invitati in Europa e in America e «addestrati» a raccogliere informazioni, creare siti web, diffondere opinioni contrarie al regime.
Se questa costruzione giudiziaria servirà a screditare l’opposizione riformista e chiudere la crisi è difficile dire. Ieri un gruppo di familiari di imputati che protestava davanti al tribunale è stato disperso dalla polizia con manganelli, riferisce il sito web riformista Mosharekat.
lontano dai riflettori, intanto, grandi cambiamenti sono in corso ai vertici militari e dell’intelligence, riferisce il sito Rooz online. Una settimana dopo aver destituito il ministro dell’intelligence Mohseni-Ezhei, il presidente ahmadi nejad ha rimosso due alti dirigenti dello stesso ministero, e numerosi capi della polizia in province dove si erano registrate proteste.

di Marina Forti da Il Manifesto