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giovedì 30 luglio 2009

Sanità: oggi a Bari, carabinieri in quattro sedi di partiti

-Le aquisizioni presso le sedi regionali di Pd, Socialisti, Prc e Lista Emiliano
-Sciacallaggio politico nei confronti di Sinistra e libertà

BARI- I carabinieri si sono presentati questa mattina in quattro sedi di partiti del centrosinistra a Bari. I militari hanno acquisito i bilanci dei partiti della Regione Puglia nell'ambito dell'indagine del pm Desirè Digeronimo sul presunto intreccio tra mafia, politica e affari nella gestione degli appalti pubblici nel settore sanitario. Indagate 15 persone tra cui l'ex assessore regionale alla Sanità Alberto Tedesco, ora senatore del Pd.

LE ACQUISIZIONI- I militari si sarebbero presentati nelle sedi regionali di Pd, Socialisti, Prc e Lista Emiliano. Gli accertamenti disposti dal magistrato, che ha firmato decreti di esibizione di documentazione, riguardano l'ipotesi di illecito finanziamento pubblico ai partiti in riferimento al periodo compreso dal 2005 ad oggi, comprese le ultime elezioni al Comune di Bari.

SCIACALLAGGIO- In un primo momento quasi tutte le testate giornalistiche hanno parlato anche di una perquisizione nella sede di Sinistra e Libertà, particolare poi smentito dai responsabili di partito. «Presso la sede regionale di Sinistra e Libertà a Bari non è stata effettuata alcuna acquisizione di documenti, né alcuna perquisizione da parte della Polizia Giudiziaria» ha precisato Nicola Fratoianni, esponente regionale del gruppo guidato da Vendola."Premesso che ogni atto utile a sgombrare il campo da sospetti di illeciti e' benvenuto - ha aggiunto - vorrei stigmatizzare ogni atto di sciacallaggio politico. Sinistra e Liberta', che da sempre e pubblicamente si e' battuta al fianco del presidente Vendola per garantire legalita' e trasparenza - ha concluso - e' naturalmente a disposizione della magistratura per tutto quello che puo' servire alle indagini".

L'INCHIESTA- Sono una quindicina le persone indagate tra cui l'ex assessore regionale alla Sanità Alberto Tedesco, ora senatore. Le ipotesi di reato sono di associazione per delinquere finalizzata alla corruzione, alla concussione, al falso, alla truffa; per alcuni reati si ipotizza l'aggravante di aver favorito un'associazione mafiosa.

L'invito del sindaco di Predappio: "Turisti in camicia nera state a casa"

Emilia Romagna
Sindaco di Predappio: "Basta con raduni nostalgici"

Forli', 28 lug. - (Adnkronos) - Giorgio Frassineti all'ADNKRONOS: "Questa 'fascisteria' e' nemica di Predappio - aggiunge il sindaco - non ci permette di pensare al futuro, ci relega al passato, fuori dalla ricerca della verita', della storia"
Forli', 28 lug. - (Adnkronos) - "Basta con i raduni del 28 ottobre, del 28 aprile e del 29 luglio. Non vedo cosa c'entri Predappio ad esempio con la Marcia su Roma e quindi non colgo il senso di manifestazioni di questo tipo nella nostra citta'". Lo dice all'ADNKRONOS Giorgio Frassineti, sindaco del Pd di Predappio, paese del forlivese dove e' nato Benito Mussolini, alla vigilia dell'anniversario di nascita del Duce. "Questa 'fascisteria' e' nemica di Predappio - aggiunge il sindaco - non ci permette di pensare al futuro, ci relega al passato, fuori dalla ricerca della verita', della storia".

"Oggigiorno piuttosto che organizzare raduni di questo tipo - prosegue Frassineti - sarebbe piu' costruttivo discutere a 360 gradi della figura di Mussolini, in maniera piu' equilibrata. Noi sappiamo bene che il nome del nostro paese e' legato indissolubilmente a Mussolini ma vorremmo che la gente arrivasse a Predappio animata da curiosita' e non da nostalgie fasciste. Chi arriva qui deve porsi delle domande e non vestirsi in camicia nera".
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PREDAPPIO
L'invito del sindaco di Predappio: "Turisti in camicia nera state a casa"

Giorgio Frassineti, neoeletto primo cittadino del paese dove nacque Benito Mussolini, chiarisce che i predappiesi sono tolleranti ma dice no alle cerimonie nel cimitero del paese. Forza Nuova chiede più sobrietà ai nostalgici, ma critica "questa uscita"
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Il sindaco di Predappio Giorgio Frassineti (foto Sabatini) Predappio, 28 luglio 2009 - L'invito è chiaro, la presa di posizione pacata nei toni ma decisa: "Turisti del fascismo, per favore, state a casa''. A parlare è il sindaco di Predappio Giorgio Frassineti, neoeletto tra le fila del Pd, che si rivolge direttamente alle migliaia di persone che ogni anno arrivano nel paese dove è nato Benito Mussolini, per manifestazioni nostalgiche in camicia nera. Di solito le date sono quelle che segnano la storia del fascismo e del duce. Come per esempio quella di domani, anniversario della nascita di Benito Mussolini.

Il fenomeno, a Predappio, c'è sempre stato. Ma negli ultimi anni è notevolmente mutato: se da una parte sono spariti i nostalgici repubblichini, dall'altra sono comparsi in maniera sempre più massiccia i giovani che non si fanno mancare una foto ricordo nei luoghi simbolo.

La scorsa primavera il regolamento comunale ha messo alcuni paletti ai negozi di souvenir: non si possono più esporre manganelli, croci uncinate o magliette inneggianti all'odio razziale. Oggi il sindaco si esprime con toni pacati ma spiega la situazione chiarendo: "I predappiesi da buoni romagnoli sono sempre stati tolleranti e accoglienti con tutti ma dà fastidio vedere che queste discutibili cerimonie si svolgono nel cimitero, dove è sì sepolto Mussolini, ma dove la gente del paese va per far visita ai propri cari. E' il luogo del dolore, e non è un bello spettacolo incontrare queste persone vestite come dei gerarchi fascisti''.

Il leader di Forza Nuova dell'Emilia-Romagna, Gianni Correggiari, chiede ai nostalgici del turismo fascista più sobrietà, ma critica il sindaco per 'questa uscita'. ''Fa torto anche alla gente del posto - ha detto - perché è sulle decine di migliaia di persone che ogni anno rendono omaggio a Mussolini che prospera l'economia del paese. L'invito del sindaco è stupido, ma forse è mosso solo dalla constatazione che Mussolini qualcosa a livello emotivo ha lasciato: sulle tombe di De Gasperi e Togliatti non ci va nessuno''.

http://ilrestodelcarlino.ilsole24ore.com/2009/07/28/211138-invito_sindaco_predappio.shtml

da Antifa

LECCE CARCERE DI BORGO SAN NICOLA - GUERRIGLIE FRA CLAN, AGENTI FERITI, CELLE SOVRAFFOLLATE

E' la fotografia che arriva dal carcere di Lecce. Nei giorni scorsi, scontri fra detenuti stranieri e italiani. In giornata, un agente finisce in ospedale. Celle sovraccariche rispetto al personale

LECCE - Guerriglia tra detenuti e aggressioni nei confronti degli agenti di polizia penitenziaria, una situazione a dir poco ribollente nel penitenziario leccese pronta ed esplodere.Bande criminali multietniche sono sempre pronte a imbastire veri e propri combattimenti. Nel periodo estivo, le criticità del carcere di Borgo San Nicola riaffiorano, alimentate dalle condizioni di estremo disagio con cui i carcerati sono costretti a convivere.

Giorni or sono, è scoppiata una rissa tra reclusi per questioni legate al "controllo e al comando interno". Su un fronte, compatti i detenuti extracomunitari, dall'altra gli italiani. A mani nude, senza impugnare armi o bastoni, i facinorosi hanno suonato la carica e la "tenzone" è stata sedata a fatica dagli agenti di polizia. Il gruppo di ribelli è stato identificato e l'intera sezione di detenuti è stata trasferita, smistando i vari detenuti in zone diverse per evitare ritorsioni o nuovi incroci. Il clima nelle celle si è nuovamente arroventato in mattinata. Durante l'ora di passeggio, un detenuto leccese si è scagliato contro un agente dopo un banale litigio. Quest'ultimo ha dovuto fre ricorso alle cure dei sanitari per le varie ferite riportate.

"Preoccupa il notevole e fastidioso sovraffollamento in luoghi dove sicurezza, salubrità, igiene e sanità sembrno rappresentare la fiaba dei tre porcellini", comunica con una nota l'Organizzazione sindacale autonoma di polizia penitenziaria, che va sotto l'acronimo di Osapp. "Ciò che destabilizza la situazione nel supercarcere di Lecce è il numero elevatissimo di reclusi che ha raggiunto le 1350 utenze, tra cui moltissimi cittadini extracomunitari e di colore che si scontrano con gli italiani dei clan avversi probabilmente per gestirsi il territorio carcere”.

E in questa situazione di degrado, rimarca il sindacato di polizia "gli agenti, quei pochi rimasti in turni di 40/45 in tutto il sistema leccese, deve fronteggiare vere e proprie guerriglie urbane, senza armi e senza sistemi di autotutela di polizia che i colleghi dei restanti corpi utilizzano negli stadi e nelle manifestazioni esterne pubbliche". "Circa 300 reclusi sono stati ammassati un due sezioni detentive, altri 310 in sezione opposte, dai pochi poliziotti penitenziari costretti a lavorare 12 e 15 ore al giorno tanto che solo nelle giornate scorse sono state utilizzate oltre il normale orario di servizio circa 600/700 ore di straordinario non pagato". Il sindacato di polizia penitenziaria insiste "sulla ricerca delle istituzioni anche attraverso un disegno di legge". Sul tavolo la chiamata diretta di circa settemila uomini e mille donne da destinare urgentemente a compiti istituzionali del corpo così come nei precedenti mesi è stato parzialmente offerto all’intero comparto di polizia e alle forze armate dello Stato".

"In quest'ottica", l'Osapp invita il capo del Dipartimento dell'ammnistrazione penitenziaria, Franco Ionta e il ministro della Giustizia ad avviare in via sperimentale la “zattera galleggiante” per l’utenza detenuta extracomunitaria e di colore chiarendo con quale personale specializzato vigilarla". "Sarebbe interessante", segnala Domenico Mastrulli, vicesegretario generale dell'Osapp, "capire poi con quali mezzi e con quali risorse economiche il Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria vorrà far fronte ai 16mila utenti tossicodipendenti di cui 2167 in trattamento metadonico, gli oltre 21mila e 400 extracomunitari delle varie etnie, i circa 5mila e 200 affetti da epatite virale cronica (Hbv e Hcv), i 2mila e 500 sieropositivi Hiv e le 6mila e 500 persone disturbate mentalmente".

"Attendiamo un chiaro segnale di apertura di un tavolo di concertazione con i neo parlamentari europei sulla questione sicurezza" scrive Masrtulli nella circostanzia nota, perchè è arrivata l'ora di concreti interventi e soluzione immediate".Per Mastrulli sarebbe necessario "bloccare le traduzioni e le assegnazioni per la Puglia e per Lecce in particolare da fuori regione e l'invio urgente di 100 uomini nel carcere di Borgo San Nicola ulteriori 100 del Gruppo operativo mobile", ossia i superagenti che si occupano della custodia e del controllo dei detenuti appartenenti alla criminalità organizzata.

da LeccePrima

Anguria City, Manni:"Il blitz del senatore Maritati"

Lecce (Salento) - Piero manni, consigliere regionale di Rifgondazione Comunista, commenta e non condivide l'atteggiamento di Alberto Maritati sulla delicata vicenda degli extracomunitari lavoratori nei campi di angurie a Nardò.

I cittadini stranieri, in particolare se abitano in gruppo e specialmente se in odore anche lieve di clandestinità, sono storicamente oggetto privilegiato dei blitz delle forze dell’ordine e di tutori (in)civili più o meno autorizzati o coperti dalle organizzazioni xenofobe tipo la Lega del Nord o il Governo di Berlusconi; che potessero diventare oggetto dei blitz del senatore Maritati e del PD, non in tanti ce l’aspettavamo.

"Maritati - comincia Manni - ci ha ancora una volta smentiti, noi che non ci rassegniamo ad accettare che il Senatore sia diventato guerrafondaio in prima linea e xenofobo umanitario (non di quelli, ossia, che i cittadini stranieri li sprangano); ha fatto un blitz in piena regola, in testa alle forze dell’ordine e dalle televisioni, un blitz dalla forte eco mediatica. Una eco mediatica che ha rischiato e rischia di provocare controlli e ritorsioni a tutto danno di quei cittadini stranieri che il Senatore ha voluto… ha voluto che cosa? Maritati non ha affrontato i neri nodi della questione, ignorando peraltro che ai bisogni materiali ed urgenti di questi nostri fratelli stanno dando risposte per quanto è possibile esaurienti tanti volontari, le parrocchie e le organizzazioni della sinistra"

"Meglio avrebbe agito Maritati se avesse fatto un blitz tra gli agrari che sfruttano in maniera intensiva gli immigrati (fino ad undici ore quotidiane di lavoro; un ingaggio che prevede il pagamento del salario soltanto se si completa il periodo; lavoro in nero; ecc. ecc.); meglio avrebbe agito se il blitz lo avesse fatto portandosi appresso non le televisioni bensì gli ispettori del lavoro; se il blitz lo avesse fatto presso il suo compagno di partito sindaco di Nardò, il quale sa benissimo che la situazione si ripete identica da diversi anni, e fa finta di nulla: non in nome dell’accoglienza bensì dell’economia del territorio (leggi: gli interessi degli agrari)".

"C’è una condizione di sfruttamento precapitalistico - continua il consigliere - di cittadini lavoratori: in queste terre che sono state la culla della democrazia salentina fondata sulle lotte bracciantili e l’occupazione delle terre dell’Arneo, in queste terre che sono state fecondate dal sangue dei braccianti, in queste terre si ripete la dialettica antica dei rapporti servili, lo sfruttamento intensivo, il caporalato. Tutto sotto gli occhi tolleranti di chi finge di non vedere e si compiace di denunciare la mancanza dell’acqua o dell’assistenza sanitaria (problemi, ribadisco, che il volontariato affronta in solidarietà e condivisione), ignorando che la questione è sempre quella: il conflitto tra capitale e lavoro".

"Immagino che in molti rimpiangano i bei tempi andati nei quali si poteva semplicemente sparare sui lavoratori disobbedienti; oggi la questione è più complessa, e bisogna versare qualche lacrima e pagare il tributo di qualche appassionata invettiva, sotto i riflettori della telecamera. Poi - conclude - di corsa nelle stanze del potere, a trattare e contrattare il prossimo segretario regionale del Partito. E i cittadini stranieri, che perdono la propria lingua insieme con il sudore di una fatica feroce? Bè, ne riparliamo l’anno venturo di questi tempi".

da IlPaeseNuovo

Nardò: emergenza e "free raiders"

Lunedì 27 luglio il quotidiano di Lecce ha pubblicato un articolo intitolato "Benvenuti nell'inferno di anguria city" che riportiamo per intero. L'articolo parla fra le altre cose dell'azione umanitaria portata avanti in questo periodo da alcuni volontari appartenenti ad alcuni gruppi politici di sinistra di Nardò. Proprio su questo punto vorrei soffermarmi per specificare di quali gruppi si tratta visto che le varie testate giornalistiche di questi giorni altro non hanno fatto che attribuire i meriti al Senatore Maritati per aver "scoperto" per primo la situazione.
Movimento per la sinistra e rifondazione comunista sono attivi già da circa venti giorni sul territorio neritino sia sul piano umanitario che istituzionale per far fronte a quest'emergenza, insieme a loro hanno collaborato costruire insieme e in un secondo momento i giovani democratici, grazie ai quali è stato pubblicato l'articolo.

Di Ilaria Falconieri

“Il cuore rallenta e la testa cammina” sono i versi con i quali Fabrizio De Andrè si avvicinava, in un suo pezzo, al mondo dei Rom. Quegli stessi versi accompagnano i passi, i pochi metri appena fuori dall’abitato neretino che bisogna percorrere per raggiungere la tendopoli degli immigrati stagionali. Loro non sono Rom, vengono dall’Africa da ogni parte dell’Africa (Sudan, Tunisia, Marocco, Burkina-Faso) ma si ha la sensazione di doversi avvicinare quasi con circospezione a questo loro mondo fatto di disperazione e speranza e non per paura del diverso, per xenofobia, come spesso accade, ma per paura di violare il loro dolore silenzioso.
La situazione degli immigrati stagionali, tristemente nota a Nardò, è solo una delle tante sacche di miseria e povertà che sistematicamente da 20 anni a questa parte si trasferisce dal sud del mondo a sud dell’Italia, Puglia, ma anche Calabria, Campania, Basilicata, Sicilia. Il Comune di Nardò per far fronte alla situazione si è attivato lo scorso anno con la realizzazione del progetto A.M.I.C.I che, attraverso i finanziamenti regionali, prevedeva la ristrutturazione dell’immobile masseria Boncuri e l’utilizzo di quest’ultimo come “centro di accoglienza” per gli immigrati stagionali. Il centro, tuttavia, gestito dalla cooperativa “Finis Terrae” può accogliere solo poco più di 50 persone mentre il flusso di immigrati che ogni anno interessa la nostra città è stimato attorno le 400 persone. Per assurdo dunque la pur meritevole iniziativa dell’amministrazione ha creato, se possibile, una gerarchia della disperazione, con immigrati di serie A, i fortunati che hanno trovato alloggio presso la masseria e quelli di serie B che si sono accampati nelle campagne come e dove hanno potuto. Ma la situazione è ancora più complessa e riguarda proprio le dinamiche sociali all’interno della tendopoli. Vi convivono etnie diverse, e sebbene sia stupefacente come questo avvenga senza grossi problemi, “all’interno del campo – racconta uno dei tanti volontari che quotidianamente portano il loro sostegno agli immigrati – le prevaricazioni sono all’ordine del giorno”. Sempre i volontari ci spiegano infatti che all’interno di questa comunità si sono creati dei fenomeni di caporalato interetnico per cui anche il solo possesso di un’auto per gli spostamenti costituisce un vantaggio tale da creare prevaricazione. “Chi tra di loro ha l’auto si fa pagare 3 euro per un passaggio” continuano i volontari “tra di loro poi alcuni si sono fatti gestori di una sorta di mensa e chiedono 3 euro e 50 per un piatto di cuscus o 1 euro per il latte”. Ma il vero problema è che molti di loro sono senza lavoro. Il prolungarsi delle piogge quest’anno ha infatti ridotto la richiesta di manodopera nei campi per cui molti immigrati non hanno denaro, per mangiare, per bere e meno che mai per partire. Poi c’è il decreto sicurezza che ha confuso ulteriormente le idee e generato tra gli extracomunitari il terrore di chiedere soccorso medico nonostante tra di loro, viste le precarissime condizioni igieniche in cui vivono, molti avrebbero bisogno di cure.
Una situazione al limite in cui però c’è una nota positiva e di speranza: un gruppo di volontari, si è attivato da alcuni giorni per alleviare le sofferenze di questa gente organizzando una distribuzione quotidiana d’acqua di cui, nel campo c’è, disperatamente bisogno. Si sono autotassati per l’acquisto di un contenitore da 200 litri con il quale approvvigionano il campo di acqua fresca che attingono da un pozzo privato poco distante, per un totale di 500 litri al giorno, si sono autotassati per acquistare prodotti contro le zanzare che dilagano nel campo torturandone gli “ospiti” e si stanno attrezzando per la distribuzione di generi alimentari da reperire, si spera, attraverso il buon cuore di tutti.
C’è poi l’intervento di alcuni medici che, “senza frontiere” in questa appendice d’Africa, hanno visitato alcuni malati nel campo, distribuito medicinali e si sono messi a disposizione con i volontari per qualsiasi esigenza.
Uno di loro, R.L, medico ospedaliero di Nardò, ci dice quanto importante sia che passi questo messaggio “Queste persone hanno diritto ad essere curate ed in merito ci sono disposizioni ben precise del governatore regionale. Anche un medico curante può e deve prestare cure mediche a quanti tra gli immigrati dovessero rivolgersi a lui, avvalendosi, per la prescrizione dei farmaci di un codice generico (x01) appositamente istituito”.
Tante infine le iniziative che hanno in cantiere i volontari atte a favorire l’integrazione: partite di calcio, feste interetniche e lezioni di italiano. Iniziative, assieme a quella della distribuzione dell’acqua, di cui hanno tuttavia remore a parlare temendo sgomberi coatti del campo o altri provvedimenti contro gli immigrati.
Un particolare colpisce della vita nel campo: un sottofondo di parole e musiche etniche grazie a qualche antenna parabolica sparsa qua e là. Unico contatto con una terra, la loro, che se non spinti da necessità non avrebbero probabilmente mai lasciato. Una musica questa che, gli italiani conosco bene.

Strage Borsellino, il processo si rifarà

Il processo per l'uccisione di Paolo Borsellino è oramai da rifare. Il primo pezzo sta già andando verso la revisione: usciranno di scena i falsi attentatori, entreranno nel nuovo dibattimento gli ultimi sospettati, resteranno sospesi sui loro ergastoli i mandanti mafiosi e resteranno coperti nel segreto ancora per un po' di tempo quei "mandanti altri" - gli occulti - che avrebbero deciso la strage insieme ai boss. Si ricomincia daccapo per tutti i massacri siciliani dell'estate 1992.

I pubblici ministeri di Caltanissetta studiano in questi giorni le carte per inviare alla Corte di Appello di Catania, competente per territorio, una tranche del primo processo Borsellino. E intanto hanno spedito una raffica di richieste ai capi dei servizi segreti, il vecchio Sisde e il vecchio Sismi, per "l'identificazione" di almeno una dozzina di agenti segreti coinvolti in "operazioni sporche" in Sicilia. Sono investigazioni ad incastro. Ogni giorno, a Caltanissetta, sfilano testimoni eccellenti che ricostruiscono vicende di 17 anni fa. Come due magistrati che, a metà mese, si sono presentati al procuratore capo Sergio Lari e al suo vice Domenico Gozzo. Due giovani colleghi di Paolo Borsellino a Marsala, un uomo e una donna. Hanno messo a verbale: "Un giorno di quell'estate siamo andati a trovare Paolo nel suo ufficio a Palermo, era stravolto. Si è alzato dalla sedia, si è disteso sul divano, si è coperto il volto con le mani ed è scoppiato a piangere. Era distrutto e ripeteva: "Un amico mi ha tradito, un amico mi ha tradito..."".

I pubblici ministeri di Caltanissetta ora stanno provando a scoprire il nome di quell'"amico" e provando a capire se il "tradimento" sia legato alla trattativa fra Mafia e Stato forse proprio all'origine della morte di Borsellino. S'interrogano testimoni e s'indagano nuovi protagonisti dei misteri e dei crimini siciliani. Mafiosi e funzionari di polizia che al tempo seguirono l'inchiesta, uomini dei "servizi", picciotti che trasportarono auto e esplosivi. Cambia anche l'"epicentro" mafioso delle indagini. Si sposta dalla "famiglia" della Guadagna (quella del pentito fasullo, Vincenzo Scarantino, che si autoaccusò della strage) a quella di Brancaccio (quella di Gaspare Spatuzza, il pentito che ha smentito Scarantino ammettendo di essere stato lui a portare l'autobomba in via D'Amelio), cambiano gli scenari mafiosi e non solo quelli.

La caccia è anche agli altri, agli "esterni" a Cosa Nostra, quelli che insieme ai boss avrebbero "ideato e organizzato" la strage. Si cerca ancora il misterioso agente segreto con "la faccia da mostro", l'uomo che sarebbe stato visto sia "nei pressi dell'Addaura" - quando mafiosi e "servizi" volevano far saltare in aria Falcone nel giugno dell'89 - e l'uomo - secondo le rivelazioni di Massimo Ciancimino - che complottava con suo padre, don Vito. Nelle ultime ore si è diffusa la voce che "faccia da mostro" era stato identificato. Falso. Poi, ieri, un foglio locale ha riportato la notizia che l'agente con quel volto deformato è stato avvistato anche in via D'Amelio il giorno della strage. Falso.

Nella convulsa nuova fase d'indagine sulle stragi siciliane si rincorrono notizie vere e taroccate, come se qualcuno avesse ricominciato ancora con manovre e depistaggi. In questo clima i pm di Caltanissetta si preparano a trasmettere gli atti del primo processo Borsellino alla procura generale, che poi li invierà alla Corte di Appello di Catania per la revisione.
In tutto sono 47 gli imputati condannati nei tre processi contro sicari e mandanti della strage. La revisione coinvolgerà sicuramente i protagonisti del primo dibattimento. E cioè il falso pentito Vincenzo Scarantino e il suo compare Salvatore Candura, poi Salvatore Profeta che era indicato da Scarantino come il "committente" del furto della Fiat 126. E infine Giuseppe Orofino, il proprietario del garage dove fu "preparata" l'autobomba. Molti degli imputati del processo bis e ter non saranno trascinati in un nuovo processo. Soprattutto quelli della Cupola, già condannati come mandanti. Al contrario, alcuni dei loro vice potrebbero vedersi annullato l'ergastolo. Ma c'è già un primo ostacolo "tecnico" per la revisione: a Catania, dove dovrebbe rifarsi il processo, procuratore generale è oggi Giovanni Tinebra che era procuratore capo a Caltanissetta quando si avviarono le indagini sulla strage Borsellino. C'è il rischio serio che il processo venga trasferito in un'altra Corte di Appello ancora: quella di Messina. In attesa di nuovi riscontri su via D'Amelio i magistrati raccolgono informazioni anche su Capaci. Il pentito Gaspare Spatuzza ha raccontato che "una parte dell'esplosivo per uccidere Falcone viene dal mare". L'hanno pescato nel Tirreno, polveri di bombe della seconda guerra.

Sarà classificato top secret il famigerato "papello" che dovrebbe consegnare Massimo Ciancimino. Oggi i magistrati lo aspettano a Palermo. Chissà se il figlio prediletto di don Vito questa volta porterà il suo "tesoro" di carte.

(30 luglio 2009) La Repubblica

L'influenza non paga la crisi, e la paura fa 90

La storia di un virus influenzale a passo con i tempi, e che non teme la crisi, e di un mondo dove chi non terrorizza si ammala di terrore.

Non c'è niente di più moderno di un virus influenzale: globale, per tutti, senza distinzione di razza colore e censo. Non conosce confini e dazi doganali, non lo fermano scanner, carceri e centri di identificazione; è neutrale, più delle nazioni unite, è neutro come genere; è nella crisi, suo volano e accelleratore, ma anche un passo avanti, si ricombina , muta, ha in sé un'attitudine ad essere libero, autonomo e indipendente. Fa paura, come un terremoto, perchè evolve e si scatena inaspettato, e accompagna mai sconfitto, ma solo arginato dai vaccini, il progressivo cammino della storia.

E', in verità, una storia antica; l'ultima vera pandemia è del biennio 1918/19; fine della prima Guerra Mondiale. Il mondo che si scopre più piccolo, e se da quella guerra nascerà la prima grande crisi economica e di sistema che sarà la radice del nuovo secolo della modernità, la prima traccia è l'epidemia di influenza, detta Spagnola, che colpirà tutti i continenti del Mondo e farà in due anni qualcosa come 50 milioni di morti e un miliardo di contaggiati.

Era nata nei campi dello stato americano del Kansas e arriva in Europa con il corpo di spedizione statunitense; nei paesi belliggeranti è tenuta nascosta, con una grandissima opera di censura, ma in Spagna, non coinvolta nel conflitto, la stampa riempie colonne intere dei giornali e trasmissioni della sempre più diffusa radio. Divenne un mito del terrorre che ancora i più vecchi raccontano con una certa ansia, solo in Italia si calcola che vi furono più di 600mila vittime.

Oggi, nel tempo della comunicazione globale tutti ne parlano, ed il contagio prima che fisico è mediatico; è il contagio della paura. La paura paga in termini econimici, i grandi operatori finanziari stimano un introito complessivo per le case farmaceutiche di 10 miliardi di dollari; la paura non fa pensare. Non si pensa alla reale situazione del sistema sanitario, allo sbando in molti paesi del G8, frammentario o inesistente nel resto del mondo, e aggravato dal tempo della crisi.

Non più tardi di quattro anni fà l'Organizzazione Mondiale della Sanità con l'appoggio del Fondo Monetario Internazionale hanno costretto le varie nazioni a fare scorte di farmaci per arginare il contagio dell'influenza aviaria; con i magazzini pieni ora serve un esercito di ammalati o meglio una società che abbia paura di ammalarsi. Una buona informazione spiegherebbe che ci si ammala di influenza ogni inverno e che il rischio pademia è relativo alle elevate possibilità di contaggio proprie di ogni influenza. Una buona informazione direbbe che i farmaci esistenti sono mezzi di cura e non di prevenzione e che il primo vaccino antivirale e previsto per l'autunno, sperando che il virus non muti.

Un'informazione malata dice che di influenza, di questa in particolare si muore; si muore pechè l'inflenza debilita e da corso e rafforza altre patologie già esistenti. Si muore perchè in paesi, come il Messico, se non hai una carta di credito per la clinica privata gestita da stranieri, in un ospedale pubblico non ti curano perchè i farmaci costano anche 84 dollari a dose.

Si muore perchè ci si ammala della paura di morire.

di Garbat da GlobalProject

Borsellino: ''Piano P2 in atto''

Camerano (AN).“Io credo che il più grosso vilipendio alle istituzioni sia rappresentato dal fatto che persone indegne occupano quelle stesse istituzioni”.Lo ha dichiarato Salvatore Borsellino, fratello del giudice Paolo Borsellino, nell’ambito della conferenza organizzata a Camerano, in provincia di Ancona, dall’associazione di volontariato “Finestre Rosse” e attualmente in corso. “Noi viviamo in un Paese in cui si fa strame della Costituzione, in cui c’è una legge per i potenti e una per i deboli. E basti pensare al lodo Alfano, secondo il quale ci sono persone che sono diverse dalle altre e non devono rispondere dei loro crimini”. “Noi – ha proseguito Borsellino – viviamo in un Paese in cui è in piena attuazione il Piano di rinascita della P2 di Licio Gelli e il fondo non è ancora stato toccato perché giorno dopo giorno scivoliamo sempre più verso il baratro”.

da Indymedia

CLOCHARD STA SCONTANDO A REBIBBIA TRE MESI DI CARCERE: AVEVA RUBATO UN FILONE DI PANE


28/07/2009) - Un clochard, a Roma, tre anni fa, viene sorpreso a rubare un filone di pane e un altro genere alimentare in un supermercato perché affamato. Arrestato e denunciato per furto si pensava che l'episodio fosse chiuso. Nel frattempo passano tre anni e il barbone romano è ricoverato presso l'Ospedale Santo Spirito, ma il giudice stabilisce la traduzione immediata in carcere. Questo dopo tre anni. Il giudice decide di fargli scontare tre mesi di reclusione nel carcere di Rebibbia. E' inflessibile. E' rigoroso. E' ligio alla legge. Prima di tutto la certezza della pena, poi gli aspetti umanitari. E' vero che in teoria siamo tutti uguali di fronte alla legge, ma ricordiamo che negli ultimi tempi uomini ubriachi o tossicodipenti, a Roma, hanno investito più persone che sono morte e sono a piede libero, cioè ai domiciliari. Lo stesso dicasi per alcuni stupratori donne e alcuni pedofili. Quello della giustizia, in questo Paese, è un problema serio e irrisolto. E' stato risolto il lodo Alfano per tutelare le cariche dello Stato. E basta. Vediamo il penale: in primo grado vieni condannato, in secondo la pena diminuisce e in terzo grado assolto.Intanto passano 10 anni e gli avvocati si arrichiscono, tranne che per Berlusconi che ha un pool capitanato da Ghedini e prima ancora da Previti ormai caduto in disgrazia perchè incastrato dalla Boccassini. Ricordo che il Governo Prodi fu varato l'indulto e alcuni detenuti che ne hanno usufruito erano dei delinquenti, ma per il povero clochard non c'è nulla da fare. Generalmente le agenzie di stampa o i quotidiani scrivono il nome del giudice, l'età dell'imputato e le sue condizioni. Ebbene non mi è stato possibile sapere chi ha adottato questa decisione e perchè. Leggere o conoscere la sentenza emessa in nome del popolo italiano. Questo clochard ora è ricoverato nell'infermeria del carcere di Rebibbia e mio auguro che parlamentari di tutti i gruppi e i Consiglieri regionali vadano a trovarlo. Anche Gesù ha detto: "Ero in carcere e siete venuti a trovarmi", ci racconta l'evangelista Matteo. A Roma ci sono quasi 1000 parlamentari vedremo quanti andranno a visitare un uomo che spinto dalla fame ha rubato un filone di pane. Lo stesso dicasi per il Consiglio Regionale del Lazio presieduto da Guido Milana (PD) e che ha ben 70 consiglieri regionali. Tutti possono andare in carcere a Rebibbia a vedere le condizioni di questo clochard e riferirne alla stampa anche con una conferenza ad hoc. E il deputato Rita Bernardini dei radicali e la sua amica Emma Bonino? ci facciano sapere qualcosa. Ho citato loro perché si dicono attenti ai diritti umani. lo dimostrino con i fatti anche delegando altri parlamentari o consiglieri regionali del Lazio. E poi ci sono i cattolici: quelli dell'UDC, Casini, Tabacci, e Cesa, c' è Rotondi, c'è il Sottosegratario Pizza alla PI, ci sono i ciellini Maurizio Bernardo e il Vice presidente della Camera Lupi, e tanti altri. Anche Buttiglione, Scalfaro, Emilio Colombo e Cossiga. Chiudo rilevando che lo stesso Di Pietro ha dichiarato che su 4.500 inquisiti per Tangentopoli (che non avevano rubato un filone di pane!) tantissimi non sono neanche entrati in carcere. A pagare è stato Cusani e qualche altro. Quindi il clochard affamato attualmente detenuto paga quanto un politico corrotto o concusso che ha saccheggiato le casse dello stato con tangenti o ricettazione di denaro. L'italia dei valori il cui segretario è Antonio Di Pietro, ex magistrato ( e a cui non possono certo raccontargliela) vada fino in fondo in questa triste vicenda che ha per protagonista un uomo debole, non tutelato ed escluso dalla società. Ma è sempre un uomo "creato a immagine e a somiglianza di Dio". E voi Enrico Letta e Rosy Bindi, cattolici adulti, non trovate un'ora del vostro tempo per andare a Rebibbia o pensate solo alle lotte intestine con altri cattolici come Franceschini, Fioroni, Binetti, e Marini? Pensate solo al potere, al successo e alla popolarità? Dimostrate, una volta tanto, che siete diversi da ciò che riguarda l' arrivismo e il potere.

Alberto Giannino da Indymedia

I carabinieri hanno impiccato un uomo a Rovereto

In risposta alla morte in carcere di un uomo di 48 anni (vedi il volantino allegato), oggi una trentina di compagni - a cui via via si sono uniti solidali e amici - ha bloccato per due ore diverse vie della città, mentre venivano fatti interventi al megafono, distribuiti volantini e affissi manifesti. Sullo striscione c'era scritto "Stefano è stato ucciso. Carabinieri e carcere assassini". Dopo le strade, per circa venti minuti sono stati bloccati due treni in stazione e poi di nuovo un corteo spontaneo ha chiuso corso Rosmini (il viale principale di Rovereto) con materiale vario recuperato nei cantieri a fianco. Non poteva mancare un saluto solidale ai detenuti. I carabinieri non si sono fatti neanche vedere (un'auto dei militi è rimasta bloccata dai manifestanti e se ne è andata in tutta fretta...). La polizia, benché avesse indossato minacciosamente i caschi e impugnato i manganelli, si è tenuta sempre a distanza. Oggi non era aria. Solidale la reazione di molti passanti e automobilisti e anche dei passeggeri dei treni. Questa morte non passerà nel silenzio.
In allegato il volantino distribuito.

anarchiche e anarchici

STEFANO È STATO UCCISO
CARABINIERI ASSASSINI

Martedì scorso, verso sera, Stefano Frapporti, detto “Cabana”, viene fermato a Rovereto da due carabinieri in borghese perché era passato col rosso in bicicletta. I militi cominciano subito a strattonarlo e a picchiano davanti ad amici e conoscenti; lo trascinano in caserma e poi perquisiscono casa sua, dove trovano un po’ di fumo.
Lo arrestano senza permettergli – né in caserma né in carcere – di avvisare l’avvocato oppure qualche parente. La mattina dopo lo trovano impiccato in cella, al collo il cordino della tuta (che per regolamento non potrebbe avere con sé). Ai famigliari non viene mostrato il corpo, che viene trasportato in fretta, subito dopo il funerale, verso la camera di cremazione (non sappiamo se la salma sia già stata cremata).

Questa storia fa acqua da tutte le parti. Due carabinieri in borghese che aggrediscono qualcuno per un semaforo rosso non rispettato, un arresto non comunicato, un “suicidio” compiuto con parti di vestiti che un detenuto non potrebbe avere quando arriva in cella, una salma che non viene mostrata ai famigliari, una cremazione non decisa dalla famiglia. A questo aggiungiamo che un’altra persona è stata arrestata subito dopo Stefano, sempre per fumo, e che in carcere aveva sul corpo i segni evidenti di un pestaggio.
Da notare infine il silenzio dei giornali, rotto solo quattro giorni dopo il “suicidio” per dire che la “procedura dell’arresto è stata ineccepibile” (mettiamo le mani avanti?), salvo poi rivelare – vedi il “Trentino” di oggi – alcune perplessità (affermando però allo stesso tempo che i risultati dell’autopsia confermeranno “fuori di dubbio” che Stefano si è impiccato).

A noi sembra invece “fuori di dubbio” che se non è stato ucciso in carcere, è stato pestato in caserma (motivo per cui i famigliari non sono stati avvertiti prima ed è stato poi impedito loro di vedere il corpo). Di fronte alla denuncia della famiglia, ora corrono ai ripari aprendo un’inchiesta. Una bella inchiesta. Come quelle sulle torture a Genova...

Sappiamo per certo che non è la prima volta che nella caserma dei carabinieri di Rovereto – come nelle caserme e questure di tutto il mondo – avvengono pestaggi. Per noi le responsabilità della morte di “Cabana” ricadono sui carabinieri che hanno condotto questa “brillante operazione”. Se non hanno stretto il cordino attorno al collo di Stefano, hanno fatto tutto il possibile perché se lo stringesse da sé. È entrato in caserma vivo martedì sera, mercoledì mattina è uscito morto da una cella di via Prati. Punto.
Per questo diciamo che sono degli assassini.
Non possiamo accettare tutto questo. Accettarlo vorrebbe dire rinunciare ad ogni slancio del cuore, ad ogni sussulto di dignità, ad ogni sentimento di solidarietà.
Non possiamo permettere che la normalità cittadina proceda come se niente fosse.

da Indymedia

Grecia - squadracce di neofascisti per cacciare i migranti dai quartieri

Atene – Nella capitale greca gruppi di cittadini rabbiosi spalleggiati da militanti di estrema destra stanno cacciando i clandestini, per lo più afghani, da alcuni quartieri della città, come Agion Panteleimon. Gli immigrati, che da mesi dormivano nei parchi, nelle strade o dai “mercanti di sonno”, sono circa duemila. Tuttavia queste spedizioni punitive hanno fatto sloggiare gli stranieri solo di qualche via. Ci vuole ben altro per risolvere un problema mondiale come quello dell'immigrazione

“Abbiamo paura. Camminiamo radendo i muri. E' così dura che molti preferiscono tornare in Afghanistan, ma nessuno ci aiuta ”, si lamenta Zahir Mahmadi, un ex militare che ha chiesto asilo politico, e che passa le giornate a cercare di alleviare le sofferenze dei suoi compatrioti. La Grecia, che rifiuta la regolarizzazione a coloro che sono arrivati dopo il 205, ci rifiuta i documenti. Anche a “20 euro al giorno non c’è piu’ lavoro sui cantieri. Che ci lascino almeno continuare verso altri paesi d’Europa”.

Per la gente del quartiere di Agion Panteleimon “bisogna fermare il flusso di stranieri che entra nel paese”, ma è tuttavia opinione diffusa che la violenza non sia una soluzione. “Sono contro questi metodi – dice Haralambos Drakulis, un commerciante della zona – e poi a furia di picchiare – inizieranno a rispondere anche gli immigrati e allora le cose si complicheranno”.

Dopo anni di sottovalutazione del problema, la Grecia sta correndo ai ripari. Il governo conservatore ha prolungato la durata di detenzione per i clandestini fino a sei mesi, e poi a un anno. La pena per gli organizzatori del traffico possono arrivare ad un massimo di 30 anni di carcere. Il ministro degli interni ha inoltre predisposto una serie di campi chiamati “di ricezione”, ma che le ong hanno già definito “di concentramento”, e organizzato un servizio di rimpatrio in aereo.

da Indymedia

Tokyo rilancia, tre esecuzioni all'alba di ieri

Il boia non molla. Nonostante lo scioglimento della Camera e l'inizio di una campagna elettorale che potrebbe scalzare dal potere la Balena Gialla, il ministro della giustizia Eisuke Mori ha trovato il tempo, ieri, di ordinare tre esecuzioni. Così, all'alba e come al solito senza alcun preavviso, due persone sono state impiccate a Tokyo e una a Osaka, tutti rei confessi di almeno tre omicidi ciascuno. Una danza macabra alla quale il governo giapponese, incurante delle pressioni internazionali e invocando il diffuso quanto irrazionale consenso popolare, ci ha abituato negli ultimi anni.Da quando, accettando di annunciare i nomi dei condannati e il carcere dove sono stati giustiziati, ha al tempo stesso premuto sull'acceleratore delle esecuzioni. «E' questione di efficienza e di credibilità della giustizia», soleva dire uno dei più efficaci interpreti della nuova linea «trasparente», l'ex ministro della giustizia Kunio Hatoyama: «Se i tribunali emettono una sentenza, questa va eseguita. Non avete idea di quanto costi, all'erario, mantenere un condannato a morte», disse tra gli sguardi allibiti dei giornalisti stranieri e quelli indifferenti dei colleghi locali, chini sui taccuini.
A fine agosto in Giappone si vota, e al potere, dicono i sondaggi (e forse stavolta non sbagliano) andrà il partito democratico. Alla cui guida c'è Yukio, fratello maggiore dell'ex ministro forcaiolo. Yukio è un gentiluomo, veste Armani e promette ai giapponesi cose inaudite: indennità di disoccupazione, sussidi per le famiglie povere, pannolini gratis alle mamme che fanno figli, abolizione dei pedaggi autostradali. Ma sulla pena di morte la pensa come il malsopportato fratellino. Nel «manifesto» (si chiama proprio così) del partito democratico la questione della pena di morte è appena accennata, con un vago richiamo alla necessità di affrontare il problema, ma senz'altro impegno se non quello di accelerare la riforma del codice penale e introdurre il carcere a vita senza possibilità di libertà anticipata o di sconti di pena, come di fatto (ma solo per i criminali comuni) avviene oggi.
Per una strana ma inquietante coincidenza, ieri la polizia giapponese ha anche comunicato i nuovi, drammatici dati sui suicidi. Rispetto all'anno scorso, che pure aveva segnato un record (34 mila suicidi) sono aumentati nei prime sei mesi di quest'anno del 4.2%. Oramai siamo a 94 suicidi al giorno, oltre 100 nei mesi più difficili, come aprile, quando termina l'anno fiscale e le imprese debbono licenziare o dichiarare fallimento. Anche in questo caso, il partito democratico non trova di meglio che promettere, in caso di vittoria, di proibire le polizze che pagano anche il suicidio, che in Giappone, unico paese al mondo, sono la norma. Molti ritengono che questa pratica rappresenti di fatto un incentivo per quanti, disperati per la perdita o la mancanza di un lavoro, cercano un modo socialmente e finanziariamente accettabile per consentire alla famiglia di sopravvivere.

di Pio D'Emilia da Il Manifesto

Verso la fine dello stato di diritto


Credo sia un grave errore pensare che il governo Berlusconi, la maggioranza berlusconiana, non persegua una ben precisa strategia che mira a modificare in modo radicalmente autoritario ed illiberale il nostro paese. Il disegno, di chiara matrice piduista, impone sia ampie revisioni costituzionali che svuotamenti della Carta attraverso la legislazione ordinaria: matrice di fondo è la soppressione di quella che gli anglosassoni chiamano balance of powers, il bilanciamento dei poteri.

La Costituzione deve subire – in tale progetto strategico - una svolta presidenziale, con la concentrazione dei poteri di governo nelle mani di un’unica persona: il parlamento ridotto a mero organo di ratifica dei voleri della maggioranza, Corte costituzionale e Consiglio superiore della magistratura modificati nella loro composizione attraverso l’aumento dei membri di nomina politica. Il presidente della repubblica sarà quindi capo del governo, capo delle forze armate, capo del csm e magari, se lo scenario di infiltrazione mafiosa nel tessuto economico e politico-istituzionale del nostro paese rimarrà quello attuale, anche capo dei capi.
Dal momento che anche una maggioranza di chiara ispirazione autoritaria ed illiberale non potrà mai abolire formalmente l’art. 3 della Costituzione (l’uguaglianza delle persone di fronte alla legge) e l’art. 21 della Costituzione (libera manifestazione del pensiero e diritto di cronaca) ecco che si colpiscono – attraverso lo strumento della legge ordinaria – quelli che sono due baluardi di ogni stato di diritto che consentono l’effettiva attuazione di tali principi: l’autonomia e l’indipendenza della magistratura e dell’informazione. In questi ultimi mesi la maggioranza sta portando avanti un disegno di complessivo annichilimento dell’autonomia della magistratura e dell’indipendenza, libertà e pluralismo dell’informazione.
Corollari di un disegno autoritario di questo tipo sono anche taluni censurabili provvedimenti normativi adottati negli ultimi mesi e che offrono una chiara cornice dell’avanzare del fascismo del terzo millennio: 1) le ronde che – mortificando le forze dell’ordine - introducono la privatizzazione della sicurezza pubblica e l’istituzionalizzazione in alcune aree del controllo del territorio da parte della criminalità organizzata (tipico strumento utilizzato nel ventennio del secolo scorso e nel periodo iniziale dei paramilitari colombiani); 2) il ricorso sempre maggiore ai militari per compiti di ordine pubblico che – soprattutto in un’ottica di presidenzialismo di chiara ispirazione piduista – potranno essere utilizzati per affrontare conflitti sociali e reprimere il dissenso che viene sempre più criminalizzato nel nostro paese attraverso pratiche liberticide tipiche della tolleranza zero; 3) la criminalizzazione dell’immigrato in quanto tale e non perché ha commesso un reato, ossia l’introduzione della colpa d’autore tanto cara al regime nazi-fascista, con tratti xenofobi indegni di un paese democratico.
Un disegno autoritario di tale portata nasce e si consolida attraverso un ricercato crollo etico anche grazie all’imperversare della pubblicità commerciale, del consolidamento della teoria del consumatore universale, del radicamento del pensiero unico, del rovesciamento dei valori: non conta chi sei, qual è la tua storia, ma quanto appari; il culto del profitto, dell’avere al posto dell’essere, del dio denaro. Un revisionismo culturale realizzato in anni di bombardamento mediatico, in un conflitto di interessi mai affrontato da un opaco centro-sinistra intriso da tanti conflitti d’interessi. Un definitivo controllo delle coscienze e la narcotizzazione delle menti e finanche dei cuori deve passare attraverso la mortificazione della scuola pubblica, dell’università e della ricerca: deve apparire che siamo un paese normale (quanto bello ed attuale quell’articolo di Domenico Starnone che parlava di normale devianza).
Di fronte ad un disegno che appare a tratti anche eversivo dell’ordine costituzionale; di fronte ad un paese dove le mafie condizionano in modo devastante parte significativa del pil e riciclano immani somme di denaro in ogni settore suscettibile di valutazione economica ed in ogni parte del territorio nazionale; di fronte ad una capillare penetrazione della criminalità organizzata in vasti settori della politica e delle istituzioni, attraverso soprattutto il controllo della spesa pubblica; di fronte ad un collante sempre più evidente tra sistema politico castale e criminalità organizzata; di fronte a tutto questo, le forze democratiche – in qualunque articolazione della società civile siano presenti - debbono impegnarsi tanto e concretamente per impedire la realizzazione di un tale progetto politico che condurrà inesorabilmente alla fine dello stato di diritto.
Così come chi è investito di ruoli istituzionali e non è ancora totalmente assuefatto a tale sistema di potere deve battere un colpo per difendere la Costituzione nata dalla Resistenza e per far sì che venga attuata giorno per giorno.

di Luigi De Magistris Eurodeputato Italia dei Valori
da Il Manifesto

Bologna: Due Agosto: Corteo della memoria fino a Piazza dell'Unità ·

Pubblichiamo il comunicato dell'iniziativa che promuoviamo per il Due Agosto insieme ad altri singoli, reti e spazi sociali cittadini.

NOI SAPPIAMO. NOI NON DIMENTICHIAMO

«Io so. Io so i nomi dei responsabili di quello che viene chiamato golpe (e che in realtà è una serie di golpes istituitasi a sistema di protezione del potere). 

Io so i nomi dei responsabili della strage di Milano del 12 dicembre 1969. 

Io so i nomi dei responsabili delle stragi di Brescia e di Bologna dei primi mesi del 1974. 

Io so i nomi del "vertice" che ha manovrato, dunque, sia i vecchi fascisti ideatori di golpes, sia i neofascisti autori materiali delle prime stragi, sia, infine, gli "ignoti" autori materiali delle stragi più recenti.»

Così incominciava il “Romanzo delle stragi” di Pasolini (1975). Ma in anni recenti, anche e soprattutto negli appelli alla verità fatti dai palchi e dagli scranni istituzionali, assistiamo al tentativo di trasformare la memoria delle stragi in una commedia, dove vengono messi in scena personaggi improbabili e continui depistaggi. Non potendo tutto negare, le dichiarazioni di rappresentanti di governo, così come i tanti libri recenti scritti da postfascisti e le cicliche rivelazioni giornalistiche al soldo del regime, tendono ad accreditare una verità dimezzata: furono alcune “menti bacate” neofasciste a promuovere la “strategia della tensione” e la violenza stragista degli anni Settanta.

Ma noi sappiamo qual è il loro gioco: nascondere e far dimenticare i mandanti e la finalità delle stragi, la loro genesi nelle istituzioni opache dello Stato italiano, dimostrata in tanti processi. Dalla strage di piazza Fontana del 1969 fino a quella di Bologna del 1980, l’Italia ha sperimentato infatti una lunga “strategia delle stragi” condotta da uomini degli apparati dello Stato e da neofascisti da essi personalmente organizzati, indirizzati, finanziati e protetti. Quelle bombe contribuirono a reprimere il movimento operaio e studentesco: il loro scopo era quello di spaventare, di manipolare l’opinione pubblica, di promuovere con la violenza un “ritorno all’ordine”. E quei crimini sono effettivamente serviti per costruire un mondo più ingiusto, ipocrita e violento. Oggi è importante ricordare che lo stragismo fu di Stato. Non solo contro tutti i tentativi di depistaggio e di revisionismo, ma soprattutto perché la memoria diffusa è l’unico antidoto contro la possibilità che certi eventi possano ripetersi.

Per questo, in occasione dell’anniversario della strage di stato del 2 agosto 1980 alla stazione di Bologna, vogliamo ribadire, con Pasolini, che noi sappiamo e non dimentichiamo. Vogliamo ribadirlo soprattutto oggi che la repressione della diversità, delle lotte sociali, dei desideri di liberazione, dei diritti delle persone si fa sempre più violenta. E non intendiamo essere complici di chi, ancora una volta, utilizzerà l’anniversario di una strage per sdoganare il proprio criminale revisionismo e negare le complicità con il fascismo di ieri e di oggi.

Invitiamo le donne e gli uomini che considerano la memoria e l’antifascismo valori etici irrinunciabili a lasciare, dopo il suono della sirena alle 10.25, il piazzale della stazione e proseguire con noi nel “corteo della memoria” verso piazza dell’Unità.

Antifasciste e antifascisti
(riunite e riuniti in assemblea il 27 luglio)

http://assembleantifascistabologna.noblogs.org/post/2009/07/29/due-agosto-corteo-della-memoria-fino-a-piazza-dell-unit

da Antifa

Sudan, la battaglia di Lubna "Processo pubblico per i pantaloni"


KHARTOUM - Lubna Hussein, l'impiegata dell'Onu e giornalista che rischia 40 frustate per aver indossato pantaloni in pubblico, ha deciso di rinunciare alla sua immunità diplomatica e di lasciare le Nazioni Unite per fare del suo processo un caso internazionale. "Voglio dimettermi dall'Onu, voglio che questo caso continui", ha dichiarato Hussein davanti alla corte che le ha chiesto se intendeva avvalersi della sua immunità.

L'avvocato della donna, scrive il giornale britannico Independent, ha spiegato che il suo obiettivo è di "dimostrare la sua innocenza", cosa che non potrebbe fare se si avvalesse dell'immunità, e "combattere contro la legge, che va riformata".

L'accusa su di lei è quella di atti osceni in luogo pubblico, per aver indossato un paio di pantaloni verdi in un ristorante, ampiamente coperta da uno scialle fino al bacino. Hussein ha anche rifiutato la grazia del presidente Omar al-Bashir e il processo, che doveva essere celebrato ieri, è stato aggiornato al 4 agosto.

La dipendente Onu, che è anche giornalista e ha scritto articoli molto critici con il regime sudanese, ha deciso di trasformare il giudizio in un caso mediatico, invitando amici e sostenitori: già ieri, la corte era piena di attivisti per i diritti delle donne e ong che la sostengono. Hussein è stata accusata dopo un raid della polizia in un ristorante lo scorso 3 luglio, in cui sono state arrestate altre 10 donne, punite con 10 frustate l'una pochi giorni dopo con un giudizio sommario. L'impiegata dell'Onu e altre tre donne, accusate dopo la retata, si sono invece rivolte a un avvocato e hanno potuto cominciare un vero processo.

da LaRepubblica

Fare lo schiavo in Italia

Le Monde racconta del dramma dei migranti impiegati come lavoratori stagionali nel meridione d’Italia, durante l’estate. “L’Organizzazione internazionale per le migrazioni (Oim) ha denunciato le condizioni ‘indegne’ di oltre un migliaio di lavoratori marocchini nel sud Italia, a San Nicola Varco, provincia di Napoli”.

Il racconto di Le Monde, che riprende la denuncia dell’ong, è impietoso. “I lavoratori migranti vivono in una baraccopoli in mezzo alla spazzatura, senza acqua corrente né elettricità. La loro giornata di lavoro inizia alle quattro e mezza del mattino e dura sedici ore: sono pagati tra i 15 e i 25 euro al giorno e ogni volta che vogliono bere dell’acqua devono pagare 3 euro”. In più, sono tutti vittime di una truffa: “A molti era stato promesso un lavoro stagionale in regola, e sono arrivati in Italia nell’ambito delle quote fissate dal governo per il lavoro stagionale. Una volta in Italia, però, il loro datore di lavoro è scomparso o ha rifiutato di dare loro lavoro, così molti sono stati consegnati alle fattorie”.

E non si tratta di un caso isolato. “Secondo il portavoce per l’Oim in Italia, questa situazione potrebbe riguarda ‘migliaia e migliaia di immigrati’. Il lavoro sommerso, soprattutto nel settore agricolo, è estremamente diffuso in Italia e rappresenta una cifra intorno al 15 per cento del pil, secondo i dati ufficiali citati dall’Oim”.

Altri link sull’Italia
Is this the end for Italy’s most spectacular horse race?, The Guardian
Safety rules aim to tame the perils of the Palio, The Independent

da Internazionale