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mercoledì 19 maggio 2010

Caso Aldrovandi: poliziotti assassini si permettono di querelare la mamma del ragazzo ucciso!


Melma, liquame puzzolente, merda secca, un “nuddu mischiato a niente”,
degli assassini, uomini e donne toturatori, bastardi. Assassini a sangue freddo di uno scricciolo di pochi kg e ancora meno anni.


Hanno querelato la mamma di Aldro,
quei 4 merdosi assassini, quei 4 che hanno ucciso a calci e pugni,
quei 4 che hanno ucciso montando sopra e soffocando un ragazzetto ammanettato e colpevole di nulla,
quei 4 vili assassini in divisa, quelle 4 MERDE assassine si sono permesse di denunciare Patrizia.
PATRIZIA SIAMO CON TE!


I 4 assassini, che indossano la divisa da tutori dell’ordine di questo Stato merdoso, si chiamano ENZO PONTANI, MONICA SEGATTO, LUCA POLLASTRI e PAOLO FORLANI.
L’ultimo si è astenuto dal firmare la querela.
Spero sappiano, questi 4, che nessuno ha mai dimenticato i loro nomi e che MAI avverrà.

QUI LE PAROLE DEL PADRE DI ALDRO, dal suo blog:

Questa mattina sono andato a prendere in posta un atto giudiziario…..indirizzato a Patrizia, mia moglie, la mamma di Federico, la madre di mio figlio ucciso il 25 settembre 2005 da 4 individui in divisa, come da sentenza del 6 luglio 2009. Credevo a una violazione magari al codice della strada, è facile sbagliare in questi tempi così caotici e frenetici per tutti.
Quel documento è invece una fissazione di udienza per il 18 giugno 2010 presso il Tribunale di Mantova dove Patrizia con altre due persone (due responsabili di testate giornalistice quali la Nuova Ferrara e l’ANSA) sono state citate a comparire per rispondere di non so quale reato o reati in quanto sul documento non vengono citati. Presumo io per frasi o parole ritenute diffamatorie o calunniose, chissà, visto che fra i citati ci sono due giornalisti.
Io di pazienza ne ho avuta tanta, forse troppa, ma quello che mi fa più male è il fatto che il Pubblico Ministero aveva richiesto l’archiviazione per questo fatto specifico, ma Pontani Enzo, Segatto Monica e Pollastri Luca (manca Forlani Paolo) coloro che sono stati ritenuti responsabili della morte di Federico, hanno pensato bene di non accettarla e di avvalersi del rito dell’opposizione. Il particolare che vorrei evidenziare è la data della richiesta di opposizione, 15 marzo 2010, e cioè alla luce di due sentenze chiare e ed inequivocabili, rispettivamente del 6 luglio 2009 e 5 marzo 2010

Qui
http://federicoaldrovandi.blog.kataweb.it/federico_aldr...enza/

e qui
http://federicoaldrovandi.blog.kataweb.it/federico_aldr...0/04/

Federico è morto di morte violenta senza alcun motivo e se non avesse incontrato Pontani Enzo, Pollastri Luca, Forlani Paolo e Segatto Monica sarebbe ancora vivo e non lo dico io lo dice lo Stato attraverso i suoi organismi preposti (Procura e Tribunale).
Avrei sperato e lo spero ancora, nonostante queste assurdità di violenze che continuano a soffocare e a bastonare Noi e chi ci è vicino, che questo orrore, questa arroganza, questo disequilibrio, questa cattiveria, presto abbiano una fine. Vorrei riuscire finalmente a sussurrare in pace, davanti a quel marmo che mi divide da quel corpo o da quello che resta di uno dei beni miei più preziosi, parole d’amore, quelle che con Federico ci siamo dette e scambiate, anche con gli sguardi, durante 18 anni fantastici e magnifici che nessuno potrà mai infangare e uccidere.
Come dovrei definirla sig. Pontani Enzo per quello che ha fatto quella mattina a mio figlio, per non incorrere in una querela?
Come dovrei definirla sig. Pollastri Luca per quello che ha fatto quella mattina a mio figlio, per non incorrere in una querela?
Come dovrei definirla sig.ra Segatto Monica per quello che ha fatto quella mattina a mio figlio, per non incorrere in una querela?
Come dovrei definirla sig. Forlani Paolo per quello che ha fatto quella mattina a mio figlio, per non incorrere in una querela?

Nessun problema, ci ha già pensato un Giudice al di sopra delle parti a descrivere perfettamente chi siete e non abbiamo bisogno insieme a chi ci è vicino (30 querelati), per il momento, di dire altro.
Purtroppo, per il momento, sono costretto a pagarvi anche lo stipendio e di conseguenza le vostre querele di fronte alla morte, ma non sarà all’infinito, anche se cautelativamente vi avrei visto a casa dal lavoro alla luce di orrori ed errori emersi palesemente.
Fino in fondo e oltre.
Lino

P.S. cliccando sotto, questo l’articolo per cui Patrizia è stata querelata ai sensi dell’art. 495 c.p. per diffamazione per quello da lei affermato nelle ultime due righe http://ricerca.gelocal.it/lanuovaferrara/archivio/lanuo....html

Orbene, io Lino Aldrovandi mi chiedo cosa devo pensare e che terminologie utilizzare nei confronti di questi 4 individui, quando un Giudice in uno dei suoi innumerovoli illuminanti passaggi nella sentenza del 6 luglio 2009, arriva ad affermare che “l’aspetto che colpisce nella deposizione del dr. Marino (condannato anche questo signore, della polizia di indagine…, il 5 marzo 2010), nella parte in cui riporta in modo pedissequo e quasi pedante il decorso degli avvenimenti nel racconto dei suoi uomini, è come lo stesso non abbia rivolto agli stessi nessuna domanda, non abbia rilevato contraddizioni, incongruenze, omissioni, assurdità che invece si colgono a piene mani nel racconto degli agenti”. Qui un altro passaggio del Giudice tanto per intenderci nel concetto della morte violenta (cap. 4) “MORTE VIOLENTA ascrivibile a più forte ragione all’azione violenta, improvvida ed illegale degli agenti, lasciandosi peraltro aperti dubbi e ipotesi su una diversa, inquietante, realtà fattuale”

PUNTO

da Indymedia

Violenza di Stato, una questione aperta


Sembrano lontani gli anni 70, ma fu proprio in quegli anni che qualcuno iniziò a parlare di forze dell'ordine al servizio del cittadino, di smilitarizzazione della P.S. In qualche modo pareva essersi avviato un nuovo percorso più democratico, per quanto fragile fosse. Poi i fatti di Napoli 17 marzo 2001 prima del G8 a Genova, e Genova stessa poco dopo giovani manifestanti furono illecitamente arrestati, picchiati, vessati e torturati. Questi fatti hanno avviato il paese ad una regressione repentina dello stato di diritto

Quello di Stefano Gugliotta, il venticinquenne arrestato il 5 maggio scorso, dopo essere stato percosso dalle forze dell' ordine, in seguito al quale ha riportato ferite sulla testa, ematomi sulle gambe, lividi da manganelli sulla schiena e un dente rotto, oltre ovviamente uno stress psicologico, non è che l'ennesimo episodio di violenza da parte dello Stato su un cittadino. Tuttavia non è superfluo ricordare i casi di Federico Aldrovandi, un ragazzo di 18 anni morto a causa delle percosse degli agenti di polizia, Giuseppe Uva, Il recente caso di Stefano Cucchi massacrato quando era in stato di detenzione, impossibile non ricordare la struggente vicenda di Giuliana Masi uccisa a Roma il 12 maggio 1977 a soli 19 anni.
Sembrano lontani gli anni 70, ma fu proprio in quegli anni che qualcuno iniziò a parlare di forze dell'ordine al servizio del cittadino, di smilitarizzazione della P.S. In qualche modo pareva essersi avviato un nuovo percorso più democratico, per quanto fragile fosse. Poi i fatti di Napoli 17 marzo 2001 prima del G8 a Genova, e Genova stessa poco dopo giovani manifestanti furono illecitamente arrestati, picchiati, vessati e torturati. Questi fatti hanno avviato il paese ad una regressione repentina dello stato di diritto.
Domandiamoci che Stato è quello che permette tali violenze abiette, offensive della dignità e dell'incolumità della persona, oltre che delle pubbliche istituzioni, alimentate soprattutto dalla loro impunità, a sua volta conseguente dalla loro più o meno tacita legittimazione politica e culturale. Si pensi a tal proposito al Ministro Vito che ha tentato di spostare il focus gettando discredito su Stefano Gugliotta, un cittadino, che di fatto si trovava sequestrato dallo Stato dopo averne subito la violenza. Il Ministro ha fatto riferimento a segnalazioni e denunce nei confronti di una persona che al casellario giudiziario risulterebbe incensurata e senza carichi penali pendenti.
E' utile ricordare che una delle forme di habeas corpus, è proprio l'immunità da torture e da pene corporali. Si badi bene, che non si tratta di un problema puramente di carattere teorico e appartenente alla tradizione classica, settecentesca, del garantismo penale, ma di un problema di grande attualità, drammaticamente attuale, considerato che le sevizie su arrestati e detenuti in un paese di democrazia avanzata come il nostro, sono numerosi. Infatti le torture, come nel caso della Bolzaneto e della Diaz di Genova, nonché questi ultimi casi di ragazzi aggrediti e picchiati anche fino a causarne la morte, sono il frutto di esplicite direttive, rese possibili dal disprezzo assoluto per il diritto e per la la persona, e dalla logica di potere e violenza che in questi anni la politica ha volutamente e colpevolmente riportato in auge, come nelle migliori tradizioni illiberali e dittatoriali, siamo in presenza di una velocissima corrosione dei diritti umani.
Non a caso negli Stati Uniti si era, tempo fa, aperto un dibattito sull'ammissibilità della tortura per casi "eccezionali" , come ad esempio ottenere informazioni importanti da un terrorista. Attenzione però, perchè i casi di scuola sono sempre eccezionali, contrariamente ai casi pratici, dove una volta legittimata eccezionalmente la violenza, essa rischia di diventare un pratica ordinaria. E' proprio per non consentire deroghe al principio, che le "eccezioni" sono state escluse dal diritto come cause di giustificazione della violenza che, secondo l'art. 2 secondo comma della Convenzione del 10 dicembre 1984, "nessuna circostanza eccezionale, di qualsiasi natura, compresi lo stato di guerra o la minaccia di guerra, la instabilità politica interna o qualunque altra pubblica emergenza, potrà giustificare la tortura. Né può essere invocato a tal fine, aggiunge il comma 3 medesimo art., l'ordine di un superiore o di una pubblica autorità".
La prima difesa della civiltà della nostra civiltà giuridica, è la riaffermazione che nel senso comune debba essere sempre rinnegata la violazione della persona, questo soprattutto contro i cedimenti demagogici della ragione, perché l' interazione che sussiste tra diritto e senso comune che può preservarci contro il ripetersi di tali pratiche vergognose, la cui esistenza va ben oltre le aperte denunce, di fatto scoraggiate dal rischio che corrono i denuncianti di essere perseguiti per calunnia. E' necessaria una stigmatizzazione e punizione, come delitto di "tortura", di qualunque atto consistente, secondo la definizione dll' art. 7 comma 2 lett. e dello Statuto della Corte penale internazionale adottato a Roma il 17.7.1998, "nell'infliggere intenzionalmente gravi dolori o sofferenze, fisiche o mentali, a una persona di cui si abbia la custodia o il controllo".
E' evidente che in Italia è venuta a mancare questa garanzia, in quanto si applicano ai casi di vera e propria tortura, figure di reato del tutto sproporzionate alla loro gravità, come il generico "abuso di autorità" previsto dall'art. 608 del codice penale, o le comuni percosse e lesioni personali che sono punibili se lievi, a querela di parte, in contraddizione con l'indisponibilità dei diritti e la natura pubblica degli interessi lesi. Siamo difronte ad una inaccettabile lacuna, non solo su un piano teorico, quale violazione della garanzia positiva dell'obbligo di punire come delitto la tortura, in Italia, contemplata dall' art. 13 comma 4 della Costituzione, in base al quale si afferma che "punita ogni violenza fisica e morale sulle persone sottoposte a restrizioni di libertà" .
Da sottolineare che in poche materie come questa è peculiare la stigmatizzazione penale che ha un esplicito valore preformativo del senso comune e della deontologia professionale delle forze di polizia. Ha il valore di rimuovere eventualmente la cattiva coscienza del legislatore, dei giudici, e non meno della pubblica opinione non disposi a riconoscerla, riconoscere l'orrore e sollecitarne il rifiuto come vergogna indegna di uno stato di diritto, di un paese che abbia la pretesa di definirsi civile e democratico che contempli la sacralità e la inviolabilità del corpo e della psiche di una persona privata della libertà personale, alla quale non dovrebbero mai venire a mancare queste garanzie, chiunque l'abbia in custodia. Dire che siamo di fronte ad una inquietante retrocessione del grado di civiltà e democraticità di questo paese che sempre più tutela i forti e penalizza i deboli, mi pare davvero un eufemismo.

Da AprileOnLine

Draquila:la fotografia di una città, il ritratto di una nazione

Il cinema era gremito sabato sera. Plinius, in viale abruzzi, secondo spettacolo.Gli spettatori all’uscita erano basiti. Durante la proiezione restavano attoniti

Eh sì, perchè il racconto che Sabina Guzzanti fa della vicenda di L’Aquila, in parte la conoscevamo tutti, ma certi particolari, certe “finezze burocratiche” che hanno originato tutto il marasma di questa immensa speculazione ai danni, in primis dei terremotati, in secondo luogo di tutti gli italiani, è davvero sconcertante. Vedendo il film si pensa, tutti, “come sia possibile arrivare a tanto”.
L’inizio è ironico: Berlusconi ritratto come l’Adamo della cappella sistina, l’immenso numero di “intervenuti” (giornalisti, scout, preti, suore, forze armate,cuochi ecc..) subito dopo che si diffuse la notizia del terremoto e la decisione di Sabina di “partire anche lei” facendosi accogliere come una benevola buffona intenzionata, contro ogni apparenza, a gettare qualche luce sugli eventi.

Il film si dipana in un crescendo di drammaticità: le interviste ironiche della prima parte lasciano via via spazio alle immagini, inedite, di opere d’arte sfigurate, di macerie che non hanno piu’ il fiato di parlare di cio’ che è stato, di case ormai inesistenti, di persone tramortite psicologicamente e incerte quindi spesso bisognose di aggrapparsi a lui, a quell’uomo che tutto puo’ e da cui tutto procede: Silvio Berlusconi.

Del quale non si puo’ fare a meno di ammirare, in fondo, la genialità: la questione di “Protezione civile s.p.a.” poi naufragata per la vicenda dei “ridaroli” della mattina del 6 aprile, è il risultato di abili escamotage tutti linguistici per cui cambiando poche parole delle delibere che regolano l’azione della protezione civile è divenuto possibile agire nella totale indifferenza per le leggi dello stato. Lo stesso concetto di “emergenza” cambiando, togliendo e aggiungendo pochi aggettivi,viene definitivamente consegnato all’arbitrio delle autorità, che possono dichiararlo anche per la commemorazione di un santo di paese.

Il racconto della Guzzanti non è solo il resoconto -fedele e assolutamente non parziale, giacchè i filoberlusconiani intervistati sono la stragrande maggioranza dei cittadini che fanno dichiarazioni nel film- di quest’ evento tra le surreali inquadrature e le paradossali situazioni in cui lei fa immergere lo spettatore, ma è il ritratto dell’Italia intera.

Un paese in cui esistono “due” stati: uno “normale” formato da cittadini che in buona fede votano quegli uomini che dan loro fiducia e che credono che questi provvederanno alle loro necessità collettive e uno stato “cattivo”: che accolla alla spesa pubblica tutti gli oneri, relativi alle piu’ svariate esigenze della “classe scelta” del paese: dalle transenne, ai portaceneri del G8, ai tiranti per le case de L’Aquila lasciate in macerie, al progetto C.A.S.E. che accontenta (si fa per dire) solo il 30% degli sfollati lasciando al loro destino gli altri. Uno stato “cattivo” dicevo, che progetta con una freddezza che fa star male al pensiero, che ogni piu’ piccolo guadagno sia dirottato, aggirando le leggi con cavilli minuziosissimi, verso le tasche di imprese gestite da “parenti, amici, prestanome, teste di legno, vaticano,” ecc..ecc…ecc….

Il momento dello “spolpo” del cadavere-Italia (di cui l’Aquila è simbolo) è rappresentato da Sabina con la stessa perizia di un coroner che volesse capire le ragioni di un omicidio, intravedendo nei fatti: complotto, programmazione, premeditazione e movente. E, da piu’ che discreta cineasta, sa rendere questa sequenza di tragedie comunicando l’angoscia crescente di chi, volendo vedere le cose senza pregiudizi, nell’angoscia stessa è costretto ad immergercisi. Lo spettatore infatti segue dall’esterno le peripezie di questi abruzzesi sfortunati ed è portato ad empatizzare con i loro problemi e anche con i loro smarrimenti, al punto che si riesce a capire perfettamente l’impatto emotivo e il conseguente favore che un berlusconi ha potuto riscuotere in un popolo così traumatizzato e condizionato.

In due scene le “vittime” mi hanno colpito in modo particolare: Sabina ad un certo punto intervista una donna che simpatizza apertamente per Berlusconi che dice che “ha fatto bene a fare così (le C.A.S.E. ndr.), altrimenti sarebbero tutti ancora in un container” Con un’operazione di maieutica, facilitata forse dal fatto che questa donna ha preso in simpatia Sabina comunque, la signora ammette, piano piano, che la parola “container” è stata demonizzata ripetutamente dalla televisione e che questa sua convinzione, effettivamente, potrebbe essere stata indotta dal messaggio martellante.

In un’ altra scena l’ex titolare di un piccolissimo giornale locale racconta di aver lavorato- subito dopo la “stranamente breve” riunione che la protezione civile tenne a L’Aquila il 30 marzo per discutere se le scosse che si ripetevano da mesi e mesi potessero preludere ad una scossa rovinosa e la prot civile aveva frettolosamente concluso che no- per diffondere le rassicurazioni della protezione civile stessa con il suo giornalino.

L’uomo ci aveva creduto. Aveva sposato al 100% la propaganda tranquillizzante che la protezione civile aveva espresso come diktat alla popolazione. Al punto che la notte del 6 aprile, quando la catastrofe colpiva la citta’ erano presenti solo poche decine di vigili del fuoco a tamponare il disastro: niente piano di evacuazione, niente previsione nemmeno minima di questa possibilità. Ebbene quest’uomo, dopo aver rassicurato i suoi due bambini che si erano svegliati di notte preoccupati, li ha persi sotto un crollo. Entrambi.

Il condizionamento “autorevole”, le costrizioni e le bugie, il bisogno di un uomo forte, la convinzione che la comunicatività di Berlusconi sia sintomo di “amore”: questi fattori hanno portato gli aquilani a farsi guidare come un gregge al loro destino. Poche, sporadiche e anarchiche le ribellioni (una signora e un vecchio professore). Tutti hanno seguito il tracciato che Berlusconi, nemmeno 48 ore dopo il sisma, ha presentato agli aquilani: stato di emergenza, “dieta del terremotato” , sfollamenti e tende: tutto finalizzato ad una speculazione edilizia già pronta, come Sabina dimostra, per qualunque evenienza avesse colpito qualunque città d’Italia. Non era predisposto nulla per la sicurezza pubblica: solo la speculazione.

Chi ci ha guadagnato sono le migliaia di anonime, fantasmatiche, estranee, ditte coinvolte. Che, come ho detto, han provveduto ad ogni cosa: dalle suppellettili per il g8 e per le nuove C.A.S.E ai regali per Obama e per gli altri capi di stato. Dai puntelli per le case di una città fantasma alle spianate antisismiche costate uno sproposito e inutili, come si testimonia nel film, allo scopo per cui sono state adibite.

La vicenda di L’Aquila ci appare oggi come un tassello ormai passato di un immenso complotto che fa arrivare i tentacoli anche nel presente. Brava la Guzzanti a parlarne, come fa, con ironia ma anche con precisione, con lungimiranza storica e con un immenso rispetto per la tragedia di questa gente. Andate pure a vederlo con fiducia, non vi deluderà.

Da Indymedia