HOME       BLOG    VIDEO    EVENTI    GLI INVISIBILI    MUSICA    LIBRI    POLITICA LOCALE    POST PIU' COMMENTATI

martedì 13 aprile 2010

LA RESISTENZA ALL’ORDA LEGHISTA

di Angelo Cleopazzo
Con le elezioni regionali concluse si apre per il Paese una fase nuova:
un’orda barbarica scatenata dal populismo mediatico,dagli interessi della plutocrazia industriale del Nord,dalla mediocrità dell’intera classe politica,dal clima culturale nazionale(ignoranza e abiura delle memorie dei nostri padri e delle loro conquiste),disgregazione sociale,impoverimento generale e dispersione del patrimonio giuridico che garantiva il lavoro ,il diritto al lavoro e sul lavoro.
Da queste regionali il partito separatista,fascista e xenofobo della Lega Nord ne esce come vero trionfatore. La grave responsabilità dei governi del Sud Italia è quella di non capire la portata del pericolo che questa vittoria rappresenta per le popolazioni del Sud. Solo Puglia e Basilicata mantengono la governance mentre nessun altra regione del Mezzogiorno può dare la giusta reazione all’assemblarsi di questione settentrionale e questione meridionale.
Parte dalla Puglia il riscatto del meridione d’Italia,parte da qui una storia nuova di partigianeria e di resistenza alla degenerazione delle istituzioni ed alla privazione dei diritti che ne derivano. Il sistema politico meridionale deve per questo sfuggire alle tendenze populistiche che generano un qualunquismo inedito che premia l’indifferenza dei singoli.
Una nuova primavera di partecipazione deve rendere i partiti nuclei pulsanti di richiesta ed elargizione di diritti negati. Strutturazione interna, confronto dialettico e riappropriazione delle realtà locali produrranno una nuova classe di rappresentanti che concepirà le riforme per garantire un sistema di sviluppo sostenibile. Parte dalla Puglia una socializzazione dei problemi del Mediterraneo e una preparazione appassionata dei rimedi. Allargare l’orizzonte della critica e la base del confronto è esiziale ma senza la giusta tensione morale ogni sforzo sarà vano. Occorre “agire locale” per tornare nel Parlamento centrale e sperimentare forme nuove di contaminazione dell’opinione pubblica. Gli individui dovranno guardare alla politica come all’unica via d’accesso per una vita migliore e non come si guarda ad una porcheria.
Rovesciare i termini del populismo significa passare dal: “i politici sono tutti uguali e quindi fanno tutti schifo” al ”io che faccio per migliorare la salute pubblica del mio Paese”?. Solo così da populisti diventiamo popolo, parti di un tutto che avanza e marcia indefessamente verso nuove libertà. Contro l’oscurantismo medievale del berlusconismo e l’arrogante ignoranza della Lega Nord si lotta per la promulgazione di cultura e sentimentalismi di uguaglianza e fratellanza. Al buio si risponde con la luce che i giovani del Sud devono trasmettere, dal lucido dei loro occhi, alla volontà ferrea di non abdicare alla vita, di resistere e lottare per la difesa dei propri vitali interessi per un Sud libero, pulito, culturalmente preparato per fronteggiare le sfide titaniche dell’ora.
Svegliamoci dal torpore , per l’Italia intera.

Torbido gioco


Conferme e smentite. Il portavoce del governatore di Helmand a PeaceReporter: "Mai detto che i tre italiani hanno confessato". Sul loro rilascio: "Le indagini continuano, sono in mano ai servizi segreti"

Signor Ahmadi, parlando con i media internazionali, lei e il governatore Gulab Mangal avete accusato i tre italiani di Emergency non solo di essere coinvolti in un complotto per uccidere il governatore e per fare attentati suicidi a Lashkargah, ma anche di aver ucciso Ajmal Naqshbandi nel 2007 e di aver deliberatamente amputato e ucciso decine di soldati afgani ricoverati nell'ospedale di Emergency.
Conferma queste accuse?

Confermo che abbiamo trovato le armi nel magazzino dell'ospedale. Invece non c'è alcun legame con la morte di Ajmal Naqshbandi: i tre italiani non c'entrano nulla. Lo stesso vale per la storia dei soldati afgani uccisi: l'ospedale è per curare la gente, mica per ucciderla!


Ieri lei ha dichiarato al Times di Londra che i tre italiani avevano confessato. Poi però ha detto che il giornalista inglese ha male interpretato le sue parole. Ma adesso lo stesso giornalista conferma quanto ha scritto. Come stanno veramente le cose?
Ribadisco che non ho mai detto al Times di Londra che i tre italiani e i sei afgani hanno confessato.

I tre italiani che sono interrogati nella sede della National Security a Lashkargah verranno rilasciati allo scadere del termine legale di 72 ore?
Non lo so, le indagini sono ancora in corso.

Verranno allora trasferiti a Kabul?
Per ora tutti i nove arrestati sono qui in Helmand. Non so se verranno trasferiti. Questo dipende dai servizi segreti afgani che stanno conducendo le indagini.

E i cinque dipendenti internazionali di Emergency, quattro italiane e un indiano, rimasti Lashkargah? Ci risulta che non siano liberi di uscire di casa né di lasciare la città?
Sono liberi e stanno continuando a lavorare in ospedale, perché noi abbiamo bisogno che l'ospedale sia operativo.

Com'è ora la situazione nell'ospedale? E' occupato dalla polizia? E' gestito dal governo afgano? Le ammissioni di pazienti sono aperte?
La presenza degli agenti di polizia è necessaria per garantire la sicurezza dell'ospedale, visto che alcune delle guardie di Emergency sono state arrestate.

Quale sarà il futuro dell'ospedale? Avete intenzione di chiuderlo?
Questa è una cosa che dovrà essere decisa dal governatore e dal governo di Kabul. Ma io, personalmente, ritengo che l'ospedale debba rimanere in funzione.

E quale sarà il futuro della presenza di Emergency in Helmand?
Anche qui, dovrà decidere il governo.

Ieri abbiamo visto le proteste a Lashkargah contro Emergency. Ma com'è possibile che la gente del posto, che sa bene quanto l'ospedale italiano sia importante per la comunità, ne chieda la chiusura?
E' stata una protesta spontanea. Il governo non c'entra nulla.

Molti qui in Italia dicono che il governo afgano e ISAF giudicano scomoda la presenza di Emergency in Helmand a causa della sua neutralità, e che tutta questa storia è stata montata per cacciare Emergency dall'Afghanistan. Cosa ne pensa?
Nessuno ce l'ha con l'associazione di Emergency: il problema riguarda solo il loro personale arrestato.

di Enrico Piovesana da PeaceReporter

ROBERTO SAVIANO A CHE TEMPO CHE FA







La Santa Sede pensa di poter prendere per il culo il mondo


Da oggi, solo da oggi, è possibile leggere le linee guida (1) che la Congregazione per la Dottrina della Fede avrebbe dettato fin dal 2001 – ma c’è di dice che siano del 2003 – circa le procedure da adottare quando vengono denunciati abusi sessuali su minori

di Luigi Castaldi
Considerazioni preliminari:

● Sono pubblicate solo in inglese sul sito della Santa Sede, segno evidente che non s’è mai sentita la necessità di tradurle in italiano o in altre lingue. In questa occasione almeno, se prima non se n’era sentito bisogno, per una traduzione multilingue di un testo così breve non sarebbero bastate le 48 ore tra l’annuncio della pubblicazione e la pubblicazione? Non c’è scorregina di Sua Santità su questo o quel sant’uomo del IV secolo o del XII che non sia tempestivamente tradotta in 12 lingue, sarebbe stato troppo sforzo farlo in questa occasione? Non c’è contraddizione nello strombazzarla come fatto notevole e lasciarla alla libera traduzione di tanti potenziali nemici della Chiesa?

● Nel cappello introduttivo c’è il richiamo a un motu proprio del 30.4.2001 (Sacramentorum sanctitatis tutela), reperibile solo in latino (2), e che a sua volta fa un richiamo a quanto stabilito nella Regimini eccleasiae universae (3), una costituzione apostolica del 15.8.1967, perfettamente in linea con la Crimen sollicitationis del 1922 (riveduta nel 1962). Parrebbe – così lascia intendere il preambolo – che queste linee guida siano da applicarsi a due fatti “nuovi”: il nuovo Codice di Diritto Canonico del 1983 e la De delictis gravioribus del 2001.

● Diciamo, dunque, che queste linee guida non sono una novità, ma cercano l’effetto di novità che si vuol dare a direttive che non erano formalmente occulte, ma quasi. Ne fa prova il fatto che fino a pochi giorni fa nessuno aveva mai sentito parlare di tali linee guida, e nessuno vi ha mai fatto cenno, nemmeno fra quanti hanno fin qui difeso a spada tratta la buona fede della Santa Sede e della sua Congregazione per la Dottrina della Fede nel trattare i casi di abusi sessuali su minori da parte del suo clero, e fra questi nemmeno chi meglio tratta l’inglisc e il latinorum.

Di conseguenza, nel leggere questa Guide to Understanding Basic CDF Procedures concerning Sexual Abuse Allegations, dobbiamo tener conto di tre importanti elementi:

● Essa dava (e dà) indicazioni nuove rispetto al passato, ma ad un passato che è da intendersi alla data del 21.5.2001 (De delictis gravioribus) o, meglio, alla data in cui sono dettate le linee guida. E qui – sorpresa! – la Guida non reca data. Perciò resta un dubbio e non è di poco peso: da quando sono da considerare effettivamente in vigore? Secondariamente: su cosa contava chi le vergava per credere che fossero efficacemente recepite da chi – anche tra i vescovi – non avesse troppa dimestichezza con la lingua inglese?

● Si vuol dare l’impressione di una novità che non è affatto “nuova”, con un documento che non riporta data, e di cui solo ora si sa l’esistenza. Queste linee guida non sono affatto – come qualcuno cerca di far credere, eventualmente credendoci – un passo fatto dalla Santa Sede per mettere riparo all’emergenza odierna, ma a quella che afflisse il prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, il cardinale Joseph Ratzinger, quando negli Usa si cominciavano ad accumulare gli elementi che l’avrebbero chiamato a rispondere di correità.

● Ecco perché la Guida fu scritta in inglese e in inglese restò: era espressamente scritta per un magistrato americano nel tentativo di minimizzare le responsabilità della Congregazione per la Dottrina della Fede, scaricandole sui vescovi diocesani, e di salvare il culo al suo prefetto, che fin lì aveva scansato le segnalazioni che gli arrivavano da Oltreoceano col silenzio e con l’invito al silenzio.

Ma che c’è di “nuovo” in queste linee guida?

● La diocesi locale è tenuta ad indagare su ogni accusa di abuso sessuale su un minore da parte di un religioso. Se l’accusa pare fondata al responsabile della diocesi (che giudica insindacabilmente e, fin qui, senza aver l’obbligo di segnalare ciò che sa all’autorità civile, con ciò impedendo che quanto nelle accuse sia provato vero o accertato come calunnia), il caso è rinviato alla Congregazione per la Dottrina della Fede. La quale – è provato – a volte ha impiegato 5 anni per rispondere, quando ha risposto. Se d’intanto il religioso pedofilo continua a delinquere? Niente paura, il vescovo può predisporre misure cautelative atte a salvaguardare la comunità, “comprese le vittime”. C’è scritto proprio così: “including the victims”, mica per salvaguardare innanzitutto loro.

● Alla segnalazione di un vescovo che segnala un religioso pedofilo attivo nella sua diocesi, la Congregazione si riserva varie opzioni: (1) può autorizzare il vescovo a procedere ad un processo davanti a un tribunale ecclesiastico, che – rammentiamo – continua ad essere vincolato dal “segreto pontificio” sulla materia e gli attori del processo anche dalla De delictis gravioribus, com’era con la Crimen sollicitationis; (2) può istituire una commissione giudicante distaccata con funzione di tribunale ecclesiastico zonale; (3) può direttamente interessarsi del processo; (4) può sottoporre il caso direttamente al papa. Tranne che nel caso (4), il condannato può appellarsi presso la Congregazione chiedendo un nuovo giudizio, ma sia in primo che in secondo grado può essere punito con una sanzione che può arrivare anche alla riduzione allo stato laicale. A fronte di tanti casi oggi venuti a galla, questo non è mai accaduto, nemmeno nel caso più imbarazzante di tutti per la Santa Sede, e cioè quello di padre Marcial Maciel Degollado, e nemmeno per padre Lawrence Murphy, il religioso colpevole di abusi su oltre 200 bambini sordomuti: tutti morti da preti, i preti pedofili, tranne in due o tre casi, spretati dopo che i loro reati erano abbondantemente prescritti presso la giustizia civile.

Altro? Quasi nient’altro, ma resta una simpatica sorpresa nell’ultimo paragrafetto che resta. Conviene riportarlo nella versione originale: “For some time the CDF has undertaken a revision of some of the articles of motu proprio Sacramentorum sanctitatis tutela, in order to update the said motu proprio of 2001 in the light of special faculties granted to the CDF by Popes John Paul II and Benedict XVI”. Non è evidente che il documento abbia avuto qualche ritocco nell’essere finalmente portato a conoscenza dopo la sua prima stesura (nel 2001 o nel 2003 che sia)? Non è dato sapere, ma certo in data successiva all’elezione del prefetto della CDF a “pope”. Cioè quando la sua elezione gli conferiva l’immunità dovuta al capo di uno stato estero, anche se indagato per “obstruction to justice”. E parliamo della giustizia degli uomini, perché quella di Dio continuava a consentire ai suoi preti di stuprare bambini.

In definitiva, possiamo dire che con la pubblicazione di queste linee guida la Santa Sede pensa di poter prendere per il culo il mondo. O almeno conta sugli uomini di buona volontà disposti a farsi prendere per il culo. Siamo certi che ne troverà.

(1) http://www.vatican.va/resources/resources_guide-CDF-pro....html

(2) http://www.vatican.va/holy_father/john_paul_ii/motu_pro....html

(3) http://www.vatican.va/holy_father/paul_vi/apost_constit....html

da Indymedia

Infostadio - news dalle curve

da Infoaut
VERONA-PESCARA

La polizia di Verona ha fermato e condotto in questura tre tifosi del Pescara al termine dell'incontro tra l'Hellas e la formazione abruzzese. Secondo gli agenti i tre fermati sarebbero tra i più accesi protagonisti di uno scontro con le forze dell'ordine che avevano evitato che le due tifoserie entrassero in contatto. Da quanto si è appreso in ambienti investigativi per uno dei tre tifosi il fermo potrebbe tramutarsi in arresto.

ASSEDIO AMARANTO

La sconfitta contro il Livorno ha forse posto fine alle speranze di salvezza degli amaranto. Il ritorno di Ruotolo e l'esonero di Cosmi non hanno sortito l'effetto sperato e i labronici sono stati sconfitti per 2-0 dall'Udinese rimanendo così desolatamente soli all'ultimo posto in classifica a quota 26 punti, a -9 dal Bologna quartultimo. Gli ultras toscani hanno sfogato la loro rabbia prima durante e dopo la partita con i friulani, lanciando i fumogeni in campo e bersagliando il pullman della squadra con sassi, bottiglie e oggetti vari. In centinaia hanno atteso i giocatori, scortati dalla polizia, fuori dallo stadio alla fine della gara.

Ci sono volute due ore perché si concludesse l'assedio a giocatori e dirigenti del Livorno da parte di centinaia di tifosi che li hanno contestati dopo la partita e che li hanno aspettati all'esterno dello stadio Picchi. Il pomeriggio infernale degli amaranto, quello che ha tolto anche le ultimi flebili speranze di salvezza, è finito verso le 19 quando i giocatori hanno potuto uscire dallo stadio Picchi attraverso un'uscita secondaria. Nel frattempo il pullman degli amaranto era stato fatto bersaglio di una sassaiola mentre era parcheggiato davanti all'ingresso principale. Inutile anche il tentativo di mediazione per riportare la calma fatto dai dirigenti labronici Claudio Garzelli, Nelso Ricci ed Elio Signorelli che hanno avuto un breve confronto con gli arrabbiati ultrà toscani. Le forze dell'ordine hanno vigilato affinché la situazione non peggiorasse fino alla decisione finale di spostare il pullman creando un diversivo. I tifosi infatti hanno provato a seguire il bus ma così facendo si sono trovati le vie d'accesso sbarrate da polizia e carabinieri. Così il pullman, fatti salire i giocatori mentre i supporters erano ormai lontani, ha potuto raggiungere, ben scortato, il centro Coni di Tirrenia.

__________


GENOA-SAMP

Scontro tra tifosi di Genoa e Samp fuori dallo stadio Galileo Ferraris prima del derby della Lanterna. L'intervento della polizia ha riportato la situazione alla calma. Secondo quanto ricostruito in questura un centinaio di tifosi rossoblù, molti col volto travisato da caschi e alcuni armati di bastoni, da corso Sardegna hanno imboccato corso De Stefanis, sconfinando nella zona dei doriani, cercando lo scontro, al quale hanno risposto gli ultras blucerchiati. Sul posto è subito intervenuta la polizia, riuscendo a disperdere i tifosi dopo un paio di cariche e aver lanciato dei lacrimogeni. Tre poliziotti sono comunque stati trasferiti in codice verde al pronto soccorso dell'ospedale San Martino dalle ambulanze del 118, dopo gli scontri. Secondo quanto si è appreso uno è stato ferito al volto, un'altro ad un piede, ma si tratterebbe di lesioni lievi.

__________


MODELLO TUNISINO

Ancora violenza nel calcio africano, sconvolto due mesi fa dall'attentato terroristico contro il Togo prima della coppa continentale. Stavolta però si tratta di "guerra" tra tifosi. Le notizie, di stampa e ufficiose, parlano di tre morti, di una trentina di feriti, di due giocatori e 142 tifosi arrestati. Il bilancio dell' incontro di calcio, giovedì sera, tra l'Esperance Sportif di Tunisi e il Club Sportif di Hammam Lif, giocato nello stadio di El Menzah, a Tunisi, pare purtroppo confermare quello che, da molte parti, viene sempre più sottolineato come fenomeno dilagante anche nel calcio africano: la violenza attorno al calcio o negli stadi. E in quello di El Menzah in particolare, sede dell' Espèrance, che già era stata "graziata" dalla Lega nazionale professionisti per un uso sconsiderato di fumogeni da parte dei suoi supporter: condanna, con la condizionale, ad un match a porte chiuse.

Sanzione che, dopo quanto accaduto giovedì sera, verrà applicata con indubbie aggravanti e c'è chi preconizza la condanna a tre incontri a porte chiuse. Perchè, stando anche a dichiarazioni di alcuni degli spettatori, il lancio di fumogeni, le aggressioni e i tentativi di invasione del campo, sarebbero da addebitare proprio ai supporter della formazione ospitante. Tanto che il primo vicepresidente dell' Esperance, Badine Tlemami, dichiara alla stampa, a nome del comitato direttivo, che «noi siamo dispiaciuti e condanniamo» l'atteggiamento dei tifosi esperantisti.

Atteggiamento assolutamente antisportivo così come quello, viene fatto rilevare da più parti, anche di alcuni giocatori, che con i loro comportamenti sul terreno di gioco contribuiscono a far crescere la tensione sugli spalti. Ed è forse anche per questa forma di «incitamento» alla violenza che, secondo quanto riporta il giornale francofono di Tunisi Le Quotidien, due dell' Espèrance sarebbero finiti in manette. Un malessere generale, notano i giornali, e quanto accaduto a El Menzah, scrive ancora Le Quotidien, testimonia, ancora una volta, «l'estrema leggerezza con la quale il football viene gestito» in Tunisia. Per la cronaca l'incontro (sospeso tra l' altro per un quarto d'ora per un' interruzione della corrente elettrica all'impianto di illuminazione artificiale) si è concluso in parità: 3 a 3.

__________

GRANATA PER IL FILA

Tifosi del Toro furibondi: in un centinaio hanno protestato venerdì mattina intorno alle 10, bloccando corso Vinzaglio. Sono dovute intervenire le forze di polizia per trovare una soluzione pacifica e soprattutto per sbloccare il traffico dei mezzi pubblici. Sono arrabbiati per la questione del loro campo storico, di cui da anni è ferma la ricostruzione. Nella giornata di venerdì era in programma infatti l'incontro tra il Comune di Torino e l'Agenzia delle Entrate per la questione ipoteche che gravano da ormai troppo tempo sul Filadelfia. Ed ecco la svolta: l'Assessore Sbriglio ha comunicato che si è giunti ad un accordo con l'annullamento definitivo delle ipoteche per una cifra di 535.000 euro e ha garantito che da martedì prossimo cominceranno i lavori per sbrigare le pratiche: «Nei prossimi giorni parlerò con il Presidente Cota e vedremo il da farsi».

__________

UTC: TORNEO RAVANO

Queste righe vogliono raccontarvi ciò che è accaduto mercoledì 7 aprile al Palazzetto dello Sport durante il primo giorno del Torneo Ravano. Sono ormai diversi anni che presenziamo a questo torneo, con i nostri striscioni e le nostre bandiere, per portare colore ad un evento tanto caro a Paolo Mantovani. Al Torneo Ravano ci siamo sempre sentiti un pò come fossimo a casa nostra, essendo un torneo organizzato dalla Sampdoria ed al quale siamo sempre stati legati. A differenza degli anni passati, quest'anno abbiamo deciso di lasciare i nostri vessilli da parte, per portare invece diversi striscioni contro la tessera del tifoso, striscioni il cui contenuto non era né minaccioso né offensivo, ma che semplicemente davano voce al nostro pensiero. Ci siamo illusi che, essendo un torneo amatoriale per bambini e che come tale non è soggetto a particolari normative che regolamentino il comportamento degli spettatori, lontani da decreti e leggi speciali, fossimo liberi di esprimere il nostro dissenso, ripetiamo, in modo totalmente pacifico. Ci siamo sbagliati. E' arrivato puntuale l'intervento del questore di Genova e della digos. Le pattuglie inviate sul posto, il cui atteggiamento si è confermato ancora una volta minaccioso ed arrogante (nel bel mezzo di un contesto fatto di bambini, famiglie ed organizzatori), ci hanno imposto di togliere gli striscioni, alcuni dei quali sequestrati come prove... ma prove di quale reato?! Quale legge stavamo violando? Abbiamo ormai la certezza che il libero pensiero in questo paese non è tollerato. Chi la pensa diversamente da chi comanda merita di essere messo con le spalle al muro, perseguitato secondo normative create appositamente da loro, "rimosso" affinché tutto fili liscio... Ciò che è successo al Torneo Ravano non è altro che la punta di un iceberg. Le imposizioni che subiamo sistematicamente allo stadio ed in trasferta ne sono concreti esempi, così come la richiesta di autorizzazione necessaria per portare allo stadio bandiere e materiale coreografico, altrimenti niente, non si entra!... E' giusto che voi sappiate, che veniate a conoscenza di ciò che succede intorno a voi. Ma è soprattutto importante che non chiudiate gli occhi davanti alla minaccia di perdere la vostra libertà. State pur certi che non alzeremo bandiera bianca davanti alla loro arroganza, ne tanto meno riusciranno a fermare il nostro pensiero. Siamo liberi. Liberi di pensare, liberi di prendere posizione! NON DIVENATARE LORO COMPLICE... NON FARE LA TESSERA DEL TIFOSO!

__________


UTC: NOI LA TESSERA NON LA FACCIAMO!

"Poche sentite parole indicano la strada che noi Ultras Tito Cucchiaroni, al seguito della Sampdoria da oltre 40 anni, abbiamo preso con decisione unanime. Rifiutiamo la tessera in quanto strumento di schedatura a pagamento, che opera una distinzione tra tifosi buoni e cattivi dando in ogni caso alle questure carta bianca per provvedimenti restrittivi della libertà personale anche a chi non ha subito condanne definitive e perchè contribuirà a svuotare ancora di più gli stadi italiani. Mai altro argomento aveva messo d'accordo tutti i ragazzi che militano nel gruppo.

Dopo le numerose manifestazioni di dissenso non potevamo che scegliere la linea della coerenza, fedeli alle nostre idee. Sappiamo bene cosa significa tutto cio: nell'immediato rinunciare al nostro abbonamento di Gradinata Sud, chi dopo venti, chi dopo trenta, chi dopo quarant'anni e più. Nel futuro un modo nuovo di vivere lo stadio, un modo diverso che il nostro infinito amore per la Sampdoria saprà comunque rendere unico come unica è stata la Sud fino ad oggi. Avete capito bene, noi non ci pieghiamo, ma non molliamo e anzi rilanciamo.

Andremo avanti a modo nostro, da sampdoriani, statene certi. A chi ci ha sempre seguito diciamo: vi vogliamo ancora al nostro fianco, abbiamo ancora tanto da dare, da ricevere e soprattutto da divertirci insieme. Quindi... non fate la tessera! A tutti gli altri tifosi sampdoriani chiediamo il rispetto che meritano le decisioni importanti come questa, perchè sempre abbiamo voluto il bene del Doria, sempre l'abbiamo difeso anteponendolo a tutto.

A tutti diamo appuntamento prossimamente per un'iniziativa comune durante la quale condivideremo le azioni per il prossimo futuro.

"Per la Sampdoria..."
Ultras Tito Cucchiaroni

___________

INTER-JUVE: LE LIMITAZIONI DIVENTANO UN CASO POLITICO

La polemica su Inter-Juventus, gara in programma venerdì 16 aprile, anticipo della 15° giornata di ritorno, diventa ora un caso politico con tre ministri (e tifosi) impegnati a cercare una soluzione.

I fatti: l'accesso alla gara per motivi di ordine pubblico sarà consentito ai soli abbonati dell'Inter e ai possessori della tessera del tifoso. Cosa che ha fatto infuriare i sostenitori juventini per due motivi. In primis perché la Juve non ha ancora varato la sua tessera del tifoso. Secondo motivo perché lamentano la mancata par condicio tra le due tifoserie visto che all'andata ai tifosi interisti fu consentito di seguire la squadra a Torino.

Da giorni i blog raccolgono gli sfoghi del popolo bianconero. E ieri la questione è diventata oggetto di dibattito nel corso della trasmissione "Ventura Football Club", in onda su Radio 1, in cui sono intervenuti prima il ministro della Difesa Ignazio La Russa, poi quello degli Interni Roberto Maroni e infine quello delle Infrastrutture e Trasporti Altero Matteoli.

È stato La Russa a lanciare la provocazione: visto che Inter-Juve sarà riservata ai soli abbonati perchè considerata una gara a rischio dall'Osservatorio del Viminale, si potrebbe «consentire l'ingresso anche a tutti gli iscritti agli Inter club». Una proposta, dice La Russa, «di cui ho già parlato con il ministro Maroni che si è detto d'accordo».

Il diretto interessato, intervenuto subito dopo, si è però mostrato più cauto. «Io sono per la massima partecipazione ma anche per la massima sicurezza", ha spiegato Maroni . "Ma purtroppo in questi anni abbiamo assistito ad episodi di violenza ingiustificati che ci hanno costretto a prendere misure restrittive». È chiaro però che «se c'è un'assunzione di responsabilità delle squadre e delle tifoserie, gli stadi devono essere aperti a tutti, se invece non c'è, diventa difficile».


Maroni ha assicurato che prenderà in considerazione la proposta del collega della Difesa. «Né parlerò con il capo della polizia e con il prefetto di Milano, se loro mi dicono che è una cosa che si può fare, conoscendo le tifoserie, naturalmente lo faremo. Sempre però garantendo a tutti la sicurezza, perché se poi succede qualche cosa facciamo rispondere il ministro La Russa».


Ma anche se ciò accadesse non risolve il problema dei tifosi ospiti. Ed il terzo ospite (anche lui membro del Governo) ha sollevato la questione. «Tutti sanno che io sono un fazioso tifoso juventino - ha esordito Altero Matteoli ¬ e, probabilmente, se chiedessi un biglietto alla società, mi farebbero assistere all'incontro in quanto ministro. Ma a parte il fatto che finirei su tutti i giornali il giorno dopo, tutti gli altri tifosi juventini non avrebbero comunque accesso allo stadio. E come si spiega questa discriminazione?».

Matteoli ha anche criticato il principio di vietare l'accesso agli stadi. «È assurdo - ha detto - Chi commette un reato merita di essere punito severamente ma non si può prevenire un reato abolendo il reato. Se vogliamo inasprire le pene ben venga, ma non è possibile proibire ai tifosi di andare allo stadio. Viene meno uno degli spettacoli più belli".

Parole che vengono ripetute da mesi da quanti criticano i provvedimenti restrittivi, che anziché colpire i teppisti penalizzano le brave persone.

__________

STADIO ITALIA - I CONFLITTI DEL CALCIO MODERNO

Dopo alcune settimane di ritardo dal 7 aprile è finalmente disponibile nelle librerie l'atteso volume Stadio Italia, i conflitti del calcio moderno, un libro collettivo , al quale hanno partecipato anche vari autori livornesi, che analizza e mette al centro della riflessione sul calcio, "i poteri e le istituzioni che governano il gioco, l'economia che lo ristruttura completamente, i conflitti che lo attraversano. È così una controinchiesta, una prima descrizione dei meccanismi di potere che, trasformando il calcio, trasformano ben più delle regole di un gioco". Riproponiamo per l'occasione anche sul sito gli estratti già pubblicati sull'ultimo numero cartaceo (marzo) di Senza Soste.

Quali conflitti si giocano attorno al calcio moderno, quello cresciuto sotto i riflettori delle pay tv? Quali tecnologie di controllo, quali modelli di consumo, quali normative di sicurezza nascono sul terreno del calcio moderno per essere esportate nel complesso della società? Come sta cambiando la cultura del tifo mentre il calcio è un brand televisivo maturo difeso da una legislazione di sicurezza? Che ne è delle tifoserie, dei conflitti aperti dal calcio, mentre si progettano stadi che coincidono con i centri commerciali? E infine, quale è la natura inquieta del gioco del calcio, sport attorno al quale, come nessun altro, si giocano miriadi di conflitti?

Queste ed altre domande si è posto il volume collettivo Stadio Italia, i conflitti del calcio moderno, Casa Husher, Firenze (pg. 250, euro 14,00) curato da Silvano Cacciari e Lorenzo Giudici. Il libro, per un totale di undici autori di cui molti livornesi, tenta di offrire una sistematizzazione e raccolta di materiali nuovi, inediti, spiazzanti con una bibliografia che fa i conti con le più recenti produzioni d'Oltremanica su questi argomenti. Affronta i temi dei conflitti legati al calcio dal punto di vista della storia soggettiva delle curve come dei comportamenti delle istituzioni del controllo, del marketing legato al football come prodotto, delle modalità di racconto del gioco tramite il cinema e la televisione. Il testo contiene poi un'inchiesta sulle mutazioni della tifoseria livornese: come viene vissuto oggi l'evento calcistico e quale giudizio viene dato dal resto della città nei confronti di chi vive il calcio in curva.

Nel complesso gli autori invitano a ripensare lo stadio come paradigma, il centro simbolico di un insieme di pratiche, di relazioni, di memorie e di identità che ospita al suo interno un gioco per sua natura destinato a generare conflitti. Non ridurre a questioni di ordine pubblico, gli elementi di tensione che attraversano il calcio e l'intero tessuto sociale in cui è immerso offre un nuovo punto di osservazione per valutare temi decisivi per un'analisi del potere ai giorni nostri.

Applicati al calcio, all'ultras, i dispositivi di controllo e repressione del dissenso, finiscono infatti per circolare in tutte i settori "caldi" di un contesto sociale: lo stadio diventa a quel punto un laboratorio di un modello sociale da imporre altrove.

Del resto chi ha vissuto sulla propria pelle la continua opera di contenimento della "cultura da stadio" aveva appeso da tempo alla "balaustra" uno striscione inequivocabile: "Leggi speciali: oggi per gli ultrà, domani in tutta la città". Una segnalazione ignorata per essere poi percepita nella realtà della piazza in particolare con le vicende di Napoli 2001 e del G8 genovese: pratiche di polizia "fuori controllo" che fecero gridare allo scandalo i cittadini ma che non sorpresero eccessivamente chi aveva già subito gli abusi di prassi che non sottostavano a "regolari" garanzie giuridiche. Per introdurre i materiali del libro presentiamo alcuni estratti proprio di un'intervista ad un tifoso sampdoriano che ha partecipato agli incidenti del luglio 2001 che dimostrano la capacità degli ultras, non comune nelle strade di Genova, di sapere rispondere alle strategie de-regolarizzate della polizia, assumendo, con altri soggetti, un ruolo di primo piano nella resistenza alla dichiarazione di guerra che il potere repressivo, e non altri, esternarono con brutale violenza a protezione di quel summit.

Hai partecipato, in qualche modo, alle discussioni che hanno fatto da sfondo alle giornate genovesi anti-G8?
No. Non ho seguito un granché la fase dei preparativi. Con qualche altro sono stato a sentire un paio di cose delGenova Social Forum
ma ce ne siamo andati via ben velocemente [..] dai discorsi che sentivi, non solo nessuno di questi pensava di andare in piazza ad attaccare gli sbirri e provare non dico a far saltare ma per lo meno a disturbare sul serio il G8, ma non prendevano neppure in considerazione l'idea che fossero proprio gli sbirri a venire a cercare te.

Ma voi, come gruppi di tifosi, siete scesi in piazza in maniera unitaria, anche da un punto di vista organizzativo?
[...] Ci siamo andati portandoci dietro delle cose ma senza un piano in testa. L'idea era quella di stare a vedere come buttava e poi metterci dentro alle situazioni che ci sembravano meglio. In piazza, ma lo sapevamo già da prima, avremmo trovato altri gruppi come noi. Tra noi non c'era un'organizzazione ma un po' l'idea, come in parte è stato, che quando ci sarebbe stato da muoversi lo avremmo fatto come siamo abituati a fare.

Un modello che avete ripreso dall'esperienza maturata nelle vicende legate allo stadio?
Sì, in gran parte l'esperienza dello stadio e di tutto quello che succede intorno era il bagaglio che un po' tutti condividevamo. In piazza ci siamo comportati allo stesso modo almeno all'inizio anche se poi, parlo almeno per il mio gruppo e per qualche altro, abbiamo seguito molto il modello dei black block.

Per quale motivo?
Un po' perché il loro modello operativo, parlo proprio da un punto di vista tecnico, non era molto distante dal nostro. Cioè, forse è il caso che mi spiego meglio. Anche loro si è visto che erano abituati a muoversi per gruppi non troppo numerosi che dovevano conoscersi molto bene tra loro. Si è visto da come si muovevano. Erano pressoché perfetti. E questo vuol dire che tra loro erano molto uniti e ognuno aveva una fiducia cieca nell'altro. Questo succede solo tra gruppi che sono molto legati, che condividono molte cose. Questo è una cosa che li rendeva simili a noi perché, anche nei gruppi da stadio, quando ti devi mettere a fare le cose le fai con quelli con i quali condividi gran parte della tua vita. Per fare gli scontri e non combinare casini devi essere legato con chi li fai, sapere che su di lui puoi contare come su un fratello. Per questo non basta la semplice condivisione di una fede calcistica così come, credo, per quanto riguarda i black block non basta la condivisione di un'idea politica. In piazza, non di rado, ti giochi il culo e lo puoi fare solo con chi sei molto affiatato. Con tutti gli altri puoi coordinarti, decidere di colpire insieme in un certo modo. Questo va bene, ma, quando poi si tratta che ognuno deve fare la sua parte, la cosa migliore è che ogni gruppo veramente affiatato faccia il suo. I black, da quello che ho visto, si muovono in un modo molto simile anche se con maggiore organizzazione e coordinazione. Io e molti di noi ne siamo rimasti letteralmente affascinati. Questo per quanto riguarda l'aspetto diciamo tecnico, del modo di stare in piazza, ma poi anche perché il loro modo di muoversi ci è sembrato quello che più pagava. In questo sono molto diversi da noi. Infatti, contrariamente a noi che soprattutto eravamo abituati al confronto diretto con gli sbirri, loro riducevano il più possibile il contatto. Non andavano alla ricerca del corpo a corpo come di solito facciamo noi. Quando attaccavano gli sbirri lo facevano all'improvviso, da una posizione di forza, se li tiravano dietro ma allo scopo di liberare una zona, dove altri gruppi intervenivano per fare le loro storie. In questo modo, attraverso attacchi improvvisi e veloci ripiegamenti non facevano più capire un cazzo agli sbirri, che si affannavano a corrergli dietro senza mai riuscire a ingaggiare un vero e proprio contatto con loro[...] Molti di noi hanno finito con l'unirsi a loro, rimanendo entusiasti non solo della loro tattica in piazza, ma anche di come erano attrezzati per reggere le situazioni, riuscendo a cavarsela in ogni circostanza, usando al meglio tutto ciò che la città gli offriva. Una cosa che ci ha molto colpito era come loro avessero dietro soprattutto degli attrezzi da lavoro che usavano per recuperare, strada facendo, gli strumenti di offesa e di difesa che gli servivano. Con quelli hanno smontato mezza città. Questo è stato un insegnamento molto utile. Con qualche cacciavite, chiave inglese, pinze e tenaglie è possibile recuperare una quantità di materiale offensivo e difensivo impressionante. A questo punto anche il materiale incendiario non hai bisogno di portartelo dietro perché lo puoi recuperare in un sacco di posti. I supermarket, tanto per dire, ne sono pieni. Un'altra cosa che ci ha parecchio impressionato è stata la loro conoscenza quasi perfetta del territorio. Si muovevano come se a Genova ci fossero nati.[..]. Dopo il G8 abbiamo iniziato a muoverci [come gruppo ultras, ndr] tenendo maggiormente a mente quel tipo di insegnamento.

Mosca: ucciso giudice, in prima linea contro naziskin

Un alto magistrato russo è stato ucciso questa mattina mentre usciva da casa, nel centro di Mosca. Lo scrivono le agenzie russe citando fonti dei servizi di sicurezza.

E' un giudice del tribunale di Mosca impegnato contro i naziskin, Eduard Ciuvashiov ucciso stamane con colpi d'arma da fuoco sparati a distanza ravvicinata mentre stava uscendo dalla sua abitazione, in una zona centrale della capitale, ad un chilometro dalla sede del governo e a poche centinaia di metri da Moscow City, la cittadella finanziaria. Lo riferisce l'agenzia Interfax citando una fonte delle forze dell'ordine. Secondo una fonte investigativa, Ciuvashov si era occupato di processi contro i naziskin, numerosissimi a Mosca e in tutta la Russia: proprio nei giorni scorsi si era concluso un secondo processo a carico di tre giovani membri di un gruppo ultranazionalista accusati di tentati omicidi a sfondo etnico e già condannati precedentemente per delitti della stessa natura. Il giudice era stato minacciato anche su alcuni siti di gruppi estremisti ultranazionalisti.

IN PRIMA LINEA CONTRO NAZISKIN - Eduard Ciuvashiov, freddato stamane a Mosca mentre usciva dal suo appartamento, era un giudice in prima linea contro gli ultranazionalisti, in genere skinhead e naziskin, oltre 50 mila in tutto il Paese, di cui circa 20 mila a Mosca. Un triste primato a livello europeo, in un ex Paese comunista che ha sacrificato 27 milioni di uomini contro il nazismo ma che dopo il crollo dell'Urss si è scoperto sempre più nazionalista e xenofobo verso gli ex popoli "fratelli". Il processo nel quale Ciuvashiov era stato impegnato nei giorni scorsi, riguardava tre giovani naziskin tornati alla sbarra per tre tentati omicidi: uno degli imputati si è visto aumentare di due anni la pena precedente (20 anni), mentre per gli altri due è rimasta immutata essendo già stati condannati al massimo della pena in primo grado (10 anni in quanto minorenni). Lo scorso febbraio, invece, aveva presieduto il collegio che aveva processato una banda di skinhead denominata 'Lupi Bianchi'': dei 12 imputati, tre erano stati assolti, mentre altri nove erano stati condannati a pene da sei anni e mezzo a 23 anni di prigione, per sei degli undici omicidi a sfondo razzista contestati dall'accusa. La banda era guidata da un diciottenne, Alexiei Dziavakhishvili, che si considerava un russo doc benché di origini mezze georgiane: i giudici gli hanno inflitto sette anni di reclusione. Il gruppo faceva spedizioni contro persone dall'aspetto non slavo: prima le percuotevano e poi le uccidevano a colpi di coltello e di cacciavite, gridando slogan come "La Russia ai russi, Mosca ai moscoviti". Gli assalitori filmavano i loro blitz e poi li diffondevano su internet insieme ai loro commenti. Nessuno degli imputati ha professato pentimento per i fatti commessi e ha abiurato le proprie idee ultranazionaliste. Il giudice si era occupato anche delle indagini a carico di un gruppo ultranazionalista guidato da Artur Rinò and Pavel Skacevski, già condannati a fine 2008 a 10 anni - in quanto minorenni - per una ventina di atroci omicidi razzisti e per una dozzina di tentativi analoghi, filmati e diffusi su internet: un anno per ogni due omicidi, senza considerare quelli tentati. "Volevamo ripulire la città da coloro che non sono russi", si era giustificato al processo Rinò, senza mai pentirsi, al pari dei suoi compagni. Si erano conosciuti tutti su internet e durante comizi di gruppi di estrema destra. In 15 mesi, tra l'agosto 2006 e l'ottobre 2007, nella regione di Mosca, avevano dato la caccia con coltelli e mazze da baseball a persone dall'apparenza 'non slava', filmando le loro 'imprese' e scaricando le immagini su internet. Le loro vittime erano immigrati, prevalentemente di origine caucasica o centrasiatica: tagiki, azeri, ukbeki, armeni, anche cinesi, tutti rei di non avere sangue slavo e di "rubare lavoro" ai russi.

da Antifa