HOME       BLOG    VIDEO    EVENTI    GLI INVISIBILI    MUSICA    LIBRI    POLITICA LOCALE    POST PIU' COMMENTATI

giovedì 31 dicembre 2009

ALESSIO LEGA - VENDITORE DI SASSI



Alessio Lega - Venditore di sassi
La canzone politica dagli anni '80 (1980-)


Di' papà
ma dove sta
il venditor di sassi
e speriamo che lui passi
quand'ho la cartella!
La maestra dice in classe
la vita è un gioiello
che i cattivi avran la peggio
che il futuro è bello...

E allora...
Perchè i bimbi di Belfast
di Harlem, di Palermo
lottan con le pietre in mano
persi nell' inferno?
Quando raccontavano
di Davide e Golia
ho creduto fosse storia
e non solo poesia.

Di' papà
quand'è che passa
la giostra d¹allegria
vedo troppa gente sola
persa nella via
sento un pianto falso e infame
dai televisori
mentre c'è chi piange e ha fame
a due metri fuori.

Di' papà
se passerà
chi vende tenerezza
se potrà consolare
tutta la tristezza
di un mondo povero che crepa
e un altro soffocato
da tutta la merce invenduta
nel supermercato.

Quando offro il mio panino
a chi non mangia mai
quando do tutto il mio amore
a chi ha solo guai
non è per esser comunista
né un buon cristiano
cerco solo il gusto nuovo
di sentirmi umano.

Di' papà
ci son parole
che fan male alle orecchie
son le stesse son le sole
sempre quelle vecchie...
Fa' che trovi la mia rabbia
sotto la pietà
fa che trovi un'intifada
in ogni città.

Di' papà
ma dove sta
il venditor di pietre
e, stai attento, se è passato
poi ritorna indietro...
Se tu fai del mio dolore
e dei miei sassi infine
solo un urlo di furore
per le tue canzoncine!

Si tratta della versione italiana, piuttosto libera in alcuni punti, di Marchand de cailloux di Renaud. È ancora inedita in album, ma Alessio Lega la porta già in giro nei suoi concerti. Da questa canzone ha preso nome il suo blog.

Emiliano rinuncia alle primarie contro Vendola


Michele Emiliano, dopo aver chiesto le primarie a Nichi Vendola, rinuncia alla candidatura per le prossime regionali. Il no del segretario nazionale del Pd Pierluigi Bersani sulla legge ad personam in favore di Michele Emiliano, ha cambiato ancora una volta le carte in tavola nel centrosinistra pugliese.

Il sindaco di Bari aveva chiesto che il Consiglio regionale approvasse il lodo "Emilianum" e cioè la norma che avrebbe consentito a ciascun primo cittadino di candidarsi senza doversi dimettere dal proprio ruolo di amministratore. il no di tutto il Pd ha letteramente messo in scacco il sindaco. Senza la sicurezza della legge ad personam, Michele Emiliano non ha intenzione di scendere in campo contro Vendola. Oggi il Pd dovrebbe scegliere lo sfidante all'attuale governatore regionale. Forse Francesco Boccia. Un'altra ipotesi è quella di far correre Sergio Blasi. Al momento Massimo D'Alema e Nicola Latorre stanno lavorando su più tavoli per cercare una soluzione. Non è escluso che le primarie non si facciano più e il centrosinistra possa candidare uno dei suoi uomini contro Vendola e il centrodestra. Ma dopo l'annuncio delle primarie è assai difficile che si faccia un passo indietro.

IL TESTO DELLA LETTERA DI MICHELE EMILIANO A SERGIO BLASI

Caro Sergio,
A questo punto della vicenda regionale occorre fare un punto definitivo, almeno per quanto mi riguarda. Come e' noto io ho sempre considerato il presidente uscente come il candidato obbligato per le prossime elezioni. Pur avendo egli condiviso la necessita' elettorale e strategica di un'alleanza con l'UDC ed avendola concretamente cercata (vedi incontro con Casini) durante il rimpasto di giunta di questa estate, egli oggi ritiene che la sua candidatura sia più' importante della prospettiva politica aperta da quella alleanza. Questa sua opinione fa saltare la coalizione con l'Udc che abbiamo gia' costruito in Puglia nelle scorse amministrative perche' quest'ultima forza politica chiede al centrosinistra una candidatura diversa.

E qui sfortunatamente per me e per le persone che mi vogliono bene entro in ballo io. Perche' dalle consultazioni in corso emerge gia' due mesi fa che esiste un solo candidato che tiene insieme tutti i partiti e che dispone di sondaggi che rendono molto probabile la vittoria del cs alle prossime elezioni. Ed e' solo questa la ragione di un pressing progressivo e sempre più' insopportabile che - nonostante tutti i miei pubblici e categorici rifiuti, Ti ha obbligato qualche giorno orsono ad indicarmi quale candidato del PD. Tu hai formulato questa indicazione in totale solitudine e senza consultarmi e ciononostante non ho potuto rifiutarmi ancora perche' altrimenti, per ragioni opposte e contrarie a quelle del presidente della regione, avrei definitivamente assunto su di me la responsabilita' di avere distrutto la coalizione che puo' farci vincere le elezioni.

La mia candidatura a questo punto doveva passare dalla assemblea regionale e poteva essere varata senza troppe complicazioni. Ma io sono il sindaco di Bari e non posso non anteporre la difesa della mia citta' ad ogni altra considerazione. Ti ho a questo punto detto che non avrei mai accettato senza una modifica della legge elettorale che riconducesse alla legalita' repubblicana la legge regionale pugliese che prevede l'incandidabilita' dei sindaci delle citta' più' grandi. A questo punto Tu ed il capogruppo PD Maniglio mi avete pubblicamente assicurato il voto del PD sull'emendamento "salva Bari". Ed allora ho deciso di accettare la Tua proposta senza ulteriori condizioni.

A seguito dei noti incidenti l'assemblea regionale non si e' potuta svolgere. E sono dunque stato richiesto di accettare le primarie! Certo primarie anomale, perche' pur trattandosi di primarie interne al PD, esse si svolgono tra il Presidente del partito ed un estraneo! E non v'e' dubbio che si tratti di primarie interne al PD atteso che nessun'altra forza politica aderisce a questa consultazione. Nonostante questa anomalia ho detto ancora un altro si' al partito democratico, ribadendo pero' che l'emendamento "salva Bari" era la garanzia minima che chiedevo non per me, ma per la mia amministrazione che non poteva essere sciolta da un minuto all'altro. Ho letto ieri le Tue dichiarazioni su questo punto. Hai detto che il nostro segretario nazionale sostiene che il PD non puo' votare la legge senza la condivisione di maggioranza ed opposizione.

Il presidente uscente ha ribadito la sua indisponibilita' a votare la modifica nonostante la accettazione da parte mia delle primarie. Primarie che senza quell'emendamento non potrei che desiderare di perdere perche' avrei fatto del male alla mia citta'. Come al solito Fitto ci aiuta a capire. Le sue dichiarazioni odierne confermano che la pensa come Te. Egli sa che se la Tua proposta di candidatura fosse la proposta del centrosinistra noi avremmo ottime possibilita' di vincere le elezioni ed e' per questo che lancia la stessa battaglia del presidente uscente e non vuole cambiare la legge elettorale pugliese. Nonostante la sua palese (sic!) incostituzionalita' dimostrata dalla sentenza della Corte Costituzionale in un caso identico che Ti ho consegnato.

Potrei andare avanti, dimettermi da sindaco, come correttamente mi chiede Fitto, gestire durante le primarie la violenta reazione di tutte le centinaia di eletti che perderebbero il posto e che certamente, destra e sinistra, non voterebbero per me alle primarie, fare le primarie anomale con il presidente uscente, e poi cominciare la campagna elettorale, sperando che i sostenitori più' accesi del mio antagonista abbiano accettato veramente il risultato delle primarie e sperando che nel frattempo Io sud, Udc ed Idv non si siano stancati di noi e del nostro dramma.

La campagna elettorale dovrebbe poi sopportare il disappunto dei baresi nell'aver perso il loro sindaco e la loro amministrazione non per un bel progetto condiviso da tutti (almeno nel PD) ma per una battaglia di potere che abbiamo dovuto lanciare a causa della indisponibilita' del presidente uscente ad indicare un suo successore che riuscisse dove lui ha fallito e cioe' nel costruire uno straccio di coalizione che lo sostenga. A questo punto ho dei doveri verso me stesso e verso la mia storia personale. Io non sono un politicante senza mestiere incapace di capire che non sono più' in grado di rappresentare il progetto politico necessario alla costruzione del bene comune. Io sono un magistrato, un sindaco, il Presidente del mio partito, sono una persona seria ed in queste qualita' io ti dico che a questo punto, al Tuo posto, andrei dal presidente uscente gli direi che vista la situazione di disfacimento nella quale ci troviamo, lasci a lui la decisione. O si fa da parte e ci lascia indicare il candidato con maggiori possibilita' di vittoria oppure assuma la guida del centrosinistra o di quel che ne rimane e cominci la campagna elettorale subito, senza ulteriori perdite di tempo.

Io faro' la mia parte per la Puglia e per il mio partito, senza rimpianti ed anzi con grande sollievo. Non credo ci possano essere altre soluzioni. Un ultimo invito a me stesso: mettiamo da parte tutti i rancori e salviamo almeno cio' che di buono abbiamo fatto in passato.

Un forte abbraccio.
Michele Emiliano

Quel ragazzo senza braccia sul treno dell'indifferenza. Storia di ordinario fascismo.

CARO direttore, è domenica 27 dicembre. Eurostar Bari-Roma. Intorno a me famiglie soddisfatte e stanche dopo i festeggiamenti natalizi, studenti di ritorno alle proprie università, lavoratori un po' tristi di dover abbandonare le proprie città per riprendere il lavoro al nord. Insieme a loro un ragazzo senza braccia.

Sì, senza braccia, con due moncherini fatti di tre dita che spuntano dalle spalle. È salito sul treno con le sue forze. Posa la borsa a tracolla per terra con enorme sforzo del collo e la spinge con i piedi sotto al sedile. Crolla sulla poltrona. Dietro agli spessi occhiali da miope tutta la sua sofferenza fisica e psichica per un gesto così semplice per gli altri: salire sul treno. Profondi respiri per calmare i battiti del cuore. Avrà massimo trent'anni.
Si parte. Poco prima della stazione di (...) passa il controllore. Una ragazza di venticinque anni truccata con molta cura e una divisa inappuntabile. Raggiunto il ragazzo senza braccia gli chiede il biglietto. Questi, articolando le parole con grande difficoltà, riesce a mormorare una frase sconnessa: "No biglietto, no fatto in tempo, handicap, handicap". Con la bocca (il collo si piega innaturalmente, le vene si gonfiano, il volto gli diventa paonazzo) tira fuori dal taschino un mazzetto di soldi. Sono la cifra esatta per fare il biglietto. Il controllore li conta e con tono burocratico dice al ragazzo che non bastano perché fare il biglietto in treno costa, in questo caso, cinquanta euro di più. Il ragazzo farfugliando le dice di non avere altri soldi, di non poter pagare nessun sovrapprezzo, e con la voce incrinata dal pianto per l'umiliazione ripete "Handicap, handicap".

I passeggeri del vagone, me compreso, seguono la scena trattenendo il respiro, molti con lo sguardo piantato a terra, senza nemmeno il coraggio di guardare. A questo punto, la ragazza diventa più dura e si rivolge al ragazzo con un tono sprezzante, come se si trattasse di un criminale; negli occhi ha uno sguardo accusatorio che sbatte in faccia a quel povero disgraziato. Per difendersi il giovane cerca di scrivere qualcosa per comunicare ciò che non riesce a dire; con la bocca prende la penna dal taschino e cerca di scrivere sul tavolino qualcosa. La ragazza gli prende la penna e lo rimprovera severamente dicendogli che non si scrive sui tavolini del treno. Nel vagone è calato un silenzio gelato. Vorrei intervenire, eppure sono bloccato.

La ragazza decide di risolvere la questione in altro modo e in ossequio alla procedura appresa al corso per controllori provetti si dirige a passi decisi in cerca del capotreno. Con la sua uscita di scena i viaggiatori riprendono a respirare, e tutti speriamo che la storia finisca lì: una riprovevole parentesi, una vergogna senza coda, che il controllore lasci perdere e si dedichi a controllare i biglietti al resto del treno. Invece no.
Tornano in due. Questa volta però, prima che raggiungano il giovane disabile, dal mio posto blocco controllore e capotreno e sottovoce faccio presente che data la situazione particolare forse è il caso di affrontare la cosa con un po' più di compassione.

Al che la ragazza, apparentemente punta nel vivo, con aria acida mi spiega che sta compiendo il suo dovere, che ci sono delle regole da far rispettare, che la responsabilità è sua e io non c'entro niente. Il capotreno interviene e mi chiede qual è il mio problema. Gli riepilogo la situazione. Ascoltata la mia "deposizione", il capotreno, anche lui sulla trentina, stabilisce che se il giovane non aveva fatto in tempo a fare il biglietto la colpa era sua e che comunque in stazione ci sono le macchinette self service. Sì, avete capito bene: a suo parere la soluzione giusta sarebbe stata la macchinetta self service. "Ma non ha braccia! Come faceva a usare la macchinetta self service?" chiedo al capotreno che con la sua logica burocratica mi risponde: "C'è l'assistenza". "Certo, sempre pieno di assistenti delle Ferrovie dello Stato accanto alle macchinette self service" ribatto io, e aggiungo che le regole sono valide solo quando fa comodo perché durante l'andata l'Eurostar con prenotazione obbligatoria era pieno zeppo di gente in piedi senza biglietto e il controllore non è nemmeno passato a controllare il biglietti. "E lo sa perché?" ho concluso. "Perché quelle persone le braccia ce l'avevano...".

Nel frattempo tutti i passeggeri che seguono l'evolversi della vicenda restano muti. Il capotreno procede oltre e raggiunto il ragazzo ripercorre tutta la procedura, con pari indifferenza, pari imperturbabilità. Con una differenza, probabilmente frutto del suo ruolo di capotreno: la sua decisione sarà esecutiva. Il ragazzo deve scendere dal treno, farsi un biglietto per il successivo treno diretto a Roma e salire su quello. Ma il giovane, saputa questa cosa, con lo sguardo disorientato, sudato per la paura, inizia a scuotere la testa e tutto il corpo nel tentativo disperato di spiegarsi; spiegazione espressa con la solita esplicita, evidente parola: handicap.

La risposta del capotreno è pronta: "Voi (voi chi?) pensate che siamo razzisti, ma noi qui non discriminiamo nessuno, noi facciamo soltanto il nostro lavoro, anzi, siamo il contrario del razzismo!". E detto questo, su consiglio della ragazza controllore, si procede alla fase B: la polizia ferroviaria. Siamo arrivati alla stazione di (...). Sul treno salgono due agenti. Due signori tranquilli di mezza età. Nessuna aggressività nell'espressione del viso o nell'incedere. Devono essere abituati a casi di passeggeri senza biglietto che non vogliono pagare. Si dirigono verso il giovane disabile e come lo vedono uno di loro alza le mani al cielo e ad alta voce esclama: "Ah, questi, con questi non ci puoi fare nulla altrimenti succede un casino! Questi hanno sempre ragione, questi non li puoi toccare". Dopodiché si consultano con il capotreno e la ragazza controllore e viene deciso che il ragazzo scenderà dal treno, un terzo controllore prenderà i soldi del disabile e gli farà il biglietto per il treno successivo, però senza posto assicurato: si dovrà sedere nel vagone ristorante.

Il giovane disabile, totalmente in balia degli eventi, ormai non tenta più di parlare, ma probabilmente capisce che gli sarà consentito proseguire il viaggio nel vagone ristorante e allora sollevato, con l'impeto di chi è scampato a un pericolo, di chi vede svanire la minaccia, si piega in avanti e bacia la mano del capotreno.

Epilogo della storia. Fatto scendere il disabile dal treno, prima che la polizia abbandoni il vagone, la ragazza controllore chiede ai poliziotti di annotarsi le mie generalità. Meravigliato, le chiedo per quale motivo. "Perché mi hai offesa". "Ti ho forse detto parolacce? Ti ho impedito di fare il tuo lavoro?" le domando sempre più incredulo. Risposta: "Mi hai detto che sono maleducata". Mi alzo e prendo la patente. Mentre un poliziotto si annota i miei dati su un foglio chiedo alla ragazza di dirmi il suo nome per sapere con chi ho avuto il piacere di interloquire. Lei, dopo un attimo di disorientamento, con tono soddisfatto, mi risponde che non è tenuta a dare i propri dati e mi dice che se voglio posso annotarmi il numero del treno.

Allora chiedo un riferimento ai poliziotti e anche loro si rifiutano e mi consigliano di segnarmi semplicemente: Polizia ferroviaria di (...). Avrei naturalmente voluto dire molte cose, ma la signora seduta accanto a me mi sussurra di non dire niente, e io decido di seguire il consiglio rimettendomi a sedere. Poliziotti e controllori abbandonano il vagone e il treno riparte. Le parole della mia vicina di posto sono state le uniche parole di solidarietà che ho sentito in tutta questa brutta storia. Per il resto, sono rimasti tutti fermi, in silenzio, a osservare.

da Indymedia

Il ministero non paga l'affitto sfrattata la polizia a Cefalu'

Cefalù (PA). L'ufficio di polizia di Cefalù dovrà al più presto lasciare la sede che attualmente occupa.
L'ufficiale giudiziario ha notificato un provvedimento di reimmissione in possesso per il proprietario che equivale a una sorta di sfratto. La causa? Il ministero dell'Interno ha ritardato oppure omesso di pagare canone e interessi. Altro fatto paradossale: tra il ministero e il proprietario Vezio Vazzana non è stato mai stipulato un contratto. E il commissariato, che attualmente è diretto dal vice questore Manfredi Borsellino (figlio di Paolo, il magistrato assassinato nella strage di via D'Amelio del '92), ha potuto utilizzare l'edificio di via Roma sulla base di un accordo informale.
Da tempo il proprietario ha chiesto il rilascio dell'immobile e di recente ha ottenuto una decisione favorevole del giudice. L'ordine di sgombero è esecutivo ma i tempi dello "sfratto" potrebbero allungarsi in considerazione del fatto che l'ufficio di polizia svolge un pubblico servizio. Sulla vicenda il capogruppo del Pd al consiglio comunale, Rosario Lapunzina, ha presentato un'interrogazione al sindaco perché si adoperi a trovare una soluzione per dare al più presto una "casa" alla polizia a Cefalù.

Tratto da: La Repubblica

da AntimafiaDuemila

"Felicità per me è lottare"

di Benedetta Guerriero
Secondo Moni Ovadia, eclettico artista del panorama internazionale, servono grandi progetti per scuotere la politica

“Papà cos'è la felicità?”. Chiedevano le figlie a Karl Marx e lui rispondeva: “Felicità per me è lottare”. Con questo aneddoto Moni Ovadia, poliedrico artista col merito di aver portato nel nostro Paese la cultura klezmer, invita gli italiani a reagire allo squallore del panorama politico italiano.
Regista, attore, cantante e scrittore di fama internazionale, Ovadia è stato intervistato da Peacereporter per fornire un'analisi della situazione politica italiana.

Cosa pensa del clima politico italiano?

E' catastrofico, difficile immaginare qualcosa di peggio. La democrazia italiana è bloccata, c'è un'eccessiva concentrazione di potere nelle mani di una sola persona. Non è possibile che il presidente del Consiglio possieda anche tre reti televisive. Finché questo sistema non cambia e l'influenza di questo personaggio non viene limitata, il Paese è sotto scacco. Non ha importanza che si chiami Berlusconi, potrebbe anche avere un altro nome, ma il problema rimarrebbe. L'esecutivo è appiattito sul premier e le voci discordanti non vengono tollerate. Il caso di Gianfranco Fini è emblematico.

Lei parla della destra, ma l'opposizione che ruolo ha in tutto questo?

L'opposizione è debole, non ha un programma. Balbetta, invece di parlare. La sinistra non è più capace di far sognare, ha esaurito le scorte. La destra a suo modo riesce ancora a proporre dei sogni, tossici, televisivi, che per me sono degli incubi, ma che piacciono alla gente.

E' la politica che avvelena l'Italia?

I politici hanno delle grandi responsabilità. I meccanismi mafiosi continuano a funzionare inesorabilmente. Gli arresti dell'ultimo periodo sono dimostrativi e riguardano personaggi che erano già stati tagliati fuori dal mondo della criminalità organizzata. La corruzione non era così diffusa nemmeno ai tempi di Mani Pulite e i continui tagli alla cultura, alla scienza e alle nuove tecnologie non fanno che aumentare il deficit italiano rispetto alle altre nazioni. Non investire nella ricerca significa ipotecare il futuro. Provo una pena infinita per i giovani, subiscono la bancarotta fraudolenta e fradicia della nostra generazione. Bisogna reagire, lottare, ma non una volta ogni tanto. Sempre. Fermiamo il dilagare della volgarità e dell'ignoranza crassa, pensiamo ad altro.

Ha tracciato un panorama desolante della situazione politica italiana. C'è una via d'uscita?

Bisogna mettere in pratica grandi progetti in ogni ambito. Le soluzioni sono Amnesty International, Terra Madre, Emergency. Queste organizzazioni hanno dimostrato che portando avanti grandi battaglie civili, i politici sono costretti a prenderne atto. Non bisogna mai stancarsi di lottare. Quando Martin Luther King pronunciò il suo famoso discorso “I have a dream”, nessuno pensava che il sogno si sarebbe realizzato Oggi il presidente degli Stati Uniti è Barack Obama. I cambiamenti partono sempre dal basso, non dall'alto.

da PeaceReporter

Quei 150 milioni bruciati dalla giunta Fitto

L'hanno appena rinviato a giudizio per corruzione, ipotizzando che abbia intascato tangenti per favorire le cliniche private della famiglia Angelucci, e già spunta una nuova inchiesta sulla sua gestione della Puglia.

Stiamo parlando di Raffaele Fitto, rampante ministro per gli Affari regionali e le Autonomie locali. La procura adesso indaga su una spericolata operazione finanziaria condotta dalla sua giunta: l'emissione di due bond da 600 e 270 milioni di euro. Una manovra che è già costata alle casse pubbliche 150 milioni di euro, divorati dai prodotti finanziari impazziti.


Lo stesso problema lo hanno avuto molti enti locali ma secondo i primi accertamenti della procura - descritti dalle pagine baresi di Repubblica - la Regione Puglia si sarebbe mossa con parecchia leggerezza. Incluso un contratto multimilionario in inglese firmato da un dirigente che non conosceva la lingua. Tanto a pagare sono i cittadini.

da L'Espresso