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mercoledì 12 agosto 2009

VILLA ADA POSSE - SOGNO INTENSO



SOGNO INTENSO

Ogni giorno entra una luce che
Pare diversa da quella del giorno prima
Sensazione che mi fa capire cos’è cos’è
Che mi spinge avanti per la mia strada
Ogni giorno entra una luce che
porta con se gli umori della giornata
E ripenso a quel sogno intenso che
ha colpito la mia vita
Vedo un sogno la terra che appare
Come un organismo capace di sentire
Ogni movimento ogni cosa che accade
Come fosse un corpo condannato a soffrire
Vedo un sogno la terra mi appare
Come una donna che mi parla e che mi dice
Mi spiega di come è stanca di dover sopportare
Un’umanità che non è in grado di capire

Per ogni albero abbattuto nessun seme piantato
Ogni luogo conosciuto subito viene inquinato
Ogni mare pulito presto viene contaminato
E non c’è equilibrio che viene rispettato
Viviamo come parassiti sopra un corpo malato
Dominando un mondo artificiale da noi costruito
Elogiamo e difendiamo quello che abbiamo creato
Dimenticando quel legame vitale
Che ci ha consentito di trovare un’esperienza così profonda e densa
Su un pianeta chee ci ha dato tutta la sua accoglienza
Ma la nostra conoscenza è diventata arroganza
Ci ha distolto dal significato dell’esistenza
C’è gente ke pensa ke c’è un Dio in trascendenza
Ma la vena su cui cammina non gli ha dato mai importanza
Allora È l’evidenza la sofferenza della grande madre
Che si trova in decadenza

RIT.
Vedo un sogno la terra che appare
Come un organismo capace di sentire
Ogni movimento ogni cosa che accade
Come fosse un corpo condannato a soffrire
Vedo un sogno la terra mi appare
Come una donna che mi parla e che mi dice
Mi spiega di com'è stanca di dover sopportare
Un’umanità che non è in grado di capire

Questo pianeta a noi ci ha dato l’ospitalità
Ci ha donato la bellezza e la qualità
Ci ha fornito l’alimento
E soddisfatto necessità
Ne succhiamo le risorse
Nulla indietro si da
Abbiamo perso ormai l’idea della sacralità
Così come era diffusa nell’antichità
Per cui la terra era cm una divinità
Misteriosa abbondante e colma di prosperità
Ma è ormai impossibile e inevitabile
Provare a fermare il tempo
Che scorre veloce inesorabile
Abbiamo perso il contatto con ciò che ha un valore incalcolabile
È probabile che il danno recato sia irreparabile sto mondo è inimitabile
Non c’è nulla di umano che con la natura è paragonabile
Nessun mondo virtuale alla madre terra è sostenibile
non c’è uomo colpevole che si senta responsabile
di quello che ha fatto alla terra di come la resa invivibile

RIT.
Ogni giorno entra una luce che
Pare diversa da quella del giorno prima
Sensazione che mi fa capire cos’è cos’è
Che mi spinge avanti per la mia strada
Ogni giorno entra una luce che
porta con se gli umori della giornata
E ripenso a quel sogno intenso che
ha colpito la mia vita
Vedo un sogno la terra che appare
Come un organismo capace di sentire
Ogni movimento ogni cosa che accade
Come fosse un corpo condannato a soffrire
Vedo un sogno la terra mi appare
Come una donna che mi parla e che mi dice
Mi spiega di come è stanca di dover sopportare
Un’umanità che non è in grado di capire

Vedo un sogno la terra mi appare

Vedo un sogno la terra mi appare

Portoselvaggio a Rischio – Un altro incendio sventato-


Sembra paradossale, ma gli incoscienti in questo periodo hanno vita facile nel loro tentativo di distruzione dell’ambiente.
Domenica 9 Agosto nella serata poco prima delle 19 alcuni ragazzini, di ritorno dal mare, hanno cercato di appiccare il fuoco al parco naturale di Porto Selvaggio, un parco naturale regionale che si estende per parecchi ettari sulle coste del comune di Nardò.
Il caldo dell’estate trasforma il bosco in un ambiente dove il forte odore di resina si confonde con la brezza marina, un ambiente fantastico sul quale negli anni 80 vi furono tentativi di speculazione edilizia che per fortuna non hanno avuto esito, anche se questo costò moltissimo alla comunità neretina.
Ogni anno periodicamente si verificano principi di incendio dolosi fortunatamente spenti dalle vedette del corpo forestale dello stato e da vigili del fuoco. Anche domenica, lo stupido divertimento di pochi, per poco non si è trasformato in un disastro naturale per tanti, grazie all’intervento di due giovani residenti e un turista. Il fuoco si stava estendendo velocemente distruggendo un’area del costone sud della Baia di Uluzzo. Tenendo conto della direzione del vento e la possibile propagazione del fuoco nel bosco, i giovani
“veri” volontari,con delle “frasche” di lentisco si sono disposti tra il fronte del fuoco e il bosco; la presenza di una sottile fascia tagliafuoco è stata provvidenziale per arginare la propagazione. L’arrivo di due operatori antincendio del servizio forestale della regione Puglia con i “flabelli”(detti anche battifiamma) è stato determinante per il totale spegnimento dell’incendio.
Vorrei sottolineare che se non fosse stato per il tempestivo intervento dei soli tre giovani e quello successivo del servizio forestale della Regione Puglia, l’incendio si sarebbe potuto propagare velocemente investendo la pineta.
A nostro avviso l’unica strategia per salvaguardare e tutelare il Parco Naturale da qualsiasi emergenza è quella di educare le giovani generazioni a considerare il bene pubblico come un bene proprio da salvaguardare conservare e difendere.

di Damiano Caputo

BASILE, NEL SILENZIO GLI AUGURI SCOMODI DI DON STEFANO

Il parroco di Ugento, a pochi giorni da Ferragosto, torna a parlare dello stallo totale sull'omicidio del consigliere. E in una lunga lettera chiede a Fitto di agire e agli assassini di pentirsi

UGENTO - “La voce del sangue di tuo fratello, grida a me dal suolo. Così parlò Dio a Caino e così parla a noi oggi che continuiamo a chiuderci nel silenzio e nell’indifferenza (… sono forse io il custode di mio fratello?, rispose Caino) circa l’efferato omicidio del carissimo Peppino Basile, nostro fratello e rappresentante di una istituzione”. E così parlò don Stefano Rocca, il parroco della chiesa di San Giovanni Bosco, ad Ugento che, a pochi giorni da Ferragosto, quando scoccherà il quattordicesimo mese senza notizie sul nome di chi abbia impugnato il coltello che trafisse più volte il consigliere comunale e provinciale dell’Idv, fino ad ucciderlo, formula i suo “auguri scomodi” alla politica salentina. E anche a chi quella mano ha usato ed eventualmente a chi l’ha armata. “Sono passati quattordici mesi e il suo delitto resta ancora avvolto in uno scandaloso mistero. Molte sono le orecchie da mercante. Numerose sono state le provocazioni lanciate in questi mesi e giorni: presentazioni di libri, lettere indirizzate a politici e presidenti vari. Mi chiedo – scrive do Stefano -, perché ancora oggi si preferisce tacere?”

“Perché questa morte ha provocato una sterile divisione, una rottura di rapporti sino a sfiorare persino condanne, querele e insulti poco edificanti come se fosse solo un “pallino” da parte di qualcuno? Perché ancora oggi, la morte assurda di un uomo è diventata una realtà che al solo parlarne provoca reazioni illogiche anche da parte di esponenti politici? Perché la morte di Peppino deve rimanere solo un triste evento che ha colpito la nostra città di Ugento e la nostra terra salentina? Perché su questa morte – si chiede ancora il parroco -, occorre “metterci una pietra sopra”?”

“No, non può essere così. Quanta tristezza alberga nel mio cuore e nel cuore di tutti coloro che da mesi e mesi invocano e gridano giustizia e verità per Peppino. Lo faremo senza mai stancarci. Abbiamo la fortuna di avere nell’ambito del governo nazionale un ministro, figlio della terra salentina (il riferimento è ovviamente a Raffaele Fitto, Ndr), che nei mesi scorsi abbiamo visto spesso presente nei nostri paesi per suffragare voti per il suo schieramento politico. Per questo non abbiamo niente d’ammonire. Però, perdonate anche noi, e non prendeteci per pazzi o per protagonisti o peggio ancora non schierateci come vostri nemici o avversari se continuamente vi chiediamo di aiutarci nella nostra ricerca della verità di un fatto così grave che sino ad oggi non conosce precedenti. Una cosa è certa – dice ancora don Stefano: - che se fosse accaduto ad uno di voi impegnato nella politica, ugualmente ci saremmo “fatti in quattro” affinché verità e giustizia venissero fuori”.

“La nostra “ battaglia” non è per quello e quell’altro colore politico, come purtroppo si crede, ma per un uomo massacrato, nostro fratello e figlio di Dio. Credo che solo “abbracciandoci insieme” come amava dire Don Tonino Bello – sottolinea il prete - , potremmo abbattere il muro della violenza e della inimicizia, e perseguire insieme i valori della giustizia e della verità, che insieme dovremmo ricercare. Come sarebbe benaccetto da parte di noi cittadini Ugentini, poter sentire dalle labbra del nostro ministro una parola di intercessione presso le più alte cariche dello stato affinché un tale delitto possa avere quanto prima una sua risoluzione, almeno per difendere un uomo politico, al di là del coloro partitico, eletto dal popolo. Come sarebbe bello che la richiesta della verità fosse invocata da tutti senza alcuna distinzione di colore partitico. Eppure… il sangue di tuo fratello grida a me dal suolo, ci ricorda Dio. Grida! Mi auguro che almeno le grida di Dio possiamo sentirle nel nostro cuore, visto che quelle di Peppino quella notte nessuno le ha ascoltate. Così dicono, purtroppo. Mi auguro che queste grida di Dio possano rimanere impresse nelle coscienze di ognuno, senza la tentazione di rimuoverle”.

“Mi auguro – conclude don Stefano - che qualora questa mia lettera capiti tra le mani di coloro che hanno commissionato e commesso questo atto efferato, possano sentire nel loro cuore la tristezza del peccato compiuto e nello stesso tempo la Misericordia di Dio che sarà tanto grande quanto grande sarà il pentimento. Sono questi i miei auguri scomodi per questo Ferragosto”.

da LeccePrima

Honduras, Micheletti accetta missione Osa

Obama: 'Zelaya destituito in modo illegittimo". D'accordo con il presidente Usa anche Messico e Canada

Passano i giorni, le settimane, i mesi ma e in Honduras la situazione politica, destabilizzata da un colpo di stato contro il presidente Zelaya, sembra poter giungere ben presto una possibile soluzione.

È stato lo stesso Roberto Micheletti, l'ultimo golpista del continente americano, a dare il via libera alla missione diplomatica dell'Organizzazione degli Stati Americani (Osa). In precedenza il presidente golpista aveva sempre rifiutato di far entrare nel paese qualsiasi missione, definendole "non imparziali". Era il 28 giugno scorso quando i vertici militari dell'Honduras arrestarono e con la forza trasferirono nella Costa Rica il presidente democraticamente eletto Manuel Zelaya. Da quel giorno Zelaya ha tentato più volte di far ritorno nel suo paese senza però mai riuscirvi. E nel frattempo nessuno stato al mondo ha riconosciuto il governo de facto di Micheletti che si è trovato isolato più di quanto (forse) si aspettasse. Per settimane Zelaya ha incassato la solidarietà dei presidenti di tutto il mondo e anche dagli Usa, accusati in un primo momento (soprattutto dai presidenti latinoamericani più a sinistra, come Chavez) di appoggiare il golpe.

Proprio il leader statunitense Barack Obama ha però detto più volte che ritiene la destituzione di Manuel Zelaya illegale e chiede che sia "ripristinato l'ordine costituzionale". Anche nei giorni scorsi durante una riunione con i vertici politici di Messico e Canada, Obama ha spiegato la posizione Usa sull'Honduras. Il presidente messicano Felipe Calderon, ha spiegato che "non si tratta di difendere Manuel Zelaya, ma piuttosto i diritti del popolo dell'Honduras". Per queste ragioni avrebbe anche deciso di appoggiare la mediazione di Oscar Arias, presiedente della Costa Rica, al centro delle trattative fra le parti per trovare la soluzione ideale alla crisi di Tegucigalpa. Anche il premier canadese Stephen Harper la pensa come Calderon e ha sottolineato come il Canada sostenga "lo stato di diritto e il governo democratico dell'Honduras".

di Alessandro Grandi da PeaceReporter

La Danza della Pioggia

Nessun argine per le violenze in Sud-Sudan. Aspettando lumi da Washington si spera nella stagione delle piogge

I rappresentati delle agenzie Onu presenti nel Paese sperano nell'arrivo della stagione delle piogge: le inondazioni potrebbero cancellare i sentieri isolando molti villaggi, rendendoli irraggiungibili, e placare così l'ondata di violenze inter-etniche che ha ripreso vigore negli ultimi tempi. Sembra sia la sola flebile speranza nel Sud-Sudan per fermare una guerra che dura da due decenni, finita sulla carta nel 2005 con la firma del Comprehensive Pace Agreement. Politica e diplomazia hanno, a differenza dei guerriglieri, le cartucciere vuote.
Geurre di tribù. Gli scontri verificatisi nei primi giorni del mese tra le tribù Murle e Lou Nuer hanno provocato 185 vittime. La voce più pesante nel bilancio, nella conta dei morti, è costituita da donne e bambini: secondo quanto riferito da Goi Jooyul Yol, il commissario governativo di Akobo, sarebbero più di cento. Decine di corpi sono stati ritrovati tra i cespugli, dove molti pensavano di trovare un sicuro rifugio dai fucili dei Murle. Settecento persone sono morte dall'inizio dell'anno a causa di una guerra tribale fatta di attacchi e contrattacchi, da villaggio a villaggio.
Il World Food Programme (Wfp), l'agenzia Onu per l'alimentazione mondiale, ha chiesto l'intervento delle autorità di Khartoum per porre fine alle lotte tribali che rendono estremamente difficili e pericolose le operazioni umanitarie nel Sud Sudan. Dal giugno scorso, quando le milizie sferrarono un attacco sul fiume Sobat col chiaro intento di interrompere il flusso di rifornimenti alimentari ai profughi dall'altro lato del fiume, il Wfp ha dovuto ricorrere all'impiego di piccoli aerei per trasportare il cibo. Il cielo è rimasta l'ultima via percorribile a causa anche della pericolosità delle strade rese impraticabili, oltre che dal cattivo stato in cui versano, dal costante pericolo di agguati.

Cacciatori di bambini. Come se non bastasse, ai problemi interni e alla guerra civile che in vent'anni ha provocato la morte di due milioni di persone e quasi cinque milioni di profughi, si è aggiunta la follia del visionario Joseph Koni, il leader ugandese della Lord's Resistence Army (Lra): i ribelli ugandesi sconfinano con una certa facilità nel Sud Sudan per far razzia di bambini da arruolare nel loro esercito. I locali chiamano gli uomini di Koni i "ton-tong", che nella loro lingua significa machete, l'arma con cui massacrano decine di persone che oppongono resistenza alle loro depredazioni di bambini, bambine e cibo. Nella sola provincia Equatoriale Occidentale si sono registrati almeno 250 rapimenti, ma nessun può fornire dei dati precisi su quanti ne siano realmente scomparsi in un'area così vasta. Le incursioni dei guerriglieri dell'Lra hanno costretto finora 55mila persone a lasciare le proprie terre per allontanarsi dal loro raggio d'azione. Altri villaggi si svuotano, altri campi profughi vengono allestiti.

La politica di Washington. Entro la fine del mese, Washington dovrebbe esprimersi sulla nuova linea politica che il presidente Barack Obama intenderà seguire. Le aspettative sono molto alte. L'inviato speciale di Obama in Sudan, il generale Scott Gration, ritiene che la mediazione e il dialogo tra il governo di Khartoum e i ribelli sono assolutamente imprescindibili. Gration mira a unire le varie fazioni di ribelli così da poter avere un unico interlocutore, un portavoce che possa rappresentare gli interessi comuni. Lo stesso vale per la diaspora in Darfur e per il pulviscolo delle comunità di rifugiati, così che tutti possano avere un ruolo attivo nei colloqui di pace di Doha. Washington sembra molto determinata nell'assicurare la piena applicazione del Comprehensive Pace Agreement così da porre fine anche a quella che lui definisce "una guerra per procura" che vede in campo Sudan e Ciad. Ma in questo potpurri che ha come ingredienti diverse etnie, religioni e interessi sovranazionali ed economici assumono un ruolo rilevante anche i Janjaweed, le milizie arabe spalleggiate da Khartoum e Hassan al-Bashir della cui incriminazione al tribunale internazionale dell'Aja, Scott Gration è stato un forte sostenitore.

di Nicola Sessa da PeaceReporter

Margherita Cagol - "Mara"


Margherita Cagol nasce a Sardagna di Trento l’8 aprile 1945. È la terza figlia di una coppia borghese: la madre è una farmacista, il padre ha una profumeria, “La casa del sapone”. Margherita frequenta le scuole di Trento. La sua infanzia è “normalissima”. La famiglia Cagol è una famiglia cattolica, anche se non in modo fanatico e bigotto: la domenica vanno tutti insieme a messa e a Natale e a Pasqua Margherita e le sue sorelle partecipano all’organizzazione di lotterie di beneficenza. D’estate vanno un mese in villeggiatura ad Andalo, di inverno vanno a sciare vicino Trento. Margherita è molto sportiva: ama sciare e giocare a tennis.A quattordici anni Margherita impara a suonare la chitarra. Nel 1961, a Bologna, arriva terza ad un concorso nazionale vinto dal figlio del suo maestro, che ha tredici anni e si chiama Lodovico Lutzemberger. Comincia così a tenere, regolarmente e con successo, diversi concerti di chitarra classica. Qualche anno dopo venne chiamata a suonare in Francia, a Gap, dove viene molto apprezzata: l’“Alto Adige” intitola “Un trionfo in Francia per Margherita Cagol”. In seguito incide alcuni brani anche per la RAI.
Nel 1964 si diploma in ragioneria: “Particolarmente lusinghiero l’esito di Margherita Cagol”, scrive “L’Adige” commentando i risultati degli scrutini dell’istituto tecnico commerciale. Margherita decide di iscriversi alla facoltà di Sociologia di Trento (allora Istituto superiore di scienze sociali), nata nel 1962. Non si tratta di una vera e propria scelta: la facoltà è vicina a casa e con un diploma di ragioneria l’unica alternativa è la facoltà di Economia e Commercio, troppo arida per i suoi interessi.
Margherita continua ad essere cattolica, in un modo tutto interiore, nei fatti e non nelle parole. Ha l’abitudine di andare in visita negli ospizi di Trento per tenere compagnia agli anziani e di ascoltare le prediche di un gesuita nella Chiesa di San Francesco Saverio.
Alla facoltà di Sociologia di Trento è in un momento caldissimo: gli studenti di Trento vogliono che gli sia riconosciuta una laurea in Sociologia e non in “scienze politiche ad indirizzo sociologico”. Margherita entra a far parte del Movimento Studentesco e conosce Renato Curcio. Curcio ricorda che Margherita capita nel movimento studentesco trentino per forza di cose: il padre, severissimo, le impone di tornare a casa alle 8,30 di sera e, per questo, Margherita non frequenta più di tanto l’ambiente del movimento, anche se non manca gli appuntamenti decisivi, le assemblee, le manifestazioni e i controcorsi. Nel 1966, durante la prima occupazione della facoltà, Margherita tiene un concerto di chitarra. Il suo rapporto con Curcio diventa profondo. Negli anni successivi la contestazione prosegue. Dal 1967 Curcio e il suo gruppo collaborano con la rivista “Lavoro Politico”, che pubblica nove numeri e diventa un punto di riferimento per la sinistra radicale, d’ispirazione marxista-leninista. La redazione entrerà poi nel Partito Comunista d’Italia. Anche Margherita collabora alla rivista: “Il nostro giornale in questo momento in Italia è il periodico di sinistra più letto e maggiormente influente (tiriamo 5000 copie!). Ogni decisione è quindi della massima importanza”, scrive in una lettera. Margherita fa ricerche minuziose, come quella sulle condizioni dei contadini del trentino, che servono all’elaborazione teorica del gruppo.
Per Curcio il ’68 è un anno frenetico, un po’ meno per Margherita, che è ancora impegnata con l’università e che scrive: “Ti puoi immaginare quanto mi dispiaccia dovermene stare qui mentre Renato fa tante preziose esperienze. È meglio che non ci pensi, altrimenti mi viene il mal di fegato… Sai, mamy, io amo le cose belle e piacevoli, mi piace ridere e scherzare, o fare le cose seriamente. Tutto insomma fuorché starmi a lamentare…”. Margherita è già da tempo la ragazza di Curcio ed è riuscita a non farsi impedire dal padre la possibilità di partecipare, nel vivo, alle lotte studentesche. Intanto il gruppo di “Lavoro Politico” si divide e Curcio e Duccio Berio se ne vanno. Margherita scrive: “Il lungo viaggio di Renato ha portato idee nuove, documenti nuovi, e direi che è stato decisivo per molte cose, per cui ci siamo trovati di fronte una serie di impegni e di decisioni da assolvere in brevissimo tempo. Renato […] anche ora sta viaggiando da una città all’altra per parlare, discutere, osservare. E tutto ciò perché entro una brevissima scadenza ci si presenta la necessità di una scelta: entrare in un partito rivoluzionario o non entrare. Si tratta di una scelta decisiva”.
Il 26 luglio 1969 Margherita si laurea con un tesi sulla “Qualificazione della forza lavoro nelle fasi dello sviluppo capitalistico”, in cui discuteva i “Grundrisse” di Marx, allora non ancora tradotti in Italia. Il relatore è Francesco Alberoni. Le cronache narrano che Margherita, conclusa la discussione, ha alzato il braccio sinistro con il pugno chiuso. La votazione è di 110 e lode e le offrono di svolgere un corso biennale di sociologia all’Umanitaria di Milano, dietro compenso di una borsa di studio. Si profila così il trasferimento a Milano. La sera della laurea Margherita annuncia a suo padre “Mi sono laureata. Fra una settimana mi sposo con Renato”. Il primo agosto 1969 Renato e Margherita, soprattutto per mettere la famiglia di lei davanti ad un atto ufficiale, si sposano sul sagrato della chiesa del Santuario di San Romedio, sulle montagne trentine con il rito misto: Curcio, infatti, pur non identificandosi con nessuna religione, proveniva da un contesto valdese. Appena dopo la cerimonia, a cui partecipano solo la famiglia Cagol e i due testimoni, Renato e Margherita vanno a Milano per partecipare ad una riunione di studenti lavoratori alla Pirelli. L’impegno politico non può aspettare: il loro viaggio di nozze dura pochissimi giorni e al ritorno Margherita e Renato si trasferiscono a Milano.
L’8 settembre 1969 Margherita, Renato ed altri fondano il Collettivo Politico Metropolitano (CPM). È questo il periodo in cui vengono introdotti nelle fabbriche e in cui conoscono i giovani che faranno parte delle future Brigate Rosse. Il 28 novembre Margherita scrive alla madre: “[…] Milano è per me una grande esperienza. Questa grande città che in un primo momento mi è parsa luminosa, piena di attrattive, mi appare sempre di più come un mostro feroce che divora tutto ciò che di naturale, di umano e di essenziale c’è nella vita. Milano è la barbarie, la vera faccia della società in cui viviamo. […] Questa società, che violenta ogni minuto tutti noi, togliendoci ogni cosa che possa in qualche modo emanciparci o farci sentire veramente quello che siamo (ci toglie la possibilità di coltivare la famiglia, di coltivare noi stessi, le nostre esigenze, i nostri bisogni, ci reprime a livello psicologico, fisiologico, etico, ci manipola nei bisogni, nell’informazione, ecc. ecc.) ha estremo bisogno di essere trasformata da un profondo processo rivoluzionario. La violenza del sistema ormai è recepita da grandi masse e non è più sopportata. […] Ma non occorre molto per capire la rabbia e l’insopportabilità da parte dei lavoratori di questa situazione: rivolte, ammutinamenti (i giornali certo non ne parlano…), oppure i cortei qui a Milano ce ne sono due o tre ogni giorno ecc. ecc. Ebbene se pensiamo che tutto questo potrebbe essere eliminato benissimo (ti ricordi quando l’anno scorso ti dicevo che utilizzando al massimo tutti i progetti tecnologici studiati ed impiegandoli nel processo produttivo sarebbe possibile mantenere 10 miliardi di persone al livello del reddito medio attuale americano?) ma che questo non è possibile fin quando esisteranno sistemi politici come quello europeo o americano attuali. Tuttavia esistono moltissime condizioni oggi per trasformare questa società e sarebbe criminale (verso l’umanità) non sfruttarle. Tutto ciò che è possibile fare per combattere questo sistema è dovere farlo, perché questo io credo sia il senso profondo della nostra vita. Non sono cose troppo grosse, sai mamma. Sono piuttosto cose serie e difficili che tuttavia vale la pena di fare. […] La vita è una cosa troppo importante per spenderla male o buttarla via in inutili chiacchiere o battibecchi. Ogni minuto è importante, soprattutto qui a Milano dove la città ti ruba ore e ore che potrebbero essere usate in mille modi creativi”.
Nei primi tempi l’atmosfera nel CPM è distesa e gioiosa, ma il clima cambia dopo le bombe di Piazza Fontana: il CPM decise di andare avanti, ma in un modo nuovo. Verso la fine di dicembre una sessantina di delegati del CPM si riunisce a Chiavari e decide di trasformarsi in un gruppo più centralizzato, “Sinistra Proletaria”, che stampa anche due numeri di una rivista: per la prima volta viene discussa l’idea di passare alla lotta armata. “Sinistra proletaria” svolge il suo operato alla luce del sole, impegnandosi nella lotta per la casa e per i trasporti. Durante tutto il ’70 Margherita si tiene in contatto con la famiglia. Con Curcio va a Parigi e incontra i compagni di “gauche proletarienne”.
Nell’agosto del 1970 si tiene a Pecorile un convegno, a cui partecipa una parte dei militanti di “Sinistra Proletaria”, tra cui Curcio, Franceschini e Margherita. Capiscono che l’esperienza di “Sinistra Proletaria” è finita ma, anche se l’idea circola in alcuni gruppetti, non viene deciso ufficialmente il passaggio alla lotta armata. Dopo il convegno, l’esperienza di “Sinistra Proletaria” continua ancora per qualche tempo, ma nel clima teso delle lotte degli scontri di fabbrica alla Pirelli alcuni maturano la scelta di passare alla lotta armata (per il momento “micro-attentati” contro le automobili dei “capetti” di fabbrica) per sottolineare la loro presenza e per rendere più efficaci i discorsi politici che portano avanti attraverso il volantinaggio e il lavoro in fabbrica. Simioni e il suo gruppo (Berio, Mulinaris) vengono allontanat perché accusati di voler conquistare un’egemonia all’interno dell’organizzazione. Ricorda Curcio: “Che lei (Margherita, N.d.A.) abbia voluto l’organizzazione armata quanto me, se non più di me, è un fatto”. La prima azione del neonato gruppo delle Brigate Rosse (all’inizio “Brigata Rossa”), nel novembre 1970, è quella di bruciare l’auto di un sorvegliante della Pirelli: è Margherita a sistemare la tanichetta piena di benzina, mentre Curcio fa da palo. Il gruppo passato alla lotta armata ancora non è clandestino.
Nel febbraio del ’71 Renato e Margherita vengono fermati dalla polizia in seguito ad un’occupazione di case organizzata a Quarto Oggiaro. Margherita, che è incinta, viene coinvolta negli scontri con la polizia edabortisce. Il fermo da parte della polizia viene seguito da una prima perquisizione nel loro appartamento: i poliziotti non trovano nulla ma il fatto rimbalza alla Mondadori, dove lavora Renato, che perde il lavoro. Margherita e Renato decidono di cambiar casa e lei non comunica il nuovo indirizzo ai genitori: è il primo passo verso la clandestinità. Se si eccettua un breve fermo nel marzo ’72 dopo la morte di Feltrinelli (viene rilasciata dopo un interrogatorio di rito), di lei si perdono le tracce. La storia di Margherita, ormai la “compagna Mara”, diventa la storia delle Br: Margherita è una “capocolonna”, organizza e partecipa a tutte le più importanti azioni delle Br.
La prima azione BR che ha come obiettivo una persona avviene a Milano il 3 marzo 1972, quando Idalgo Macchiarini, dirigente della Sit-Siemens, viene prelevato di fronte allo stabilimento, fotografato con un cartello al collo e sottoposto ad un interrogatorio di alcune ore sui processi di ristrutturazione in corso nella fabbrica. Il 2 maggio 1972, a Milano, scatta la prima rilevante operazione di polizia contro le BR. La maggior parte dei militanti ricercati, tuttavia, riesce a sottrarsi all'arresto. Da questo momento la semiclandestinità si trasforma per la nascente organizzazione in vera e propria scelta clandestina. Nell’estate del ’72 Margherita e Renato, in clandestinità, si trasferiscono a Torino: le Br arrivano così alla Fiat.
Per Margherita nel 1974 è pronto un mandato di cattura, per Curcio esiste già da prima: i carabinieri, infatti, fanno una perquisizione a casa dei genitori di Margherita in cerca di Curcio, accusato di una rapina. Pochi giorni dopo Margherita scrive ai genitori: “Cari genitori, abbiamo saputo che con un’incredibile motivazione un nucleo di carabinieri e polizia ha messo sottosopra la vostra casa. Immaginiamo che lì per lì siate rimasti piuttosto turbati e vi siate chiesti: ma nostra figlia e Renato sono davvero dei rapinatori? La forza del potere è quella di far credere alla maggioranza di persone ciò che vuole. […] Anche all’inizio della lotta di liberazione nazionale dai fascisti e dai nazisti nel 1943 su tutti gli angoli delle strade si potevano leggere manifesti che dicevano, parlando dei partigiani, “Achtung Banditi”, ma ormai tutti sanno che i partigiani banditi non erano stati mentre i fascisti e i nazisti sì. Un processo di trasformazione sociale verso una società migliore, dove nessuno sia sfruttato da nessun altro, dove la libertà dell’uno sia il limite e la condizione della libertà dell’altro, dove chiunque possa esprimere in libertà le proprie opinioni e le proprie idee, dove la ricchezza della terra e dell’industria sia egualmente ripartita, è sempre difficile e mai indolore. Sono ormai milioni le persone che nel mondo per renderlo possibile si prodigano in una lotta continua contro i padroni e la classe borghese senza paura della repressione, delle persecuzioni o della galera. Anche a voi è toccato vedere come si muovono gli uomini che vogliono mantenere a tutti i costi il disordine attuale di questa società malata di ingiustizia, e così avrete potuto rendervi meglio conto che le precauzioni che abbiamo nei nostri spostamenti e nel nostro lavoro quotidiano sono giuste ed opportune. Noi siamo dalla parte della libertà e dovete esserne orgogliosi. Noi siamo felici così e non c’è ragione che non lo siate anche voi. Dovete avere fiducia in noi e nelle nostre idee anche se questo, sono certa, vi darà delle preoccupazioni. Ma la nostra è una scelta di vita, di lotta, non di rinuncia o di opportunità personale. […].”.
L’8 settembre 1974 Curcio e Franceschini vengono arrestati. Margherita scrive: “Cari genitori, vi scrivo per dirvi che non dovete preoccuparmi troppo per me. […] Ora tocca a me e ai tanti compagni che vogliono combattere questo potere borghese ormai marcio continuare la lotta. Non pensate per favore che io sia un’incosciente. Grazie a voi sono cresciuta istruita, intelligente e soprattutto forte. E questa forza in questo momento me la sento tutta. È giusto e sacrosanto quello che sto facendo, la storia mi dà ragione come l’ha data alla Resistenza nel ’45. Ma voi direte, sono questi i mezzi da usare? Credetemi non ce ne sono altri. Questo stato di polizia si regge sulla forza delle armi e chi lo vuol combattere si deve mettere sullo stesso piano. In questi giorni hanno ucciso con un colpo di pistola un ragazzo, come se niente fosse, aveva il torto di aver voluto una casa dove abitare con la sua famiglia. Questo è successo a Roma, dove i quartieri dei baraccati costruiti coi cartoni e vecchie latte arrugginite stridono in contrasto alle sfarzose residenze dell’Eur. Non parliamo poi della disoccupazione e delle condizioni di vita delle masse operaie nelle grandi fabbriche della città. È questo il risultato della “ricostruzione”, di tanti anni di lavoro dal ’45 ad oggi? Sì è questo: sperpero, parassitismo, lusso sprecato da una parte e incertezze, sfruttamento e miseria dall’altra. […] Oggi, in questa fase di crisi acuta occorre più che mai resistere affinché il fascismo sotto nuove forme “democratiche” non abbia nuovamente il sopravvento. Le mie scelte rivoluzionarie dunque, nonostante l’arresto di Renato, rimangono immutate. […] So cavarmela in qualsiasi situazione e nessuna prospettiva mi impressiona o impaurisce. […]”.
Margherita e alcuni militanti delle Brigate Rosse cominciano ad organizzare un piano per far evadere Renato, chiuso nel piccolo carcere di Casale Monferrato. Il 18 febbraio 1975 Margherita guida l’irruzione nel carcere: fingendo di dover consegnare un pacco ad un detenuto durante il giorno di visita, Margherita si fa aprire la porta del carcere, tira fuori la pistola e, minacciando una strage, fa fuggire Renato.
Nell’aprile del ’75 Margherita, Curcio e Moretti decidono di fare un sequestro di persona per autofinanziarsi. Il 4 giugno l’industriale Vittorio Vallarino Gancia viene rapito e trasportato alla cascina Spiotta, sulle colline di Acqui Terme. Margherita e un altro brigatista rimangono a sorvegliare Gancia. La mattina del 5 giugno un nucleo di carabinieri arriva alla cascina Spiotta. Durante lo scontro a fuoco che segue, in cui perde la vita anche un carabiniere, Mara viene ferita, mentre l’altro brigatista riesce a fuggire verso il bosco. Il brigatista, qualche minuto dopo, sente uno sparo. Margherita muore. I risultati dell’autopsia dicono che Margherita è seduta a braccia alzate e che le è stato sparato un solo colpo di pistola sotto braccio sinistro: un colpo per uccidere.
Nel volantino delle Br di commemorazione (scritto da Curcio) si legge: “Ai compagni dell’organizzazione, alle forze sinceramente rivoluzionarie, a tutti i proletari. È caduta combattendo Margherita Cagol, “Mara”, dirigente comunista e membro del Comitato esecutivo delle Brigate Rosse. La sua vita e la sua morte sono un esempio che nessun combattente per la libertà potrà dimenticare. Fondatrice della nostra organizzazione, “Mara” ha dato un inestimabile contributo di intelligenza, di abnegazione, di umanità, alla nascita dell’autonomia operaia e della lotta armata per il comunismo. Comandante politico-militare di colonna, “Mara” ha saputo guidare vittoriosamente alcune fra le più importanti operazioni dell’organizzazione. Valga per tutte la liberazione di un nostro compagno dal carcere di Casale Monferrato. Non possiamo permetterci di versare lacrime sui nostri caduti, ma dobbiamo impararne la lezione di lealtà, coerenza, coraggio ed eroismo! È la guerra che decide in ultima analisi della questione del potere: la guerra di classe rivoluzionaria. E questa guerra ha un prezzo: un prezzo alto certamente, ma non così alto da farci preferire la schiavitù del lavoro salariato, la dittatura della borghesia nelle sue varianti fasciste o socialdemocratiche. Non è il voto che decide la conquista del potere; non è con una scheda che si conquista la libertà. Che tutti i sinceri rivoluzionari onorino la memoria di “Mara” meditando l’insegnamento politico che ha saputo dare con la sua scelta, con il suo lavoro, con la sua vita. Che mille braccia si protendano per raccogliere il suo fucile! Noi, come ultimo saluto, le diciamo: “Mara”, un fiore è sbocciato, e questo fiore di libertà le Brigate Rosse continueranno a coltivarlo fino alla vittoria! Lotta armata per il comunismo”.

Giovani Rondoni Cercasi


La Ronde! La cronaca de La tua voce , giornale viterbese on line, mi ragguaglia sul futuro di certi Piccoli Uomini Italiani ma anche Piccole Donne Italiane che prima o poi saranno benvenute: crescono nel rispetto, facendo rispettare

LA SICUREZZA.

Bene! Evviva l’Educazione!

La Giorgia, Meloni s’intende, scriveva sul suo sito in stagione autunnale passata, 8 ottobre 2008: “La giovane destra italiana dal ghetto al governo del Paese”. Mai premonizione fu più veritiera, il peso della responsabilità “enorme” mentre veniva eletta ministro, le fece scrivere: “dimostrare all’Italia e alla storia che, messi alla prova dei fatti, i ragazzi della destra italiana non falliscono il salto”. Ed op…là e quà LA GIOVANE ITALIA RITORNA, il nome è stato proposto e disposto dalla stessa , con l’aiuto del new incaricato dirigente, Daniele Romeo, che vuole

riavvicinare gli under 30 alla politica.

Uno dei problemi più importanti della stagione estiva è stato questo: Ragazzi nelle Ronde Sindaci divisi.

Parola d’ Avvenire italiano: “Qualcosa è già filtrato nei giorni scorsi: ci si muove in gruppetti da tre, l’età minima è di 18 anni (e non più 25, come annunciato ieri dal ministro Maroni), niente armi, nessuna appartenenza politica. A poche ore dal provvedimento lanciano l’ultimo grido d’allarme anche i sindacati delle forze dell’ordine e della polizia municipale: «Le ronde non servono, investite su di noi». A dare il tono alla giornata sono Milano, Roma e Napoli. Nella città ambrosiana la tensione dei giorni scorsi si è sciolta: il Viminale introdurrà nel regolamento una clausola che permetterà di mantenere in vigore i contratti (onerosi) già stipulati, che la giunta aveva congelato perché la nuova norma non permette finanziamenti ai volontari della sicurezza. In questo modo torneranno subito operativi i poliziotti in pensione e i City angels. Lo annunciano il sindaco Letizia Moratti e il suo vice, Riccardo De Corato.
A Roma, invece, il primo cittadino Gianni Alemanno continua a contestare l’utilizzo del termine «ronde», che non gli è mai piaciuto, e a battere la ‘via capitolina’ alla sicurezza, che unisca al controllo l’azione sociale. Nei suoi confronti, in un’intervista al Corriere, Maroni è stato molto duro: si fa, questo il senso delle sue parole, come dice il decreto. Ma al termine della riunione con il prefetto Giuseppe Pecoraro sui danni della movida romana, Alemanno ribatte: «Rifiuto il termine ronde, è dispregiativo. Nella legge si parla di osservatori volontari». Questo non vuol dire, sottolinea con ironia il titolare del Viminale, che ne rifiuta l’uso. Il sindaco, invece, cita esperienze ’soft’ già vive nella città, ad esempio nella comunità ebraica, fa appello, per infoltire il volontariato, ai «cittadini moderati», chiede che nell’attività di controllo non ci siano «intolleranza, xenofobia, estremismo».

E così, io che potrei essere nonna ma non lo sono, mi rincuoro nell’apprendere che c’è una generazione protagonista, geneticamente rivoluzionaria, barbarica con orgoglio: “Il nome dell’organizzazione “nasce dal basso” è stato scelto con un sondaggio su Internet, ottenendo “una larghissima maggioranza, il 78%”.

Quanto alle giovani uccelline, devono aspettare un po’ ad entrare nelle ronde ma le Pari Opportunità stanno studiando nuove occasioni come per Francesca Pascale, 24 enne che incassati 7.000 voti e consigliera provinciale napoletana, sogna Montecitorio.

Alle adolescenti si consiglia di continuare a giocare, ci sono mille “bimbo dollars” disponibili subito, in Italia, insegnano a diventare veline e poi chissà…le vie del Signore sono infinite.

Quanto ai maschietti, che a Roma si dicono pischelli, possono ancora andare bene le “4Story dove si affrontano due imperi nemici, appartenenti al continente Iberia: Derion e Valorian. Decidi per quale impero vuoi combattere. Partecipa ad avvincenti battaglie per garantire la pace e per scoprire leggendari segreti. Il destino della tua terra è nelle tue mani. Scopri il mondo di 4Story e diventa protagonista di un appassionante gioco di ruolo con un sofisticato sistema di combattimento e con allettanti incarichi. Viaggia nel tempo, esplora luoghi sconosciuti e metti alla prova le tue capacità misurandoti con numerose accattivanti sfide”.

Tutti bambini e bambine di pace, che crescono in Sicurezza e Protezione e altrettanta ce ne daranno. Quelli di guerra, si sono visti a una mostra alla fine di giugno 2009, nella città del Cupolone: “Bambini di guerra: l’infanzia spezzata”. Dal mondo intero a Piazza del Campidoglio. La cittadinanza tutta ringrazia e prosegue le vacanze, certa che con una rondine non si fà primavera.

Curiamo e cerchiamo rondoni, conserviamo la Specie!

di Doriana Goracci da Reset-Italia

CHI SEMINA ODIO..RACCOGLIE TEMPESTA!

MA CHI DORME..NON PIGLIA PESCI!
il tempo passa....le leggi e i divieti aumentano.

gli eserciti, i pompieri, le divise sempre più presenti sul territorio.

le fabbriche chiudono, gli operai disoccupati.

i salari ancora più bassi.

REPRESSIONE = OMICIDI

CHE ALTRO DEVE SUCCEDERE PER SVEGLIARE QUESTO POPOLO?

IL BRACCIO DI FERRO E' INIZIATO...ALLENATEVI E RISPONDETE!

PER I NOSTRI FIGLI, PER CHI ABBIAMO AMATO, PER I NOSTRI GENITORI, PER I NOSTRI AMICI, PER IL FUTURO, PER CHI E' MORTO, PER LE LACRIME DI TUTTI I FAMILIARI DELLE VITTIME

PER CHI VORREBBE...MA NON PUO'

PER VIVERE...E NON PER MORIRE!

da Indymedia

L’Italia al tempo della Lega Nord fa schifo!


Studenti del sud, gabbie salariali, regolarizzazione badanti ...imperversano luoghi comuni e pregiudizi razzisti

Se gli studenti del mezzogiorno battono quelli del Nord in matematica esiste la presunzione di colpevolezza (devono aver barato) e quindi vengono retrocessi d’ufficio per far vincere il Nord. Continuando così sapete che c’è di nuovo? L’anno prossimo non giochiamo più, tanto la classifica la decide a tavolino Boniperti con l’Avvocato Agnelli e noi ci facciamo il campionato del Regno delle due Sicilie.
In Italia è oramai peccato anche solo pensare che le statistiche, la ricerca di campo, la verifica, smentiscano i luoghi comuni. Sarà per quello che siamo all’ultimo posto OCSE per investimenti in ricerca. Lo sanno tutti che i meridionali sono tutti corti, chiatti, sporchi, ladri e sfaticati, per omnia saecula saeculorum, amen.

Occhio che in tempi di Mariastella Gelmini le statistiche non sono una pura curiosità. Servono monetariamente per strozzare gli ultimi a vantaggio dei primi, ovvero levare materialmente soldi a chi è indietro per darli a chi è avanti. Lo chiamano “merito” e chi non merita (secondo i loro parametri) deve schiattare. E se pure le statistiche dovessero per sbaglio dire che tutto il meglio del mondo non sta a Bergamo o a Treviso allora le statistiche le aggiustiamo perché l’unico scopo di tutto il gioco è spaccare il paese, eliminare diritti universali e chi può paga e chi non può affondi.

Se sei nato meridionale, ci spiegano con il più liso dei luoghi comuni, puoi solo esercitare l’arte di arrangiarti. Non puoi essere intelligente, puoi essere solo furbo. Non puoi essere bravo, studioso, diligente e, in questo gioco a carte truccate dove chi dà le carte è sempre il più becero, perderai sempre e comunque. Se fossi in quelli dell’INVALSI (l’Istituto nazionale di valutazione del sistema scolastico nazionale) andrei allora per esempio ad indagare nei test d’ammissione alla Normale di Pisa dove negli ultimi 199 anni la maggior parte di chi viene ammesso è formata da studenti meridionali che sfruttano al meglio quest’opportunità. Da qualche parte dev’esserci il trucco e va smascherato.

Di questi tempi, nei quali conta solo la concezione brunettiana del merito (l’unica possibile?), ma se meriti e non sei di Varese allora vuol dire che hai barato, non oso pensare a cosa succederà allo stipendio di un insegnante meridionale che magari lavora in una scuola difficile, se venissero applicate le gabbie salariali. Immagino nulla di buono, ma visto che i suoi studenti non possono essere bravi ma solo furbi e lui comunque guadagna troppo, stai a vedere che comincerà a fregarsene pure lui dei suoi studenti, che tanto sono pure loro furbi e si arrangiano, e poi se avete già deciso che devono comunque essere ultimi in classifica, non c’è bisogno che l’insegnante si affanni tanto…

Ho il sospetto che così non se ne esca ma quando il gioco si fa duro e soprattutto così volgare e grossolanamente punitivo, non è che uno debba per forza porgere l’altra guancia ai kapò leghisti in maniera intelligente e collaborativa. Magari la porge in maniera stupida o non la porge affatto.

Si noti bene che se chi scrive fosse ministro disporrebbe meccanismi di controllo rigidi e costanti nel tempo sulla qualità degli insegnanti. Non c’è nessun motivo al mondo per il quale un cinquantenne seduto o impreparato debba continuare a rovinare studenti fino alla pensione solo perché vent’anni prima è riuscito a entrare in qualche modo nella scuola. Ci sono mille lavori dove questa persona può essere dirottata per permettergli una vita dignitosa ma senza far danni agli studenti. Ma questo è un altro tema.

Il fatto è che in Italia sembra aver preso il potere non il puttaniere ma l’odio al quale il puttaniere fa da cassa di risonanza. Un odio sordo e sordido che è uguale e contrario alla haine delle banlieue. Un odio volgare, grossolano, stupido, invidioso di tutto, antimoderno, che sarà pur vero che corrisponda ad una parte quantitativamente rilevante del paese, soprattutto al Nord, ma non è per questo meno esecrabile, basta pensare agli squadristi delle ronde o alla caccia legalizzata al lavoratore senza documenti o ai lager dei Centri di identificazione ed espulsione.

Vengo a sapere che regolarizzare una badante costa un balzellone di 500 Euro, giustificabile solo con l’odio, il disprezzo, lo stivale del più forte libero di schiacciare il più debole. La retorica antitasse leghista evidentemente non vale quando bisogna accanirsi con le moldave e le ucraine che puliscono il culo ai nostri vecchi. Le badanti possono pagare, su di loro lo stato ha il diritto di vessare, per loro le tasse non sono un furto. In provincia di Ancona hanno messo sotto sequestro la villetta a schiera di una coppia di novantenni per favoreggiamento dell’immigrazione clandestina. Colpirne uno per educarne cento.

Oltretutto la villetta non era il corpo del reato, ma sequestrare un pacco di pannoloni avrebbe spaventato troppo poco. Adesso i novantenni, se vorranno campare tranquilli quel poco che resta loro, faranno versare alla badante tre settimane di stipendio (a tanto ammontano lira più lira meno 500 euro) e invece di mandarle alla famiglia a Kisinau o a Tblisi le faranno spendere alla poveretta in marche da bollo ad onore e gloria del ministro Maroni. Così è l’Italia al tempo della Lega Nord sotto l’imperio della legge. Del più forte o del più squallido. Finché gli dura.

da toscana.indymedia

La Costituzione violata in Afghanistan

Il ministro Frattini, con un’intervista al Corriere della sera di ieri, ha confessato. La missione italiana in Afghanistan non rientra tra le previsioni dell’articolo 11 della Costituzione. Non è volta a mantenere la pace, ma ad imporla «con la legittimazione dell’Onu e della Nato». La gravità di tali dichiarazioni è enorme. Non solo perché la violazione di una norma posta dalla Costituzione come uno dei principi fondamentali della Repubblica, per la prima volta a memoria d’uomo, è ammessa, dichiarata, riconosciuta da un membro del governo come se fosse possibile, normale, lecito, agire in flagrante opposizione a tale principio, pur se contenuto nell’atto normativo fondante e legittimante l’ordinamento giuridico italiano. Ma perché invece di trarne l’unica, ammissibile, obbligata, improrogabile, conseguenza, quelle del ritiro della missione, si abbandona a due operazioni parimenti sconcertanti. Una è quella di «interpretare quel rifiuto (ma nel testo costituzionale si legge la parola «ripudia», ndr) della guerra includendo (evidentemente tra quelle ammesse, ndr) le azioni propedeutiche al creare la pace». Con l’altra prospetta l’aggiunta di «un capoverso ad hoc per disciplinare costituzionalmente» tali missioni.
Com’è del tutto evidente, l’interpretazione della norma costituzionale, immaginata dal ministro degli esteri, verrebbe ad essere di tale tenore, di tale portata, di tale contenuto, da rovesciare il significato dell’articolo 11 della Costituzione. Il ministro Frattini è un giurista e lo sa benissimo. Lo sa benissimo quando spiega di quali azioni si tratta, sa che si tratta di «vere azioni militari. Come i bombardamenti dei cannoni montati sui Tornado o gli atti a cui i nostri (soldati) vanno incontro quando, attaccati da terroristi si devono difendere. Sparano. Non sono azioni di pace. Però la preparano». Il ministro sa altrettanto bene che non c’è stata guerra nella storia che non sia stata propagandata come volta ad instaurare la pace. Che non sia stata motivata da sacri principi e da alti ideali. Non era ignota la storia ai costituenti italiani. Il «ripudio» fu voluto e sancito appunto perché non potessero esserci dubbi, riserve, eccezioni, attenuazioni, elusioni, del disposto normativo redatto più netto, «semplice e chiaro» come lo stesso ministro riconosce. E non si dica che le «missioni di pace» non erano immaginabili nel 1945. Per il loro reale carattere, per quel che comportano, richiedono e implicano sono azioni di guerra, come tali sono escluse e da escludere dal significato dell’articolo 11, dal fine perseguito dal principio e dalla regola che contiene. Fine e regola che non ammettono, ma respingono e decisamente l’aggiunta del capoverso prefigurato dal ministro, perché tale aggiunta configurerebbe una mostruosa ed eclatante contraddizione.
Una domanda cruciale emerge ormai da quando le missioni «di pace» si sono poste come strumenti di politica estera italiana. Attiene alla fonte di legittimazione che si invoca. La Nato e l’Onu. Per quanto riguarda la Nato, al di là di ogni altra considerazione sulla sua ragion d’essere, molto dubbia da non pochi punti di vista, è del tutto ovvio, per chiunque abbia rispetto per le acquisizioni della civiltà giuridica, che un trattato internazionale, qualsivoglia impegno, regola, vincolo, contenga, non può prevedere, tanto meno autorizzare che uno stato vi adempia, violando un principio e una norma della propria costituzione.
Per quanto riguarda l’Onu, va detto che proprio sulla base di quanto prescrive l’articolo 11 in ordine alle limitazioni di sovranità previste e consentite in quanto «necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia tra le nazioni», non è che qualsivoglia deliberazione del Consiglio di sicurezza, perché tale, sia immune da valutazioni da parte dei singoli stati. Ciascuno di questi può sicuramente esaminarne sia la congruenza concreta e specifica rispetto al fine di assicurare la pace e la giustizia fra le nazioni, sia la compatibilità con i princìpi su cui si basa il proprio ordinamento interno. Lo Statuto dell’Onu non ha assorbito il diritto internazionale, lo ha assunto come fondamento, quello dell’eguaglianza degli stati. La coincidenza del principio pacifista della nostra Costituzione e dello Statuto dell’Onu comporta certamente una sicura legittimazione del nostro stato a verificare la coerenza delle delibere del Consiglio di sicurezza rispetto al principio pacifista. Ma sempre e soltanto in rigorosa, non attenuata, non mistificata, esecuzione della norma sul ripudio della guerra, comunque denominata e mascherata. È anche perciò vanno respinte con sdegno le interpretazioni che a sfigurano e le aggiunte che la contraddicono.

di Gianni Ferrara

"Le mani sulla Puglia"


di Piero Sansonetti, da L’Altro dell’11 agosto 2009.

Forse qualcuno se lo ricorderà quel film. Mani sulla città. Il regista era Francesco Rosi, che aveva anche scritto la sceneggiatura insieme a Raffaele La Capria. Raccontava di un “mascalzone” che si impossessava di una città (diciamo Napoli) con la forza della politica, dell’economia, della speculazione e della malavita. Il mascalzone si chiamavaEduardo Nottola e rappresentava la classe dirigente che stava emergendo, quella democristiana erede del potere di Achille Lauro. Lo interpretava Rod Steiger, mitico attore americano, fresco del successo ottenuto nella parte di Al Capone. Rosi lo aveva scelto anche per questo, per dare continuità… Poi c’era il dirigente comunista che si batteva contro il dilagare del potere di Nottola, un certo De Vita, che era interpretato da un vero consigliere comunale comunista, Carlo Fermariello. Diceva il sottotitolo del film: “I personaggi e i fatti sono immaginari ma autentica è la realtà che li produce”. Ecco, potremmo raccontare la storia della Puglia, in questi giorni, con lo steso sottotitolo. Potremmo raccontare - avvertendovi che i personaggi sono immaginari - le storie d un certo Gabriele Pitto, di Gianferdinando Rasini, della giudice Desideria Di Pocaontas, e poi dei personaggi minori - quelli che fanno il tifo per chi vince, senza capire bene cosa sta succedendo - Paolo Rochè, Augusto Ralvi, e qualcun altro. Al posto di Fermariello, Nichi Vendola potrebbe interpretare la parte di se stesso. Qual è la storia da raccontare? In una regione del Sud, ben controllata, da decenni, dalla malavita e da un potere politico stabile, clientelare e tendente all’illegalità, succede - non si sa bene come - che va al potere un certo Nicco Pendola, che col potere non ha nessun legame, è di sinistra, è amato anche dai cattolici, oltretutto è omosessuale. Né la malavita né il potere politico sono affatto contenti. E iniziano a lavorare - su fronti diversi ma, seppur casualmente, con lo stesso intento, per rovesciarlo e impedire che continui nella sua opera dissennata di progressivo smantellamento delle clientele e delle malversazioni. Proprio alla vigilia del nuovo turno elettorale, visto che i sondaggi dicono che Pendola potrebbe essere rieletto, scatta la grande offensiva. Ognuno nel suo campo, e per quel che gli compete, lavora all’obiettivo. Riprendersi la Puglia. “Rimettere le mani sulla Puglia”. Come andrà a finire la storia ve lo racconteremo un’altra volta, perché non lo abbiamo capito ancora (in genere le storie di fantasia vanno a finire bene, stavolta però…). Usciamo per un momento dalla fantasia e dal film di Rosi e torniamo alla realtà. Cosa succede in Puglia? L’attacco a Vendola è forsennato, e assume ormai contorni politici molto chiari. Basta prendere le dichiarazioni di ieri di Pier Ferdinando Casini. Ha detto che lui è garantista, lo è per Vendola come lo è stato per Fitto. Però ritiene che la stagione politica di Vendola sia finita e Nichi debba farsi da parte ( Fitto invece è ministro). Ma Fitto e Vendola sono la stessa cosa? Il paragone tra i due garantismi è ragionevole? Fitto è il predecessore di Vendola alla presidenza della regione Puglia, è ministro, ed è a piede libero perché la Camera ha respinto una richiesta di arresto avanzata dai giudici. I carabinieri erano pronti con le manette, ma il Parlamento ha detto no. Ha fatto bene - credo - a dire no. Perché il garantismo è una cosa seria. Ma cosa c’entra il garantismo con Nichi Vendola? Chi non legge questo giornale - cioè purtroppo, la stragrande maggioranza degli italiani - non lo sa perché gli altri giornali e le Tv - dal manifesto al Tg 2 - raccontano strane cose, ma Vendola non ha avuto nessun avviso di garanzia e non è sospettato assolutamente di niente. Capito: di-nien-te. Che caspita c’entra il garantismo? Sarebbe come dire: “io sono garantista e se non ci sono le prove penso che il papa non abbia mai ucciso nessuno”. E che scoperta! Se poi aggiungete che questa bella dichiarazione di equidistanza viene dal segretario dell’Udc, cioè del partito di Cuffaro che qualche avviso di garanzia per l’eccesso di frequentazione coi mafiosi ce l’ha avuto davvero, beh, altro che il film di Rosi, qui viene in mente uno di quei film dell’orrore dove gli orchi si fanno passare per gente per bene, e tutti ci credono! Di fronte a questo, qualcuno si muoverà? Lasciamo stare la sinistra stalinista, che è saltata a pie’ pari sul carro degli antivendoliani senza capire bene perché, con l’idea fissa che se uno ce l’ha con Vendola, il traditore, comunque fa una cosa buona. Ma ci sono, in ambienti diversi, molte forze che conoscono bene Vendola, lo sforzo che ha fatto in questi anni, e capiscono perfettamente la manovra a tenaglia per liberarsi di lui e dell’anomalia pugliese. Ci sono nei partiti, ci sono nella magistratura, ci sono tra gli intellettuali. Specie in quei settori della politica, della magistratura e dell’intellettualità che in passato si sono molto impegnati per difendere la legalità. Hanno voglia di parlare, di farsi vedere, o preferiscono prima assistere al massacro di Vendola, per poi, magari, con Fitto tornato al potere, esprimere con più facilità la loro indignazione antiberlusconiana? Staremo a vedere.