HOME       BLOG    VIDEO    EVENTI    GLI INVISIBILI    MUSICA    LIBRI    POLITICA LOCALE    POST PIU' COMMENTATI

mercoledì 12 agosto 2009

Margherita Cagol - "Mara"


Margherita Cagol nasce a Sardagna di Trento l’8 aprile 1945. È la terza figlia di una coppia borghese: la madre è una farmacista, il padre ha una profumeria, “La casa del sapone”. Margherita frequenta le scuole di Trento. La sua infanzia è “normalissima”. La famiglia Cagol è una famiglia cattolica, anche se non in modo fanatico e bigotto: la domenica vanno tutti insieme a messa e a Natale e a Pasqua Margherita e le sue sorelle partecipano all’organizzazione di lotterie di beneficenza. D’estate vanno un mese in villeggiatura ad Andalo, di inverno vanno a sciare vicino Trento. Margherita è molto sportiva: ama sciare e giocare a tennis.A quattordici anni Margherita impara a suonare la chitarra. Nel 1961, a Bologna, arriva terza ad un concorso nazionale vinto dal figlio del suo maestro, che ha tredici anni e si chiama Lodovico Lutzemberger. Comincia così a tenere, regolarmente e con successo, diversi concerti di chitarra classica. Qualche anno dopo venne chiamata a suonare in Francia, a Gap, dove viene molto apprezzata: l’“Alto Adige” intitola “Un trionfo in Francia per Margherita Cagol”. In seguito incide alcuni brani anche per la RAI.
Nel 1964 si diploma in ragioneria: “Particolarmente lusinghiero l’esito di Margherita Cagol”, scrive “L’Adige” commentando i risultati degli scrutini dell’istituto tecnico commerciale. Margherita decide di iscriversi alla facoltà di Sociologia di Trento (allora Istituto superiore di scienze sociali), nata nel 1962. Non si tratta di una vera e propria scelta: la facoltà è vicina a casa e con un diploma di ragioneria l’unica alternativa è la facoltà di Economia e Commercio, troppo arida per i suoi interessi.
Margherita continua ad essere cattolica, in un modo tutto interiore, nei fatti e non nelle parole. Ha l’abitudine di andare in visita negli ospizi di Trento per tenere compagnia agli anziani e di ascoltare le prediche di un gesuita nella Chiesa di San Francesco Saverio.
Alla facoltà di Sociologia di Trento è in un momento caldissimo: gli studenti di Trento vogliono che gli sia riconosciuta una laurea in Sociologia e non in “scienze politiche ad indirizzo sociologico”. Margherita entra a far parte del Movimento Studentesco e conosce Renato Curcio. Curcio ricorda che Margherita capita nel movimento studentesco trentino per forza di cose: il padre, severissimo, le impone di tornare a casa alle 8,30 di sera e, per questo, Margherita non frequenta più di tanto l’ambiente del movimento, anche se non manca gli appuntamenti decisivi, le assemblee, le manifestazioni e i controcorsi. Nel 1966, durante la prima occupazione della facoltà, Margherita tiene un concerto di chitarra. Il suo rapporto con Curcio diventa profondo. Negli anni successivi la contestazione prosegue. Dal 1967 Curcio e il suo gruppo collaborano con la rivista “Lavoro Politico”, che pubblica nove numeri e diventa un punto di riferimento per la sinistra radicale, d’ispirazione marxista-leninista. La redazione entrerà poi nel Partito Comunista d’Italia. Anche Margherita collabora alla rivista: “Il nostro giornale in questo momento in Italia è il periodico di sinistra più letto e maggiormente influente (tiriamo 5000 copie!). Ogni decisione è quindi della massima importanza”, scrive in una lettera. Margherita fa ricerche minuziose, come quella sulle condizioni dei contadini del trentino, che servono all’elaborazione teorica del gruppo.
Per Curcio il ’68 è un anno frenetico, un po’ meno per Margherita, che è ancora impegnata con l’università e che scrive: “Ti puoi immaginare quanto mi dispiaccia dovermene stare qui mentre Renato fa tante preziose esperienze. È meglio che non ci pensi, altrimenti mi viene il mal di fegato… Sai, mamy, io amo le cose belle e piacevoli, mi piace ridere e scherzare, o fare le cose seriamente. Tutto insomma fuorché starmi a lamentare…”. Margherita è già da tempo la ragazza di Curcio ed è riuscita a non farsi impedire dal padre la possibilità di partecipare, nel vivo, alle lotte studentesche. Intanto il gruppo di “Lavoro Politico” si divide e Curcio e Duccio Berio se ne vanno. Margherita scrive: “Il lungo viaggio di Renato ha portato idee nuove, documenti nuovi, e direi che è stato decisivo per molte cose, per cui ci siamo trovati di fronte una serie di impegni e di decisioni da assolvere in brevissimo tempo. Renato […] anche ora sta viaggiando da una città all’altra per parlare, discutere, osservare. E tutto ciò perché entro una brevissima scadenza ci si presenta la necessità di una scelta: entrare in un partito rivoluzionario o non entrare. Si tratta di una scelta decisiva”.
Il 26 luglio 1969 Margherita si laurea con un tesi sulla “Qualificazione della forza lavoro nelle fasi dello sviluppo capitalistico”, in cui discuteva i “Grundrisse” di Marx, allora non ancora tradotti in Italia. Il relatore è Francesco Alberoni. Le cronache narrano che Margherita, conclusa la discussione, ha alzato il braccio sinistro con il pugno chiuso. La votazione è di 110 e lode e le offrono di svolgere un corso biennale di sociologia all’Umanitaria di Milano, dietro compenso di una borsa di studio. Si profila così il trasferimento a Milano. La sera della laurea Margherita annuncia a suo padre “Mi sono laureata. Fra una settimana mi sposo con Renato”. Il primo agosto 1969 Renato e Margherita, soprattutto per mettere la famiglia di lei davanti ad un atto ufficiale, si sposano sul sagrato della chiesa del Santuario di San Romedio, sulle montagne trentine con il rito misto: Curcio, infatti, pur non identificandosi con nessuna religione, proveniva da un contesto valdese. Appena dopo la cerimonia, a cui partecipano solo la famiglia Cagol e i due testimoni, Renato e Margherita vanno a Milano per partecipare ad una riunione di studenti lavoratori alla Pirelli. L’impegno politico non può aspettare: il loro viaggio di nozze dura pochissimi giorni e al ritorno Margherita e Renato si trasferiscono a Milano.
L’8 settembre 1969 Margherita, Renato ed altri fondano il Collettivo Politico Metropolitano (CPM). È questo il periodo in cui vengono introdotti nelle fabbriche e in cui conoscono i giovani che faranno parte delle future Brigate Rosse. Il 28 novembre Margherita scrive alla madre: “[…] Milano è per me una grande esperienza. Questa grande città che in un primo momento mi è parsa luminosa, piena di attrattive, mi appare sempre di più come un mostro feroce che divora tutto ciò che di naturale, di umano e di essenziale c’è nella vita. Milano è la barbarie, la vera faccia della società in cui viviamo. […] Questa società, che violenta ogni minuto tutti noi, togliendoci ogni cosa che possa in qualche modo emanciparci o farci sentire veramente quello che siamo (ci toglie la possibilità di coltivare la famiglia, di coltivare noi stessi, le nostre esigenze, i nostri bisogni, ci reprime a livello psicologico, fisiologico, etico, ci manipola nei bisogni, nell’informazione, ecc. ecc.) ha estremo bisogno di essere trasformata da un profondo processo rivoluzionario. La violenza del sistema ormai è recepita da grandi masse e non è più sopportata. […] Ma non occorre molto per capire la rabbia e l’insopportabilità da parte dei lavoratori di questa situazione: rivolte, ammutinamenti (i giornali certo non ne parlano…), oppure i cortei qui a Milano ce ne sono due o tre ogni giorno ecc. ecc. Ebbene se pensiamo che tutto questo potrebbe essere eliminato benissimo (ti ricordi quando l’anno scorso ti dicevo che utilizzando al massimo tutti i progetti tecnologici studiati ed impiegandoli nel processo produttivo sarebbe possibile mantenere 10 miliardi di persone al livello del reddito medio attuale americano?) ma che questo non è possibile fin quando esisteranno sistemi politici come quello europeo o americano attuali. Tuttavia esistono moltissime condizioni oggi per trasformare questa società e sarebbe criminale (verso l’umanità) non sfruttarle. Tutto ciò che è possibile fare per combattere questo sistema è dovere farlo, perché questo io credo sia il senso profondo della nostra vita. Non sono cose troppo grosse, sai mamma. Sono piuttosto cose serie e difficili che tuttavia vale la pena di fare. […] La vita è una cosa troppo importante per spenderla male o buttarla via in inutili chiacchiere o battibecchi. Ogni minuto è importante, soprattutto qui a Milano dove la città ti ruba ore e ore che potrebbero essere usate in mille modi creativi”.
Nei primi tempi l’atmosfera nel CPM è distesa e gioiosa, ma il clima cambia dopo le bombe di Piazza Fontana: il CPM decise di andare avanti, ma in un modo nuovo. Verso la fine di dicembre una sessantina di delegati del CPM si riunisce a Chiavari e decide di trasformarsi in un gruppo più centralizzato, “Sinistra Proletaria”, che stampa anche due numeri di una rivista: per la prima volta viene discussa l’idea di passare alla lotta armata. “Sinistra proletaria” svolge il suo operato alla luce del sole, impegnandosi nella lotta per la casa e per i trasporti. Durante tutto il ’70 Margherita si tiene in contatto con la famiglia. Con Curcio va a Parigi e incontra i compagni di “gauche proletarienne”.
Nell’agosto del 1970 si tiene a Pecorile un convegno, a cui partecipa una parte dei militanti di “Sinistra Proletaria”, tra cui Curcio, Franceschini e Margherita. Capiscono che l’esperienza di “Sinistra Proletaria” è finita ma, anche se l’idea circola in alcuni gruppetti, non viene deciso ufficialmente il passaggio alla lotta armata. Dopo il convegno, l’esperienza di “Sinistra Proletaria” continua ancora per qualche tempo, ma nel clima teso delle lotte degli scontri di fabbrica alla Pirelli alcuni maturano la scelta di passare alla lotta armata (per il momento “micro-attentati” contro le automobili dei “capetti” di fabbrica) per sottolineare la loro presenza e per rendere più efficaci i discorsi politici che portano avanti attraverso il volantinaggio e il lavoro in fabbrica. Simioni e il suo gruppo (Berio, Mulinaris) vengono allontanat perché accusati di voler conquistare un’egemonia all’interno dell’organizzazione. Ricorda Curcio: “Che lei (Margherita, N.d.A.) abbia voluto l’organizzazione armata quanto me, se non più di me, è un fatto”. La prima azione del neonato gruppo delle Brigate Rosse (all’inizio “Brigata Rossa”), nel novembre 1970, è quella di bruciare l’auto di un sorvegliante della Pirelli: è Margherita a sistemare la tanichetta piena di benzina, mentre Curcio fa da palo. Il gruppo passato alla lotta armata ancora non è clandestino.
Nel febbraio del ’71 Renato e Margherita vengono fermati dalla polizia in seguito ad un’occupazione di case organizzata a Quarto Oggiaro. Margherita, che è incinta, viene coinvolta negli scontri con la polizia edabortisce. Il fermo da parte della polizia viene seguito da una prima perquisizione nel loro appartamento: i poliziotti non trovano nulla ma il fatto rimbalza alla Mondadori, dove lavora Renato, che perde il lavoro. Margherita e Renato decidono di cambiar casa e lei non comunica il nuovo indirizzo ai genitori: è il primo passo verso la clandestinità. Se si eccettua un breve fermo nel marzo ’72 dopo la morte di Feltrinelli (viene rilasciata dopo un interrogatorio di rito), di lei si perdono le tracce. La storia di Margherita, ormai la “compagna Mara”, diventa la storia delle Br: Margherita è una “capocolonna”, organizza e partecipa a tutte le più importanti azioni delle Br.
La prima azione BR che ha come obiettivo una persona avviene a Milano il 3 marzo 1972, quando Idalgo Macchiarini, dirigente della Sit-Siemens, viene prelevato di fronte allo stabilimento, fotografato con un cartello al collo e sottoposto ad un interrogatorio di alcune ore sui processi di ristrutturazione in corso nella fabbrica. Il 2 maggio 1972, a Milano, scatta la prima rilevante operazione di polizia contro le BR. La maggior parte dei militanti ricercati, tuttavia, riesce a sottrarsi all'arresto. Da questo momento la semiclandestinità si trasforma per la nascente organizzazione in vera e propria scelta clandestina. Nell’estate del ’72 Margherita e Renato, in clandestinità, si trasferiscono a Torino: le Br arrivano così alla Fiat.
Per Margherita nel 1974 è pronto un mandato di cattura, per Curcio esiste già da prima: i carabinieri, infatti, fanno una perquisizione a casa dei genitori di Margherita in cerca di Curcio, accusato di una rapina. Pochi giorni dopo Margherita scrive ai genitori: “Cari genitori, abbiamo saputo che con un’incredibile motivazione un nucleo di carabinieri e polizia ha messo sottosopra la vostra casa. Immaginiamo che lì per lì siate rimasti piuttosto turbati e vi siate chiesti: ma nostra figlia e Renato sono davvero dei rapinatori? La forza del potere è quella di far credere alla maggioranza di persone ciò che vuole. […] Anche all’inizio della lotta di liberazione nazionale dai fascisti e dai nazisti nel 1943 su tutti gli angoli delle strade si potevano leggere manifesti che dicevano, parlando dei partigiani, “Achtung Banditi”, ma ormai tutti sanno che i partigiani banditi non erano stati mentre i fascisti e i nazisti sì. Un processo di trasformazione sociale verso una società migliore, dove nessuno sia sfruttato da nessun altro, dove la libertà dell’uno sia il limite e la condizione della libertà dell’altro, dove chiunque possa esprimere in libertà le proprie opinioni e le proprie idee, dove la ricchezza della terra e dell’industria sia egualmente ripartita, è sempre difficile e mai indolore. Sono ormai milioni le persone che nel mondo per renderlo possibile si prodigano in una lotta continua contro i padroni e la classe borghese senza paura della repressione, delle persecuzioni o della galera. Anche a voi è toccato vedere come si muovono gli uomini che vogliono mantenere a tutti i costi il disordine attuale di questa società malata di ingiustizia, e così avrete potuto rendervi meglio conto che le precauzioni che abbiamo nei nostri spostamenti e nel nostro lavoro quotidiano sono giuste ed opportune. Noi siamo dalla parte della libertà e dovete esserne orgogliosi. Noi siamo felici così e non c’è ragione che non lo siate anche voi. Dovete avere fiducia in noi e nelle nostre idee anche se questo, sono certa, vi darà delle preoccupazioni. Ma la nostra è una scelta di vita, di lotta, non di rinuncia o di opportunità personale. […].”.
L’8 settembre 1974 Curcio e Franceschini vengono arrestati. Margherita scrive: “Cari genitori, vi scrivo per dirvi che non dovete preoccuparmi troppo per me. […] Ora tocca a me e ai tanti compagni che vogliono combattere questo potere borghese ormai marcio continuare la lotta. Non pensate per favore che io sia un’incosciente. Grazie a voi sono cresciuta istruita, intelligente e soprattutto forte. E questa forza in questo momento me la sento tutta. È giusto e sacrosanto quello che sto facendo, la storia mi dà ragione come l’ha data alla Resistenza nel ’45. Ma voi direte, sono questi i mezzi da usare? Credetemi non ce ne sono altri. Questo stato di polizia si regge sulla forza delle armi e chi lo vuol combattere si deve mettere sullo stesso piano. In questi giorni hanno ucciso con un colpo di pistola un ragazzo, come se niente fosse, aveva il torto di aver voluto una casa dove abitare con la sua famiglia. Questo è successo a Roma, dove i quartieri dei baraccati costruiti coi cartoni e vecchie latte arrugginite stridono in contrasto alle sfarzose residenze dell’Eur. Non parliamo poi della disoccupazione e delle condizioni di vita delle masse operaie nelle grandi fabbriche della città. È questo il risultato della “ricostruzione”, di tanti anni di lavoro dal ’45 ad oggi? Sì è questo: sperpero, parassitismo, lusso sprecato da una parte e incertezze, sfruttamento e miseria dall’altra. […] Oggi, in questa fase di crisi acuta occorre più che mai resistere affinché il fascismo sotto nuove forme “democratiche” non abbia nuovamente il sopravvento. Le mie scelte rivoluzionarie dunque, nonostante l’arresto di Renato, rimangono immutate. […] So cavarmela in qualsiasi situazione e nessuna prospettiva mi impressiona o impaurisce. […]”.
Margherita e alcuni militanti delle Brigate Rosse cominciano ad organizzare un piano per far evadere Renato, chiuso nel piccolo carcere di Casale Monferrato. Il 18 febbraio 1975 Margherita guida l’irruzione nel carcere: fingendo di dover consegnare un pacco ad un detenuto durante il giorno di visita, Margherita si fa aprire la porta del carcere, tira fuori la pistola e, minacciando una strage, fa fuggire Renato.
Nell’aprile del ’75 Margherita, Curcio e Moretti decidono di fare un sequestro di persona per autofinanziarsi. Il 4 giugno l’industriale Vittorio Vallarino Gancia viene rapito e trasportato alla cascina Spiotta, sulle colline di Acqui Terme. Margherita e un altro brigatista rimangono a sorvegliare Gancia. La mattina del 5 giugno un nucleo di carabinieri arriva alla cascina Spiotta. Durante lo scontro a fuoco che segue, in cui perde la vita anche un carabiniere, Mara viene ferita, mentre l’altro brigatista riesce a fuggire verso il bosco. Il brigatista, qualche minuto dopo, sente uno sparo. Margherita muore. I risultati dell’autopsia dicono che Margherita è seduta a braccia alzate e che le è stato sparato un solo colpo di pistola sotto braccio sinistro: un colpo per uccidere.
Nel volantino delle Br di commemorazione (scritto da Curcio) si legge: “Ai compagni dell’organizzazione, alle forze sinceramente rivoluzionarie, a tutti i proletari. È caduta combattendo Margherita Cagol, “Mara”, dirigente comunista e membro del Comitato esecutivo delle Brigate Rosse. La sua vita e la sua morte sono un esempio che nessun combattente per la libertà potrà dimenticare. Fondatrice della nostra organizzazione, “Mara” ha dato un inestimabile contributo di intelligenza, di abnegazione, di umanità, alla nascita dell’autonomia operaia e della lotta armata per il comunismo. Comandante politico-militare di colonna, “Mara” ha saputo guidare vittoriosamente alcune fra le più importanti operazioni dell’organizzazione. Valga per tutte la liberazione di un nostro compagno dal carcere di Casale Monferrato. Non possiamo permetterci di versare lacrime sui nostri caduti, ma dobbiamo impararne la lezione di lealtà, coerenza, coraggio ed eroismo! È la guerra che decide in ultima analisi della questione del potere: la guerra di classe rivoluzionaria. E questa guerra ha un prezzo: un prezzo alto certamente, ma non così alto da farci preferire la schiavitù del lavoro salariato, la dittatura della borghesia nelle sue varianti fasciste o socialdemocratiche. Non è il voto che decide la conquista del potere; non è con una scheda che si conquista la libertà. Che tutti i sinceri rivoluzionari onorino la memoria di “Mara” meditando l’insegnamento politico che ha saputo dare con la sua scelta, con il suo lavoro, con la sua vita. Che mille braccia si protendano per raccogliere il suo fucile! Noi, come ultimo saluto, le diciamo: “Mara”, un fiore è sbocciato, e questo fiore di libertà le Brigate Rosse continueranno a coltivarlo fino alla vittoria! Lotta armata per il comunismo”.

Nessun commento:

Posta un commento