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venerdì 8 gennaio 2010

BARI - Ecco l'inferno del Centro immigrati - "Campo di concentramento al San Paolo"


Per la prima volta diffuse immagini scattate all'interno del Cie del San Paolo. In duecento costretti a vivere in condizioni umane e igieniche molto precarie

di Fulvio Di Giuseppe
Costretti a mangiare per terra, dormire su panni stesi sul pavimento e usare delle latrine per i propri bisogni fisiologici. Quello che fino a ieri erano dei racconti più o meno credibili dai quali uscirsene con ipocrita disinvoltura, ora sono immagini inconfutabili. Arrivano dal C. i. e., il centro di identificazione ed espulsione nel quartiere San Paolo di Bari e sono state diffuse sul sito informa-azione. info, da alcuni volontari che, rimanendo nel contesto natalizio, si firmano "renne scorbutiche". Di natalizio, però, il loro messaggio non ha nulla, anzi.

«Diffondiamo queste foto in modo che tutti sappiano di che morte si "vive" all´interno della struttura - spiegano in una nota - non sperando che un giorno quel lager si dipinga di azzurro, o che gli "ospiti" possano finalmente mangiare su tavoli e sedie, o che un giorno, magari, arrivino letti e coperte, o che i militari di guardia non rispondano col manganello alle richieste dei reclusi. Diffondiamo queste foto - evidenziano - perché tutti sappiano che a Bari è in funzione un vero e proprio campo di concentramento. Ed è compito di tutti far si che di questo posto rimangano solo macerie».

Al Cie vivono al momento quasi duecento persone. Sono quelli che burocraticamente vengono definiti "ospiti" e che certo non serberanno un buon ricordo dei loro padroni di casa, quando saranno rimpatriati. È questo infatti il destino che accomuna coloro che, quasi tutti di origine africana, con il passaggio nella struttura vivranno solo un´ulteriore agonia di massimo 180 giorni, prima del rientro forzato. Un´agonia condita da condizioni di vita che i vari deputati in visita - tra i pochi ad avere il diritto a entrare nei Cie - non hanno potuto che definire «inumane e insostenibili». E scorrendo le immagini riportate sul sito, è difficile trovare altri aggettivi che riescano a rendere meglio questa realtà. Come definire altrimenti i lividi che campeggiano sul corpo nudo di uno dei ragazzi all´interno della struttura.

Segni evidenti di colluttazioni, che potrebbero essere stati provocati anche dallo scontro fisico con altri "ospiti", perché nella terra di nessuno non vige alcuna regola e quando accade, spesso, è quella della violenza. E di altre norme, quelle sanitarie e igieniche, sembra esserne altrettanto sprovvisto l´intero edificio: muri scrostati, bottigliette vuote abbandonate ai piedi di quello che dovrebbe essere un box doccia, ma che in realtà non è neppure servito da un idoneo servizio idrico. Il bagno è una latrina, di quelli che non ti affacceresti neppure a dargli un´occhiata. Eppure qui ci vivono. Anzi sopravvivono, dato che anche mangiare e dormire, per i quasi duecento del San Paolo diventa un´avventura. Il pasto c´è, servito in piatti di plastica ma senza "coperto": è il pavimento il loro tavolo imbandito, su cui lasciare anche bottiglie e posate.

Il rischio di infezioni e malattie raggiunge così dei picchi esagerati e, non a caso, a lamentarsi sono anche agenti e volontari che sono a stretto contatto. Ci si siede per terra, che di notte diventa anche il proprio giaciglio: un telo, una coperta leggera tra due sgabelli e l´augurio che non faccia troppo freddo, abbandonandosi intanto ai propri sogni. Quelli, probabilmente, di vedere al proprio risveglio delle panche su cui sedersi o un materasso confortevole sulle reti metalliche. Dei sogni, per adesso, perché l´ulteriore beffa è che per ora bisogna attendere che si concluda il primo passo: l´iter - hanno spiegato in un recente incontro i vertici istituzionali - per verificare cosa prevede il contratto di manutenzione della struttura e a chi debbano essere imputate tali inadempienze.

Le immagini mai come in questo caso sono lo specchio di una realtà volutamente celata. Ma se in qualche modo emerge la disperazione degli immigrati, quello che le foto non hanno bisogno di immortalare è il senso di rabbia e inadeguatezza di chi convive con quest´agonia, che spesso viene soppiantata dalla protesta. Probabilmente vedendo queste immagini, sembreranno più comprensibili le forme e le manifestazioni, tanto disparate quanto disperate, di chi non avendo altra voce deve provarci con ogni mezzo a disposizione, anche il tentativo di suicidio. Sedie, armadi, tavoli non si possono più usare, sono inchiodati al pavimento, come nei manicomi, perciò, per i piani alternativi si ricorre a pezzi di plastica, posate, flaconi ingoiati.

L´ultimo disperato tentativo che può significare "libertà". E a chi non ci riesce o non ha il coraggio di "morire", resta un´ultima speranza. Scrivere sopra un lenzuolo un messaggio emblematico: «Noi non siamo delinquenti e neppure criminali: perché ci trattate peggio dei cani?». Già, perché?













da La Repubblica Bari

Per il Sudan si apre un anno decisivo

Le organizzazioni non governative e gli osservatori internazionali hanno lanciato un appello per il Sudan che entrerà in un anno difficile, con le elezioni nazionali ad aprile e un referendum sull’autonomia delle regioni meridionali previsto per il gennaio del 2011. “Tutti temono che lo spettro del conflitto possa tornare a farsi realtà”, scrive il Mail&Guardian.

“Questo nervosismo è comprensibile”, afferma Simon Tisdall sul Guardian. “Il ricordo del conflitto durato 21 anni tra nord e sud, in cui sono morte due milioni di persone, è ancora fresco. L’accordo di pace, firmato nel 2005, tra il governo e il Movimento popolare di liberazione del Sudan (Splm) ha significato la fine della guerra e la costituzione di un governo di unità nazionale. Ma molte delle questioni che avrebbero dovuto essere risolte sono ancora sul tavolo”, continua Tisdall.

La principale preoccupazione delle ong è che la violenza possa scoppiare proprio in vista delle elezioni e del referendum e che possa aumentare l’instabilità nel paese. “C’è un rischio di guerra civile”, ha detto Maya Mailer, un consigliere di Oxfam che vive a Juba autrice dello studio Rescuing the peace in Southern Sudan pubblicato insieme ad altre dieci ong.

“Non è tardi per evitare la crisi”, ha detto la rappresentate di Oxfam, che ha chiesto ai governi occidentali di stanziare dei fondi consistenti per fare fronte ai problemi delle regioni meridionali del Sudan, come la povertà, la crisi alimentare, la mancanza d’infrastrutture e di prospettive di sviluppo. “Obiettivi che il governo non è riuscito a risolvere dal 2005 a oggi. Prima del referendum è necessario garantire più sicurezza per i civili e accesso ai beni di prima necessità”, spiega il Guardian.

da Internazionale

Al Mukawama - Flowers Of Filastin




Al Mukawama - Flowers Of Filastin

Sto cercando di trovare le parole, ho bisogno di parole
Parole convincenti, parole penetranti,
che ti fanno un buco in testa e che poi lasciano frammenti in ogni dove
schizzi di miseria
chiazze di paura
brandelli di sogni e
resti di cultura,
parole come raffiche di mitra in un mercato
o come missili sparati al terzo piano di un palazzo,
che facciano male cazzo,
parole tanto forti da zittire tutto il mondo occidentale,
solo per un attimo, soltanto per provare ad ascoltare,
l’impotenza, il rancore…
parole a fare male, picchiate sulla faccia come calci di fucile
e pugni e sputi e schiaffi, parole… parole a ricordare,
per non dimenticare che lo stato d’Israele si è insediato in Palestina con la guerra, trentacinche anni fa’, e che nun se ne vonno ‘i,
e la grande israel già se chiamma Filastin, e duecentomila ‘e lloro
nun tenevano ‘o diritto ‘e s’insedià, ma quale equidistanza qui
parole partigiane a fare agguati a carri armati che rincorrono ambulanze
parole per cercare di fermare la mattanza
coscienti che farebbero più effetto un po’ di missili anticarro e che in sostanza
parliamo per parlare mentre in Filastin si lotta e muore coltivando la speranza di veder nascere un fiore…
FILASTIN FILASTIN FILASTIN FILASTIN
I WILL CARRY MY BUCKET OF WATER FOR THE FLOWERS OF FILASTIN
FILASTIN FILASTIN FILASTIN FILASTIN
I WILL CARRY MY BUCKET OF WATER FOR THE FLOWERS OF FILASTIN
Tre quatt’ migliara ‘e civili innocenti e sotto a mille creature
Massacrati senza ragione ‘a gli israeliani int’ e’ territorje
Hanno abbattuto seiciento palazzi e deportato ruimila persone
In 15 anni ‘e chella ca loro ‘a chiammano ‘a guerra contro o’ terrore
E o’ lato allà se chiamma Intifada e sta per rivolta rà popolazione
Contro o’ terrorismo ‘e Israele, contro e’ surdate, contro ‘e colonie
Che a chù ‘e trent’anni umiliano a’ gente impedendo la libera circolazione
Aroppo che l’hanno arrubbato ‘a terra, ‘ a voglia ‘e campà,’o lavoro e l’ammore e allora
A’ Paura d’Israele nuje forse nunn’a capimmo, ma poiché nun simmo sciemi ‘a contestualizzammo e nà cosa ‘a capimmo,
capimmo ca n’ommo trattato trent’anni comm’ a n’animale
addiventa nà bestia affamata, impaurita e pertanto feroce e chiena ‘e cazzimma, è normale, è naturale…
E chiù ‘a bestia è feroce, chiù ‘a bestia è o’ padrone
‘ a bestia chiù bestia è sempre ‘o padrone
‘ a bestia è l’impero ca se fa dottrina
a morte la bestia…
viva Palestina
FILASTIN FILASTIN FILASTIN FILASTIN
I WILL CARRY MY BUCKET OF WATER FOR THE FLOWERS OF FILASTIN
FILASTIN FILASTIN FILASTIN FILASTIN
I WILL CARRY MY BUCKET OF WATER FOR THE FLOWERS OF FILASTIN
For over 50 years, blood, sweat and tears, but the struggle for freedom continues, our pride never shall disappear,
the People will never give in, land and freedom for Filastin
cause we know we have the will to keep on existing, keep on surviving
Laken ha hia arty huna Yajibu an auda, ila arty, ila Filastin
Aud min ajli hauiaty mithla jady, qabla an yatrukù Filastin
Audu hurru kay aktaru, an akuna usfuran au akuna shajarah(tun)
Kamà raghiba jady
(Ma eccola là, la mia terra, voglio ritornare nella mia terra, in Palestina.
Tornare per una identità, come mio nonno, prima di lasciare la Palestina.
Tornare, libera di scegliere se essere un uccello, come sempre avrei voluto, oppure un albero, come il nonno aveva sempre desiderato.) Mona Zaarour, 12 anni, campo profughi di Chatila.
FILASTIN FILASTIN FILASTIN FILASTIN
I WILL CARRY MY BUCKET OF WATER FOR THE FLOWERS OF FILASTIN
FILASTIN FILASTIN FILASTIN FILASTIN
I WILL CARRY MY BUCKET OF WATER FOR THE FLOWERS OF FILASTIN

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Scontri tra polizia egiziana e attivisti Viva Palestina

Dopo gli scontri con la polizia egiziana il convoglio di Viva Palestina è riuscita a spezzare il braccio di ferro con le autorità d'Egitto, ha infatti ottenuto dal governo di Mubarak l'ok per il transito degli aiuti umanitari da Arish a Rafah, per poi prendere la strada di Gaza. I 7 attivisti arrestati dalla polizia in seguito agli scontri con le forze di sicurezza saranno liberati. Ad alcune vetture è stato però impedito questo viaggio dentro la Striscia: saranno spedite da una ditta turca verso i campi profughi palestinesi in Libano e Siria. Intanto arrivano notizie di scontri e sassaiole anche dalla Turchia, dove si sono tenute diverse manifestazioni di solidarietà con gli attivisti di Viva Palestina sotto i consolati egiziani.


Caricati i solidali con la Palestina dalla polizia egiziana

Striscia di Gaza ancora assediata e recintata, Egitto ancora poliziotto d'Israele. Nella tarda serata di ieri sera sono scoppiati scontri al porto egiziano di Arish: 2mila poliziotti in assetto anti-sommossa vs oltre 500 attivisti del convoglio Viva Palestina. La tensione è divampata quando le autorità egiziane ed israeliane hanno nuovamente negato l'accesso nella Striscia di Gaza attraverso il valico di Rafah agli oltre 60 mezzi della carovana umanitaria. Gli attivisti si sono radunati davanti ai cancelli del porto egiziano per oltrepassarli, le forze di sicurezza hanno caricato usando idranti, pietre, sabbia bagnata, gas lacrimogeni e manganelli. 55 i feriti tra i manifestanti. 10 vetture del convoglio sono state danneggiate.

A tutto ciò si è arrivati nonostante, nei giorni scorsi, ad Aqaba, in Giordania, il convoglio di Viva Palestina avesse raggiunto un accordo, attraverso la mediazione della Turchia, per l'accesso di tutti gli attivisti e di tutti i mezzi. Anche ad Aqaba delegazione di Viva Palestina costretta ai girotondi: dalla Giordania è stata fatta tornare in Siria, da dove poi, con un cargo turco, era tornata in Egitto. L'ostracismo dell'Egitto contro la delegazione Viva Palestina, il suo erigersi a garante securitario d'Israele e dei suoi voleri, il comportamento repressivo adottato attraverso la violenza delle forze dell'ordine, sono gli stessi inaccettabili ingredienti usati contro la Gaza Freedom March.


Comunicato
Il Convoglio "Viva Palestina" (Lifeline3) è bloccato a al-Arish, in Egitto


Quello che segue è il messaggio inviato dal responsabile, Kevin Ovenden

A tutti gli amici della Palestina. La nostra situazione è a un punto di crisi! Sono scoppiati disordini al porto di al-Arish.

Questo pomeriggio tardi (ieri, ndr), abbiamo negoziato con un dirigente di spicco del Cairo, che ha lasciato le trattative due ore fa e non è più tornato. Nelle trattative con il dirigente abbiamo chiesto di far entrare a Gaza i veicoli con gli aiuti.

Ci ha lasciati due ore fa e non è più tornato. Le autorità egiziane hanno radunato oltre 2.000 poliziotti anti-sommossa che sono arrivati nel nostro campo, al porto.

Ora siamo bloccati all'ingresso del porto e stiamo affrontando la polizia anti-sommossa e gli idranti, ma siamo determinati a difendere i nostri automezzi e gli aiuti.

Le autorità egiziane, con la loro ostinazione e ostilità nei nostri confronti, ci hanno portato a un punto di crisi.

Lanciamo ora un appello a tutti gli amici della Palestina affinché organizzino proteste, di persona, laddove è possibile, davanti alle sedi di rappresentanza dell'Egitto, ai consolati e alle ambasciate, e chiedano che il convoglio sia autorizzato a entrare in sicurezza a Gaza, domani (oggi, ndr).

Kevin Ovenden
Viva Palestina Convoy Leader



da Infoaut