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mercoledì 14 aprile 2010

Detenzione illegale? Parla il coordinatore della riforma della giustizia afgana


Il magistrato Fausto Zuccarelli spiega come funziona il codice di procedura penale in vigore in Afghanistan

Sono trascorsi tre giorni dall'arresto dei cooperanti di Emergency a Lashkargah. Oltre a non poter comunicare con i responsabili dell'organizzazione umanitaria e con i propri familiari, i nostri connazionali non hanno avuto la possibilità di avvalersi di un avvocato difensore. L'unico a visitarli, domenica scorsa, in una struttura dei servizi di sicurezza afgani, è stato l'ambasciatore italiano Claudio Glaentzer.Secondo quanto emerso ieri alla trasmissione 'Porta a Porta' dalle dichiarazioni del ministro degli Esteri, Franco Frattini, i tre, già sottoposti a un prolungato interrogatorio, potrebbero attendere fino a 15 giorni prima che le accuse vengano formalizzate dalla magistratura. Il sistema giudiziario afgano, essenzialmente fondato su norme religiose e consuetudinarie, è stato sottoposto dal 2002 a una riforma che ha visto l'impegno dell'Italia in prima linea, e non solo per il sostanzioso contributo economico (cinquanta milioni di euro, dieci dei quali già impiegati). Il Codice di procedura penale, redatto da giuristi italiani, non è ancora stato sottoposto al vaglio delle due Camere afgane. Vige, quindi, quello transitorio, citato ieri dal ministro Frattini. Abbiamo intervistato il coordinatore del progetto di riforma del sistema giudiziario afgano, il magistrato Fausto Zuccarelli, oggi procuratore aggiunto a Napoli.

Dottor Zuccarelli, perchè questo ritardo nell'adozione del nuovo codice?

La domanda andrebbe posta al Parlamento afgano. Quello transitorio, o ad interim, è stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale afgana il 25 febbraio 2004. Lì sono contenute le regole che presidiano la tutela degli arrestati o dei fermati. Tale codice stabilisce che la polizia giudiziaria deve porre l'arrestato a disposizione del pubblico ministero afgano entro 24 ore. Deve essere interrogato e il Pm, entro 48 ore deve confermare o meno l'arresto.

Perchè il ministro Frattini ha parlato di 15 giorni?

Io non ho seguito la trasmissione 'Porta a Porta', quindi non conosco ciò che ha riferito Frattini. Stando a quanto lei mi riferisce penso che il ministro si riferisse al termine di 15 giorni entro il quale il Pm deve formalizzare l'accusa davanti al giudice. Un concetto diverso dalla convalida o conferma dell'arresto. Il citato codice ad interim stabilisce che la polizia deve rappresentare al Pm il crimine di cui abbia avuto notizia entro 24 ore. La polizia, nel caso di arresto in flagranza, ha la possibilità di interrogare il sospettato rappresentandogli i motivi per i quali è stato arrestato e il sospettato ha il diritto di essere assistito nell'interrogatorio da un difensore, che può essere d'ufficio o di fiducia. Il Pm deve entro 48 ore interrogare la persona arrestata, sempre in presenza di un difensore, per contestargli le accuse. Dopodiché il Pm ha 15 giorni di tempo, estendibili per altri 15, per presentare al giudice una compiuta accusa.

Alla luce di ciò che lei espone, l'arresto dei tre italiani potrebbe essere illegale: se le armi c'erano, se i dipendenti di Emergency fossero stati arrestati, ipotizziamo, per possesso illegittimo di armi (volendo ipotizzare solo una possibile accusa), non disporre di un avvocato difensore e' illegale. E' ovvio poi che l'imputazione è ancora ignota, fatte salve le dichiarazioni del portavoce del governatore sul presunto complotto.

Se parliamo di arresto, la persona arrestata deve essere presentata al giudice con una compiuta accusa entro 15 giorni, a meno che la Corte, cioè il giudice, a richiesta del Pm autorizzi l'estensione a 30 giorni. Il Pm deve interrogare l'arrestato entro 48 ore. Se non lo interroga entro tale limite l'arrestato deve essere rilasciato, secondo il codice ad interim. Queste sono le regole.

Sembra che le regole per ora siano state disattese, non solo perché dei tre non si sa nulla, ma perché non è stato consentito loro di potersi difendere, durante l'interrogatorio che il ministro sostiene essere avvenuto. Nessuna parità tra accusa e difesa, nessuna garanzia legale, nessun avvocato. Hanno solo potuto vedere l'ambasciatore italiano.

Non so se le regole siano state rispettate o meno. Lo lascio dire a lei. Come magistrato sono abituato a leggere i documenti. Non avendone la possibilità, non so dirle se le regole siano state o meno rispettate.

E' possibile che lo status al quale sono sottoposti i tre sia svincolato dal codice penale ad interim per ragioni, insistiamo con le forzature e le speculazioni, legate ad 'attività terroristiche'? Sono stati arrestati da agenti dei servizi e sono detenuti in una struttura dei servizi.

Questo non sono in grado di dirlo perché non so se i testi di legge afgani che riguardano la materia del terrorismo siano ancora vigenti. Ciò che posso dire è che nel progetto presentato all'inizio al Parlamento afgano di codice di procedura penale erano riportate le regole che le ho esposto. In ogni caso, se attualmente vige quello ad interim pubblicato il 5 febbraio 2004, queste sono le regole. Se poi hanno contestato ai nostri connazionali reati diversi o applicato regole diverse, io non lo so. Non mi risulta che in Afghanistan esista un codice di procedura penale o comunque regole processuali diverse per reati cosiddetti di terrorismo.

La Costituzione afgana, riformata e approvata nel gennaio 2004, all'articolo 31, dice che chiunque si trovi in stato d'arresto può rivolgersi a un avvocato per difendere i propri diritti o per difendersi dall'accusa. L'imputato ha il diritto di essere informato sul capo d'accusa ed essere sottoposto al tribunale secondo le norme di legge. Le chiedo: è stata violata la Costituzione?

Le vecchie norme afgane prevedevano l'autodifesa. Con la Costituzione e il Codice ad interim si è cercato di uniformare le leggi dello Stato alla Carta fondamentale delle Nazoni Unite, prevedendo una difesa 'tecnica'. Il Codice ad interim è molto chiaro sul punto. Non prevede la difesa tecnica come una opzione ma come un obbligo, non riconoscendo più la possibilità dell'autodifesa. L'articolo 31, nella versione originale in lingua pashtun e in lingua dari, potrebbe prestarsi all'interpretazione che l'autodifesa è ancora possibile, e quindi l'assenza della difesa tecnica non costitusce una violazione.

Posso chiederle che idea si è fatto della vicenda?

Come magistrato le idee me le faccio soltanto quando leggo gli atti. Come un qualsiasi cittadino, poi, leggo i giornali, ma esprimere idee solo dalla lettura degli organi di stampa sarebbe quantomeno imprudente.
Luca Galassi

Roma Tre, scontri tra universitari di destra e sinistra: 8 feriti

DAVANTI ALLA FACOLTA' DI LETTERE
Roma Tre, scontri tra universitari di destra e sinistra: 8 feriti
La denuncia di Casapound: ragazzi di Blocco Studentesco aggrediti da un centinaio di esponenti dei centri sociali

ROMA - Otto di ragazzi del Blocco Studentesco sono rimasti feriti dopo essere stati aggrediti da un centinaio di esponenti dei centri sociali davanti alla facoltà di Lettere di Roma Tre, in via del Valco di San Paolo, mentre affiggevano alcuni manifesti in vista delle prossime elezioni del Cnsu, il Consiglio Nazionale degli Studenti Universitari. Lo si legge in una nota diffusa da Casapound. Nove militanti del Blocco sono finiti in ospedale, sei di loro con ferite gravi e prognosi di decine di giorni. Tra questi, dice sempre il comunicato, anche il presidente nazionale del Blocco Studentesco e candidato al Cnsu, Francesco Polacchi, attualmente ricoverato al Cto di Roma per una frattura scomposta dell'avambraccio e due ferite in testa che hanno richiesto dieci punti di sutura.

DENUNCIATI PER RISSA - Sul posto la polizia di stato ha denunciato 17 persone per rissa aggravata e sequestrato sei bastoni e tre mazze. A quanto riferito dalla polizia, tra i 17 denunciati ci sarebbero anche i feriti. Sulla vicenda indaga la Digos.

L'AGGRESSIONE - «Si è trattato di un vero e proprio agguato- spiega Polacchi- Eravamo una quindicina di persone e stavamo facendo affissione, come è prassi nei periodi preelettorali, quando abbiamo visto sbucare dal nulla un centinaio di persone armate di caschi, sassi, bastoni, catene, che ci sono venute addosso, forti del fatto di essere oltre quattro volte superiori a noi nel numero».
Secondo quanto riportato ancora dalla nota, alcuni cittadini che abitano proprio sulla via dove sono avvenuti gli incidenti hanno assistito alla scena, fornendo la propria testimonianza dei fatti al commissariato Esposizione, nel quartiere Eur. «Dalla dinamica dell'aggressione, avvenuta peraltro a poche centinaia di metri dal centro sociale Acrobax, sembra evidente come l'attacco fosse premeditato - aggiunge Davide Di Stefano, responsabile nazionale del Blocco Studentesco -. Un'azione violenta e intimidatoria pianificata a tavolino per impedirci di fare politica nelle università. È chiaro che un gesto di una tale gravità nasce dalla convinzione di godere di una totale impunità e richiede una risposta adeguata. E noi questa risposta la pretendiamo dal rettore di Roma Tre, Guido Fabiani, tenuto a garantire l'agibilità politica per tutte le liste che partecipano alle elezioni universitarie, e prima ancora dalle istituzioni, dal ministro dell'Interno, Roberto Maroni e dal sindaco di Roma, Gianni Alemanno, fino al neoeletto governatore del Lazio, Renata Polverini, il cui massimo impegno dovrebbe essere quello di tutelare la sicurezza dei cittadini».

Redazione online
14 aprile 2010

http://roma.corriere.it/roma/notizie/cronaca/10_aprile_14/scontri-universitari-roma-tre-1602832207603.shtml

da Antifa

Corte di Strasburgo, Italia condannata per l'espulsione in Tunisia dell'ex imam di Cremona

Mourad Trabelsi è stato espulso in Tunisia nel 2008, ma le autorità italiane né quelle tunisine hanno saputo dimostrare che l'uomo non ha subito maltrattamenti

La Corte Europea dei Diritti dell'Uomo (Cedu) ha condannato oggi l'Italia per l'espulsione in Tunisia di Mourad Trabelsi, ex imam di Cremona. Secondo i giudici di Strasburgo, l'Italia ha violato l'articolo 3 della Convenzione europea dei diritti dell'uomo, che stabilisce che nessuno può essere sottoposto a maltrattamenti e torture.
Le autorità italiane, né quelle tunisine, sono state in grado, secondo la Cedu, di dimostrare che l'uomo non abbia subito maltrattamenti durante la sua detenzione in Tunisia. Inoltre le affermazioni delle autorità tunisine sullo stato di salute di Trabelsi non sono sufficienti, perché non avvalorate da prove mediche. L'Italia, che nel 2008 ha espulso Trabelsi nonostante il divieto della Corte, è stata dunque condannata a pagare 15mila euro per danni morali e 6mila per le spese processuali.

http://it.peacereporter.net/articolo/21310/Corte+di+St...

da Indymedia

Il cardinale Bertone: "i gay sono tutti pedofili!"


Ci risiamo: ancora una volta elementi di primo piano della gerarchia cattolica scagliano i loro anatemi contro l'omosessualità e le persone gay e lesbiche. Questa volta a parlare è stato il Cardinale Tarcisio Bertone, segretario di stato Vaticano, impegnato in una visita ufficiale in Cile. Nella sua "approfondita analisi" sulla questione pedoflia nella Chiesa, l'alto prelato non ha rinunciato ad accumunare gli scandali e le violenze sessuali all'omosessualità; un'analisi, questa, che ha detta di Bertone si basa su quanto gli è stato riportato da eminenti studiosi di fama mondiale. La "loro" teoria è che gli aberranti episodi di pedoflia compiuti da religiosi non sono in nessun modo accumunabili alla condizione del celibato prescritta (?) dal Magistero ma, bensì, alla condizione omosessuale di questi "deviati" uomini di Chiesa.
Questo assunto, oltre che ledere la dignità di milioni di persone gay e lesbiche, è assolutamente falso e antiscientifico, portatore di una visione mistificatrice e distorta della realtà.

In linea con le posizioni cattoliche in tema di autodeterminazione sessuale e omosessualità non c'è nulla di nuovo in queste dichiarazioni: non è la prima volta infatti che la Chiesa si spinge ad associare questi odiosi crimini all'orientamento sessuale e alle questioni relative alla libera scelta sessuale di ognuno/a. Associazioni distorte che non sono presenti "solo" nelle parole dei "pastori" ma anche nei documenti ufficiali del Vaticano e dei suoi uffici. Il problema sta nella semplicità con cui un esponente di spicco dell'elitè vomita dal suo pulpito queste affermazioni, strategicamente e tempestivamente rilanciate per distogliere l'attenzione delle masse dallo scandalo che si sta abbattendo sui sacri palazzi e sul Papa.

Uno scandalo di dimensioni mondiali che scuote dall'interno i vertici della cattolicità e arriva a infangare anche la persona del romano pontefice, complice consapevole di omissioni ed insabbiamenti. Ecco allora la necessità di attaccare gli "indifendibili", di additare come perversi e criminali i gay, persone colpevoli di emanciparsi dal giogo della morale cattolica e di vivere la propria sessualità liberamente: una libertà, questa, che agli occhi di costoro mina i rigidi schemi, patriarcali e sessisti, in cui la Chiesa pretende di ingabbiare le vite di ognuno e ognuna di noi. Un'emancipazione che passa dal rifiuto di dottrine umane e politiche totalizzanti che intendono soffocare le esistenze dei singoli all'interno di un paradigma ideologico e religioso.

Dovrebbe a questo punto la Chiesa riflettere sulla gravità intrinseca degli abusi e delle violenze commessi, della completa estraneità della condizione omosessuale e della improponibile distinzione che propone tra peccato e crimine. Dichiarazioni ecclesiastiche si sono spinte ad affermare che le violenze pedofile sono peccati contro Dio e pertanto peccati che necessitano del perdono della Chiesa e non dell'intervento delle autorità civili e terrene. Ecco quindi che si giustifica l'insabbiamento ed il silenzio di tutti questi lunghi decenni: non lavare i panni sporchi in pubblico, non sottoporre i casi al potere giudiziario terreno ma tenere tutto segreto, così da non macchiare il sacro abito bianco del Papa e della sua organizzazione. Evitare, o tentare di farlo credere, che peccati religiosi diventino crimini (=reati) svincolati dall'autorità della Chiesa.

da Infoaut.org

I detenuti di Spoleto recitano Shakespeare

I detenuti di Maiano recitano Shakespeare
Grande successo lunedì 12 aprile 2010 per lo spettacolo della compagnia teatrale carceraria Araba Fenice


Davanti ad un folto pubblico formato dai dirigenti del carcere, da parenti, insegnanti e formatori professionali, i detenuti hanno recitato, da veri professionisti, testi liberamente tratti da opere di W. Shakespeare, ed altri da essi stessi elaborati insieme alla regista Patrizia Spagnoli. Lo spettacolo narra di un gruppo di attori che si prepara ad affrontare un provino per poter "calpestare" i palcoscenici dei più grandi teatri del mondo e dopo ore ed ore di prove e di vita in comune, dovranno accettare l'esito delle selezioni che per alcuni sarà positivo e per altri negativo e, come in tutte le sfide della vita, ci saranno vincitori e vinti. La consapevole ed amara conclusione è sulle possibilità, le opportunità e le condizioni che, favorevoli o avverse che siano, determinano i diversi percorsi della vita ma che la condanna a vita non offre più ai reclusi alcuna possibilità di partecipare ad altre sfide.
La rappresentazione si è conclusa tra lunghi applausi in un'atmosfera che, per tutta la durata, ha fatto completamente dimenticare l'esistenza di quei pesanti cancelli entro i quali i detenuti poi sono tornati alla loro quotidianità.
Il Direttore, dott. Ernesto Padovani, ha ringraziato calorosamente tutti coloro che hanno collaborato alla riuscita dell'evento sottolineando le difficoltà in cui si è dovuto lavorare in questo periodo particolarmente critico a causa del sovrappopolamento che affligge la conduzione della Casa di Reclusione.
Tratto dal sito http://www.spoletonline.com/

inviatoci da ergastolani@apg23.org