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sabato 19 settembre 2009

Regione Puglia: accordo per i precari - recuperati 1200 insegnanti e 300 dipendenti scolastici

Il ministro per l’Istruzione Mariastella Gelmini e il presidente della Regione Puglia, Nichi Vendola, hanno firmato a Roma un accordo di Programma tramite cui vengono stanziati 22 milioni di euro per il recupero di 1.200 insegnanti precari e 300 dipendenti scolastici della scuola primaria e secondaria. Il piano è promosso dagli assessorati regionali al Diritto allo studio e Formazione professionale, con la collaborazione dell’Ufficio scolastico regionale e dell’Invalsi (Istituto per la valutazione del ministero dell’Istruzione).
Il progetto, che sarà avviato il 15 novembre e si concluderà il 31 maggio 2010 è chiamato «Diritti a scuola» Le risorse sono tratte del PoFse 2007-13 a titolarità regionale con l’obiettivo di ridurre la dispersione scolastica, realizzando corsi che saranno affidati agli insegnanti precari inseriti nelle graduatorie degli uffici scolastici provinciali. I corsi saranno dedicati alla matematica e all’italiano e saranno fatti a discrezione delle singole scuole durante l’orario scolastico o nel pomeriggio. "È uno strumento importante grazie al quale si sostengono i docenti pugliesi ai quali non è stato riconfermato l’incarico di supplenza annuale per quest’anno scolastico" ha dichiarato il ministro dell’Istruzione, Mariastella Gelmini, ringraziando la Regione Puglia "per l’impegno dimostrato per il raggiungimento di questo accordo".

"Allo stesso tempo - ha aggiunto il ministro - l’accordo prevede l’attivazione di una serie di progetti per potenziare l’offerta formativa, potenziamento che sarà possibile anche grazie all’assegnazione nelle scuole coinvolte degli insegnanti precari. Molto importante è anche - ha concluso il ministro - il coinvolgimento dell’Invalsi nella valutazione dei progetti che saranno attivati, a tutela della serietà e dell’efficacia delle iniziative che saranno programmate, confermando il principio della terzietà nei processi di valutazione".

da GrandeSalento

Quando la Cupola voleva fondare un partito

È in uno degli interrogatori condotti dal pm Antonio Ingroia al pentito Antonino Giuffrè che si trova lo scenario della mafia che si trasforma direttamente in soggetto politico.

Chiede Ingroia se «nel 1993 alla scelta se proseguire o meno la strategia stragista, vi è anche una differenza, fra i due schieramenti (i “pacifisti” con riferimento Provenzano contrapposti agli “stragisti” guidati da Riina e poi Bagarella) per i progetti di ristrutturazione dei rapporti con la politica?». Giuffrè risponde spiegando che «da un lato c’è un discorso di creare all’interno di Cosa nostra un movimento politico nuovo, cioè portare avanti direttamente da Cosa nostra, eh… questo discorso, portato avanti da Bagarella e compagni, il cui esponente, uno degli esponenti principali era il Tullio Cannella». Si tratta di un movimento autonomista, Sicilia Libera, mai compiutamente decollato, quello di cui parla il pentito. « Noi eravamo perfettamente convinti che questo discorso non poteva avere un futuro – racconta il pentito – perché circa dieci anni prima, siamo attorno agli anni ’82-’83, un progetto simile, addirittura, più vasto assai, era stato presentato sia da Michele Greco, ma in modo particolare, era stato pensato da Piddu Madonia. Però non si è fatto, non si è presa in grandissima considerazione perché si capiva che, nel momento in cui si muovevano all’interno di un partito politico persone legate a Cosa nostra, ben presto il tutto sarebbe stato messo sotto i riflettori delle forze dell’ordine e della magistratura». E allora? Ecco che Giuffrè racconta a Ingroia dell’interessamento da parte di Cosa nostra nei confronti della nascente Forza Italia. «Si parlava, come avevo detto, di esponenti delle aziende di Berlusconi – racconta – che si stavano, se ricordo bene, per essere chiamati, sempre ripeto, se ricordo bene, si parlava di persone della Fininvest che si stavano interessando per creare questo nuovo movimento politico e in modo particolare un esponente di spicco di queste, che si interessava in questo periodo, era il… il signor Dell’Utri». Si intuisce dalla trascrizione che Giuffrè tentenna, ma Ingroia lo incalza: « In che misura, insomma, Cosa nostra era interessata rispetto a questo movimento politico che si costituiva? Non so se la mia domanda è chiara». È a questo punto che Giuffrè si sbilancia, ed espone con chiarezza il progetto. « Chiarissima – dichiara il teste -. A Cosa nostra interessava che il vertice di questo movimento assumesse delle responsabilità ben precise per fare fronte a quei problemi, come enunciato in precedenza, e poi, successivamente, l’andare a mettere degli uomini puliti all’interno di questo movimento che facessero, in modo particolare, gli interessi di Cosa nostra in Sicilia, mi sono spiegato?» E in particolare riguardo Marcello Dell’Utri, Giuffrè spiega di aver appreso che essendo questi «una persona molto vicina a Cosa nostra e nello stesso tempo un ottimo referente per Berlusconi, era stato reputato come una delle persone affidabili». Questa testimonianza, agli atti del processo e della sentenza in primo grado nei confronti di Marcello Dell’Utri, sarebbe stata considerata finora, anche grazie ad altri riscontri, credibile, e il pentito, secondo i giudici del processo riportano in sentenza, «deve ritenersi fuori discussione» in quanto «il quadro d’insieme delineato dal Giuffrè sul tema della politica è stato pienamente riscontrato dalle altre acquisizioni dibattimentali».

di Pietro Orsatti su Left/Avvenimenti

PIETRO GORI - LA NOSTRA PATRIA E' IL MONDO INTERO



STORNELLI D’ESILIO
(testo di P. Gori sull’aria della canzone toscana Figlia campagnola – 1895)

O profughi d’Italia
a la ventura
si va senza rimpianti
né paura
Nostra patria è il mondo intero
e nostra legge è la libertà
ed un pensiero
ed un pensiero
Nostra patria è il mondo intero
e nostra legge è la libertà
ed un pensiero
ribelle in cor ci sta.
Dei miseri le turbe
sollevando
fummo da ogni nazione
messi al bando
Nostra patria è il mondo intero
e nostra legge è la libertà
ed un pensiero
ed un pensiero
Nostra patria è il mondo intero
e nostra legge è la libertà
ed un pensiero
ribelle in cor ci sta
Dovunque uno sfruttato
si ribelli
noi troveremo schiere
di fratelli
Nostra patria è il mondo intero
e nostra legge è la libertà
ed un pensiero
ed un pensiero
Nostra patria è il mondo intero
e nostra legge è la libertà
ed un pensiero
ribelle in cor ci sta
Raminghi per le terre
e per i mari
per un’Idea lasciammo
i nostri cari
Nostra patria è il mondo intero
e nostra legge è la libertà
ed un pensiero
ed un pensiero
Nostra patria è il mondo intero
e nostra legge è la libertà
ed un pensiero
ribelle in cor ci sta
Passiam di plebi varie
tra i dolori
de la nazione umana
i precursori
Nostra patria è il mondo intero
e nostra legge è la libertà
ed un pensiero
ed un pensiero
Nostra patria è il mondo intero
e nostra legge è la libertà
ed un pensiero
ribelle in cor ci sta
Ma torneranno Italia
i tuoi proscritti
ad agitar la face
dei diritti
Nostra patria è il mondo intero
e nostra legge è la libertà
ed un pensiero
ed un pensiero
Nostra patria è il mondo intero
e nostra legge è la libertà
ed un pensiero
ribelle in cor ci sta .

IPOCRISIA E DIRITTI UMANI. L'UE CONDANNA L'ERITREA MA RESPINGE I SUOI ESULI

STOCCOLMA – Si chiamano diritti umani. E in tutta Europa servono a riempirsi la bocca nelle ricorrenze importanti. Per esempio il 18 settembre. Il 18 settembre è una data importante per l’Eritrea. Segna lo spartiacque tra le speranze dell’indipendenza e gli incubi del regime. Era il 2001. Il 18 settembre furono arrestate 15 note personalità del governo che avevano chiesto libere elezioni. La stampa libera fu chiusa e i giornalisti finirono in carcere, insieme a leader religiosi, sospetti oppositori, e fedeli della non autorizzata Chiesa Evangelica. Centinaia di prigionieri politici, ancora oggi detenuti in terribili condizioni e sistematicamente torturati.

L'Unione Europea, attenta al rispetto dei diritti umani, anche quest’anno, nell’ottavo anniversario di quel 18 settembre, ha espresso “profonda preoccupazione” per i continui abusi dei diritti umani in Eritrea, chiedendo al presidente Isayas Afewerki il rilascio di tutti i prigionieri politici e dei 30 giornalisti detenuti secondo l’organizzazione Reporter Senza Frontiere. La presidenza svedese poi è particolarmente sensibile al caso, perché dietro le sbarre c’è finito pure un suo cittadino. Dawit Issac, giornalista con doppia cittadinanza, eritrea e svedese, fondatore del settimanale Setit, imprigionato nel 2001 con l'accusa di essere una spia etiope. La stessa sensibilità però l’Unione europea non sembra mostrarla verso gli esuli eritrei che ogni anno attraversano il Mediterraneo in cerca di asilo.

Il presidente Isayas Afewerki che guidò l'ex colonia italiana nella trentennale guerra per l'indipendenza, oggi sfrutta una irrisolta disputa sul confine con l'Etiopia per mantenere il paese sul piede di guerra. Uomini e donne servono l'esercito a tempo indeterminato. I disertori e i loro familiari rischiano l'arresto e lungo la frontiera la polizia ha l'ordine di sparare a vista contro chi tenta la fuga. Ciononostante gli esuli crescono di giorno in giorno. Diecimila l'anno lasciano clandestinamente l'Eritrea per il Sudan. Da lì alcuni continuano il viaggio verso l'Italia, Malta, l'Egitto e Israele. Nel 2008 a Lampedusa ne sono sbarcati circa 3.000. E in effetti una volta sbarcati ricevono quasi sempre un permesso di soggiorno, per asilo politico o per protezione internazionale.

Ma da maggio le cose sono cambiate. Dei 1.329 respinti in Libia, centinaia erano eritrei. Gli ultimi 43 sono stati respinti lo scorso 8 settembre. Sono ancora in carcere. Come i 75 respinti il primo luglio. Detenuti a tempo indeterminato, come i 600 internati a Misratah dal 2006. Altro che asilo politico. Altro che diritti umani. Perché la presidenza svedese non si rivolge all’Italia e alla Libia, chiedendo di rilasciare i nostri di prigionieri politici?

da Fortress Europe

In fondo all’aula

Karen ha diciannove anni, è nata nella Repubblica Dominicana e vive a Roma. Mi confida che questo è un periodo particolarmente felice per lei perché si è appena diplomata e può realizzare il suo sogno di studiare ostetricia. Dopo una serena attesa di sei mesi, ha finalmente ottenuto il rinnovo del permesso di soggiorno.

Secondo i dati del ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca (Miur), nel 2008 gli studenti stranieri presenti nel sistema scolastico nazionale erano il 6,4 per cento degli iscritti. Si considerano “studenti stranieri” i figli di immigrati nati in Italia e quelli immigrati con i genitori, come Karen, che è arrivata qui all’età di dieci anni con la famiglia. Sempre secondo le statistiche del Miur il 34,7 per cento degli studenti stranieri è nato in Italia.

A Karen piace la scuola. Le dà un sette e mezzo. Però dice che non ha mai amato la frase : “Non sa una parola d’italiano”. “Lei cosa ne pensa, prof ?”, mi ha chiesto Karen. Questo anatema contro gli studenti stranieri nasconde tre aspettative sbagliate: che i ragazzi nati all’estero debbano per forza conoscere l’italiano, che sia una mancanza grave se arrivano a scuola senza saperlo e che sia una condizione irreversibile.

Karen parla molto bene l’italiano e lo scrive altrettanto bene. Però preferirebbe ricevere complimenti diversi da “perfino Karen, che è straniera, scrive meglio di te”. La presenza degli stranieri negli istituti superiori non è equilibrata, visto che nelle scuole professionali raggiunge l’8,7 per cento, negli istituti tecnici il 4,8, mentre nei licei non supera il 2 per cento. Solo apparentemente il problema è l’italiano. Il vero problema è la percezione illusoria di un’identità italiana unica così radicata che sembra fisiologica. “E non c’è un rimedio, prof?”.

“Basta applicare il principio dell’inclusione”, rispondo, “fondato sul diritto costituzionale di tutti gli alunni a frequentare la scuola insieme agli altri, senza distinzione di ‘sesso, razza, lingua, religione, opinioni politiche, condizioni personali e sociali’. La diversità nella scuola c’è sempre. Sono diversi i tipi di intelligenza, i ritmi, i metodi e le tecniche di apprendimento. Diversi i livelli di partenza e le motivazioni personali”.
“Ma se è tutto fondato sulle diversità, perché ancora si fa distinzione tra i figli di cittadini di serie A iscritti tutti in una classe e i cittadini di serie B relegati in un’altra?”.

Un giorno ero in una scuola superiore di una città del nord per un incontro. Volevo coinvolgere i ragazzi in un dibattito civile e vivace e gli ho fatto leggere un articolo che avevo appena pubblicato su Internazionale. Ho chiesto agli studenti di commentarlo. C’era chi era d’accordo e chi no, naturalmente. Ma c’era anche un gruppetto di ragazzi in fondo all’aula che si rifiutava di partecipare e in gran parte erano stranieri.

A un certo punto è intervenuta un’insegnante che era favorevole alle classi differenziate perché ‘i ragazzi italiani non devono rimanere indietro con il programma’. Stavo per elencare alcuni dei metodi usati nell’insegnamento individuale dell’italiano come lingua straniera, in base ai diversi livelli di partenza (modulari, learning by doing, counselling learning e programmazione a spirale). Ma l’ora era finita.

Al momento dei saluti, la professoressa ha ammesso che non sapeva nulla di questioni glottodidattiche e che era intervenuta solo perché gli alunni che difendevano le classi differenziate erano in minoranza. “Allora, Karen, secondo te, i ragazzi che si sono rifiutati di partecipare erano pigri o non capivano l’importanza di comunicare?”. “Forse avevano capito che erano loro i catalizzatori del problema e si erano messi al riparo, prof!”. Helene Paraskeva

Helene Paraskeva è una scrittrice nata ad Atene. Vive a Roma dal 1975.

da Internazionale

Avrei pianto un soldato morto in una "guerra di Piero"

Eroismo, patriottismo, terrorismo, libertà, democrazia ... sono parole davvero troppo grosse e perciò usate a sproposito, per parlare della morte di sei militari italiani in Afghanistan. La loro morte non è servita a difendere una patria che non è in pericolo di invasione straniera; il terrorismo non è debellato ed è anzi alimentato dall'invasione militare delle forze Isaf; non sono più libero di prima e molti, in altre parti del mondo lo sono meno di prima; l'Italia è meno democratica rispetto all'inizio delle "guerre umanitarie", né è più democratico l'Afghanistan, né l'Iraq, né gli USA. E devo sentir parlare di eroi.

Non voglio fare della facile retorica accostando le morti sul lavoro e la morte dei soldati. Ma non mi si venga nemmeno a raccontare la storia dei soldati che sarebbero morti sul lavoro. Perchè allora dovrei accettare l'idea dell'uccisione come un'arte ed il soldato come mastro. E quindi dovrei considerare il killer un lavoratore ed il sangue delle persone uccise il prodotto di quel lavoro. Perchè, come faceva osservare San Cipriano, non si può accettare "che l'omicidio è crimine quando sono i singoli a commetterlo, ma diventa virtù quando è compiuto in nome dello stato". Perchè dovrei accettare che l'impunità, addirittura quella morale, debba tanto più garantita quanto più grande e feroce è il massacro, quanto più forte è la mano omicida e quanto più debole chi subisce la violenza? No, non l'accetto. Non sono tanto perverso.

Non ho la mente ancora tanto offuscata da non accorgermi che un soldato in missione ci va da volontario, dietro compensi che un operaio impiega mesi ad accumulare. Ma lui, mi si dice, è ricompensato del rischio che corre per la sua vita. Certo, ma questo significa che quel soldato, è consapevole ed accetta il rischio di poter saltare in aria o di poter incrociare uno che il fucile lo usa prima di lui. Il soldato in missione, sceglie di mettere in pericolo la propria vita, per andare a migliaia di chilometri da casa ad uccidere un suo simile, che non conosce, che non ha mai visto, con il quale non ha mai parlato e dal quale non ha subito alcun torto. Da un'altra parte del mondo ci sono persone non hanno mai fatto nemmeno un buffetto, né a quel soldato, né a me e né ad altri della nostra Italia guerrafondaia. Eppure quelle persone saranno uccise da soldati che hanno scelto di uccidere per un compenso offerto dalla propria patria, e saranno uccisi perchè il caso ha voluto che nascessero in una parte del mondo, dove una vita umana ha il prezzo dello stipendio di un soldato.

E lo chiamate patriottismo questo? E lo chiamate morire per la patria questo? Oppure devo credere alla favola della morte per una causa umanitaria? Di una causa che ha dovuto inventare una minaccia? Devo rassegnarmi alla possibilità di una guerra giusta? No, non lo faccio. Non mi rassegno a questo e non piango ipocritamente la morte di sei soldati in guerra, dopo aver manifestato per la pace, dopo essere sceso in piazza contro la guerra. Non sono di quelli che sventola la bandiera arcobaleno e poi ci si asciuga le lacrime considerando eroi dei soldati in guerra.

Ma non sono tanto barbaro da non provare un enorme dispiacere per la morte di esseri umani, italiani ed afghani (questi ultimi, civili). Non sono così meschino da non soffrire, per il dolore di quanti piangono i loro cari morti in guerra. Ho un rispetto enorme per la vita umana. Forse proprio per questo, però, non riesco a provare quel dolore che in tanti esprimono, per la morte di persone che hanno scelto la possibilità di togliere la vita ad altri esseri umani, in difesa di logiche guerrafondaie. Avrei pianto un soldato morto in una "guerra di Piero". Un soldato che, andando "triste come chi deve", ha il coraggio di rischiare la propria vita pur di non "vedere gli occhi di un uomo che muore".

da Indymedia

E' cominciata la liberazione di Materdei. Foto dal corteo


Rete napoletana contro fascismo
Stamattina 1000-1500 persone, tra movimenti sociali, studenti, realtà e forze democratiche del quartiere (come i giovani del Pd e del Prc), insieme all'ANPI hanno manifestato a Materdei contro l'insediamento in una struttura comunale di un gruppo neofascista afferente a Casapound, organizzazione dell'estrema destra già nota per organizzare conferenze e iniziative sull'eugenetica e sui contributi del fascismo sulla selezione della razza (guarda)...

Il presidio, organizzato in pochi giorni, visti i numeri si è trasformato in corteo ed ha attraversato Materdei, comunicando con gli altri abitanti, lambendo la struttura occupata dai neofascisti, difesa e blindata dalle camionette della polizia. La mobilitazione è terminata poi al Museo Nazionale bloccando l'incrocio per contestare al comune di Napoli il silenzio sul fatto che chi propugna la selezione della razza gestisca una struttura comunale...!

La manifestazione ha ribadito la solidarietà e la vicinanza anche a quelle famiglie che pure a Materdei stanno occupando dei piccoli appartamenti. Molte delle realtà partecipanti al corteo hanno praticato e praticano lotte per il diritto alla casa e agli spazi sociali.
Ma queste lotte mai possono essere strumentalizzate da un gruppo neofascista per insediarsi in città! Abbiamo già visto a Roma, nelle loro aree di insediamento, il moltiplicarsi di aggressioni verso i migranti, gli omosessuali, gli studenti attivi nei movimenti... Napoli non ha bisogno di questa gente! Non possiamo permettere che quindici naziskin, accompagnati da qualche "camerata" di Salerno e (per l'occasione) anche di Roma, cerchino di riportare in vita un fantasma che la storia ha cancellato, ma che oggi si insinua nel clima di rancore sociale e paura del diverso irresponsabilmente alimentato da troppe forze politiche.

Quella di oggi è perciò la prima di una serie di iniziative nel quartiere fino alle quattro giornate di Napoli e a una grande manifestazione il 30 settembre per la quale facciamo appello alle altre forze democratiche della città. Uno "Jatevenne Day" che deve segnare la liberazione da questa gente e dalla cultura della prevaricazione e della tirannia di cui si sentono eredi. Iniziative che toccheranno anche i bisogni sociali e politici che sono una necessaria conquista per difendere e allargare gli spazi di democrazia reale.

Rete napoletana contro il neo-fascismo, il razzismo e il sessismo

da napoli.indymedia

Feltre Raid Fascista allo Skaserà

La "Skasera", uno spazio di socialità autogestito nel feltrino, ha subito un attacco vandalico da parte di una banda di neofascisti. Per esprimere solidarietà ai ragazzi del posto e condannare lo squadrismo di chi spacca mobili, impianto audio e oggetti di un luogo non suo e lascia scritte inneggianti al "Dux", è indetto un presidio che si terrà sabato prossimo, 26 settembre, alle 17.00.
Si può aderire ed esprimere solidarietà scrivendo a skaserautogestita@gmail.itIndirizzo. Qui sotto il comunicato che spiega come si sono svolti i fatti.

Sabato 26 settembre dalle ore 17.00, organizziamo un presidio anti-fascista presso la "Skasera" per mettere in risalto un gravissimo fatto svoltosi qualche settimana fa nel nostro punto di ritrovo.
La "Skasera" si trova vicino a Feltre, lungo la strada che collega Tomo a Porcen.

La "skasera" è stata infatti oggetto di un "assalto fascista".
Un vile attacco fatto di notte che ha causato diversi danni. Sono stati danneggiati vari oggetti: Il nostro impianto audio in cui nelle 2 casse rotte con un cacciavite abbiamo trovato la scritta "DUX" fatta con una
bomboletta, il televisore che usavamo spesso per proporre dei film durante alcune serate che abbiamo
organizzato è stato lanciato dal poggiolo, su un pannello di legno abbiamo trovato la scritta "W IL DUCE" e sono stati fatti altri danni e sfregi a cose e allo stabile.

Questo grave fatto ci ha molto colpito e ferito in quanto la "Skasera" è un luogo che abbiamo costruito e fatto vivere con molto impegno e sacrificio. Un luogo in cui non trovano dimora discriminazioni di alcun tipo e aperto a chiunque.

Con il presente comunicato vi invitiamo al nostro presidio e chiediamo il vostro appoggio in modo da inserirvi in un eventuale volantino che verrà fatto circolare.

Per aderire all'iniziativa, mandare messaggi di solidarietà, e avere ulteriori informazioni:
skaserautogestita@gmail.itIndirizzo e-mail protetto dal bots spam , deve abilitare Javascript per vederlo

da Antifa