HOME       BLOG    VIDEO    EVENTI    GLI INVISIBILI    MUSICA    LIBRI    POLITICA LOCALE    POST PIU' COMMENTATI

giovedì 27 maggio 2010

Chi ha paura del giornalista che indaga sulle navi dei veleni?


Occuparsi delle navi dei veleni significa pagare un prezzo fissato in termini di intimidazioni, attentati e furti quanto meno strani. È il caso di Gianni Lannes, giornalista investigativo sotto scorta dallo scorso dicembre, che negli ultimi tempi è stato oggetto di nuove pressioni. La penultima poco prima della metà di maggio 2010e il sospetto era che sull’auto della moglie fosse stata piazzata una bomba. Il presunto ordigno si rivelerà una manomissione all’impianto elettrico: qualcuno ha sfondato il finestrino, aperto il veicolo e armeggiato lasciando in bella evidenza cavi volanti. Un avvertimento che giunge dopo tre veicoli distrutti (il primo esploso il 2 luglio 2009, il secondo bruciato il 5 novembre e il terzo – auto dai freni manomessi – il 23 luglio 2009). Qualche giorno dopo – mentre il cronista stava radunando documentazione acquisita di recente – i ladri fanno visita alla sua casa: spariscono un computer, una fotocamera subacquea e un hard disk portatile. Approfittando di una breve assenza, entrano nella sua abitazione senza scassinare la porta (nessun segno di effrazione) e non si appropriano di nient’altro: televisore, stereo, gioielli, denaro.

Cos’hanno portato via?

Documenti di lavoro. A casa non ho uno schedario, non ho un archivio, la mole di dati raccolti sta da un’altra parte, ma casualmente ho lasciato quel materiale pensando che tra le mura domestiche fosse al sicuro. Ero stato via tre giorni, ero a Perugia per una serie di seminari e conferenze sul tema dell’informazione. Ho partecipato proprio domenica scorsa alla marcia della pace e quando ho fatto rientro mi sono accorto di ciò che era accaduto. Una brutta sorpresa, anche perché sono sotto tutela del ministero degli interni che dovrebbe sorvegliare anche la mia abitazione, no?

Intimidazione che arriva mentre stai procedendo nell’inchiesta sulle navi dei veleni…

Proprio il giorno prima, l’11 maggio, ero a Roma e dovevo incontrare il comandante generale delle guardie costiere, l’ammiraglio Raimondo Pollastrini. Era stata concordata un’intervista, ma l’ufficiale non si è fatto trovare, nonostante avesse chiesto e ottenuto di conoscere per iscritto le domande. Ne avevo inviate ventitré, ma nessuna risposta, neppure le scuse per l’appuntamento saltato.

Negli ultimi articoli pubblicati sul tuo sito, viene fuori che c’è di mezzo un parlamentare. Chi è? Cosa c’entra?

È il presidente della commissione bicamerale sul ciclo dei rifiuti, altrimenti detta commissione sulle “ecomafie”, l’avvocato Gaetano Pecorella, con studio a Milano. C’entra con la questione delle navi dei veleni e dei rifiuti radioattivi perché ho intercettato un bel po’ di documenti del suo studio legale in riferimento all’arrivo nel porto di Ravenna di un carico proveniente da Israele con container di rifiuti metallici. Dalle misurazioni della sezione provinciale di Ravenna dell’Arpa (servizio sistemi ambientali), è risultata una notevole radioattività. Lo studio legale Pecorella-Fares, difende gli interessi di coloro che importano in Italia questo tipo di rifiuti. C’è un carteggio in cui si sostiene che tutto è a posto, tutto è normale. Anzi, lo studio chiede di autorizzare, testualmente, “l’individuazione del materiale radioattivo e [il suo] smaltimento e bonifica in maniera tale da consentire la commercializzazione della parte sicura ed evitare così un grave pregiudizio economico per la stessa. In subordine, qualora si ritenesse che il materiale in ogni caso non debba sostare presso il porto di Ravenna, si chiede che sia autorizzato il trasporto in un altro Paese diverso da Israele”. Questo documento porta la data del 12 novembre 2009 ed è stata inviato all’Arpa di Ravenna, all’attenzione della dottoressa Patrizia Lucialli.

Nessuno ha mai parlato di questo “conflitto di interessi”?

Nessuno. Anche io l’ho colto per caso. Ero a Ravenna per portare a termine una verifica sul registro dei sinistri marittimi e sull’affondamento di due navi albanesi nel medio-alto Adriatico e casualmente mi sono imbattuto in questa documentazione. Dunque ho voluto vederci chiaro e ho scoperto che anche a Ravenna sono arrivati carichi di questo genere. Non è la prima né l’unica nave ovviamente, ma mi fa davvero specie che il presidente di quella commissione parlamentare difenda gli interessi di chi si occupa di questo genere di trasporti a livello internazionale. A questo punto, secondo me Pecorella dovrebbe spiegare la sua posizione e subito dopo dimettersi.

Notizie che fanno parte di un dossier più ampio…

Sì. Non do i numeri, ma la certezza è matematica: siamo a quota 200 affondamenti nel Mediterraneo. Sto parlando dell’Adriatico, dello Ionio soprattutto e del Tirreno. Non si tratta di relitti bellici della prima e della seconda guerra mondiale, bensì di navi affondate dai primi anni Settanta fino ai giorni nostri. L’ultima che abbiamo rilevato è una nave affondata tre anni fa nello Ionio. Abbiamo filmati, fotografie, rilevamenti sonar e poi ricerche nelle banche dati. Per esempio, in quelle dei Lloyds di Londra e Genova, poi sono stati consultati il registro italiano navale Rina e l’Imo, le guardie costiere e le direzioni marittime.

Renderai pubblico il contenuto del dossier?

Questo è il frutto di una ricerca soprattutto in mare, ma anche presso le fonti ufficiali, come l’archivio storico della marina militare. La prima cosa che abbiamo fatto è capire quali erano i relitti risalenti al primo e al secondo conflitto mondiale per fare una cernita: quelli si sa cosa sono ed esiste un elenco risalente al 1952 che li censisce. Ben altra cosa sono queste carrette del mare. Spesso si tratta di carichi a perdere non innocui, pieni di rifiuti chimici e spesso di scorie radioattive. Ma abbiamo trovato anche altro: migliaia di container, droni e missili chiamiamoli penetrator. Due in particolare sono nello Ionio. Tornando alla pubblicazione del dossier, pare che ci siano difficoltà a presentarlo alla Camera dei Deputati e forse sarà più facile farlo a Strasburgo, al parlamento europeo, dove c’è una disponibilità del presidente. Faremo tappa anche in vari porti italiani partendo da Genova e a seguire La Spezia, Livorno, Civitavecchia e su fino a Trieste, risalendo la costa, isole comprese. In merito ai tempi – slittati più di una volta per via della grande mole di materiale, scoperte e riscontri – non dovrebbero andare oltre i primi di ottobre. Inoltre l’intenzione è quella di stampare il dossier in almeno 10 mila esemplari.

C’è un legame tra minacce, furti e le navi dei veleni?

Non mi era mai accaduto in 25 anni di attività di subire pressioni così ravvicinate e anomale. Da 10 mesi mi occupo esclusivamente di navi dei veleni e se si tratta di vendette postume per altre storie è curioso che appaiono adesso. A parere degli inquirenti e dei carabinieri in particolare, sembrano dei tentativi di condizionamento del mio lavoro d’indagine. Peraltro questi episodi accadono sempre in coincidenza di qualche evento: quando devo intervistare qualcuno, quando scopro qualcosa arriva una risposta del genere.

Sei un cronista che sta rischiando, però nessuno ne parla. Troppo solo, come mai?

Non lo so, potrebbero essere tanti i motivi. Innanzitutto non appartengo a nessuna parrocchia, non ho tessere, non sono un raccomandato e non devo ringraziare nessuno. E poi credo che il problema sia più generale, non legato specificamente alla mia persona. Il fenomeno trattato comprende interessi di multinazionali della chimica e del nucleare che negli ultimi trent’anni hanno costituito un cartello, una sorta di network criminale, e hanno utilizzato gli oceani e i mari (Mediterraneo e Italia compresi) per affondare ogni genere di porcheria. Il vero buco nero in Europa e in Occidente è la quantità di rifiuti industriali prodotti: che fine fanno? Aggiungo un altro dettaglio a questa risposta: per la trasmissione di Gianni Minoli “La storia siamo noi”, ho lavorato come autore e consulente ad una puntata sulla strage del motopeschereccio “Francesco Padre”, affondato il 4 novembre ‘94 nel corso di un’azione di guerra simulata nel basso Adriatico. Ecco, la puntata è pronta e ora, senza fornire alcuna motivazione, mi chiedono di modificarne i contenuti violando il contratto che mi hanno fatto firmare. Un episodio del genere potrebbe far pensare a qualche forma di censura.

Non voglio farti i conti in tasca, ma la tua è un’inchiesta è molto complessa, quindi costosa. Da dove arrivano i soldi?

È autofinanziamento. Ho speso soldi miei che avevo da parte. Vuoi una cifra? Non vorrei inquietare oltremodo mia moglie, ma è tanto, migliaia di euro.

Forse le ombre che ti seguono non appartengono alla criminalità organizzata né alla criminalità comune. Chi ti dà la caccia?

Credo vi sia la mano dei servizi segreti di questo Paese e non solo. La vicenda chiama in causa interessi di altri Paesi europei e degli Stati Uniti. Non saprei dettagliare di più. Sicuramente sono seguito e osservato. Peraltro un magistrato del calibro di Francesco Neri me l’ha fatto rilevare di recente a Reggio Calabria: nel corso di un nostro incontro, avevamo “compagnia” e si noti che mentre io ho la scorta, lui non ha nemmeno quella. A una domanda del genere è poi il governo italiano a dover rispondere, quello attualmente in carica e quelli precedenti. E dovrebbe fornire qualche risposta anche in merito a un filmato subacqueo di alcuni minuti che abbiamo messo online nei giorni scorsi: si vede una nave dei veleni nello Ionio e ne chiediamo conto al presidente del consiglio, Silvio Berlusconi, e al ministro dell’ambiente, Stefania Prestigiacomo. Citiamo loro un caso: è una nave affondata tre anni fa, ci sapete dire cosa contiene o ve lo dobbiamo dire noi? E come mai non ve ne siete accorti, ma l’ha fatto un giornalista? Peraltro non è la prima volta che chiediamo un confronto pubblico al ministro Prestigiacomo: a marzo avevamo proposto un contraddittorio televisivo con i suoi esperti parlando prove alla mano. Non ci è mai giunta alcuna risposta, neanche negativa.

di Antonella Beccaria su “Domani.arcoiris.tv”

http://www.ilbriganterosso.info/2010/05/26/chi-ha-paur...

da Indymedia

La rottamazione dell'intelligenza


Non bisogna pensare che quello italiano sia un caso isolato, o una controtendenza. La tendenza universale della fase finale della mutazione neoliberista era stata anticipata da Michel Foucault: nelle sue parole deve portare alla formazione del modello antropologico dell’homo oeconomicus. L’espansione delle competenze cognitive sociali per affrontare la crescente complessità del mondo tecnico e sociale, fondamentale nella storia della civiltà moderna, è stata invertita, bruscamente e drammaticamente.
«Tutti devono sapere» è lo slogan di una campagna di informazione e denuncia sulla riforma Gelmini che partirà a metà del mese di maggio nelle scuole di Bologna. Tutti devono sapere che in Italia si è avviato un processo di smantellamento del sistema di produzione e trasmissione del sapere, destinato a produrre effetti devastanti sulla vita sociale dei prossimi decenni.
Taglio di otto miliardi di finanziamenti per la scuola pubblica mentre il finanziamento alle scuole private viene triplicato. Gli effetti di questo intervento sono semplicissimi da prevedere. La scuola pubblica viene messa in condizioni di agonia, ridotta a luogo di contenimento della popolazione giovanile svantaggiata, consegnata così a un destino di rapido imbarbarimento. Alle scuole private accederanno solo i figli delle classi agiate. Nel frattempo, per completare il quadro, la nuova intellettualità [nella fascia tra i venticinque e i quaranta anni] sta migrando massicciamente verso l’estero. I nuovi intellettuali italiani non sono italiani e soprattutto non vogliono esserlo. Si sta disegnando una situazione dalla quale il paese non si riprenderà né domani né dopodomani, perché la distruzione del sistema pubblico di istruzione e il soffocamento della ricerca non sono fenomeni passeggeri e non sono neppure rimediabili nell’arco di una generazione.
Come può accadere una cosa di questo genere? Per chi, come me, è abituato a ragionare nei termini marxisti dell’analisi di classe, per chi si è abituato a pensare che viviamo in una società capitalistica in cui c’è una classe – la borghesia proprietaria – che trae il suo profitto presente e quello futuro dallo sfruttamento delle energie fisiche e mentali della società, quello che sta accadendo è incomprensibile. Il capitalismo italiano sta distruggendo il suo stesso futuro, non soltanto il futuro della società. Ma forse proprio qui sta il punto che sfugge alla nostra analisi: la borghesia non esiste più, il capitalismo borghese non esiste più. La rendita finanziaria non fonda più le sue fortune sul rapporto referenziale con l’economia reale. Non vi è più alcun rapporto tra aumento della rendita e crescita del valore socialmente disponibile. Da quando la finanza si è autonomizzata dalla sua funzione referenziale, la distruzione è diventata l’affare più redditizio per il ceto post-borghese che si è impadronito delle leve del potere. Un ceto post-borghese che potremmo definire ceto criminale, dal momento che la genesi del suo potere è essenzialmente legata alla illegalità, alla violenza, alla manipolazione.
Quello italiano è senza dubbio un quadro estremo, se comparato al quadro europeo. Pur avendo umiliato il sistema educativo francese sul piano politico e culturale nel 2009, poi nel 2010 Nicholas Sarkozy ha investito una somma notevole sulla ricerca pubblica, mentre in Italia la ricerca pubblica viene avviata all’estinzione. A livello europeo stiamo assistendo a un’intensa lotta tra la borghesia capitalista, che permane dominante in gran parte del nord protestante, e la classe criminale che si sta impadronendo del potere nei paesi barocchi, anzitutto l’Italia. La crisi dell’Unione europea è anzitutto il segnale di questa guerra, il cui esito al momento non è scontato.
Ma non bisogna pensare che quello italiano sia un caso isolato, o una controtendenza. La distruzione del sistema pubblico di formazione è una tendenza universale della fase finale della mutazione neoliberista, quella che Michel Foucault ha anticipato nel seminario del 1979 [pubblicato col titolo «Naissance de la biopolitique»], quella che nelle sue parole deve portare alla formazione del modello antropologico dell’homo oeconomicus.
L’espansione delle competenze cognitive sociali per affrontare la crescente complessità del mondo tecnico e sociale, che è stata fondamentale nella storia della civiltà moderna, è stata invertita, bruscamente e drammaticamente. La nuova dinamica del capitalismo finanziario criminale non prevede il futuro, non lo immagina, non lo vuole e non lo prepara. Non a caso è un potere essenzialmente gerontocratico, anche se la sua ideologia è giovanilistica. Il fascismo futurista del Novecento era una forma di giovanilismo aggressivo di giovani che scalpitavano per raggiungere il potere. Il fascismo post-futurista di oggi è invece un regime giovanilista dei vecchi.
Il ceto nichilista che si è impadronito del potere in Italia [ma non solo in Italia naturalmente] si muove lungo le linee di una consapevolezza inconfessabile: la civiltà umana è destinata a finire con noi, entro le condizioni del capitalismo non esiste più la possibilità di vita civile. Dunque appropriamoci in maniera frenetica del valore che proviene dalla demolizione di ciò che le generazioni moderne di proletari e di borghesi hanno prodotto, a cominciare con la cultura, la scienza, il sapere.
Negli anni ottanta e novanta la dinamica del capitalismo globale si accompagnava alla diffusione di nuove scuole, nuovi comparti della formazione, in gran parte legati allo sviluppo delle nuove tecnologie digitali. Impresa dinamica e lavoro cognitivo si trovarono alleati, fino all’esperienza culturale ed economica delle «dot.com», le piccole imprese ad altissimo investimento cognitivo sostenute dall’azionariato privato e dall’intervento pubblico. Negli anni novanta il cognitariato si formò come classe post-operaia, proprio nell’incrocio tra dinamiche finanziarie [venture capital], dinamiche culturali [net-culture] dinamiche tecnologiche [la rete].
Questa classe virtuale post-operaia, dai contorni labili e dall’esistenza precaria, nucleo sociale decisivo dell’insorgenza anticapitalista che ebbe inizio a Seattle, per alcuni anni attraversò la storia del mondo come ultimo appello alla coscienza etica del genere umano. Ma il movimento non riuscì mai a uscire dai confini dell’etica, per farsi trasformazione della vita sociale quotidiana, autonomia solidale capace di sottrarsi all’abbraccio mortifero dei media dominanti e del ricatto precario. Nel frattempo, infatti, nella sfera del lavoro cognitivo si era consolidata un’idea meritocratica del reddito, una percezione competitiva e non solidale del mercato del lavoro. Sta qui la debolezza del cognitariato, costretto alla condizione del lavoro precario, e incapace di produrre comportamenti collettivi di autonomizzazione nella vita quotidiana.
La Carta di Bologna, che nel 1999 venne approvata dai rappresentanti dei sistemi educativi dei paesi europei, segnò l’imposizione definitiva del modello aziendale alla scuola pubblica europea, e avviò un processo di immiserimento e di frammentazione dei saperi, che corre parallelo alla precarizzazione del lavoro scolastico e universitario, alla drastica riduzione del salario-docente, soprattutto nella sfera universitaria. Il crollo azionario della primavera 2000 segna l’inizio di un vero e proprio smantellamento della forza sociale del cognitariato, cui il cognitariato non seppe opporsi. Nel 2001 Christian Marazzi scrisse un articolo dal titolo «Non rottamiamo il general intellect». Proprio questo invece è accaduto: la rottamazione del «general intellect» è stato il processo che il ceto criminale post-borghese ha messo in moto fino dai primi anni del decennio 2000.
Un ceto criminale si impadronisce del mondo nel primo decennio del 2000 – Cheney e Bush ne sono i rappresentanti americani, Putin, il Kgb, Gazprom in Russia, Fininvest-Mediaset in Italia, per non citare che i più illustri esempi di questo ceto che non è più definibile borghese, perché non fonda più la sua ricchezza sullo sfruttamento regolato di una classe operaia territorializzata, ma sull’arbitrarietà di un comando che si esercita sull’aleatorio dello scambio linguistico, sul raggiro, sulla simulazione e infine sulla guerra. Questo ceto criminale persegue una politica di distruzione accelerata della civilizzazione sociale. La borghesia investiva sul lungo periodo, sul territorio, sulla continuità di una comunità laboriosa e consumatrice. La classe del capitale finanziario non ha alcun interesse al futuro della comunità, del territorio. Una delle attività finanziarie più lucrose diviene proprio quella dello smantellamento, della messa in fallimento, della smobilitazione di nuclei di intelligenza collettiva.
La distruzione del sapere sociale è un affare che rende bene al ceto criminale. Quegli otto miliardi che il governo Berlusconi ha risparmiato distruggendo il sistema della scuola pubblica finiranno nelle tasche capienti del ceto cadaverico, mentre il business della scuola privata si ingigantisce.
Esiste una via d’uscita dalla dittatura dell’ignoranza. Per il momento non la vediamo. Come dice Mark Fisher nel suo «Capitalist Realism»: «Gli studenti inglesi sembrano rassegnati al loro fato. Ma questo non è un problema di apatia, o di cinismo, ma di impotenza riflessiva. Sanno che le cose vanno male, ma soprattutto sanno che non possono farci niente. Questa loro consapevolezza non è una osservazione passiva di uno stato già esistente delle cose. È una profezia che si autorealizza».

da Indymedia

Vendola attacca la manovra economica : "Grande opera di macelleria sociale"


Una manovra economica che fa macelleria sociale, e contro cui bisogna organizzare una grande rivolta popolare. Un centrosinistra che non sa più parlare al Paese, che cerca la modernità nelle parolacce, e che nonostante questo continua ad apparire antico. Un'alternativa alle destre da costruire facendo una rivoluzione culturale, abbandonando l'ottica spartitoria del potere, riconnettendosi con l'Italia vera e smarrita. Nel videoforum di Repubblica Tv 1 - 380 messaggi in tempo reale - il leader di Sinistra ecologia e libertà e governatore della Puglia Nichi Vendola non fa sconti a nessuno: né al governo, né ai suoi alleati. Non perdona a Bersani la parolaccia contro il ministro dell'Istruzione Gelmini. Non perdona a Tremonti una manovra che colpisce sempre gli stessi, i deboli, i non colpevoli.


Cosa pensa di questa manovra?

"Giungono rumori di guerra da Palazzo Chigi. Hanno giocato a nascondino per due anni, hanno avuto paura di confrontarsi con quello che accadeva nel resto del mondo: l'esplosione di una bolla speculativa che riassumeva la follia di un ventennio di ubriacatura liberista. Hanno giocato a nascondere la crisi, l'Europa si è occupata prevalentemente di risarcire quei soggetti che ne erano stati i protagonisti, coloro che hanno portato il mondo sull'orlo di un precipizio. E oggi questa decisione determina i propri effetti. I giovanotti delle agenzie di rating bocciano la Grecia, la Grecia comincia a tremare, dopo la Grecia è il turno del Portogallo, della Spagna, e ora appaiono nuvole nere anche sul cielo d'Italia. Ma cos'è questa crisi? E' qualcosa che ha a che fare con le viscere della terra e del creato, l'ha portata la cicogna? E' la crisi di un mondo che è stato imprigionato da gruppi sofisticati di rapinatori, da un ceto mondiale di rapinatori travestiti da procacciatori finanziari, da acrobati della finanza internazionale. Ma come si può immaginare di proporre a un lavoratore o a un pensionato il sacrificio - fosse pure di un euro - se prima non si spiega come si intende cambiare questa logica perversa? Se non si pone fine all'allegra finanza degli speculatori e degli squali che attraversano gli oceani dell'economia mondiale producendo questo disastri? Se non si chiede scusa al lavoro che è stato umiliato, offeso e marginalizzato e non si ricostruiscono le regole del gioco a livello planetario?"

Il governo ripete che non metterà le mani nelle tasche degli italiani.

"Mettono le dita negli occhi degli italiani. Siamo a un livello di dramma sociale che viene occultato e nascosto dalla propaganda. Bloccare per anni i contratti dei lavoratori del pubblico impiego, 1100-1200 euro al mese, significa produrre un effetto depressivo sull'economia nazionale, ridurre la platea dei consumi e dei consumatori, stare dentro l'onda della recessione. Pensare di poter bloccare l'andata in pensione di chi l'aveva programmata, pensare di togliere agli enti locali un numero impressionante di risorse, è assurdo. Loro non mettono le mani nelle tasche degli italiani, ma io non avrò più un euro per pagare i servizi sociali o per pagare la viabilità. Quello che fanno è un'operazione di trasferimento a qualcun altro della responsabilità della più grande opera di macelleria sociale della storia italiana."

Chiarissima l'analisi, questa crisi è costretto a pagarla chi non l'ha causata. Ma ora cosa bisogna fare? Napolitano ha auspicato che l'opposizione in Parlamento condivida la manovra.

"Se le misure fossero eque, ma per essere eque bisogna riesumare una parola che è stata maledetta e proibita in Italia: la parola tasse. Al primo punto bisognerebbe mettere la possibilità di colpire i grandi patrimoni, la rendita parassitaria, le transazioni finanziarie. Colpire quegli evasori che avevano portato milioni di euro all'estero. Ma si possono scaricare 24 miliardi di euro per intero sul lavoro dipendente, sui pensionati, sulla povertà, sulla fragilità? Si parla molto dello scandalo dei falsi invalidi, si parla poco dello scandalo dei veri invalidi che devono scalare le alpi della burocrazia per veder riconosciuto il loro diritto all'accompagnamento. Questo è diventato un paese feroce, e con questa manovra finanziaria la ferocia si fa stato. Tremonti ci chiama a condividere cosa? Il suicidio degli enti locali, il suicidio delle regioni, delle province, dei comuni? No io non mi assumo questa responsabilità."

Uno spettatore le chiede la sua opinione sulle ricette di " flexsecurity" del Pd sul lavoro, ricette su cui peraltro il Pd all'ultima assemblea non è riuscito a trovare un accordo.

"La flessibilità è un obiettivo straordinario in una società che realizza la piena occupazione. In un Paese in cui la disoccupazione in gran parte del territorio è a due cifre la flessibilità è un trucco semantico, è soltanto la mafia delle parole che consente di chiamare flessibilità ciò che è precarietà. E la precarietà oggi non è solo una condanna per chi ha contratti atipici, l'intero mondo del lavoro è turbato da questo sentimento di precarietà. Il lavoro è scomparso dalla scena pubblica. I media parlano del lavoro solo nelle rubriche di cronaca nera. Abbiamo di fronte a noi la prima giovane generazione che è compiutamente al di fuori dell'idea del lavoro come prospettiva, come futuro. Una generazione compiutamente precarizzata non solo nella sua proiezione produttiva, ma nella sua immagine di futuro. Questa è una tragedia. Qui c'è il vero problema della sinistra: per contestare questa roba qui bisogna rimettere il lavoro al centro della scena sociale. Ll'economia non c'è se non c'è il lavoro, se non c'è la produzione di beni e servizi c'è un'economia cartacea, quella delle agenzia di rating, dei piccoli gangster travestiti da manager esterofili. Questo è un punto culturale, sociologico e politico che chiama in causa il mestiere della sinistra. La sinistra da troppo tempo non ha un mestiere perché non si occupa più sul serio di questo tema."

Come risponde a chi le chiede di lanciare la sfida al centrodestra, al governo e alle vecchie classi dirigenti del centrosinistra?

"A sinistra non è possibile immaginare ricette taumaturgiche. A sinistra si è consumata una gravissima sconfitta che non è solo quella elettorale, ma è una crisi di cultura, di prospettiva, di narrazione, di egemonia. Berlusconi non ha vinto mica perché è stato un bravo amministratore, ma perché ha dato forza a un racconto strabiliante assolutamente manipolatorio nei confronti della psicologia di massa. La sinistra cosa gli ha contrapposto? Berlusconi è stato la proiezione in politica di quello che è avvenuto nei lunghi pomeriggi televisivi, quando la formazione culturale di un paese è stata surrogata dalle Isole dei famosi, dai Grandi fratelli, da un'ideologia e da un'idea della vita e della società miserabile, meschina, mercantile. Non può pensare la sinistra che basti una parolaccia per recuperare un codice di comunicazione con la realtà, per recuperare l'alfabeto perduto, il vocabolario perduto. La sinistra non sa più parlare alla gente e non sa più capire la gente. Oggi potremmo usare l'occasione drammatica della crisi economica e sociale per provare a recuperare un rapporto di verità con il paese, con le sue sofferenze e le sue aspettative. Lì c'è il cantiere dell'alternativa, l'alternativa non può nascere dalle alchimie di palazzo, sperando che un pezzettino dell'altra parte si possa staccare e venire in soccorso. Di lì non nasce niente. Dobbiamo soprattutto parlare alla società italiana e alle giovani generazioni, essere la sinistra che dà speranza perché organizza le lotte. Una sinistra che fa un mestiere antico ma nelle forme più moderne e più flessibili. Invece riusciamo a usare il peggio della modernità - la parolaccia - continuando a sembrare conservatori. C'è bisogno che tutte le forze del centrosinistra si accorgano della propria inadeguatezza e si lascino aiutare nel rapporto forte con la società civile, con i movimenti e con le associazioni. Provino a costruire un cantiere di autorigenerazione."

E da cosa si parte?

"Ad esempio, l'immigrazione. Noi non possiamo immaginare sull'immigrazione un discorso di contenimento dei danni delle leggi razziali e del razzismo che è insito in questa classe dominante. L'Italia dei roghi di Ponticelli, l'Italia di Rosarno, della mensa negata a un bambino, del bianco Natale cantato perché bisogna fare il Natale dei bianchi, l'Italia di una sommessa e ordinaria pulizia etnica è un'Italia schifosa, melmosa, putrescente. Contro di essa bisogna far vivere l'altra Italia, quella che ha memoria della sua storia, storia di migranti. Non si può essere sceriffi di sinistra, non si può essere un po' meno razzisti perché non vincano i razzisti. Su questo tema il centrosinistra ha bisogno di riscostruire una politica, un racconto di verità."

Lei la questione morale l'ha guardata in faccia cambiando la sua giunta quando sono arrivate le inchieste sulla gestione clientelare della sanità in Puglia. Pensa che il Pd non stia facendo abbastanza?

"Secondo me c'è un'idea così diffusa di politica come cinismo e affarismo e c'è una tale soggezione della politica al mercato che la realtà è questa. Perché la politica è corrotta, perché è debole. Ha ceduto il passo ad altri poteri che prendono decisioni sulla vita di tutti e non in sedi democratiche, non in modo trasparente. La politica - per combattere la corruzione - deve innanzi tutto riprendersi sovranità sulle scelte di un Paese. L'Italia sta uscendo dalla chimica di base: l'ha deciso il parlamento, l'ha deciso il governo, l'ha deciso qualcuno? E dov'è un tavolo su questo. Mentre poi sul versante del nucleare io non ho capito: ho l'impressione che abbiamo fatto due patti, uno con Sarkozy e uno con Putin. La partita la stiamo giocando in due casinò differenti, e questo potrebbe costarci caro anche in tema di relazioni internazionali."

Lei ha definito i partiti ossi di seppia, non è ingeneroso da chi viene da una lunga storia di partito? Cosa sono e cos'hanno le sue fabbriche in più di un partito?

"I partiti sono diventati molto simili a quella metafora che il presidente del Censis De Rita usa per definire l'Italia: mucillagine. Sono la rappresentazione di un'Italia frammentata per interessi di corporazioni, di caste, di lobby o di campanili. Il partito come luogo di costruzione dell'interesse generale, di protezione dei beni comuni, dov'è? Le fabbriche cui ho offerto il mio nome, le fabbriche di Nichi, sono luoghi in cui è abolita la cosa fondamentale che ci ha berlusconizzati tutti: la vita politica fondata sulla competizione. Lì c'è la cooperazione, non si viene eletti a niente. Sono un tentativo di connessione tra la rete e la piazza, e hanno assunto l'idea che si può coniugare la politica alla bellezza. Sono l'idea che la politica dev'essere un principio di ricostruzione della comunità. Per me sono state un osservatorio su quanto è grande la speranza di cambiamento. Nella mia testa il partito è stato sempre un mezzo, non un fine. Io mi sento innamorato dell'idea che si può ancora contribuire a cambiare la vita e a cambiare il mondo. Vediamo gli strumenti utili per il cambiamento."

La sua vittoria è stata percepita come una minaccia, ora si parla di Vendola come colui che sta dando la scalata al Pd, si agita il fantasma di un ticket con Veltroni. Hanno paura di lei?

"Tutto questo è vero ed è molto triste. Per me è triste sentirmi percepito come l'altro gallo che entra nel pollaio, come un uomo in carriera, mi dà molto fastidio. Io mi percepisco come una persona che si sente profondamente sconfitta rispetto alle cose che pensa e che ha sognato tutta la vita, e che si ritrova a gestire un laboratorio importante e controcorrente - come quello pugliese - ma in un Paese che ha smarrito i propri codici civili. Mi sento disperato per le cose che accadono nel mio Paese e vorrei fare qualcosa perché si determinasse non la carriera di qualcuno, o la sostituzione di ceti dirigenti ad altri ceti dirigenti, ma la riforma intellettuale e morale - per dirla alla Gramsci - di questo Paese. E' un paese smarrito, è possibile che la discussione sia su di me, su quello che voglio fare domani o dopodomani? Io voglio dare un contributo nel modo che so offrire, che è quello della mia comunicazione con la gente e della voglia di sparigliare i giochi degli alchimisti del centrosinistra, degli strateghi della tattica che dominano la scena del centrosinistra."

Ma l'alternativa la possono costruire insieme Pd, Sel, Italia dei Valori, magari anche l'Udc o comunque si chiami?

"E' sufficiente la buona volontà o c'è un problema politico? Siamo davanti a elezioni importanti come le comunali di Napoli. Il fatto che il candidato del centrosinistra sia subito diventato assessore nella giunta Caldoro ci dice qualcosa? Il fatto che la contesa non sia sul profilo di una città ma sulla spartizione di posti di potere ci dice qualcosa? Dov'è più la discussione sul governo del territorio, sul risanamento delle aree periferiche, sulla sfida energetica, sulle nuove povertà, sull'inclusione dei bambini, sulle politiche per i migranti? Nel campo nazionale l'alternativa può cominciare subito, a condizione che sappiamo leggere tra le carte di Tremonti, se ci liberiamo dall'illusione di un Tremonti che si presenta come un neutro risanatore delle finanze pubbliche. Tremonti è la copertura migliore di un mondo, di una classe, di una politica e di un'economia che hanno fallito e che hanno fatto male al Paese. Bisogna combatterlo frontalmente."

Il Pd quindi questa manovra non la deve votare?

"Il Pd - insieme al resto del centrosinistra, ai sindacati, al tribunale per i diritti del malato - deve organizzare una grande rivolta popolare contro la manovra economica della destra. Per potersi sedere a quel tavolo e poter dire: " Facciamo una manovra condivisa" le prime carte che bisogna vedere sono quelle che parlano di tasse ai ricchi, altrimenti a quel tavolo non ci si può sedere."

Ci doveva essere una convention a Firenze per lanciare la sua candidatura alle primarie per la guida del centrosinistra nel 2012, oggi non sappiamo neanche se ci saranno quelle primarie. Se ci fossero lei si candiderebbe?

"Io mi batterò fino allo stremo perché ci siano le primarie. La convention a Firenze è saltata perché invece che essere l'inizio di una ricerca sulle parole che ci mancano era diventata una danza della morte dei partiti su questo oggetto misterioso. Per quello che mi riguardava era meglio fermarsi lì, mentre fuori dai partiti ci sono domande, esperienze, un sapere che noi faremmo bene ad accogliere. Le primarie sono il minimo per sopravvivere. L'idea di mettere in discussione l'unica forma che è stata inventata di dissequestro delle scelte politiche fondamentali sequestrate in segreterie di partiti che sono diventati la roba di cui ho parlato è un'idea folle. La sinistra non può vincere se va in un laboratorio di chirurgia estetica a trovare una maschera di Berlusconi di sinistra da mettere in faccia a qualcuno. La sinistra vince se contro Berlusconi è capace di convocare un popolo che si appassiona a un'idea di futuro."