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giovedì 4 marzo 2010

I danni costano 5 volte di più.

Basterebbero 4,1miliardi di euro per mettere in sicurezza l’Italia, riducendo il dissesto idrogeologico: frane, alluvioni, smottamenti. Altro che i 6,3 miliardi previsti per il ponte di Messina. I calcoli sono nel piano presentato venerdì dall’Anbi (Associazione nazionale bonifiche, Irrigazioni e miglioramenti fondiari).

Nel 1994-2004 si sono spesi 20,946 miliardi di euro – più di cinque volte tanto – per cercare di rimediare alle catastrofi idrogeologiche. C’è un problema: gli appaltatori intascano molto di più a rimediare che a prevenire.
L’Ambi prospetta una miriade di piccoli e piccolissimi interventi. C’è un altro problema. Con un’unica grande opera e un solo grande appaltatore è più facile indirizzare i soldi pubblici verso gli amici e gli amici degli amici.

Secondo il ministero dell’Ambiente, il 68,6% dei Comuni ricade in aree classificate ad alto rischio idrogeologico. Esse interessano 2.150.410 ettari, pari al 7,1% della superficie italiana.

Negli ultimi cinquant’anni i cosiddetti fenomeni naturali sono costati in media sette morti al mese. Sempre in media, un’alluvione o una frana ogni giorno e mezzo.

La fragilità dell’italico stivale si è aggravata in seguito al consumo del territorio e all’abusivismo edilizio. Come avverte l’Anbi, il risanamento è possibile solo a patto di rispettare le regole sull’uso del suolo. E questo è un ulteriore problema.

Il piano dell’Anbi non è una stima più o meno campata in aria. Discende, dice l’associazione, dalle osservazioni inviate dai Consorzi di bonifica e dal monitoraggio effettuato sul territorio ed è molto dettagliato: per ogni regione sono indicati sia la spesa sia gli interventi. Quasi tutti, sottolinea l’Anbi, possono essere immediatamente avviati.

Si tratta di sistemare torrenti, rogge, canali artificiali per adeguarli ai cambiamenti climatici e all’aumento della superficie cementificata, sulla quale l’acqua scorre invece di essere assorbita dal suolo.

E poi far manutenzione sugli argini, creare laminatoi (aree non edificate nelle quali le piene, in caso di necessità, possano sfogarsi senza creare danni), stabilizzare pendii, adeguare la rete delle fognature urbane. Piccoli interventi che creerebbero, oltretutto, diffuse occasioni di lavoro.

Cz Green

Licenziamenti, via libera del Senato alla legge che aggira l'art. 18precariato sociale


Sono passati 8 anni dallo scontro sull’art.18, ovvero quella norma dello Statuto dei Lavoratori che prevede il reintegro del lavoratore licenziato senza giusta causa nelle aziende con più di 15 dipendenti. Oggi si ripresenta lo stesso attacco, ma questa volta in maniera indiretta, eppure probabilmente più invasiva, arrivando di fatto a smantellare le tutele contro gli ingiusti licenziamenti.
Il Senato ha infatti dato il via libera all'articolo 31 del disegno di legge, collegato alla Finanziaria, che contiene la norma sull'arbitrato e la conciliazione. Il ddl è stato poi approvato in via definitiva da Palazzo Madama ed è dunque divenuto da oggi norma di legge.

Tale legge mira a svuotare dall'interno l'impianto normativo di tutela, aggira l’articolo 18, liquida la "giusta causa" nei licenziamenti, rende non più impugnabili le deroghe a leggi e contratti collettivi, impone, nei fatti, l’arbitrato, aprendo una voragine che porta dritto al contratto individuale.

Già nel contratto di assunzione, anche in deroga ai contratti collettivi, potrebbe infatti essere stabilito (con la cosiddetta clausola compromissoria) che in caso di contrasto le parti si affideranno a un arbitro, che giudicherà "secondo equità". Cosa, quest'ultima, che implica la possibilità di bypassare diritti come l'articolo 18, da una parte, ma anche come le retribuzioni o le ferie. Un simile accordo può essere stretto anche in corso di rapporto di lavoro e il giudizio dell'arbitro sarà impugnabile esclusivamente per vizi procedurali.

E così, mentre il teatrino della politica vede in queste ore contrapporsi da una parte un Sacconi che dichiara che queste erano norme che facevano parte della stesura originaria della legge Biagi (cosa assai probabile), e accusa l'opposizione di non aver mosso un dito nei due anni di iter parlamentare della legge, e dall'altra una sinistra (ed un sindacato) che neanche su temi su cui solo 8 anni fa riusciva ancora a smuovere milioni di lavoratori riesce a trovare risposte immediate e forti, si decreta un' ulteriore subordinazione del lavoratore all'impresa.
Da un lato, con il contratto individuale che diventa sempre più "la norma", si sancisce l'ulteriore frammentazione del lavoratore-classe, che viene lasciato sempre più solo nella "libera" dinamica dei rapporti di forza con il datore di lavoro, dall'altra tutto ciò è reso possibile e viene disposto già dall'assunzione, che sappiamo bene essere il momento di maggior debolezza negoziale, tanto più in tempo di crisi.

da Infoaut

CAPAREZZA - LA FITTA SASSAIOLA DELL'INGIURIA



CAPAREZZA - LA FITTA SASSAIOLA DELL'INGIURIA

C'é chi mi vuole folle e chi follemente spera che toppi carriera, da sera a mattina si ostina, ficca aghi nella mia bambolina; mina la via che l'anima mia cammina, mi pedina, il fatto é che se sfuggo alla logica tragica é la fine che mi si propina. L'acqua che butti sul mio fuoco diventa benzina, ogni insulto manichino per la mia vetrina, sappi che la mia dottrina se ne fotte di chi sta dopo e chi prima. Chi mi stima mi istiga a stilare sti suoni, sti versi e stikaa! Godo se penso all'amaro che mastica chi pronostica la fine della mia vitalità. Mi piace che mi grandini sul viso la fitta sassaiola dell'ingiuria, l'agguanto solo per sentirmi vivo al guscio della mia capigliatura. Fonda la tua gloria sull'ingiuria, lavati i denti col seltz come Furia, smile, siamo in aria, canta vittoria ma io ti sputerò come un seme d'anguria. C'é penuria di muri adibiti alla memoria, pura vanagloria, fa male come un dente che si caria il mio debole per le vittime della storia; le hanno odiate, umiliate, lasciate alla sorte per fargli la corte dopo la morte. Mi faccio forte di un simile supplizio, ed é per questo che schivo ogni giudizio, ho la riflessione come vizio, il mio fine é di fare di ogni fine un buon inizio, mi sazio di un dizionario vario più dei santi del calendario. Mi piace che mi grandini sul viso la fitta sassaiola dell'ingiuria, l'agguanto solo per sentirmi vivo al guscio della mia capigliatura. Mi piace sapermi diverso, piacere perverso che riverso in versi su fogli sparsi, nei capoversi dei giorni persi nei miei rimorsi, che cosa c'é da aspettarsi da chi come me non sa adeguarsi a sette, mafiette, etichette e se tutti fanno lui smette? Chi manomette le tette della scultura, ne ignora l'amore e la cura, ciocca dopo ciocca mi son fatto sta capigliatura, come un tiranno tra le mura non ho paura, C A P A, no fregatura, monnezza pura, senti che attrezzatura, é la mistura che infuria nella fitta sassaiola dell'ingiuria. Mi piace che mi grandini sul viso la fitta sassaiola dell'ingiuria, l'agguanto solo per sentirmi vivo al guscio della mia capigliatura.

Vogliamo la verità sull'assassinio di Pasolini

di Carla Benedetti

Perché il processo non viene riaperto?

Nel 2008 abbiamo consegnato al Presidente della Repubblica un appello per la riapertura del processo Pasolini diffuso dal "Primo amore" e firmato da un migliaio di persone in Italia e all'estero. La lunga lista delle adesioni riempiva sei pagine fitte del primo numero della rivista nel 2006.

Ma niente si è mosso.
Eppure, molti nuovi elementi sono emersi negli ultimi cinque anni e tali da aprire interrogativi inquietanti, tuttora sospesi. La versione ufficiale sull'assassinio di Pasolini (rissa sessuale tra due persone), che è circolata per tanto tempo, troppo, e di cui molti si sono finora accontentati, appare ormai sempre più chiaramente come una messa in scena servita a sviare le indagini e a coprire un altro tipo di omicidio.

Prima c'era stata la dichiarazione pubblica di Pino Pelosi, che dopo aver scontato la pena, ha sostenuto di non essere lui l'assassino di Pasolini e di essersi accusato dell'omicidio perché sotto minaccia. Poi è stata diffusa la testimonianza filmata del regista Sergio Citti, da cui emergevano inconguenze e negligenze degli inquirenti. Poi la notizia, anch'essa comparsa sui giornali, che Pelosi già conosceva e frequentava Pasolini prima della notte dell'omicidio (come si legge in un articolo del "Messaggero"). Per non paralre della lunga serie di testimonianze e di indizi trascurati.

Ma nonostante questo il processo non fu riaperto.

Oggi una nuova notizia, sconcertante. Il senatore Marcello dell'Utri , condannato per concorso esterno in associazione mafiosa, dichiara di essere in possesso di un capitolo di Petrolio, presumibilmente trafugato dalla casa di Pasolini. Si tratterebbe della parte intitolata "Lampi sull'Eni". Nell'edizione Einaudi di Petrolio di quel capitolo era rimasto solo il titolo. Gli eredi di Pasolini negano però che vi sia stato, nei giorni dell'omicidio, alcun trafugamento di carte dalla casa dello scrittore. Quale sarà la verità? Da chi Dell'Utri ha avuto quelle carte?

Riproponiamo qui sotto il testo dell'appello del "Primo amore" e il lungo articolo di Gianni Borgna e Carlo Lucarelli uscito uscito su "Micromega" n. 6 del 2005, sperando che il Presidente della Repubblica voglia farsi carico di questa urgenza di verità sentita già da tempo da tanti cittadini e da molte voci della cultura italiana e internazionale, e oggi non più eludibile.

Anche noi parte offesa: riaprire il processo Pasolini

A trent'anni dalla morte, non sappiamo ancora da chi è stato ucciso Pasolini e perché. Questo suo assassinio va ad allungare la lista impressionante di omicidi, attentati, sparizioni, finti suicidi e finti incidenti di cui è costellata la storia d'Italia dal dopoguerra a oggi e che, a decenni di distanza, non sono stati ancora chiariti. Responsabili e mandanti impuniti, verità sottratte per decenni non solo ai tribunali ma anche al discorso pubblico.

Noi non sappiamo se a far tacere uno degli artisti più fervidi e una delle voci più scomode e tragiche di questo paese sia stata una decisione politica. Quello che però sappiamo - come lo sa chiunque abbia prestato attenzione alla vicenda - è che la versione blindata della rissa omosessuale tra due persone non sta in piedi. Sappiamo che essa è stata solo una copertura servita a sviare le indagini e a coprire un altro tipo di delitto. Quella versione, del resto, non ha mai retto, nemmeno per il tribunale di primo grado, che infatti condannò il diciassettenne Pino Pelosi assieme a ignoti. Ma oggi, dopo che il reo confesso ha dichiarato pubblicamente di non essere l'assassino di Pasolini e di essersi accusato dell'omicidio perché sotto minaccia, e dopo la diffusione della testimonianze del regista Sergio Citti, sono ancora più evidenti le negligenze e le coperture che hanno accompagnato fin dall'inizio quell'atroce vicenda.

In seguito alle dichiarazioni di Pelosi, la Procura di Roma ha riaperto e subito richiuso - per mancanza di riscontri - il fascicolo sul delitto Pasolini. Questa nuova inchiesta è stata archiviata ancor prima di iniziare! Eppure non si sono sentite molte voci indignarsi per questa reiterata non-volontà di fare chiarezza su quella morte. Uno strano silenzio ha circondato la notizia, e questo proprio mentre ricorreva il trentennale della morte di Pasolini e dappertutto fervevano le celebrazioni del poeta, dell'artista, dell'intellettuale che pure tanti fanno mostra di rimpiangere.

Dopo quanto è successo, non possiamo più accontentarci della versione ufficiale, perché significherebbe diventare complici degli assassini di Pasolini. Chiediamo perciò che vengano finalmente svolte le indagini che non si sono mai volute fare e che venga detta finalmente la verità su quel delitto.

Ci sono cose di cui, come scriveva Pasolini, è impossibile parlare senza indignazione, senza cioè far capire l'enormità di ciò che è avvenuto. Il più atroce assassinio di un poeta dell'età contemporanea, più turpe dell'assassinio di Garcia Lorca, un vero massacro di gruppo, è avvenuto a Roma, in Italia, per mano di italiani. E invece, per trent'anni, sono state cancellate prove, sono stati ignorati indizi, testimonianze e documentate contro-inchieste di giuristi e intellettuali italiani. In una situazione simile, spetta in prima persona agli scrittori, ai poeti, agli artisti, agli intellettuali, ai giornalisti, e a tutte le persone libere che hanno a cuore la verità, chiedere (come ha già fatto il comune di Roma, che si è costituito parte offesa) la riapertura del processo e l'accertamento della verità.

Ci sembra questo il modo migliore di ricordare Pasolini a trent'anni dalla sua tragica morte.

Hanno aderito finora:

Andrea Bajani
Marco Baliani
Sergio Baratto
Laura Barile
Carla Benedetti
Mauro Bersani
Giuseppe Bertolucci
Mariella Bettineschi
Luca Briasco
Franco Buffoni
Romolo Bugaro
Andrea Camilleri
Anna Cascella Luciani
Maria Giulia Castagnone
Benedetta Centovalli
Roberto Cerati
Mauro Covacich
Ninetto Davoli
Sandrone Dazieri
Gianni D'Elia
Alba Donati
Tecla Dozio
Marco Drago
Sergio Fanucci
Angelo Ferrante
Ivano Ferrari
Gian Carlo Ferretti
Gabriella Fuschini
Marco Tullio Giordana
Giovanni Giovannetti
Giorgio Gosetti
Bernard Henri-Lévy
Dario Lanzardo
Liliana Lanzardo
Attilio Lolini
Teo Lorini
Rosetta Loy
Carlo Lucarelli
Giovanni Maderna
Angela Madesani
Dacia Maraini
Teresa Marchesi
Mario Martone
Eliseo Mattiacci
Silvana Mauri Ottieri
Guido Mazzon
Lea Melandri
Raul Montanari
Antonio Moresco
Sergio Nelli
Aldo Nove
Maria Pace Ottieri
Vincenzo Pardini
Massimiliano Parente
Fabrizio Parenti
Laura Pariani
Andrea Pinketts
Michele Placido
Oliviero Ponte di Pino
Paolo Repetti
Mario Richter
Luca Ronconi
Anna Ruchat
Gabriele Salvatores
Evelina Santangelo
Tiziano Scarpa
Marco Senaldi
Enzo Siciliano
Maurizio Totti
Simona Vinci
Dario Voltolini

(L'intera lista delle adesioni, raccolte durante diversi mesi in Italia e all'estero, è stata pubblicata sul N. 1 della rivista "Il primo amore")

da Indymedia