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mercoledì 24 marzo 2010

Carlotto: attenti alla Tav, l’ecomostro fa gola alla mafiano tav


Una follia, una devastazione del territorio: va assolutamente impedita». Massimo Carlotto, autore di tanti noir politici sulla corruzione del nord-est, interviene in valle di Susa contro l’alta velocità Torino-Lione, ospite del Valsusa Filmfest dopo Giorgio Diritti e Erri De Luca. E lancia un’accusa: «Attenti, dietro alle grandi opere c’è sempre la mafia. Non quella di Provenzano, che è la preistoria della mafia. Ma la mafia di oggi, che ha bisogno di investire i proventi delle sue attività illecite, col decisivo appoggio di settori del mondo imprenditoriale, finanziario e politico. Per i capitali mafiosi, i grandi appalti sono l’investimento più sicuro».
Al Teatro Fassino di Avigliana, il 20 marzo, Carlotto ha intrattenuto il pubblico per due ore, accompagnato dai fiati jazz di Maurizio Camardi e dell’intenso intervento attoriale di Loris Contarini, voce recitante nello spettacolo “L’Italia ai tempi de L’amore del bandito”, per raccontare lo strazio degli operai dell’amianto, condannati a morte dal business senza scrupoli dell’industria degli anni ’60 e ’70: uomini che ora non avranno più neppure una giustizia postuma, dice Carlotto, «perché la nuova legge cancellerà tutti quei processi: una ferita che non si rimarginerà mai».

Ambiente, salute, tutela dei lavoratori, consumo del territorio. E grandi opere. Dalla contestatissima Torino-Lione alle arterie autostradali del nord-est. «Alla presidenza del Veneto ora arriverà la Lega, con l’attuale ministro Luca Zaia che prima prometteva barricate contro le centrali nucleari ma adesso dice: parliamone. Zaia – aggiunge Carlotto – predica l’agricoltura identitaria, ma come ministro ha fatto un accordo con la McDonald’s per l’hamburger McItaly. Il governatore uscente, Giancarlo Galan, vuole in cambio il ministero delle infrastrutture: speriamo che non lo ottenga, perché Galan è il più micidiale devastatore in azione in Italia, un perfetto serial killer del territorio».

Stop al consumo di terra: parola d’ordine fatta propria dall’inventore dell’Alligatore, detective protagonista di tanti fortunatissimi noir, nei quali Carlotto si incarica di “smascherare” la miscela esplosiva, criminale e affaristica, che produce asfalto e cemento con la connivenza di politica, banche e imprese, a spese del territorio sempre più impoverito. «Siamo pieni di capannoni vuoti, messi in saldo e comprati dai cinesi. La gente pensa che i cantieri siano una risposta positiva alla crisi, invece le nuove infrastrutture servono solo a chi le costruisce. E sapete chi ci guadagna di più?» Indovinato: «La mafia».

Le nuove mafie, naturalmente, quelle su cui i giornali tacciono. Esempi? Ground Zero a New York, il più grande cantiere edile del mondo. «Sapete chi ricostruirà le Torri Gemelle? La famiglia Gambino». O il Ponte sullo Stretto: «E’ successo che la ‘ndrangheta ha battuto Cosa Nostra, che adesso si chiama Stidda, e ha occupato militarmente Messina. I siciliani resistono, ma la guerra la combattono lontano dalle telecamere italiane, in Canada. E intanto hanno perso il controllo dell’affare del secolo, che è in mano ai calabresi, i quali per il narcotraffico sono in affari coi colombiani e, anche se non se ne parla, con la nuova mafia vincente europea: quella del Kosovo».

Col piglio del criminologo, lo scrittore di gialli-verità traccia uno scenario inquietante: «Il Kosovo è un narco-Stato senza legge, retto da tre famiglie. L’Uck, presentata come esercito di liberazione, è in realtà il braccio armato della mafia kosovara, che smista in Europa la droga: sia l’eroina che proviene dall’Afghanistan, sia la coca dei cartelli colombiani, grazie all’alleanza strategica con la ‘ndrangheta». Un’emergenza che sui media nessuno denuncia, anche se «la Germania è indifesa di fronte alla mafia calabrese, perché non ha ancora neppure il reato di associazione mafiosa nel suo codice penale», mentre i kosovari «sono ormai padroni del nord-est e di mezza Europa, fino alla Norvegia». Qualcuno li ha aiutati, accusa lo scrittore, aggiornando sotto il profilo criminale la geopolitica europea: «C’era da fermare la mafia russa, e si è puntato sul Kosovo. Questa è la realtà con cui fare i conti».

Il business criminale? «Innanzitutto riciclaggio illegale dei rifiuti e sofisticazioni alimentari. Poi vengono droga, armi, prostituzione». Cifre da capogiro. Dove investirle? «La globalizzazione dei mercati ha agevolato il riciclaggio: il Mediterraneo è diventato l’area perfetta», la più grande “lavanderia” mondiale di soldi sporchi. «Il miglior affare, per i cartelli criminali, è rappresentato dalle grandi opere: un investimento sicuro. Per questo, nessuna delle grandi infrastrutture è al riparo dal pericolo dell’infiltrazione mafiosa». Che da 15 anni è divenuta organica: «Le mafie non potrebbero agire impunemente su questo terreno se non avessero dei collegamenti ormai di fatto formali, continuativi, con ampi settori dell’imprenditoria, della finanza e della politica».

La Torino-Lione? Non fa eccezione, dice lo scrittore veneto, che aderisce apertamente al movimento No-Tav: «Le grandi infrastrutture divorano il territorio ma non servono assolutamente a nulla, sono solo grandi affari, che arricchiscono i potentati». C’è da combattere una battaglia civile, avverte Carlotto: «Dobbiamo impedire una devastazione che diverrebbe definitiva. Una battaglia da vincere, a tutti i costi, per invertire la tendenza».

Dal Veneto alla Campania, dalla Sicilia alla valle di Susa, c’è un’Italia che si organizza in movimenti di resistenza, «ovunque contrastati con la stessa durezza da parte della polizia: ormai la tutela del territorio è ridotta a una questione di ordine pubblico, chi lotta per difendere la sua terra viene considerato come un eversore». Motivo in più, dice Carlotto, per resistere: «Bisogna trovare la formula per unire tutti i movimenti, sapendo che da questa battaglia dipende il nostro futuro e quello dei nostri figli, che al territorio chiedono benessere e salute». E cita una battuta di una delle Madri di Plaza del Majo: «L’unica battaglia persa è quella che si abbandona».

Come Erri De Luca, Massimo Carlotto scende in campo direttamente, da romanziere: «Io credo che uno scrittore debba attraversare il suo tempo, occupandosene». E visto che i media «non raccontano più le trasformazioni della criminalità in Italia, i suoi collegamenti e le collusioni con alcuni ambienti», qualcuno dovrà pur farlo. Da “Gomorra” ai noir di Lucarelli e De Cataldo, si dipana il “romanzo criminale” dei retroscena italiani, di cui “l’Alligatore” del nord-est è uno degli indagatori più acuti. Obiettivo? «Svelare quello che la gente non sa». Libri che smascherano la corruzione e gli intrecci pericolosi all’ombra del potere: «Oggi – dice Carlotto – si sta creando una comunità di lettori che pretende questo tipo di romanzo, perché racconta quelle realtà che, appunto, non leggono sui giornali e non vedono in televisione».

da: www.libreidee.org

da Infoaut

Aborto: al di qua e al di là dell'oceano


femminismo&genders

Una riflessione a cura delle compagne del centro sociale Askatasuna e del collettivo femminista Rossefuoco.

Se la giornata dell'8 marzo scorso è stata caratterizzata, nelle mobilitazioni di piazza o nelle iniziative di molte città italiane, dalla volontà delle donne di denunciare e rifiutare qualsiasi forma di sfruttamento del proprio corpo, ridotto a merce per le merci, o prostituito a guisa di tangente, già la settimana successiva, è arrivata la risposta, e l'attacco, ancora una volta, non è stato frontale ma comunque evidente e netto:il Consiglio Superiore di Sanità ha reso noto il parere circa le modalità di somministrazione della RU486, la pillola che consente l'interruzione farmacologica e non chirurgica della gravidanza, stabilendo che per sottoporsi al trattamento sarà obbligatorio il ricovero.

Il provvedimento è stato firmato dal ministro per la Salute, Ferruccio Fazio, e, di fatto, non fa altro che ratificare quanto si era prospettato durante le sedute della commissione sanità del Senato, commissione che lo scorso novembre aveva approvato a maggioranza un documento in cui si chiedeva al governo di fermare la procedura di immissione in commercio della pillola in attesa proprio del parere "tecnico" del ministero della Salute.

Il motivo? Con la pillola l'aborto è più facile...

A febbraio, il sottosegretario alla salute Eugenia Roccella aveva poi ribadito che l'intera procedura di somministrazione della pillola e il post somministrazione sarebbero dovuti avvenire in ospedale dove "la donna deve essere trattenuta fino ad aborto avvenuto".

L'uso del termine, il medesimo utilizzato sia in commissione sia dal Consiglio, è indicativo: se non si può trattenere una donna dall'abortire, e del resto davvero interrompere una gravidanza oggi in Italia è sempre più difficile, basti pensare ai dati sull'obiezione di coscienza o alla situazione dei consultori, almeno proviamo a trattenerla fisicamente!

Ma dal momento che il ricovero non potrà essere imposto e che la paziente, è verosimile, firmerà per le proprie dimissioni, qual è il senso, sostanziale e simbolico, di questo pronunciamento, che peraltro invita le regioni ad adeguarvisi?

Riteniamo che l'unica risposta possibile sia proprio quella che in modo esplicito già la stessa Roccella aveva paventato, all'inverso, qualche settimana fa: è troppo facile...

Per le donne facile, o per lo meno, decente, sarebbe trovare un ginecologo non obiettore, riuscire a fare tutti gli esami in tempo (ricordiamo che l'aborto è possibile solo entro i primi 3 mesi dal concepimento), evitare di dover anche far passare la cattolicissima settimana di riflessione, presentarsi infine in ospedale nell' unico e solo giorno dedicato alle ivg e farsi operare, in anestesia totale, quando in tutto il resto d'Europa, da anni, viene somministrata, in modo controllato e rigoroso, certo non a casa con un bicchiere d'acqua, la RU486.

Il ricovero rende più penoso, arduo e incomprensibilmente complicato un momento di per sé, spesso, davvero difficile: ancor oggi, in regime di Day Hospital, molte donne raccontano della difficoltà di giustificare quella assenza al lavoro; per esempio, e non solo, proviamo a pensare a che cosa potrebbe voler dire (poniamola come ipotesi, ma ricordiamo che il ricovero è comunque obbligatorio) doversi assentare per più giorni o trovarsi nella necessità di dover dare spiegazioni anche semplicemente per poter contare su un aiuto concreto per organizzare la propria lontananza, dall'ufficio o dalla famiglia.

Davvero un percorso a ostacoli.

Veramente sul nostro corpo non ci è dato decidere autonomamente, anzi, a quanto pare non è prevista né ripugnanza né vergogna, perché divenuti abitudini di potere, per l' abuso, lo scambio, la macelleria di corpi di donne con lo scopo di vendere, comprare, o per scambio, ma è a noi, a noi donne, che si chiede di provar vergogna, perché abortire è una colpa, e come tale la colpevole va prima ostacolata in tutti i modi, poi trattenuta...

L'ospedale diventa carcere perché, come affermato in queste ore dal presidente della Cei, il cardinale Angelo Bagnasco, all'apertura dei lavori del Consiglio episcopale permanente, il cosiddetto parlamentino dei vescovi italiani, l'aborto è un crimine.

Secondo Bagnasco, e citiamo le sue dichiarazioni, sottrarre beni pubblici è uno scandalo, gli abusi sui bambini, anche se commessi da preti, sono da imputare all'edonismo culturale dei nostri tempi, la crisi economica costituisce una sofferenza acuta, MA l'aborto è un delitto incommensurabile.

Bagnasco indica così ai cattolici come votare alle prossime elezioni regionali: la difesa della vita, sostiene, non è negoziabile.

Eppure non vi è nulla più di chi quella vita sceglie di dare che sia maggiormente oggetto di patto, commercio e contrattazione: la donna.

In campagna elettorale, poi, l'aborto è un tema caldo: sposta voti, crea consensi o mette in difficoltà, quando non diventa esplicitamente terreno di scontro politico o utile moneta di scambio se la posta in gioco è incredibilmente alta, come nel caso dell'approvazione del testo finale della legge di riforma della Sanità negli Stati Uniti.

E' stata definita una riforma di portata storica, giocata sul filo della rincorsa all'ultimo voto, che senza dubbio ridà smalto e sostanza a una leadership, quella di Obama, decisamente appannata; e se è vero che nessun presidente americano era finora riuscito nell'impresa di rendere accessibile una copertura assicurativa al 94% dei cittadini non anziani, espandendo il servizio "medicaid", vale a dire l'assistenza per i cittadini indigenti, e offrendo dei benefici fiscali senza i quali molte persone troverebbero difficile permettersi un'assicurazione, è altrettanto vero che la partita si è agita esclusivamente sul terreno dell'aborto.

Che Obama avesse cambiato rotta rispetto al diritto di scelta delle donne era parso chiaro già in occasione della visita in Vaticano del 10 luglio scorso , quando, al termine del colloquio, il portavoce papale, padre Federico Lombardi aveva fatto sapere che "il presidente americano ha detto al Papa che si impegnerà a fare in modo che negli Usa gli aborti possano diminuire, ottenendo il plauso del Santo Padre"... decisamente non lo stesso Obama del 2007, quello che si era detto fortemente in disaccordo con la sentenza della Corte Suprema del 19 aprile, contraria ad una particolare tecnica di aborto terapeutico, sentenza considerata allarmante perché incoraggiava l'ingerenza del Congresso nel mettere al bando una procedura medica giudicata necessaria in alcuni casi per la salute delle donne.

In un anno tutto è cambiato: se tra i primi atti da presidente, il 23 gennaio del 2009, vi era stato il decreto che sanciva l'abolizione della Mexico City Policy, istituita da Reagan e ripristinata da Bush, che negava i finanziamenti federali alle organizzazioni che praticano l'aborto e, di seguito, la firma del Freedom of Choice Act, non approvato dal Congresso, con il quale si toglieva validità ai regolamenti statali che proteggono i bambini non nati ed si eliminava la clausola di coscienza per il personale sanitario, ieri si è compiuta una rottura netta, tanto più significativa perché è stato decisivo l'intervento diretto di Obama.

Infatti il presidente degli Stati Uniti ha rinviato il suo viaggio in Indonesia proprio per firmare l' ordine esecutivo che rafforza il divieto di usare i fondi federali per rimborsare le spese delle interruzioni di gravidanza, e solo con questa personale garanzia del presidente, il gruppo dei parlamentari antiabortisti, i cui voti erano decisivi, guidati dal deputato Bart Stupak del Michigan, è passato a favore della riforma, garantendo la maggioranza per l'approvazione della legge.

Sin dalla bozza presentata a novembre questa riforma si era distinta, in sostanza, per il suo forte carattere restrittivo in materia di aborto: Stupak alla Camera aveva presentato un emendamento, poi approvato, che vietava il finanziamento in qualsiasi forma, e in qualsiasi circostanza, di pratiche abortive e la sua crociata per escludere l'aborto dalle prestazioni del servizio sanitario pubblico era stata sostenuta dalla Conferenza episcopale degli Stati Uniti, che, anche nell'ambito delle funzioni religiose delle chiese in tutto il Paese, aveva più volte dichiarato che l'appoggio al progetto di riforma non poteva essere solo politico, ma soprattutto morale.

Come già visto anche al di qua dell'Oceano, per la Chiesa continua ad essere prioritaria la salvaguardia di un embrione piuttosto che di milioni di persone, uomini donne bambini vivi, privi di assistenza sanitaria ed esclusi da quello che dovrebbe essere l'unico principio morale a difesa della vita: la possibilità di curarsi, di poter comprare i farmaci di cui si ha bisogno, di poter accedere a prestazioni mediche a tutela della propria salute e di una più dignitosa qualità della propria esistenza.

La discussione sulla riforma della sanità si è sviluppata in questo contesto istituzionale, e in un clima sociale e culturale certamente complesso.

In America gli aborti continuano a diminuire, non solo per un maggior ricorso ai metodi contraccettivi ma soprattutto, secondo i dati delle organizzazioni pro- choice, per la difficoltà in alcuni stati ad ottenere di poter interrompere una gravidanza: ben 22 stati, in cui risiede la metà della popolazione, approverebbero leggi più restrittive se non fosse per i vincoli cui sono tenuti dalle leggi federali, in sud Dakota è proibito e basta, in Pennsylvania, Ohio e Michigan, vi sono leggi che limitano il più possibile il diritto all'aborto, infatti i medici devono informare le donne che desiderano un aborto delle alternative possibili e devono aspettare almeno 24 ore prima di compiere la procedura; in altri stati, inoltre, i medici e interi ospedali possono rifiutarsi di eseguire interruzioni di gravidanza, le minorenni devono avere il consenso dei genitori e l'aborto tardivo, dopo la 22esima settimana, è vietato.

Nove dei ventidue su citati stanno attivamente prendendo in considerazione una messa al bando totale come quella del Sud Dakota.

E non dimentichiamo gli attentati ai medici e alle cliniche...

Se quasi il 50% degli americani è favorevole ad una legislazione che consenta l'aborto solo in caso si estremo pericolo di vita per la madre o di stupro, si capisce bene come un presidente in difficoltà su tutti i fronti, dalla politica estera alla crisi economica, abbia disperatamente bisogno di un successo interno che ne riaccenda la popolarità... e quel 50% vale oro.

Il diritto delle donne all'autodeterminazione non vale niente.

Soprattutto quando si tratta di donne povere e nere.

Si può ammettere che, rispetto al testo della Camera, al Senato, in effetti, vi sia stato un aggiramento parziale del divieto netto: chi sceglie una polizza che contiene l'aborto dovrà, a riforma approvata, pagare questa prestazione separatamente, in pratica serviranno due ricevute, una che certifica l'acquisto, obbligatorio, di una polizza assicurativa completamente deducibile, un'altra invece che certifica la copertura per l'interruzione di gravidanza, come servizio a parte, che è interamente a carico del cittadino/a.

Dal momento, però, che il ricorso all'interruzione volontaria di gravidanza è drammaticamente aumentato tra le donne più povere, soprattutto giovanissime e nere, non si vede come, senza il sostegno di fondi federali alle cliniche, possano queste ultime avere accesso alla copertura assicurativa a parte: chi può pagare, come sempre, sceglie, chi non può pagare, come sempre, si arrangia.

Una ulteriore riflessione, secondo noi, rende ancor più preoccupante il quadro che stiamo esaminando: si è implicitamente affermato, per legge, un principio contrario a quello che finora ha sostenuto, negli Stati Uniti, il diritto di scelta, ossia la tutela della salute delle donna senza condizioni. Infatti con questa riforma, che ha come nodo centrale il tentativo di garantire la "salute" ai cittadini e alle cittadine americani, si veicola il messaggio secondo il quale scegliere se avere o no un figlio non attiene alla sfera dei diritti in generale, garantiti ed esigibili, né a quella della salute, non ha la donna al centro del discorso, ma è un "di più" tollerato a fatica e circoscritto alla sfera del privatissimo portafoglio di chi ne è coinvolto, nel pieno rispetto delle leggi di mercato.

Moralmente un crimine, economicamente un affare lucroso: i servizi accessori si pagano a parte, e paga, appunto, chi ha i soldi.

Niente di diverso da quello che avveniva in Italia prima dell'approvazione della legge 194, niente di diverso da quello che si vorrebbe per il futuro, accelerando tendenze già oggi evidenti: aborto non più gratuito, almeno formalmente lo è ancora!, non più garantito dalla sanità pubblica, non più ascrivibile alla sfera dei diritti, non più scelta liberamente praticabile da tutte, se scelta, ma un evento di cui vergognarsi, ostacolato il più possibile, punitivo nei modi e nei tempi, limitato e ridotto per quanto riguarda risorse, competenze, professionalità e strutture.

Cucchiai e prezzemolo non sono scomparsi, come pure i ginecologi obiettori in ospedale e abortisti a pagamento in studio: le donne, soprattutto le più deboli e ricattabili, le migranti, di aborto clandestino continuano a rischiare, se non a morire...è necessario, pensiamo, continuare a denunciare, a discutere, continuare a seguire quanto accade, appunto, anche al di là dell'Oceano, per imporre con la voce delle donne che le donne non accettano di essere ridotte a servizio a parte e che non vi è elezione, appalto o ricatto che non possano s/travolgere.

da Infoaut

L’ultimo saluto a Michele Frascaro, giornalista vero al fianco dei più deboli


di Paolo Margari
In un periodo in cui giornalismo è diventato sinonimo di servilismo, ci sono ancora pochi professionisti che riescono a onorare la propria deontologia preferendo alle marchette elettoralistiche che agevolano i percorsi di carriera la vera inchiesta, quella più difficile perché scomoda al potere, quella che scava montagne di disinformazione per trovare la verità dei più deboli.
Michele Frascaro era tra questi pochi. Per anni militante di Rifondazione Comunista nel Salento, ha lottato sino all’ultimo istante di vita. Ho avuto la fortuna di conoscerlo collaborando alla rivista d’inchiesta locale da lui diretta, L’Impaziente, edita a Lecce. Ci ha lasciato improvvisamente stroncato da un infarto a 37 anni. Il suo esempio non sarà dimenticato.

Questo è il messaggio dei suoi colleghi della cooperativa Paz, editrice dell’Impaziente.

Immagina…
Immagina uno che parla della crisi di centinaia di lavoratori di un’azienda conoscendo ogni loro singola storia e nominandoli uno per uno, immagina uno che è capace di stare fisicamente male per giorni perchè ha incontrato il figlio di un muratore morto sul lavoro, immagina uno che passa la notte a cercare le parole giuste per raccontare la storia di Mohammed sbarcato sulle nostre coste e rinchiuso in un centro di detenzione temporanea, immagina uno che fa politica perchè ci crede, immagina uno che non sa fingere, che non sa dire bugie, che se hai un problema non è mai solo tuo, immagina di essere solo e di sapere chi chiamare, immagina di essere triste e di sapere su chi contare, immagina la sera di essere a una festa e di sapere chi farà partire il trenino, immagina la mattina di essere a lavoro e credere di essere ancora alla festa della sera prima, immagina un amico, di quelli che ti scelgono, di quelli che ti riempiono la vita, di quelli da condividere, augurare, presentare, ricordare… questo era Michele
Ci sfugge il senso di questo incubo. Speriamo solo di svegliarci presto

da Reset-Italia

PIERPAOLO PASOLINI






NARDO': confronto pubblico fra i candidati cittadini


LA FONTE - Domani 25 marzo ore 17:00 presso il chiostro di S. Antonio si terrà un confronto pubblico fra i candidati neritini al consiglio regionale.

Evento unico per Nardò questo dibattito costituirà un momento per chiarire quali siano le differenze fra i candidati.

Saranno presenti a questa iniziativa promossa da blog LA FONTE Enzo Russo del PD, Mino Frasca per La Puglia Prima di Tutto, Gregorio Dell'Anna per l'UDC e Claudia Raho per Sinistra Ecologia e Libertà.

Pasolini e la coscienza italiana

Gli anni settanta sono stati anni convulsi per l’Italia. Anni di piombo e di misteri tenebrosi. Uno degli episodi più brutali avvenuti in quegli anni è stato l’assassinio di Pier Paolo Pasolini su una spiaggia di Ostia, vicino Roma. L’articolo del quotidiano spagnolo La Vanguardia.

“Walter Veltroni, ex sindaco della capitale ed ex candidato alla presidenza del consiglio per il Partito democratico, ha chiesto formalmente la riapertura del caso Pasolini, per cercare di accertare una volta per tutte chi ha ammazzato il famoso scrittore. Secondo Veltroni, che attraverso una lettera pubblicata sul Corriere della Sera si è rivolto direttamente al ministro della giustizia Angelino Alfano, le nuove tecniche scientifiche potrebbero finalmente portare ad accertare la verità”.

“La morte del brillante e controverso scrittore, nel novembre del 1975, ha commosso l’Italia e ha portato una parte della sinistra ad abbracciare teorie cospirative”.

“Pasolini aveva molti nemici. Era a conoscenza di alcune delle più grandi cloache dello stato italiano. Della sua ultima opera, Petrolio, è scomparso l’ultimo capitolo, che secondo alcuni faceva luce sulla morte di Enrico Mattei, ex presidente dell’Eni”.

da Internazionale