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lunedì 30 novembre 2009

Vendola al Pd: questo bimbo è il mio erede

CAMPI SALENTINA. «Il mio erede? Eccolo qui, è lui». Così Ni - chi Vendola, presidente della Regione Puglia alzando in aria il figlioletto dell’assessore alle Risorse agroalimentari, Dario Stefano, dietro le quinte della Città del Libro, prima di un incontro-dibattito preannunciato da giorni. L’erede, nell’immagine che il governatore ha voluto lasciare ad una ventina di testimoni, è la Puglia del futuro, la Puglia dei giovani, la Puglia dei puri.

È il day-after della riunione barese di sabato. Ad una platea di migliaia di persone che lo attende nell’Auditorium del Centro fieristico, il presidente Vendola non consegnerà le sue valutazioni su una maggioranza politica giunta al bivio. Le dichiarazioni sono solo per giornalisti e agenzie di stampa: «Una coalizione che non venga costruita sul programma è una coalizione che rischia di essere propedeutica a una nuova stagione di trasformismo. Noi, al sud, rischiamo di restare segnati dal gattopardismo, che ha divorato la credibilità della politica» afferma. Nichi Vendola scalda l’atmosfe - ra alla Città del Libro di Campi Salentina, solo prima di salire sul palco del convegno su «Sessant’an - ni dal Grande Fratello: da Orwell a Berlusconi, la metafora del potere », a cui ha partecipato insieme a Claudio Martelli, Luca Mastr antonio, Gianni Cuperlo, Mi - chele De Lucia e Angelo Mellone. E lo fa rispondendo alla presa di posizione dell’Assemblea regionale del Pd di due giorni fa segnata dalla presenza e dall’inter - vento di Massimo D’Alema: «O si va alle primarie o sono pronto a scendere in campo e candidarmi con una mia lista - ribadisce - c’è un popolo tumultuoso alle mie spalle che mi spinge fortemente. Ricevo quotidianamente centinaia di lettere da cittadini di qualunque età. Dai giovani alle vecchiette di 80 anni, con allegato di orecchiette fatte in casa, che mi chiedono di non mollare». Poi aggiunge: «Per me l’allargamento riguarda il territorio sociale, un patto con le nuove generazioni, un nuovo profilo programmatico. In quest’ottica ben venga il contributo anche di altri interlocutori all’interno del centrosinistra. Ma quello di cui abbiamo bisogno è innanzi tutto una bonifica morale». Vendola tiene a precisare che «la coalizione si trova davanti a due possibilità. La prima, sulla base di un giudizio positivo dell’ammini - strazione regionale, è la riconferma del presidente uscente. La seconda, in relazione a un allargamento su cui il presidente è d’ac - cordo, è decidere chi è il sovrano. «E il sovrano per me è la democrazia. Io sono - e quasi lo scandisce - - l’unico presidente della Regione Puglia che non è stato portato dalla cicogna dei partiti, ma è stato il frutto di un consenso venuto da un protagonista inatteso, il popolo. E lo dico a un partito come il Pd che ha deciso di fondarsi sulle primarie». Ma Vendola, comunque, non si sente tradito dal Pd, e ribadisce: «Sta facendo un suo percorso. Ma non creda che basti fare una coalizione, sommare partiti e nomi, per vincere». Nella sala, per lui, centinaia di manifestini in formato A/4: «Difendi la Puglia migliore, Nichi Vendola presidente 2010». Un tripudio svolazzante. Ma ben fermo, tra la folla, svetta un cartello bianco con scritta rossa: «O Nichi o niente».


http://www.lagazzettadelmezzogiorno.it/GdM_dallapuglia_NOTIZIA_01.php?IDNotizia=288922&IDCategoria=1#a_post_comments

Emiliano abbraccia l'amico Vendola: "Non ci divideranno".

BARI — Un abbraccio stret­to, volutamente prolungato e accompagnato da un bacio di Michele Emiliano a Nichi Ven­dola, per confermare il patto, ri­badito poi da un «Non ci divi­deranno». Anche in questi gior­ni, proprio in questi giorni in cui la lealtà di quel patto sem­bra essere messo a dura prova. «Un abbraccio, finalmente», co­me commenta qualcuno dei molti che assistono in corso Vit­torio Emanuele a Bari. Sabato scorso, in occasione della cerimonia per l’anniversario della morte del giovane co­munista Benedetto Petrone, ucciso dai fa­scisti in piazza Prefettura 32 anni fa, Ven­dola ed Emiliano si ritrovano vicini in una circostanza pubblica per la prima volta da quando la contesa per la nomination alla presidenza della Regione è esplosa. Ed è una prima volta davanti a una folla di per­sone che segue con apprensione e parteci­pazione il momento.

Il sindaco di Bari arriva per primo, inso­litamente puntuale. Vendola è sotto la tar­ga per Benny pochissimi minuti dopo. Emiliano si avvicina, per accoglierlo, e lo stringe in un abbraccio. «Non ci possono dividere, Nichi, non ci divideranno, noi sia­mo soldati», gli dice. Vendola non parla, emozionato o forse dubbioso, accoglie l’ab­braccio e lo ricambia. «Nichi è più pruden­te di me, si sa - dice a cerimonia conclusa il sindaco - ma, insomma, lo sa anche lui che io sto facendo tutto quello che è possi­bile per scongiurare una assurda guerra tra me e lui. Tutto, al punto che all’assem­blea di oggi pomeriggio (quella del Pd, te­nutasi ieri per chi legge) i nostri leader non sanno più che dire. Se Nichi si fosse fidato di me, se mi avesse sostenuto di più alle primarie per il Pd...». Che si fidi o no, ieri il governatore uscente ha replicato a D’Alema che aveva difeso il suo interessa­mento (la nomination per Emiliano) par­lando di un «appello» dalla Puglia a occu­parsi di una «situazione estremamente dif­ficile creata da Vendola». «Non so neanche se D’Alema voti in Puglia - replica Vendola -. Io l’appello lo faccio ai pugliesi: se la poli­tica non si fa prima col cuore e poi con la testa, si creano le condizioni per la sconfit­ta». Il popolo, dunque. «Che cos’è il centro­sinistra se non ha un popolo?».

Un popolo che Vendola sente compatto dietro di lui. E la stessa sensazione deve avere Emilia­no se con quel popolo, riunitosi in corso Vittorio Emanuele per la ceri­monia per Petrone e per la ma­nifestazione della Cgil, insiste a difendersi: non è certo lui a vo­ler tentare la scalata al palazzo del lungomare. Ma le persone che il sindaco incrocia per la strada qualche dubbio ce l’han­no. Non lo contestano, se non in pochissimi, ma gli chiedono conferme. Emiliano non si sot­trae, qualche fischio - isolato ­ non lo raggiunge. «No, i baresi non ce l’hanno con me», assicu­ra. «Michele non ci stai per fare questo?», gli chiedono però i tantissimi cit­tadini, militanti più o meno noti della sini­stra. «Non stai davvero per lasciare il Co­mune e tradire Nichi?». A tutti Emiliano ri­badisce quello che va dichiarando, sia pu­re con accenti più diplomatici, ai giornali: «No, non lo faccio». Ma allora perché quel «siamo soldati», sussurrato all’orecchio di Vendola? Una dichiarazione di resa di fron­te alle pressioni di chi decide davvero, non qui, non a Bari? «No, io intendevo che sia­mo guerrieri», rassicura ancora il sindaco di Bari. Ma c’è anche chi gli chiede una prova. E gli allunga l’adesivo con la scritta bianca su fondo rosso «Vendola presidente 2010», che in molti esibiscono sulle giac­che. Emiliano non esita: si appunta il suo per un attimo, ma rifiuta la testimonianza fotografica. «Sono anche un politico».

Adriana Logroscino

http://corrieredelmezzogiorno.corriere.it/bari/notizie/politica/2009/30-novembre-2009/emiliano-abbraccia-amico-vendola-non-ci-divideranno-mette-suo-adesivo-1602082124553.shtml

Rubbia: L'errore nucleare. Il futuro e' nel sole


Parla il Nobel per la Fisica: "Inutile insistere su una tecnologia che crea solo problemi e ha bisogno di troppo tempo per dare risultati". La strada da percorrere? "Quella del solare termodinamico. Spagna, Germania e Usa l'hanno capito. E noi..."

Come Scilla e Cariddi, sia il nucleare che i combustibili fossili rischiano di spedire sugli scogli la nave del nostro sviluppo. Per risolvere il problema dell'energia, secondo il premio Nobel Carlo Rubbia, bisogna rivoluzionare completamente la rotta. "In che modo? Tagliando il nodo gordiano e iniziando a guardare in una direzione diversa. Perché da un lato, con i combustibili fossili, abbiamo i problemi ambientali che minacciano di farci gran brutti scherzi. E dall'altro, se guardiamo al nucleare, ci accorgiamo che siamo di fronte alle stesse difficoltà irrisolte di un quarto di secolo fa. La strada promettente è piuttosto il solare, che sta crescendo al ritmo del 40% ogni anno nel mondo e dimostra di saper superare gli ostacoli tecnici che gli capitano davanti. Ovviamente non parlo dell'Italia. I paesi in cui si concentrano i progressi sono altri: Spagna, Cile, Messico, Cina, India Germania. Stati Uniti".

La vena di amarezza che ha nella voce Carlo Rubbia quando parla dell'Italia non è casuale. Gli studi di fisica al Cern di Ginevra e gli incarichi di consulenza in campo energetico in Spagna, Germania, presso Nazioni unite e Comunità europea lo hanno allontanato dal nostro paese. Ma in questi giorni il premio Nobel è a Roma, dove ha tenuto un'affollatissima conferenza su materia ed energia oscura nella mostra "Astri e Particelle", allestita al Palazzo delle Esposizioni da Infn, Inaf e Asi.

Un'esibizione scientifica che in un mese ha già raccolto 34mila visitatori. Accanto all'energia oscura che domina nell'universo, c'è l'energia che è sempre più carente sul nostro pianeta. Il governo italiano ha deciso di imboccare di nuovo la strada del nucleare.

Cosa ne pensa?
"Si sa dove costruire gli impianti? Come smaltire le scorie? Si è consapevoli del fatto che per realizzare una centrale occorrono almeno dieci anni? Ci si rende conto che quattro o otto centrali sono come una rondine in primavera e non risolvono il problema, perché la Francia per esempio va avanti con più di cinquanta impianti? E che gli stessi francesi stanno rivedendo i loro programmi sulla tecnologia delle centrali Epr, tanto che si preferisce ristrutturare i reattori vecchi piuttosto che costruirne di nuovi? Se non c'è risposta a queste domande, diventa difficile anche solo discutere del nucleare italiano".

Lei è il padre degli impianti a energia solare termodinamica. A Priolo, vicino Siracusa, c'è la prima centrale in via di realizzazione. Questa non è una buona notizia?
"Sì, ma non dimentichiamo che quella tecnologia, sviluppata quando ero alla guida dell'Enea, a Priolo sarà in grado di produrre 4 megawatt di energia, mentre la Spagna ha già in via di realizzazione impianti per 14mila megawatt e si è dimostrata capace di avviare una grossa centrale solare nell'arco di 18 mesi. Tutto questo mentre noi passiamo il tempo a ipotizzare reattori nucleari che avranno bisogno di un decennio di lavori. Dei passi avanti nel solare li sta muovendo anche l'amministrazione americana, insieme alle nazioni latino-americane, asiatiche, a Israele e molti paesi arabi. L'unico dubbio ormai non è se l'energia solare si svilupperà, ma se a vincere la gara saranno cinesi o statunitensi".

Anche per il solare non mancano i problemi. Basta che arrivi una nuvola...
"Non con il solare termodinamico, che è capace di accumulare l'energia raccolta durante le ore di sole. La soluzione di sali fusi utilizzata al posto della semplice acqua riesce infatti a raggiungere i 600 gradi e il calore viene rilasciato durante le ore di buio o di nuvole. In fondo, il successo dell'idroelettrico come unica vera fonte rinnovabile è dovuto al fatto che una diga ci permette di ammassare l'energia e regolarne il suo rilascio. Anche gli impianti solari termodinamici - a differenza di pale eoliche e pannelli fotovoltaici - sono in grado di risolvere il problema dell'accumulo".

La costruzione di grandi centrali solari nel deserto ha un futuro?
"Certo, i tedeschi hanno già iniziato a investire grandi capitali nel progetto Desertec. La difficoltà è che per muovere le turbine è necessaria molta acqua. Perfino le centrali nucleari in Europa durante l'estate hanno problemi. E nei paesi desertici reperire acqua a sufficienza è davvero un problema. Ecco perché in Spagna stiamo sviluppando nuovi impianti solari che funzionano come i motori a reazione degli aerei: riscaldando aria compressa. I jet sono ormai macchine affidabili e semplici da costruire. Così diventeranno anche le centrali solari del futuro, se ci sarà la volontà politica di farlo".

Tratto da: repubblica.it

Alex Zanotelli: ''acqua, Africa, sobrieta' e informazione''

«Dobbiamo vivere più sobriamente, per permettere la sopravvivenza delle generazioni future.
Dobbiamo fare informazione sui problemi ambientali e, in particolare, sul problema di fondamentale importanza del diritto universale all'acqua, che rischia seriamente di essere cancellato dalle politiche di privatizzazione». Invitato nei giorni scorsi a Montecchia di Crosara (Vr), il missionario comboniano ha ricordato che «il futuro dipenderà dall'Africa, dalla sua crescita demografica e dal suo sviluppo economico. Due ambiti che a loro volta saranno condizionati dalle scelte che gli altri continenti faranno nei suoi confronti».

Un mese fa, il 30 ottobre 2009, padre Alex Zanotelli è stato invitato a Montecchia di Crosara (Vr) per un incontro organizzato dalle associazioni missionarie e dall'Azione Cattolica della Val d'Alpone. Due i temi di attualità affrontati: il problema ambientale, a partire dalla situazione campana, e l'analisi di alcuni passaggi del recente Sinodo dei vescovi africani. Due questioni distinte ma con vari punti in comune. Vi proponiamo di seguito alcuni stralci delle riflessioni del missionario comboniano che, prima di intervenire sulle questioni africane e sulle prese di posizione dei vescovi durante il recente Sinodo , ha puntato la lente di ingrandimento sui problemi che attanagliano quotidianamente Napoli e la Campania. In particolare la gravissima situazione ambientale in cui versa la regione e le ripercussioni che tali problemi portano a galla a livello nazionale. «Ci stanno ammazzando» ha ammonito Zanotelli «perché si continua a seguire la sola legge del profitto, non pensando ai disastri che gli inquinamenti provocano e provocheranno».


I TRE PROBLEMI

Il religioso si è così soffermato su tre questioni annose che affliggono la regione in cui vive e lavora: «La Campania è da venti anni la discarica dei rifiuti tossici italiani, a causa della collusione tra camorra e industrie del Nord d'Italia» e «questo tipo di rifiuti a lungo andare produrranno nano particelle che a loro volta stanno provocando e provocheranno danni alla salute, in particolare a quella delle donne incinte e dei neonati, determinando l'insorgere di malformazioni e leucemie».

Padre Alex ha poi puntato il dito «sui rifiuti solidi urbani e industriali e sugli interessi convergenti di malavita e istituzioni, che pensano solo ad arricchirsi a spese della gente comune». In 15 anni i 10 commissari per l'emergenza rifiuti, di diversi partiti, che si sono succeduti non sono riusciti a risolvere il problema, anzi. Ed ha ricordato che «le cosiddette ecoballe non hanno niente di ecologico in sé, in quanto, in realtà, si tratta di rifiuti imballati, disposti da anni in file chilometriche sul territorio campano, il cui liquame sta entrando nel sottosuolo e nel ciclo alimentare». E nonostante ciò «le istituzioni stanno promuovendo la costruzione di inceneritori, non per il bene del territorio e della popolazione, ma solo perché permettono un guadagno maggiore rispetto, ad esempio, ai più sostenibili impianti di compostaggio: il decreto 90/2008 del governo Berlusconi ha disposto la creazione di 4 grandi inceneritori nella regione, anche se il bisogno reale potrebbe essere soddisfatto da un minor numero di strutture».

Il terzo grave problema su cui il missionario si è soffermato «è quello dell'amianto, che coinvolge anche altre regioni d'Italia: si è sempre saputo che le polveri di questo materiale uccidono, ma ancora oggi si fa fatica a riconoscerlo». E siamo tutti chiamati in causa: «Napoli è solo la punta dell'iceberg di un problema mondiale che sta portando tutto il pianeta alla deriva: il 20% della popolazione mondiale consuma l'83% delle risorse totali, togliendo così il necessario alla sopravvivenza del resto degli uomini e provocando anche gravi danni ambientali. I 2500 scienziati dell'IPPC (International Panel for Planet Changing) sono ormai certi che la temperatura media della Terra aumenterà di 2°C e stanno cercando la maniera che la porti ad arrestarsi a questo livello, affinché la situazione non degeneri ulteriormente» ha detto. Occhi puntati, dunque, sul Vertice mondiale sul clima che si terrà a Copenaghen nei prossimi giorni.

NOI E IL CONTINENTE AFRICANO

«L'Africa - ha poi ricordato l'ex direttore di «Nigrizia» ed attuale direttore responsabile di «Mosaico di Pace» - è il continente che produce la minor quantità di emissioni di gas serra, ma è quello che pagherà il conto più salato in termini di cambiamenti climatici». Le prospettive parlano infatti di una crescente desertificazione e di sempre più numerosi fenomeni di inondazione, «che provocheranno la fuga di 250 milioni di rifugiati "climatici"». Il continente africano è «la nostra madre violentata. L'Africa è stata per secoli violentata dal regime di schiavitù e dal colonialismo» ed oggi «è violentata dal sistema economico ultraliberista che soffoca i contadini». Ed ancora: «Sembra un paradosso, ma il problema dell'Africa è il suo ricco sottosuolo, che viene sfruttato dai paesi industrializzati senza reali ricadute economiche sulle popolazioni locali e creando nuove catastrofi ambientali. Ma questa tragedia ci travolgerà tutti, perché i rifugiati climatici emigreranno e cambieranno l'aspetto delle nazioni del Nord. È quindi nostro interesse comune aiutare questo continente».

IL CORAGGIO DEI VESCOVI AFRICANI

Sul Sinodo dei vescovi africani, che si è da poco concluso a Roma, padre Alex ha voluto analizzare alcuni interventi, sottolineando «la loro forza e lucidità nel leggere la realtà politica ed economica: l'assemblea dei Vescovi è stata durissima nel giudicare le multinazionali e i governi africani, fungendo da esempio per il clero italiano e occidentale, che spesso non è così incisivo nelle proprie analisi. I vescovi africani hanno anche ricevuto l'approvazione del Papa, in quanto hanno saputo trattare temi politici in maniera profondamente spirituale». Nello specifico, alcuni partecipanti al Sinodo hanno ricordato l'immensità del debito africano verso le altre nazioni (230 miliardi di dollari, accresciuti ogni anno da 23 miliardi di interessi), che impedisce lo sviluppo di questo continente. «Compito della Chiesa è, nella loro opinione, trovare nuovi modi di utilizzare la ricchezza pubblica, visto che i governi africani spesso operano solo in vista del proprio interesse, identificando lo Stato con il proprio partito».

Nel 2050 l'Africa raggiungerà i 2 miliardi di abitanti e perciò «servirà - ha spiegato - un aumento della produzione agricola, oggi impedito dalle nazioni industrializzate e dalle multinazionali, che continuano a comprare terreni vastissimi per la produzione di biocarburanti, sottraendo spazio all'agricoltura di sussistenza. Altro dovere della Chiesa africana è, perciò, suscitare una conversione ecologica, che permetta una rinascita dell'agricoltura africana». Padre Zanotelli ha più volte sottolineato lo «sguardo lucido dei vescovi africani sulle situazioni in cui la dignità umana è calpestata, che insegna a noi tutti un fondamentale compito del cristiano: diventare "voce dei senza voce"».

RESPONSABILITÁ

Dagli interventi emersi nel corso del Sinodo padre Alex ha ricavato degli spunti interessanti per l'Italia: «il nostro paese deve riconoscersi responsabile, insieme a tutto l'Occidente, delle povertà e dei conflitti del continente africano. Partendo dal cattivo passato coloniale in Libia ed Etiopia fino ad arrivare alla deriva neocolonialista, che ha provocato la guerra in Somalia e l'appoggio a vari regimi dittatoriali. E fino all'attuale legislazione razzista». Zanotelli si è detto «sconcertato da quest'ultima, in quanto porta al respingimento di tutti gli immigrati, anche dei rifugiati politici. In Africa ci sono 11 milioni di sfollati interni e 5 milioni di rifugiati fuori dalla propria nazione che si rivolgono alla mafia africana e italiana pur di sfuggire alla povertà. Le leggi sull'immigrazione, a partire dalla Turco-Napolitano, passando per la Bossi-Fini e arrivando alla Maroni, hanno man mano disconosciuto i diritti degli immigrati, causando la divisione della popolazione italiana tra persone e non-persone, principio dell'apartheid, e un crescendo di xenofobia e razzismo». Su questo argomento il comboniano ha invitato la Chiesa a farsi sentire, perché «il futuro dipenderà dalla convivenza civile delle varie popolazioni, visto che l'immigrazione non può essere arrestata».

Nel corso dell'intervento Zanotelli ha ricordato che «l'Italia destina attualmente solo lo 0,1% del PIL agli aiuti al Sud del mondo mediante la cooperazione italiana allo sviluppo», e che l'annunciato azzeramento del debito, promesso durante il Giubileo del 2000, è stato rispettato solo per metà. Inoltre la nostra è l'unica nazione che ha accettato di ospitare l'Africom, il comando militare americano per l'Africa, rifiutato da tutti gli stati africani e dalla Spagna e oggi collocato a Vicenza e a Napoli. L'ultima responsabilità italiana ricordata da Zanotelli è quella di «aver svenduto in Africa i propri prodotti agricoli, rendendo impossibile ai contadini africani la concorrenza, provocando così ulteriore povertà».

Da qui l'invito del missionario «a vivere più sobriamente, per permettere la sopravvivenza delle generazioni future, cambiando le proprie scelte quotidiane in vista del bene comune, facendo informazione sui problemi ambientali e, in particolare, sul problema di fondamentale importanza del diritto universale all'acqua , che rischia seriamente di essere cancellato dalle politiche di privatizzazione. Il futuro dipenderà dall'Africa, dalla sua crescita demografica e dal suo sviluppo economico. Due ambiti che a loro volta saranno condizionati dalle scelte che gli altri continenti faranno nei suoi confronti, direttamente nell'economia e indirettamente nella questione ambientale».

Ha collaborato nella redazione dell'articolo Tamara Zambon

http://www.antimafiaduemila.com/content/view/22418/48/

domenica 29 novembre 2009

Vendola: nessun sortilegio può farmi sparire

Doveva essere l’assemblea che sgomberava il campo dai tentennamenti delle ultime settimane. Invece, ciò che è accaduto in casa Pd - e soprattutto le ultime parole pronunciate dal palco da Massimo D’Alema - hanno avuto l’effetto di compattare l’ala sinistra del centrosinistra. E se fino a ieri il segretario regionale del Pd, Sergio Blasi, poteva mescolare i dubbi dei suoi con una presunta mancanza di chiarezza da parte degli alleati, da oggi Socialisti, Verdi, Rifondazione comunista e Sinistra e Libertà non forniscono più alcun alibi: «Il nostro candidato è Nichi Vendola».


Il governatore, fresco dei bagni di folla alla commemorazione di Benedetto Petrone ucciso dai fascisti negli anni di Piombo e al corteo della Cgil, a Bari, ha così buon agio a riaffermare: «Non solo vado avanti malgrado tutto e tutti ma vado avanti perchè tutto e tutti mi spingono ad andare avanti. È vero, c'è il pericolo di riconsegnare la Puglia alla destra e questo pericolo è strettamente connesso al tentativo di rimozione del significato profondo che la Primavera pugliese ha avuto nel 2005 e ha avuto nel corso della stagione di governo. È il significato di un cambiamento non fittizio, non costruito sulla rincorsa di un moderatismo che uccide in nuce la prospettiva del cambiamento. Immaginare oggi, dopo cinque anni, di annullare politicamente questo punto di forza del centrosinistra – ha concluso Vendola - mi pare davvero un gravissimo rischio».

Persino più esplicito, ribattendo punto per punto a D’Alema, è stato il segretario regionale di Sinistra e Libertà, Nicola Fratoianni: «Non è il Pd che sostiene Vendola a essere eterodiretto, mi pare piuttosto che sia il Pd di D’Alema a farsi eterodirigere dall’Udc e da altre forze che propongono veti su Vendola». E a D’Alema che accusa Vendola di non aver messo d’accordo forze politiche esterne al centrosinistra per allargare la coalizione: «Vendola è stato il primo leader politico meridionale a porre il tema della necessità di allargare il confronto al mondo moderato sul tema del Mezzogiorno. Di fronte a tale disponibilità ha ricevuto veti sulla sua persona e non sulla sua proposta politica».

Vendola non molla: «Rifletta bene il segretario del Pd, Blasi. Io continuo a sperare di essere il candidato di una coalizione larga. Comunque io sarò candidato. Se ci fosse la possibilità di mettere in pista l'esperienza delle primarie potrebbe essere il punto maturo di soluzione dei nostri problemi. Nessuno si faccia illusioni senza primarie non c'è nessun sortilegio che possa far sparire dalla Puglia la mia candidatura e la mia vicenda politica».

Di qui un coro di voci a suo favore. «Noi sosteniamo Nichi Vendola», annuncia il presidente dei Verdi di Puglia, Magda Terrevoli. «I socialisti pugliesi si riconoscono nella più che positiva esperienza del governo Vendola e sollecitano le forze politiche del centrosinistra pugliese a voler rompere ogni indugio» dice Onofrio Introna, assessore della giunta Vendola e componente della segretaria nazionale dei Socialisti. Sono soltanto illazioni le affermazioni di chi ipotizza un disimpegno dei socialisti da una nuova coalizione guidata da Vendola». Anche il segretario regionale di Rifondazione comunista, Nicola Cesaria, fa pubblica dichiarazione per Vendola. E il segretario del Psi pugliese, Lello Di Gioia, affida «nelle mani del presidente Vendola l’allargamento dell’attuale coalizione di centrosinistra».

La mafia e i soldi del Cavaliere - L'asso nella manica dei boss

Il peso del ricatto al premier della famiglia di Brancaccio sembra legato all'inizio della sua storia di imprenditore.
Sono i soldi degli inizi del Cavaliere l'asso nella manica dei fratelli Graviano Più che un eventuale avviso di garanzia per le stragi del '93, il premier dovrebbe temere il coinvolgimento da parte delle cosche sulle storie di denaro affari e politica

altSoldi. Soldi "loro" che non sono rimasti in Sicilia, ma "portati su", lontano da Palermo. "Filippo Graviano mi parlava come se fosse un suo investimento, come se la Fininvest fossero soldi messi da tasca sua". Per Gaspare Spatuzza, da qualche parte, la famiglia di Brancaccio ha "un asso nella manica".

Quale può essere questo "jolly" non è più un mistero. Per i mafiosi, che riferiscono quel che sanno ai procuratori di Firenze, è una realtà il ricatto per Berlusconi che Cosa Nostra nasconde sotto la controversa storia delle stragi del 1993. Nell'interrogatorio del 16 marzo 2009, Spatuzza non parla più di morte, di bombe, di assassini, ma del denaro dei Graviano. E ha pochi dubbi che Giuseppe Graviano (che chiama "Madre Natura" o "Mio padre") "si giocherà l'asso" contro chi a Milano è stato il mediatore degli affari di famiglia, Marcello Dell'Utri, e l'utilizzatore di quelle risorse, Silvio Berlusconi.

Il mafioso ricostruisce la storia imprenditoriale della cosca di Brancaccio, con i Corleonesi di Riina e Bagarella e i Trapanesi di Matteo Messina Denaro, il nocciolo duro e irriducibile di Cosa nostra siciliana.
È il 16 marzo 2009, il mafioso di Brancaccio racconta ai pubblici ministeri del "tesoro" dei Graviano. "Cento lire non gliele hanno levate a tutt'oggi. Non gli hanno sequestrato niente e sono ricchissimi".

"Non si fidano di nessuno, hanno costruito in questi vent'anni un patrimonio immenso". Per Gaspare Spatuzza, due più due fa sempre quattro. Dopo il 1989 e fino al 27 gennaio 1994 (li arrestano ai tavoli di "Gigi il cacciatore" di via Procaccini), Filippo e Giuseppe decidono di starsene latitanti a Milano e non a Palermo. Hanno le loro buone ragioni. A Milano possono contare su protezioni eccellenti e insospettabili che li garantiscono meglio delle strade strette di Brancaccio dove non passa inosservato nemmeno uno spillo. E dunque perché? "E' anomalissimo", dice il mafioso, ma la chiave è nel denaro. A Milano non ci sono uomini della famiglia, ma non importa perché ci sono i loro soldi e gli uomini che li custodiscono. I loro nomi forse non sono un mistero. Di più, Gaspare Spatuzza li suggerisce. Interrogatorio del 16 giugno: "Filippo ha nutrito sempre simpatia nei riguardi di Silvio Berlusconi e Marcello Dell'Utri, (...) Filippo è tutto patito
dell'abilità manageriale di Berlusconi. Potrei riempire pagine e pagine di verbale [per raccontare] della simpatia e del... possiamo dire ... dell'amore che lo lega a Berlusconi e Dell'Utri".
"L'asso nella manica" di Giuseppe Graviano, "il jolly" evocato dal mafioso come una minaccia - sostengono fonti vicine all'inchiesta - non è nella fitta rete di contatti, reciproche e ancora misteriose influenze che hanno preceduto le cinque stragi del 1993 - lo conferma anche Spatuzza - , ma nelle connessioni di affari che, "negli ultimi vent'anni", la famiglia di Brancaccio ha coltivato a Milano. E' la rassicurante condizione che rende arrogante anche Filippo, solitamente equilibrato. Dice Gaspare: "[Filippo mi disse]: facceli fare i processi a loro, perché un giorno glieli faremo noi, i processi".

Nella lettura delle migliaia di pagine di interrogatorio, ora agli atti del processo di appello di Marcello Dell'Utri, pare necessario allora non farsi imprigionare da quel doloroso 1993, ma tenere lo sguardo più lungo verso il passato perché le stragi di quell'anno sono soltanto la fine (provvisoria e sfuggente) di una storia, mentre i mafiosi che hanno saltato il fosso - e i boss che hanno autorizzato la manovra - parlano di un inizio e su quell'epifania sembrano fare affidamento per la resa dei conti con il capo del governo.

Le cose stanno così. Berlusconi non deve temere il suo coinvolgimento - come mandante - nelle stragi non esclusivamente mafiose del 1993. Può mettere fin da ora nel conto che sarà indagato, se già non lo è a Firenze. Molti saranno gli strepiti quando la notizia diventerà ufficiale, ma va ricordato che l'iscrizione al registro degli indagati mette in chiaro la situazione, tutela i diritti della difesa, garantisce all'indagato tempi certi dell'istruttoria (limitati nel tempo). Quando l'incolpazione diventerà pubblica, l'immagine internazionale del premier ne subirà un danno, è vero, ma il Cavaliere ha dimostrato di saper reggere anche alle pressioni più moleste. E comunque quel che deve intimorire e intimorisce oggi il premier non è la personale credibilità presso le cancellerie dell'Occidente, ma fin dove si può spingere e si spingerà l'aggressione della famiglia mafiosa di Brancaccio, determinata a regolare i conti con l'uomo -
l'imprenditore, il politico - da cui si è sentita "venduta" e tradita, dopo "le trattative" del 1993 (nascita di Forza Italia), gli impegni del 1994 (primo governo Berlusconi), le attese del 2001 (il Cavaliere torna a Palazzo Chigi dopo la sconfitta del '96), le più recenti parole del premier: "Voglio passare alla storia come il presidente del consiglio che ha distrutto la mafia" (agosto 2009).
Mandate in avanscoperta, non contraddette o isolate dai boss, le "seconde file" della cosca - manovali del delitto e della strage al tritolo - hanno finora tirato dentro il Cavaliere e Marcello Dell'Utri come ispiratori della campagna di bombe, inedita per una mafia che in Continente non ha mai messo piede - nel passato - per uccidere innocenti. Fonti vicine alle inchieste (quattro, Firenze, Caltanissetta, Palermo, Milano) non nascondono però che raccogliere le fonti di prove necessarie per un processo sarà un'impresa ardua dall'esito oggi dubbio e soltanto ipotetico. Non bastano i ricordi di mafiosi che "disertano". Non sono sufficienti le parole che si sono detti tra loro, dentro l'organizzazione. Non possono essere definitive le prudenti parole di dissociazione di Filippo Graviano o il trasversale messaggio di Giuseppe che promette ai magistrati "una mano d'aiuto per trovare la verità". Occorrono, come li definisce la Cassazione, "riscontri
intrinseci ed estrinseci", corrispondenze delle parole con fatti accertabili. Detto con chiarezza, sarà molto difficile portare in un'aula di tribunale l'impronta digitale di Silvio Berlusconi nelle stragi del 1993.

Questo affondo della famiglia di Brancaccio sembra - vagliato allo stato delle cose di oggi - soltanto un avvertimento che Cosa Nostra vuole dare alla letale quiete che sta distruggendo il potere dell'organizzazione e, soprattutto, uno scrollone a uno stallo senza futuro, che l'allontana dal recupero di risorse essenziali per ritrovare l'appannato prestigio.

Il denaro, i piccioli, in queste storie di mafia, sono sempre curiosamente trascurati anche se i mafiosi, al di là della retorica dell'onore e della famiglia, altro non hanno in testa. I Graviano, dice Gaspare Spatuzza, non sono un'eccezione. Nel loro caso, addirittura sono più lungimiranti. Nei primi anni novanta, Filippo e Giuseppe preparano l'addio alla Sicilia, "la dismissione del loro patrimonio" nell'isola. Spatuzza (16 giugno 2009): "Nel 1991, vendono, svendono il patrimonio. Cercano i soldi, [vogliono] liquidità e io non so come sono stati impiegati [poi] questi capitali, e per quali acquisizioni. Certo, non sono restati in Sicilia". I Graviano, a Gaspare, non appaiono più interessati "alle attività illecite". "Quando Filippo esce [dal carcere] nell'88 o nel 1989, esce con questa mania, questa grandezza imprenditoriale. I Graviano hanno già, per esempio, le tre Standa di Palermo affidate a un prestanome, in corso Calatafimi a Porta Nuova,
in via Duca Della Verdura, in via Hazon a Brancaccio". Filippo - sempre lui - si sforza di far capire anche a uno come Spatuzza, imbianchino, le opportunità e anche i rischi di un impegno nella finanza. Le sue parole svelano che ha già a disposizione uomini, canali, punti di riferimento, competenze. "[Filippo] mi parla di Borsa, di Tizio, di Caio, di investimenti, di titoli. (...). Mi dice: [vedi Gaspare], io so quanto posso guadagnare nel settore dell'edilizia, ma se investo [i miei soldi] in Borsa, nel mercato finanziario, posso perdere e guadagnare, non c'è certezza. Addirittura si dice che a volte, se si benda una scimmia e le si fa toccare un tasto, può riuscire meglio di un esperto. Filippo è attentissimo nel seguire gli scambi, legge ogni giorno il Sole 24ore. Tiene in considerazione la questione Fininvest, d'occhio [il volume degli] investimenti pubblicitari. Mi dice [meraviglie] di una trasmissione come Striscia la notizia. Minimo
investimento, massima raccolta [di spot], introiti da paura. "Il programma più redditizio della Fininvest", dice. Abbiamo parlato anche di Telecom, Fiat, Piaggio, Colaninno, Tronchetti Provera, ma la Fininvest era, posso dire, un terreno di sua pertinenza, come [se fosse] un [suo] investimento, come se fossero soldi messi da tasca sua, la Fininvest".

E' l'interrogatorio del 29 giugno 2009. Gaspare conclude: "Le [mie] dichiarazioni non possono bruciare l'asso [conservato nella manica] di Giuseppe" perché "il jolly" non ha nulla a che spartire con la Sicilia, con le stragi, con quell'orizzonte mafioso che è il solo paesaggio sotto gli occhi di Spatuzza. Un mese dopo (28 luglio 2009), i pubblici ministeri chiedono a Filippo in modo tranchant dove siano le sue ricchezze. Quello risponde: "Non ne parlo e mi dispiace non poterne parlare".

Ora, per raccapezzarci meglio in questo labirinto, si deve ricordare che i legami tra Marcello Dell'Utri e i paesani di Palermo non sono una novità. Come non sono sconosciuti gli incontri - nella metà degli anni settanta - tra Silvio Berlusconi e la créme de la créme di Cosa Nostra (Stefano Bontate, Mimmo Teresi, Tanino Cinà, Francesco Di Carlo). Né sono inedite le rivelazioni sulla latitanza di Gaetano e Antonino Grado nella tenuta di Villa San Martino ad Arcore, protetta dalla presenza di Vittorio Mangano, capo del mandamento di Porta Nuova (il mafioso, "che poteva chiedere qualsiasi cosa a Dell'Utri", siede alla tavola di Berlusconi anche nelle cene ufficiali, altro che "stalliere"). Nella scena che prepara la confessione di Gaspare Spatuzza, quel che è originale è l'esistenza di "un asso" che, giocato da Giuseppe Graviano, potrebbe compromettere il racconto mitologico dell'avventura imprenditoriale del presidente del consiglio.

Con quali capitali, Berlusconi abbia preso il volo, a metà degli settanta, ancora oggi è mistero glorioso e ben protetto. Molto si è ragionato sulle fidejussioni concessegli da una boutique del credito come la Banca Rasini; sul flusso di denaro che gli consente di tenere a battesimo Edilnord e i primi ambiziosi progetti immobiliari. Probabilmente capitali sottratti al fisco, espatriati, rientrati in condizioni più favorevoli, questo era il mestiere del conte Carlo Rasini. Ma è ancora nell'aria la convinzione che non tutta la Fininvest sia sotto il controllo del capo del governo.

Molte testimonianze di "personaggi o consulenti che hanno lavorato come interni al gruppo", rilasciate a Paolo Madron (autore, nel 1994, di una documentata biografia molto friendly, Le gesta del Cavaliere, Sperling&Kupfer), riferiscono che "sono [di Berlusconi] non meno dell'80 per cento delle azioni delle [22] holding [che controllano Fininvest]. Sull'altro 20 per cento, per la gioia di chi cerca, ci si può ancora sbizzarrire". Sembra di poter dire che il peso del ricatto della famiglia di Brancaccio contro Berlusconi può esercitarsi proprio tra le nebbie di quel venti per cento. In un contesto che tutti dovrebbe indurre all'inquietudine. Cosa Nostra minaccia in un regolamento di conti il presidente del consiglio. Ne conosce qualche segreto. Ha con lui delle cointeressenze antiche e inconfessabili. Le agita per condizionarne le scelte, ottenerne utili legislativi, regole carcerarie più favorevoli, minore pressione poliziesca e soprattutto la
disponibilità di ricchezze che (lascia intuire) le sono state trafugate. In questo conflitto - da un lato, una banda di assassini; dall'altro un capo di governo liberamente eletto dal popolo, nonostante le sue opacità - non c'è dubbio con chi bisogna stare. E tuttavia, per sottrarsi a quel ricatto rovinoso, anche Berlusconi è chiamato a fare finalmente luce sull'inizio della sua storia d'imprenditore.

Il Cavaliere dice che si è fatto da sé correndo in salita senza capitali alle spalle. Sostiene di essere il proprietario unico delle holding che controllano Mediaset (ma quante sono, una buona volta, ventidue o trentotto?). E allora l'altro venti per cento di Mediaset di chi è? Davvero, come raccontano ora gli uomini di Brancaccio, è della mafia? È stata la Cosa Nostra siciliana allora a finanziarlo nei suoi primi, incerti passi di imprenditore? Già glielo avrebbero voluto chiedere i pubblici ministeri di Palermo che pure qualche indizio in mano ce l'avevano.

Quel dubbio non può essere trascurabile per un uomo orgoglioso di avercela fatta senza un gran nome, senza ricchezze familiari, un outsider nell'Italia ingessata delle consorterie e prepotente delle lobbies.

Berlusconi, in occasione del processo di primo grado contro Marcello Dell'Utri, avrebbe potuto liberarsi di quel sospetto con poche parole. Avrebbe potuto dire il suo segreto; raccontare le fatiche che ha affrontato; ricordare le curve che ha dovuto superare, anche le minacce che gli sono piovute sul capo. Poche parole con lingua secca e chiara. E lui, invece, niente. Non dice niente. L'uomo che parla ossessivamente di se stesso, compulsivamente delle sue imprese, tace e dimentica di dirci l'essenziale. Quando i giudici lo interrogano a Palazzo Chigi (è il 26 novembre 2002, guida il governo), "si avvale della facoltà di non rispondere". Glielo consente la legge (è stato indagato in quell'inchiesta), ma quale legge non scritta lo obbliga a tollerare sulle spalle quell'ombra così sgradevole e anche dolorosa, un'ombra che ipoteca irrimediabilmente la sua rispettabilità nel mondo - nel mondo perché noi, in Italia, siamo più distratti? Qual è il rospo
che deve sputare? Che c'è di peggio di essere accusato di aver tenuto il filo - o, peggio, di essere stato finanziariamente sostenuto - da un potere criminale che in Sicilia ha fatto più morti che la guerra civile nell'Irlanda del Nord? Che c'è di peggio dell'accusa di essere un paramafioso, il riciclatore di denaro che puzza di paura e di morte? Un'evasione fiscale? Un trucco di bilancio? Chi può mai crederlo nell'Italia che ammira le canaglie. Per quella ragione, gli italiani lo avrebbero apprezzato di più, non di meno. Avrebbero detto: ma guarda quel bauscia, è furbissimo, ha truccato i conti, gabbato lo Stato e vedi un po' dove è arrivato e con quale ricchezza!

D'altronde anche per questo scellerato fascino, gli italiani lo votano e gli regalano la loro fiducia. E dunque che c'è di indicibile nei finanziamenti oscuri, senza padre e domicilio, che gli consentono di affatturarsi i primi affari?

E' giunto il tempo, per Berlusconi, di fare i conti con il suo passato. Non in un'aula di giustizia, ma en plein air dinanzi all'opinione pubblica. Prima che sia Cosa Nostra a intrappolarlo e, con lui, il legittimo governo del Paese.

http://www.antimafiaduemila.com/content/view/22388/48/

sabato 28 novembre 2009

VENDOLA NON SI TOCCA!

Parte da Facebook la rivolta del popolo di Nichi!

PER MANIFESTARE IL TUO APPOGGIO A VENDOLA E AL SOGNO PUGLIESE, COPIA E INCOLLA IL TESTO CHE SEGUE E INVIA ANCHE TU UNA MAIL A D'ALEMA AL SEGUENTE INDIRIZZO info@massimodalema.it e per conoscenza a puglia@partitodemocratico.it


Gentile Massimo D’Alema,
Le scriviamo per portarLa a conoscenza del fatto che la Puglia non è ancora diventata il Suo feudo e che non troviamo nell’immediato delle parole che descrivano adeguatamente il clima che Nichi Vendola ha regalato alla nostra regione. Mentre Lei scorrazza nei piani alti dei palazzi romani, noi qui ci viviamo e abbiamo vissuto sulla nostra pelle un cambiamento che ci coinvolge come giovani, come cittadini, come menti attive e risorse per il nostro territorio. Non abbiamo parole per spiegarLe cosa sono i Bollenti Spiriti, cosa significhi vedere dopo anni di colpevole silenzio da parte della politica l’Ilva costretta a dimezzare le emissioni che ci fanno morire di cancro a trent’anni, cosa significhi avere una legge che tuteli le coppie di fatto, l’università dell’idrogeno, i giovani finalmente considerati come una risorsa e non come un impiccio. Noi non abbiamo parole abbastanza grandi per contenere il lavoro, il progetto di questo grande uomo politico che tutta l’Italia ci invidia.

Non esistono parole per far comprendere a una persona agiata come Lei cosa significhi la Puglia seconda solo alla Toscana per ciò che concerne il turismo, significa tanti posti di lavoro, una crisi che non ci attanaglia come in altre regioni succede. Se Lei pensa di porre fine a tutto questo, dall’alto del suo voler imperare sempre su tutto ciò che riguarda la sinistra italiana, sappia che una nuova generazione immune dal vostro ascendente è pronta a difendere il suo presidente. Se avete intenzione di interrompere il laboratorio Puglia, l’unica regione in cui la sinistra resiste, e farci diventare una nuova Emilia Romagna in cui pur di non vedere più le vostre facce si vota la lega nord, avete sbagliato palazzo.
Noi difenderemo Nichi Vendola, il suo operato e la sua voglia di stanare le mele marce per consegnarle alla giustizia, e che queste appartengano al pd poco importa, pagheranno esattamente come gli altri. Lei non rappresenta più nessuno, la smetta di intromettersi nelle nostre faccende, il futuro siamo noi, dovete andare in pensione e lasciarci lavorare, perché siamo giovani e abbiamo il diritto di prendere noi, ora, le decisioni per un futuro che non riguarda certo la vecchia classe dirigente.
Spero vorrà accogliere il nostro invito a tenersi da parte, sarebbe dignitoso per molti di voi ritirarvi a vita privata smettendo di intervenire su tutto. Sarete ricordati per quello che avete fatto, e soprattutto per quello che non avete fatto, io al vostro posto eviterei di tenere sul groppone anche la caduta di Vendola e del sogno che fa volare la Puglia più veloce di molte altre regioni. Nessuno potrà assolvervi.
Distinti Saluti.

“Difendi la Puglia migliore - Nichi Vendola Presidente”.

Attento Massimo, arriva il popolo di Nichi!

Oggi ,nel pomeriggio, a partire dalle ore 14.30,un gruppo di militanti a Bari, manifesterà contro la decisione di ‘destituire’ Vendola, e per l’occasione esibirà manifesti di appoggio politico: “Difendi la Puglia migliore - Nichi Vendola Presidente”.

«Lo faccio per il mio popolo», aveva dichiarato Nichi, inaugurando la conferenza stampa e rompendo gli indugi: «un raggio bianco precipitando dall’alto dei cieli interrompe questa commedia», e continuando: «per conto della Pdl, il popolo della legalità; anche per conto della Pdp, popolo della precarietà; per conto della Pdb, popolo dei bambini; e potrei continuare nominando quei soggetti sociali che sono il mio partito».
L’elemento di discontinuità, invocato a gran voce a livello nazionale dalle forze politiche circa la composizione di nuove alleanze aveva indotto Vendola a sottolineare:

«non vorrei che si intendesse la discontinuità nel processo di stabilizzazione dei lavoratori precari; o della discontinuità rispetto ai processi di internazionalizzazione di ciò che è stato impropriamente esternalizzato, come ad esempio nella Sanità; o del braccio di ferro che noi abbiamo in corso con l’Enel per l’abbattimento del carbone e dell’inquinamento nella città di Brindisi; o rispetto al processo di ambientalizzazione dell’Ilva di Taranto, […] perché ciascuno di questi temi evoca lobby e interessi precisi»; e aveva aggiuto: «se invece si evoca il semplice tema della rimozione della mia persona, io non ho un problema personale, ho un problema politico: io sono il garante nei confronti della Puglia di alcuni processi di cambiamento».
Non si è risparmiato, Vendola:

«Penso alla protezione civile che finalmente abbiamo, un gioiello, mentre dieci anni di distrazione criminale della destra facevano della Puglia una terra preda delle fiamme o del fango. Noi possiamo vantare un cambiamento straordinario nell’economia come nella rete dei servizi e dei diritti per i cittadini. Io non posso farmi indietro perché significherebbe dire a tutte queste conquiste che forse potrebbero essere messe in discussione».


Leggi anche: Si scatena il popolo del web "Emiliano a Bari, Vendola in Regione"

Cgil: tutto pronto per la giornata di lotta per il Sud


Brindisi - Oggi si terranno in ogni città capoluogo di regione del mezzogiorno d’Italia le concomitanti manifestazioni di piazza indette dalla Cgil per caratterizzare una grande giornata di lotta per il sud. La manifestazione pugliese si svolgerà a Bari con raduno alle ore 9.30 in Piazza Castello. Alla conferenza stampa di presentazione dell’iniziativa ha partecipato Gianni Forte (segretario Generale della CGIL Puglia) il quale ha evidenziato come il Governo si sia dimenticato del Mezzogiorno che, invece, sta pagando il prezzo più alto della crisi. La grande mobilitazione voluta dalla CGIL vuole proporre a tutto il Paese la dimensione nazionale della questione meridionale perché solo più lavoro, sviluppo e piena legalità al mezzogiorno possono dare futuro all’Italia intera, ha detto Forte. Queste le priorità individuate dalla CGIL: un piano pluriennale di interventi per la messa in sicurezza del territorio (bonifiche in particolare); una nuova politica industriale che concentri una quota significativa di investimenti in innovazione di prodotto e di processo, per la ricerca e la formazione proprio nel mezzogiorno; un welfare inclusivo che offra risposte più efficaci ai bisogni individuali di cura ed assistenza socio sanitaria delle persone e percorsi adeguati di sostegno al reddito per i tanti disoccupati privi di prospettive occupazionali.


Leo Caroli (segretario generale della Cgil Brindisi) ha annunciato che saranno 30 i pullmans che partiranno dalla provincia di Brindisi per consentire alle migliaia di manifestanti del territorio di partecipare alla manifestazione. Una così grande adesione, ha detto il segretario, dimostra quanto inevitabile sia ormai il ricorso alla piazza per sbloccare l’inerzia del governo che anche in finanziaria non prevede, di fatto, alcun intervento in favore del lavoro, del reddito delle famiglie e dei pensionati . Infine, occorre che ogni territorio del mezzogiorno sappia essere protagonista di una nuova stagione di protesta e, soprattutto, di elaborazione e proposta.

L’esperienza brindisina di ricomposizione del quadro unitario in seno al sindacato confederale, può essere l’esempio di un modello di aggregazione, intorno ai temi del lavoro e della sostenibilità, esteso alle forze istituzionali e di espressione della c.d. società civile tanto da determinare una significativa ritrovata autorevolezza ed un rigenerato e determinante peso politico delle comunità meridionali. Territori in rete tra loro attraverso il sindacato confederale: una strada per ripartire oltre la crisi.

http://www.senzacolonne.it

da GrandeSalento.org

La città e' di chi la abita


Alemanno sfratta e sgombera? Mo basta!
La città è di chi la abita


Lo sgombero militare dell'Horus Liberato di piazza Sempione, avvenuto lo scorso 19 novembre, è solo l'ultima tappa dell'offensiva contro i diritti e le libertà promossa dalla giunta di destra negli ultimi mesi. Il Campidoglio pensa di gestire la crisi economica colpendo quel pezzo di società che si organizza nei territori per difendere il diritto alla casa, liberare spazi dalla speculazione, rivendicare un reddito garantito contro la precarietà, costruire accoglienza e inclusione sociale.

Nella capitale degli sfratti e dell'emergenza abitativa, sono i movimenti per il diritto all'abitare ad offrire le uniche risposte a sostegno dei senza casa, degli inquilini, dei precari.

Nella capitale della speculazione e dei tagli alla cultura, alla scuola, all’università, sono i centri sociali, le reti studentesche e le associazioni di base che, attraverso l'autogestione, danno spazio a nuove forme di welfare, servizi di mutuo aiuto, sport popolare, formazione e soprattutto a un ricco tessuto di produzioni culturali indipendenti.

Nella capitale delle espulsioni, sono le reti antirazziste e dei migranti che organizzano l'accoglienza difendendo quei diritti di cittadinanza violati dal pacchetto sicurezza.

Per queste ragioni scegliamo la giornata della mobilitazione nazionale contro gli sfratti per promuovere una manifestazione cittadina che dice no a questa strategia di paura, per difendere le occupazioni e sostenere la battaglia per garantire un nuovo spazio all’Horus, per aprire una nuova stagione di lotte e vertenze per il recupero degli spazi abbandonati, per la cultura, per un nuovo welfare dal basso.

Partiremo da piazza Vittorio, cuore della città multiculturale, e arriveremo davanti alla prefettura. Vogliamo incontrare il prefetto Pecoraro per richiedere la fine della politica degli sgomberi, il blocco generalizzato degli sfratti e la riapertura di un confronto sull’emergenza abitativa e sulla tutela degli spazi sottratti alla speculazione.

VENERDI’ 4 DICEMBRE, ore 16,00 piazza Vittorio
MANIFESTAZIONE CITTADINA

Centri sociali e movimenti per il diritto all'abitare

casa repressione spazi sociali italia lazio roma comunicati
da GlobalPoject

Zeinab Jalalian condannata a morte in Iran scrive…


di Doriana Goracci
Care Organizzazioni dei diritti umani,
mi chiamo Zeinab Jalalian. Sono una donna kurda di 27 anni e sono prigioniera politica. Mi trovo in prigione in Iran.
Il Supremo Tribunale iraniano ha confermato la mia condanna a morte.
Attualmente sono malata a causa delle torture subite e non ho alcun legale che mi difenda. Voglio dirvi solo questo: il processo è durato solo pochi minuti. Il tribunale mi ha detto: “Sei una nemica di Dio. Devi essere impiccata al più presto.” Questo è stato il mio processo.Ho chiesto al giudice di darmi il permesso di salutare mia madre e la mia famiglia.
Prima di essere giustiziata, lui mi ha detto “Sta zitta” e mi ha rifiutato il permesso.

Zeinab Jalalian (زینب جلالیان)

26.11.2009

Questa è la lettera di Zeinab Jalalian, dissidente curda di 27 anni, tradotta in italiano e in inglese, passata tra mani di donne, ricevuta da Maddalena Celano in Rete,che ringrazio, e ritrovata nel web: è stata condannata all’impiccagione dalla corte suprema di Sanandaj. Solo pochi giorni fà scrissi della condanna a morte per impiccagione del giovane oppositore curdo Ehsan Fattahian. ‘Zanan’ (Donne), la principale pubblicazione femminile/femminista iraniana, venne chiusa nei primi mesi del 2008 per ordinanza di un tribunale iraniano.” La rivista, fondata 16 anni fa era stata diretta da Shahla Sherkat, per anni un punto di riferimento per le donne iraniane e la difesa dei loro diritti. Pur trattando temi estremamente delicati come i crimini d’onore, il commercio sessuale e le violenze domestiche, Zanan era riuscita a evitare la censura del regime”.

Bella ciao! Anche le donne muoiono per la Libertà in nome della follia umana che si ritiene divina. Femminicidio anche questo.

Vivendo così come si muore Contro l’omicidio di Stato

Zitte mai!

da Reset-Italia

Valigie clandestine

Karim Metref, nato in Algeria nel 1967, è formatore in educazione e giornalista.

Da qualche giorno uno strano gruppo composto da artisti di provenienza diversa si aggira per le piazze di Torino. Un gruppo che non si è nemmeno dato un nome e che va in giro a proporre un gioco intitolato “Caccia il clandestino”.

Contrariamente a quello che può far pensare il titolo, è una protesta artistica e ludica contro il razzismo. “Il clandestino è la non-persona”, dice Mirza Sokolija, un membro del gruppo. “È il senza-diritti per eccellenza. Ma in realtà, c’è una forte spinta all’emarginazione che trascina sempre più persone verso quella sfera di non-diritto. L’obiettivo è quello di parlare della perdita di senso dei diritti”.


Al Balun, il mercato delle pulci di Torino, questi artisti hanno chiesto ad alcune persone di raccontare le loro storie di “clandestinità”. Le hanno fotografate e hanno registrato i racconti. Poi hanno raccolto i ritratti e le registrazioni in una grande valigia di cartone.

C’è il cassintegrato che teme che la crisi non finirà mai, il pensionato che non sa come arrivare a fine mese, il ragazzo che non riesce a immaginare il suo futuro, il richiedente asilo che non sa se la sua domanda sarà accettata. Oppure chi la pensa diversamente in un mondo sempre più omologato.

I ritratti vengono appesi su un muro. I passanti sono invitati a guardare i volti e a indovinare chi è il clandestino. Ogni ritratto corrisponde a una traccia audio che racconta la storia della persona fotografata. È un gioco dove si vince quasi sempre, perché la maggior parte delle storie comincia così: “Io sono clandestino perché…”. Il premio è un santino con il ritratto del “clandestino” scelto.

In largo Saluzzo, a San Salvario, di fronte alla sede storica della Lega nord, hanno giocato centinaia di persone che sono andate a visitare la fiera artistica Paratissima. Hanno scoperto che in fin dei conti siamo tutti sempre più clandestini. Ora il gruppo non vede l’ora di essere invitato in giro per l’Italia a raccogliere altre storie e a far giocare altre persone. Karim Metref

Napoli: ennesima aggressione fascista a Materdei.

Ieri, 27 novembre, si è consumato l'ennesimo vile atto di aggressione da parte dei neofascisti di Casapound, usciti dal convento in cui da poco si sono insediati a Materdei, ai danni di alcuni compagni della Rete antifascista napoletana.
A seguito di numerose iniziative che si sono svolte in questi ultimi mesi nel quartiere, che hanno visto la partecipazione assidua e consapevole degli abitanti tutti, i neofascisti hanno deciso di intervenire con le loro solite pratiche di violenza!
Infatti, all'urlo di “questo è il nostro quartiere!” hanno aggredito, con mazze tricolori alla mano, alcuni compagni che si trovavano a Materdei per attacchinare manifesti della Rete antirazzista, in una scena che ricorda Piazza Navona.
Uno studente della Rete, tra gli altri, ha subito un infame pestaggio che ha provocato un versamento di sangue nei polmoni e a tuttora ancora sotto osservazione. Solo l'intervento di alcune persone presenti sul luogo ha impedito il peggio!
Questa aggressione è da imputare alla rivalsa di questi personaggi vigliacchi e squadristi, che in vista dell'occupazione dell'ex scuola media Schipa, ha aumentato le sue dosi di odio e violenza!
Bisogna ricordare che il convento in cui si sono rinchiusi,senza mai uscire da mesi, è tollerato dalle istituzioni, dalla giunta Iervolino e dall'opposizione. Il Comune di Napoli, pur di non prendere una chiara posizione nei confronti dell'occupazione di Casapound, evidentemente per mantenere gli accordi politici con il centrodestra, è oggi intenzionato a sgomberare tutti gli stabili occupati di sua proprietà. Eppure il problema sembra porsi con la Schipa e con tutti gli altri percorsi di lavoro sociale nel territorio, e non certo con Casapound, che in tutta Italia continua a rivendicare aggressioni nei confronti di compagni, omosessuali, stranieri!
Rifiutiamo di assistere all'espandersi di logiche razziste e fasciste per colpa dell'indolenza generalizzata, e prendiamo noi una chiara posizione nei confronti di chi finge di voler portare avanti un lavoro di promozione sociale sul territorio, scimmiottando parole d'ordine che mai gli sono appartenute!
Denunciamo pubblicamente le pratiche di chi si definisce “fascista del terzo millennio”, e scende tra le strade con mazze tricolori pronto ad picchiare e reprimere!
Domani, 28 novembre, ci sarà un presidio dalle 17 e 30 a Piazza Materdei per esprimere la nostra contrarietà alla presenza di questi personaggi ambigui nella nostra città.

OGGI COME IERI CACCEREMO I FASCISTI DA MATERDEI E DA TUTTI I NOSTRI QUARTIERI!
NAPOLI È ANTIFASCISTA!

Rete antifascista e antirazzista napoletana
Fonte: Indy Napoli


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AGGRESSIONE A NAPOLI:RETE ANTIFASCISTA, PICCHIATI CON MAZZE (ANSA) - NAPOLI, 27 NOV - Gli attivisti della Rete Antifascista parlano di un vero e proprio «agguatò e ricostruendo quanto oggi si è verificato nel quartiere Materdei di Napoli puntano il dito contro i rappresentanti di CasaPound che, denunciano, li hanno picchiati. »Stavamo attaccando manifesti relativi ad alcune nostre attività - spiegano in una nota - quando all'altezza di piazzetta Materdei è sbucata dal vicolo una squadra di 15 persone con caschi e mazze tricolori, nella triste re-miniscenza di piazza Navona, urlando 'il quartiere è nostrò. Gli studenti sono stati aggrediti con spranghe e mazze. Il tutto è avvenuto in pieno giorno in mezzo al quartiere e, quindi, tanta gente ha potuto vedere con i suoi occhi quello che è successo e come sono andate le cose«. »Uno degli studenti della Rete, della facoltà di Lettere e Filosofia, ha subito un autentico pestaggio con le mazze e in questo momento è all'Ospedale Cardarelli - aggiungono - I medici gli hanno riscontrato un preoccupante versamento di sangue nei polmoni e stanno cercando di capire come si è prodotto«.(ANSA)

Fonte: Ansa per giornalisti


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Da Aggressori a vittime: Casa Pound, seguendo le direttive emanate dal loro capo Iannone, cerca subito di confondere le acqua rovesciando i fatti e facendosi passare per vittima. Stà di fatto che così non è che la persona all'ospedale è un compagno.

Ansa:
Napoli, 27 nov. - (Adnkronos) - Quattro ragazzi dell'Hmo, l'occupazione di CasaPound Italia a Napoli, ''sono stati aggrediti da una dozzina di estremisti di sinistra con mazze, caschi e spray accecante, alle 14.00 circa, nel centro affollato di Materdei, durante un attacchinaggio di manifesti''.
La denuncia e' di Cpi Napoli, che ricostruisce cosi' i fatti: ''I quattro associati dell'Hmo stavano attacchinando manifesti pubblicizzanti la festa che si terra' il prossimo sabato sera all'occupazione Hmo, con relativa inaugurazione delle attivita' sociali gratuite per il quartiere, quali il doposcuola e la palestra, quando una dozzina di estremisti di sinistra si avvicinano, strappano i manifesti della festa, attaccano i loro manifesti, dove si leggeva l'annullamento della festa in questione e aggrediscono i 4 ragazzi con una serie di bastonate, calci e con spray accecante''.
''I quattro associati dell'Hmo - spiega ancora CasaPound Italia - cercano di difendersi alla meno peggio e riescono a sottrarsi all'attacco, ma uno di loro, vittima dello spray, viene condotto immediatamente all'ospedale e delle sue condizioni ancora non si sa nulla''.
Fonte: lancio di agenzia su Indy Napoli


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Il comunicato del PRC napoletano, che ribadisce la dinamica dei fatti.

AGGRESSIONE A NAPOLI: PRC, SQUADRISMO DA ATTIVISTI CASAPOUND - NAPOLI, 27 NOV - «Irruzione di un gruppo di neofascisti nel quartiere Materdei». Lo denuncia, in una nota, il commissario provinciale del Prc, Antonio D'Alessandro che parla di «episodio grave» e chiede al sindaco di Napoli «lo sgombero dell'ex convento occupato da Casa Pound». D'Alessandro ricostruisce quanto accaduto oggi nel quartiere Materdei dove -dice- contrariamente a quanto sostenuto da attivisti di CasaPound, che denunciano di essere stati aggrediti da ragazzi di estrema sinistra, sarebbero, invece, stati ragazzi di sinistra ad essere aggrediti da rappresentanti di destra. «La violenza di matrice neofascista torna alla ribalta - sottolinea - alle ore 14.30 i ragazzi della Rete Antifascista, mentre erano intenti ad attaccare alcuni manifesti nel quartiere Materdei, hanno subito un'aggressione da parte di un gruppo di militanti di Casa Pound. Un episodio di autentico squadrismo che non fa recedere giustamente i ragazzi della Rete Antifascista napoletana dal loro impegno politico e sociale e che pone le condizioni per una presa di posizione netta da parte delle istituzioni. »Rifondazione Comunista esprime piena solidarietà ai ragazzi aggrediti oggi a Materdei - dice D'Alessandro - e chiede al sindaco di Napoli un impegno concreto per lo sgombero in tempi rapidissimi dell'ex convento di Salita San Raffaele, occupato dai militanti di CasaPound«. (ANSA)

Fonte: Ansa per giornalisti

da Antifa

QUEEN - BOHEMIAN RHAPSODY





Bohemian Rhapsody è stata scritta interamente da Freddie Mercury ed è considerata, in un certo senso, la sintesi della musica dei Queen: essa dimostra infatti un valore compositivo ed artistico che occupa un posto di primo piano nella storia della musica. Staccato da qualsiasi schema musicale, curato nel minimo dettaglio (l'album che lo contiene è stato tra i più costosi della storia del rock), il brano è diviso in quattro parti distinte: dopo un'introduzione coristica surreale compare il tema iniziale, lento ed espressivo, di sola voce e pianoforte, concluso da un assolo diventato celeberrimo che conduce ad una parte puramente corale, costituita dalle voci dei Queen sovraregistrate centinaia di volte (circa 800 parti vocali), che cantano un testo vagamente operistico segue una parte hard rock molto spinta che sfocia nella conclusione, lenta e malinconica.

La più accreditata interpretazione del testo è di una elaborata critica alla pena di morte, in cui un ragazzo condannato al patibolo si avvia a passare le sue ultime ore prima consolando la mamma avviandosi a testa alta verso la morte e poi man mano che essa arriva rifiutandola e tentando di scappare, fino ad arrivare alla fine in cui il ragazzo dice che "niente più importa" e "comunque il vento soffia", suggerendo quindi la morte del protagonista.

Queen - Bohemian Rhapsody

Is this the real life, is this just fantasy?
Caught in a landslide, no escape from reality
Open your eyes, look up to the skies and see
I'm just a poor boy, I need no sympathy
Because I'm easy come, easy go
A little high, little low
Anyway the wind blows, doesn't really matter to me, to me

Mama, just killed a man, put a gun against his head
Pulled my trigger, now he's dead, mama
Life had just begun, but now I've gone and thrown it all away
Mama, oooh
Didn't mean to make you cry
If I'm not back again this time tomorrow
Carry on, carry on, as if nothing really matters

Too late, my time has come
Sends shivers down my spine, body's aching all the time
Goodbye everybody, I've got to go
Gotta leave you all behind and face the truth
Mama oooh, I don't want to die
I sometimes wish I'd never been born at all

I see a little silhouette of a man
Scaramouch, scaramouch, will you do the fandango?
Thunderbolt and lightning, very very frightening me
Gallileo, gallileo, gallileo, gallileo
Gallileo figaro, magnifico

But I'm just a poor boy and nobody loves me
He's just a poor boy from a poor family
Spare him his life from this monstrosity
Easy come easy go, will you let me go
Bismillah no, we will not let you go - Let him go
Bismillah, we will not let you go - Let him go
Bismillah, we will not let you go - Let me go
Will not let you go - Let me go - Never
Never let you go - Let me go, never let me go, oooh
No, no, no, no, no, no, no
Oh mama mia, mama mia, mama mia let me go
Beelzebub has a devil put aside for me, for me, for me

So you think you can stone me and spit in my eye
So you think you can love me and leave me to die
Oh baby, can't do this to me baby
Just gotta get out, just gotta get right outta here

Ooh yeah, ooh yeah, nothing really matters, anyone can see
Nothing really matters, nothing really matters to me
Anyway the wind blows


RAPSODIA BOHEMIEN

È questa la vera vita, è questa solo fantasia?
Perso in una frana, senza scampo dalla realtà
Aprite gli occhi, alzate lo sguardo verso il cielo e vedrete
Sono solo un povero ragazzo, senza bisogno di comprensione
Perché mi faccio trasportare facilmente
Un po' su, un po' giù
Comunque il vento continua a soffiare, a me in realtà non importa

Mamma, ho appena ucciso un uomo, ho puntato una pistola alla sua testa
Ho premuto il grilletto, ed ora è morto, mamma
La vita era appena iniziata, ma ora io l'ho gettata via
Mamma, ooh
Non volevo farti piangere
Se non sarò tornato domani a quest'ora
Va' avanti, va' avanti, come se niente fosse accaduto

Troppo tardi, è giunta la mia ora
Ho i brividi lungo la schiena, il corpo duole in continuazione
Addio a tutti, devo andare
Devo lasciarvi tutti e affrontare la verità
Mamma, ooh, non voglio morire
A volte desidererei di non essere mai nato

Vedo una piccola sagoma d'uomo
Spaccone, spaccone vorresti ballare il fandango?
Fulmini e saette, molto, molto mi spaventano
Galileo, Galileo Galileo, Galileo
Galileo figaro, magnifico

Ma sono solo un povero ragazzo e nessuno mi ama
È solo un povero ragazzo di una povera famiglia
Risparmiate la sua vita da questa mostruosità
Uno che si lascia trasportare facilmente, uno semplice, mi lascerete andare
Per l'amor di Dio! No, non ti lasceremo andare - Lasciatelo andare
Per l'amor di Dio! Non ti lasceremo andare - Lasciatelo andare
Per l'amor di Dio! Non ti lasceremo andare - Lasciatemi andare
Non ti lasceremo andare, lasciatemi andare - Mai
Mai lasciarti andare - Lasciatemi andare, non lasciatemi andare mai, ooh
No, no, no, no, no, no, no
Oh mamma mia, mamma mia, mamma mia, lasciatemi andare
Belzebù ha messo un diavolo da parte per me, per me, per me

Così pensi di potermi lapidare e sputarmi in un occhio,
Così pensi di potermi amare e lasciarmi morire
Oh bambina, non puoi farmi questo, bambina
Devo solo uscire, devo solo uscire di qui

Oh sì, oh sì, niente m'importa veramente, chiunque può capirlo
Niente è veramente importante, niente m'importa davvero
Comunque il vento continua a soffiare

da Antiwarsongs.org

Sciogliere la polizia? Al Cremlino ci pensano


di Astrit Dakli
Può sembrare inverosimile - e probabilmente infatti alla fine non se ne farà nulla - ma a Mosca c'è anche chi parla ormai apertamente della necessità di sciogliere il gigantesco corpo di polizia della Russia (oltre 900mila uomini) e smantellare le strutture del ministero dell'interno. E non si tratta di qualche giovane anarchico, ma di esponenti di primo piano del partito al potere, Russia Unita.
Resa pubblica mercoledì in una conferenza stampa nella sede dell'agenzia Interfax, la proposta - innegabilmente rivoluzionaria - di Andrei Makarov, uno dei consiglieri giuridici del presidente Dmitrij Medvedev nonché membro autorevole del partito guidato dal premier Vladimir Putin, ha avuto l'effetto di una bomba.Molti leader del suo stesso partito si sono affrettati a prendere le distanze, sostenendo che quelle di Makarov sono "posizioni personali che non coinvolgono Russia Unita"; ma nell'opinione pubblica il dibattito si è fatto bollente nel giro di poche ore. I siti che ospitano dibattiti online intorno alle notizie, come Lenta.ru, hanno pubblicato centinaia di commenti di cittadini; inutile dire che, dato il livello di gradimento veramente basso di cui godono in Russia le forze di polizia, il tono degli interventi non è in generale molto lusinghiero per gli uomini che fanno capo al ministero guidato da Rashid Nurgaliyev.
Del resto, persino quest'ultimo, in un intervento pubblico davvero singolare tenuto il giorno precedente, aveva in pratica "autorizzato" i cittadini a passare all'azione fisica contro i poliziotti che li attaccassero ingiustamente ("è lecito difendersi, se si è innocenti"): da notare che la legge russa prevede l'ergastolo e addirittura la pena di morte (oggi sospesa) per chi tenta di uccidere un poliziotto, e in pratica qualsiasi azione difensiva basata sulla violenza fisica potrebbe configurarsi come un tentativo di uccidere. Anche le parole di Nurgaliyev hanno avuto un'eco assai vasta, con forti apprezzamenti dai settori "liberal" dell'opinione pubblica ma anche con forti messe in guardia da parte di noti avvocati, secondo i quali se qualcuno oggi provasse a seguire davvero le indicazioni del ministro dell'interno, rischierebbe di trovarsi in guai gravissimi.
Tutta la tempesta mediatica trae spunto da una lunga catena di episodi che quest'anno (anche in quelli precedenti, ma nel 2009 con più clamore) hanno messo in luce un "sistema-polizia" totalmente corrotto e ingovernabile. Uccisioni di detenuti o di semplici cittadini per strada, torture, ladrocinii, estorsioni; si è verificato persino il tentativo di copertura di un poliziotto-serial killer che aveva fatto strage in un supermercato di Mosca; e infine le scioccanti rivelazioni in video di alcuni agenti "puliti" che non riuscivano più a reggere la convivenza in un sistema completamente marcio e colluso con la criminalità.
La tesi di Makarov è molto semplice: un corpo armato così gigantesco e pervasivo della società non è più riformabile quando supera una certa soglia di corruzione interna, perché tutti i suoi meccanismi che dovrebbero sovrintendere a questa "riforma" sono a loro volta malati. L'unica soluzione è quindi lo scioglimento d'un colpo del ministero dell'interno, il licenziamento e disarmo degli agenti (fatta salva la parte che opera nei corpi speciali professionalizzati e nei servizi "sani", come quello investigativo-giudiziario); e la ricostituzione di una nuova polizia da zero, con uomini, metodi e strutture totalmente nuovi (Makarov sostiene che nella fase ri-costituente dovrebbero essere coinvolti anche giuristi e organizzazioni per i diritti umani, per studiare al meglio dei meccanismi che tutelino i cittadini dai soprusi), garantendo l'ordine durante la fase di transizione con i servizi di sicurezza (FSB) e con l'esercito.
Difficile che la proposta vada avanti - anche perché, si fa notare, in realtà andrebbero sottoposte parallelamente a radicali riforme anche istituzioni diverse, in primo luogo la magistratura, altrimenti i vizi di oggi tornerebbero rapidamente a dominare anche la nuova polizia. I politologi sostengono comunque che la straordinaria uscita di Andrei Makarov non possa essere vista come una sua fantasia personale, ma debba in qualche modo riflettere un tentativo del presidente Medvedev di dare uno scrollone al sistema di potere costruito da Putin, a partire dalle strutture più detestate del paese.

da IlManifesto

" I Senzanima"

di Alfredo Cosco
Eccoci alla seconda uscita de L’UOMO OMBRA, la rubrica che Carmelo Musumeci (detenuto con ergastolo ostativo nel carcere di Spoleto),Leggete questa pagina con cura e attenzione. In onore di tutti i muri bianchi rimasti fermi ad aspettare il sangue. In onore e in memoria dei piccoli gulag di periferia, della carne al macello. Quante volte mi colpirai? Mentre nella cella attendo la mia dose quotidiana… quante volte mi tratterai come un cane?

Sento queste parole rimaste intrecciate tra i pavimenti, i tavoli, e le inferriate. Come impronta energetica, atmosfera di un luogo, memoria delle cose. In memoria dei fuscelli al vento, ma anche dei veri criminali, che nessuno può essere selvaggemente pestato, e punito, fosse stato anche un vero criminale. 15 giorni a fissare il muro. In una cella vuota. Senza televisione e radio. Senza libri e giornali. Senza tavolo. Senza letto. Senza coperte. Senza assolutamente nulla. A sentire scavarti i minuti peggio di una tortura cinese o di un campo koreano. Invocando disperatamente il sonno, dopo ore e ore di straniante follia del nulla. Almeno il sonno, strappandolo il sonno nonostante il freddo non ti dà tregua e non hai nulla dietro cui coprirti. Ma dormi, dormi ragazzo.. fai di tutto per dormire. Abbracciandoti le ginocchia, almeno darai un pò di calore al petto. Dormi come una rana, ma almeno dormi. Così per qualche ora i sogni ti porteranno lontano. Dormi per non impazzire.
Ragazzi ho provato a pensare ai 15 giorni di isolamento totale di cui parla Carmelo in questo testo. Se ci provata vi esplode la testa. Nessuno ha mai provato una esperienza del genere. E anche i dettagli.. il freddo.. ricordo le notti in cui a Roma attendevo il notturno e magari ritardava di un’ora o più. Ed era un inverno così freddo che le mani erano marmo ghiacciato e nonostante giubino e maglioni saltellavi in preda a una insofferenza rara. E poi il lungo viaggio in un autobus scasciato (almeno altri quaranta minuti) fino a casa. Ma tutto quello era Disneyland rispetto a ciò che descrive Carmelo. Il freddo se non puoi scaldarti, ti entra nelle ossa come un tormento che ti occupa la mente e i pensieri. Che significa allora stare per 15 giorni.. e poi altri.. 15.. e poi altri 15 giorni in una cella fredda.. senza riscaldamento, coperte, lenzuole? Senza nulla su cui far poggiare la mente per provare anche solo a distrarsi?
Scrive bene Carmelo. La corruzione del carcere non investe solo il carcerato. Investe anche e ancora di più gli operatori carcerati. L’Assassino dei Sogni non contempla vincitori. Questo è un passaggio che può aiutare nel tempo a liberare dall’odio. A loro modo anche gli autori di questi crimini contro i detenuti, a loro modo.. sono dele vittime; di un genere diverso, ma delle vittime. Spezzare la cappa di nera nube tossica che l’Assino dei Sogni emana intorno a sé come un demone tolkeniano è un richiamo di liberazione per tutti, detenuti e carcerieri. Non è un urlo rancore, né sogni di vendette di sangue su carcerieri impalati.
E mentre vi scrivo queste pagine, si moltiplicano le voci di chi propugna il ritorno alle super carceri lager… Pianosa soprattutto. Destra e sinistra intonano in coro punizioni esemplari e regimi di eccezionalità. Ma alcuni non dormono e non staranno ad applaudire mentre altre celle di rigore e muri bianchi verrano edificate tra le spire e le branchie dell’Assasino dei Sogni.

Vi lascio alla rubrica di Carmelo..


I senzanima

Dopo la morte di Stefano Cucchi un altro morte nel carcere di Parma, quella di Giuseppe Saladino.
Sempre su questo istituto leggo sul Corriere della Sera di mercoledì 11 novembre del 2009:
-…Stava scontando una condanna all’ergastolo in regime di 41 bis. La procura di Bologna ha aperto un fascicolo contro ignoti sulla sua morte, ipotizzando il reato di istigazione al suicidio.
Conosco bene il carcere di Parma, dopo quello dell’Asinara è stato uno dei più fuorilegge istituti in cui sono stato detenuto.
Di quel carcere mi ricordo bene le celle di rigore, dove mi avevano messo per essermi ribellato contro le guardie che avevano strappato e calpestato con le loro scarpe le foto dei miei figli durante una perquisizione perché non era consentito averne più di dieci.
Mi ricordo come se fosse ieri di quei 15 giorni nella stanza liscia al freddo senza letto, lenzuola, coperte, a fissare le pareti sporche e sgretolate della cella per ore e ore.
In ostaggio della delusione, della tristezza e della sofferenza.
Senza nulla, quindici giorni solo con i miei pensieri, la mia rabbia, il mio cuore e la mia anima a cercare di fare il morto, cercando dentro di me l’amore per rimanere vivo.
In carcere in Italia non si viene solo ammazzati, istigati al suicidio, picchiati, abbandonati come sacchi di spazzatura, ma si viene soprattutto umiliati levandoti la voglia di vivere.
Finiti quei 15 giorni di punizione, il massimo ininterrottamente consentito, dopo un giorno in sezione, me ne hanno dati altri 15 e poi ancora altri 15 giorni.
È facile interpretare e ingannare la legge per gli uomini dal cuore nero dell’Assassino dei Sogni (il carcere) perché loro sono i buoni e noi i cattivi.
L’Assassino dei Sogni si ritiene al di sopra di qualsiasi legge.
L’Assassino dei Sogni non è mai quello che sembra perché è molto peggio di quello che si crede.
E non è vero che la colpa dell’illegalità in carcere è a causa solo di alcune mele marce.
No! Piuttosto è il contrario: in carcere ci sono solo alcune mele buone.
Il carcere è cancerogeno non solo per chi è detenuto, ma è anche cancerogeno, se non di più, per chi ci lavora.
E come si può pensare di garantire la sicurezza sociale non facendo vedere il cielo, le stelle e la luna ai detenuti sottoposti al regime di tortura del 41 bis?
Come si fa a tenere in carcere tossicodipendenti che ne hanno bisogno di cure?
Come si fa a tenere una persona dentro per sempre con l’ergastolo ostativo, colpevole soprattutto di avere rispettato le leggi della terra e della cultura di dove è nato e cresciuto?
Il carcere in Italia è una macelleria e al macellaio non fa più impressione la vista del sangue, perché perde la sua umanità e non crede più che la pena abbia nessuna funzione rieducativa.
I macellai, le mele marce, i senzanima, chiamateli come vi pare, si sentono così buoni che possono ammazzare, picchiare e distruggere cuore e anime di persone che hanno sbagliato, ma non per malvagità come invece hanno fatto le persone che hanno ucciso Stefano Cucchi.

Carcere Spoleto novembre 2009

(tratto da www.urladalsilenzio.wordpress.com )

venerdì 27 novembre 2009

"Il mio NO a Berlusconi"

di Lorenzo Tarantino

Su Berlusconi si può dire di tutto, proprio perchè è il personaggio politico italiano più influente di sempre, forse più dello stesso Mussolini e sicuramente più di Padri della nostra democrazia come De Gasperi e Pertini.
La sua influenza però mi sembra tutta orientata al lato negativo della politica, che prima di lui era già messa parecchio male.


Silvio Berlusconi, dopo anni di imprenditoria di successo, entra in politica nel 1994. Nel giro di due mesi fonda un partito, Forza Italia, che vince subito le elezioni. Lo fonda con l'aiuto di Marcello Dell'Utri , che è indagato in CONCORSO
ESTERNO IN ASSOCIAZIONE MAFIOSA e condannato in due gradi di processo...
Neanche a farlo a posta nel '94, con il primo governo Berlusconi, si interrompono improvvisamente e inspiegabilmente tutte quelle attività mafiose che fecero fuori Peppino Diana, Falcone, Borsellino e che per un soffio non fecero saltare in aria l'Olimpico di Roma.
Comunque dopo quella breve esperienza di governo, otto mesi, Berlusconi torna ad
essere primo ministro nel 2001 fino al 2006 e nel 2008.
In questi anni ricordiamo amabilmente i tentativi di modificare (in realtà stuprare!)
la costituzione come nel caso dell'art. 18 (voleva inserire il licenziamento senza giusta causa) o come nell'estate del 2006 con il referendum, per fortuna vinto dai NO, che avrebbe fatto dell'Italia una Repubblica federale con 20 regioni indipendenti, cioè 20 regioni potenzialmente indipendentiste (come quelle dove c'è la Lega Nord!).
Poi possiamo amabilmente apprezzare i tentativi di Berlusconi di aiutare i suoi amici mafiosi (che lo aiutarono ad entrare in politica...) con lo scudo fiscale che fa rientrare dalla Svizzera tutti quei capitali che sono stati trasferiti li (ricordo che in Svizzera vanno i capitali sporchi, compresi quelli mafiosi e delle associazioni criminali, vista la flessibilità in materia del "Paradiso Fiscale")
oppure l'ultimissimo emendamento della finanziaria che prevede la vendita dei beni confiscati alla mafia ai privati, e non l'affidamento ad istituzioni e associazioni per fini sociali come è ora, in questo modo i mafiosi possono comodamente ricomprare ciò che gli è stato tolto con la confisca ed in pratica Berlusconi ha inventato il riciclaggio del riciclaggio, riciclaggio al quadrato. Ha anche cercato di rendersi
immune al corso della giustizia con il lodo Alfano, che chiaramente è stato dichiarato anticostituzionale visto che è scritto nero su bianche tutti i cittadini sono uguali di fronte alla legge senza nessuna distinzione ed ora, ultimo regalo (per Natale?) al nostro diritto di essere presi per il culo: il processo breve, che abassa il periodo di proscrizione da 22 a 2 anni. In pratica se in 2 anni non si trova un assassino o delle prove concrete, il processo viene archiviato e non se
ne frega più un cazzo nessuno...tutti sereni compreso l'assassino.
Tra gli altri "meriti" di Berlusconi quello di controllare 6/7 di televisione italiana, quindi anche 6/7 di telegiornali che quotidianamente raccolgono consensi per lui, come in Iran! Inoltre fanno terrorismo mediatico con l'influenza A e la crisi che era finanziaria, ma qualcuno ha voluto scaricarla sul "popolo" ed è
diventata economica; la "favolosa" legge sull'immigrazione (chi di voi non ricorda Belusconi che piange in diretta tv per i migranti albanesi negli anni '90?... rinfrescatevi la memoria qui) che inserisce il reato di immigrazione clandestina e la possibilità per medici di denunciare un immigrato che ha chiesto aiuto!!!, la privatizzazione della Scuola e dell'Università pubblica in atto in questi mesi, così da riportare l'Italia in dietro di quarant'anni: dove i ricchi andavano a studiare e
i poveri a zappare la terra! La rineuclarizzazione del territorio e il disconoscimento delle fonti rinnovabili, grande opportunità per il Sud e l'Italia (ma il sud non è più Italia, il sud ormai è Egitto, Marocco, Algeria, Africa, io sono Africa!), la privatizzazione dell'acqua, il licenziamento (avvenuto durante una visita diplomatica in Bulgaria!!!) del più importante giornalista italiano, Enzo Biagi. Poi ancora il tentativo in atto oggi di mettere le varie istituzioni una contro l'altra, come ormai da un anno accade: la Magistratura è quotidianamente accusata di voler far cadere il governo, di essere comunista, di essere collusa...solo una piccola parte però (questo lo specificano sempre...caga sotto!). Certo! Perchè un presidente che ha decine di processi di cui tre in corso e una maggioranza con personaggi come il già citato Sen. Marcello Dell'Utri, Umberto Bossi, Masimo Maria Berruti, Italo Bocchino e Mario Borghezzo non hanno nulla da nascondere (secondo loro), però nascondono lo stesso...
Infine, quella che personalmente apprezzo di più fra le peculiarità del primo ministro italiano è la straordinaria dote di raccontare barzellette! Come quella
sui comunisti che mangiano i bambini, quella dell'immigrato mangiato da
un leone, quella di Obama abbronzato, quella con la quale l'altro giorno ha aperto il suo intervento ufficiale all'assemblea plenaria delle FAO a Roma pochi giorni fa e quelle che dal 1994 a oggi racconta ogni giorno in Tv, su internet, sui giornali...
Come può un uomo avere tanto consenso dopo tutto ciò? Semplice: fa credere che tutto vada bene, proprio per la sua influenza mediatica (con la quale ho aperto
questo post) e con il controllo delle televisioni.
Oggi ha affermato, nell'ultima esasperata accusa alla magistratura, che l'Italia è
sull'orlo della guerra civile (cosa che ho già detto io, caro Silvio!),
il tutto perchè Fini, suo primissimo alleato, si sta accorgendo nel suo incarico super partes (Presidente del Senato) di quanto male stia facendo Silvio non solo all'economia, all'industria, alla politica, ma a tutti i cittadini italiani, a tutti i giovani come me, che sono contenti di vivere in un paese in cui il Grande Fratello va alla grande e in cui i criminali possono fare strada, possono anche diventare
presidenti del consiglio!

di Lorenzo Tarantino

28 Novembre 2009 - Taranto - Corteo contro l'inquinamento



Inquinamento a Taranto: tutti in corteo il 28 novembre 2009, raduno alle ore 9 in piazzale dell'Arsenale. Dall'adozione delle migliori tecnologie industriali al monitoraggio continuo degli inquinanti, dall'informazione alla popolazione alla costruzione di uno sviluppo ecosostenibile. Ecco in sintesi i dieci punti che porteranno il "popolo inquinato" in piazza a manifestare per il diritto alla salute.

GRANDE MARCIA CONTRO L'INQUINAMENTO1. INQUINANTI, MONITORAGGIO E STANDARD EUROPEI. Prescrizioni restrittive per le emissioni industriali a tutela della salute di cittadini e lavoratori. Autorizzazione Integrata Ambientale (AIA) che fissi limiti agli inquinanti secondo standard europei e preveda l'adeguamento degli impianti alla migliori tecnologie in assoluto e salvaguardia dell'occupazione. Copertura completa dei parchi minerali. Piena applicazione delle leggi per la sicurezza sul lavoro. Sistema di monitoraggio delle emissioni industriali complessive e informazione dei cittadini su Internet.

2. ILVA E DIOSSINA. Piena applicazione della legge regionale antidiossina. Controllo 24 ore su 24 con il "campionamento continuo".

3. ENI ED ENIPOWER. No all'incremento della raffinazione e della produzione energetica. Campionamento continuo. No a sondaggi e perforazioni petrolifere nel Golfo di Taranto.

4. OCCUPAZIONE E SVILUPPO ECOSOSTENIBILE. Investimenti per un'economia alternativa alla grande industria . bonifica del territorio, manutenzione urbana, portualità, retroportualità, parco delle gravine, attività agricole, ittiche e turustiche con l'ambiente.

5. RISARCIMENTO MESTIERI TRADIZIONALI. Realizzazione di mappe d'impatto. Sostegno e risarcimento ad allevatori, agricoltori, pescatori ed imprenditori locali rovinati dalle emissioni industriali.

6. INFORMAZIONE DELLA POPOLAZIONE. Applicazione sul territorio della "legge Seveso" sui rischi di incidente rilevante con informazione della popolazione sui piani di emergenza.

7. RIFIUTI. No ad inceneritori e assimilati, sì alla raccolta differenziata porta a porta e all'incremento dei posti di lavoro per la gestione del recupero. No.ad autorizzazioni e ampliamenti di discariche per rifiuti speciali. Sostegno alle lotte dei comitati antidiscarica della provincia di Taranto

8. ENERGIE RINNOVABILI. No al nucleare, sì al risparmio energetico e alle energie rinnovabili.

9. SALUTE, CONTROLLI E RICERCA. Screening dei cittadini per verificare la contaminazione dei cittadini (diossina, arsenico, metalli pesanti, ecc.), realizzazione di un effettivo registro tumori e di mappe epidemiologiche per tutte le patologie legate all'impatto industriale. Attivazione di un Centro Ambiente e Salute ubicato vicino all’area industriale specializzato nei controlli ambientali e sanitari dell'area industriale. Creazione di un polo scientifico-tecnologico di eccellenza in campo ambientale.

10. TUTELA DEL MARE. Rifacimento della condotta sottomarina e tutela del del mare.
Note:

Per altre informazioni consulta il sito di Altamarea: www.google.it/group/altamareanews
La manifestazione è autofinanziata dai cittadini. Per sostenere le spese:
c/c postale n.13579743, intestato a AIL TARANTO Associaz. Italiana contro le Leucemie, Causale: "Altamarea".

da GrandeSalento.org

Spatuzza: Graviano incontro' Schifani. Il Senatore annuncia querele

di Silvia Cordella
È un vento che non sembra cessare quello che sta disturbando i sonni quieti delle “alte” stanze romane. Un vento che porta con sé i detriti di un passato che ha deciso di ritornare per scrollarsi di dosso i suoi più pesanti fardelli ed indigeribili segreti.
Questa volta sono i presunti rapporti del Presidente del Senato Renato Schifani con Filippo Graviano, autore, insieme al fratello Giuseppe, della strategia stragista del ’93, a riempire le pagine delle cronache italiane. A parlarne è Gaspare Spatuzza, ex luogotenente dei capimafia di Brancaccio che in una nota del 26 ottobre 2009 alla Dia ha fatto mettere per iscritto di essere stato testimone diretto, nei primissimi anni Novanta, di un incontro fra il boss e la seconda carica dello Stato. Spatuzza, interrogato dai pm di Firenze sugli appoggi politici e imprenditoriali dei Graviano a Milano, ha riferito: “In proposito preciso che Filippo talvolta utilizzava l’azienda Valtras dove lavoravo, come luogo d’incontri. Accanto a questa c’era il capannone di cucine componibili di Pippo Cosenza dove pure si svolgevano incontri, dove ricordo di avere visto diverse volte la persona che poi mi è stata indicata essere l’avvocato del Cosenza. Preciso che in queste circostanze questa persona contattava sia il Cosenza che il Filippo Graviano in incontri congiunti. La cosa mi fu confermata da Filippo a Tolmezzo allorquando commentando questi incontri Graviano (all’epoca non latitante, ndr) mi diceva che l’avvocato del Cosenza, che anche io avevo visto a colloquio con lui, era in effetti l’attuale Presidente del Senato. Preciso che anche io avendo in seguito visto Schifani sui giornali e in televisione l’ho riconosciuto come la persona che all’epoca vedevo. Cosenza è persona vicina ai Graviano con i quali aveva fatto dei quartieri a Borgo Vecchio, ben conosciuta anche da Giovanni Drago”. Parole pesanti per Schifani che oggi ha immediatamente respinto annunciando querela: “Non ho mai avuto rapporti con Filippo Graviano e non l’ho mai assistito professionalmente. – ha detto - Questa è la verità. Sia chiaro: denuncerò in sede giudiziaria, con determinazione e fermezza, chiunque, come il signor Spatuzza, intende infangare la mia dignità professionale, politica e umana, con calunnie e insinuazioni inaccettabili. Sono indignato e addolorato. Ho sempre fatto della lotta alla mafia e della difesa della legalità i valori fondanti della mia vita e della mia professione. I valori di un uomo onesto”.
Un’“integrità” che Schifani ha messo in pratica durante la sua carriera difendendo, come avvocato civilista, anche uomini in odor di mafia come tale Giuseppe Cosenza. Un imprenditore ora attempato a cui la Finanza, tra il 1996 e il 1998, aveva sequestrato un patrimonio da 10 milioni di euro per aver costruito, secondo una sentenza di Palermo, un residence e degli appartamenti con denaro mafioso.
Naturalmente difendere uomini di mafia non è reato. Non lo è nemmeno incontrarli in luoghi estranei al proprio lavoro né intrattenersi a parlare con loro. Per questo il nostro sistema è decisamente garantista. Inchiodare un politico che ha avuto scambi con personaggi equivoci è molto difficile. Le prove devono essere di ferro, partendo innanzitutto dal fatto che occorre verificare la consapevolezza di aiutare un mafioso in quanto tale. Cosa difficilissima da accertare visto che tutti i rapporti tra ambienti della criminalità organizzata e cosiddetti “colletti bianchi” vengono sistematicamente mediati da altri insospettabili soggetti. Ma esiste una questione morale che i politici sono tenuti a rispettare rigorosamente che impone soprattutto la massima trasparenza. Dunque, se le parole di Spatuzza sull’incontro tra Graviano e Schifani fossero confermate, allora, il presidente del Senato dovrebbe chiarire la sua posizione e ammettere le sue responsabilità che, a quel punto, diventerebbero incompatibili con la sua alta carica di Governo.

Una conferma che potrebbe arrivare presto perché la Direzione investigativa antimafia (che nel frattempo ha passato queste dichiarazioni ai colleghi palermitani del processo Dell’Utri) avrebbe già accertato che il pentito di Brancaccio era in effetti il guardiano della Veltras. Il luogo dove, secondo il collaboratore, Graviano si sarebbe incontrato con Schifani.
Nel frattempo al Presidente del Senato sono state rafforzate le misure di sicurezza dopo una lettera contenente minacce di morte nei suoi confronti. Minacce, secondo le agenzie, riconducibili ad ambienti mafiosi arrivate due giorni fa per posta, alla Presidenza di Palazzo Madama. Nella lettera si sostiene che il politico sarebbe “nell’occhio dei picciotti” e che “i cosiddetti perdenti sono per la resa dei conti”. Quasi a evocare una ritorsione mafiosa per promesse mancate.
Vero è che gli incontri tra il presidente del Senato e uomini dal pedigree mafioso ritornano nel tempo come una costante. Già il 4 maggio 1998 i magistrati della Direzione distrettuale antimafia, captando una conversazione tra Nino Mandalà (capo della famiglia mafiosa di Villabate) e Simone Castello (uomo vicinissimo a Provenzano), erano incappati nel suo nome. Il primo, poco prima di essere arrestato, con toni rancorosi, aveva rivendicato a sé l’introduzione dell’avvocato Schifani (prima del suo ruolo politico) come esperto consulente nel comune di Villabate. Un compito che il capomafia aveva “suggerito” per l’amicizia che lo legava all’on Enrico La Loggia (oggi deputato e membro della Commissione Affari Costituzionali del Presidente del Consiglio), al tempo, capo ufficio dello studio legale in cui Schifani lavorava.
Secondo Nino Mandalà i due gli avevano girato le spalle proprio nel momento in cui egli, nel 1995, con l’arresto del figlio Nicola (poi incastrato per aver protetto la latitanza di Provenzano, ndr), era venuto a trovarsi in una situazione di difficoltà. Entrambi, anziché tendergli la mano come lui si aspettava, lo avevano emarginato. “Sto cornuto di Schifani che ancora non era senatore - aveva esordito il capobastone – (prende) 54 milioni l’anno … qua al comune, me l’ha mandato il signor La Loggia” . Sì, perché Schifani, spiegherà meglio il pentito Campanella, guadagnando laute parcelle, era stato chiamato come consulente per progettare le varianti del piano regolatore a cui Mandalà Senior (vero dominus del consiglio comunale, ndr) era interessato per l’edificazione di un centro commerciale sponsorizzato dalla famiglia mafiosa.
Un rapporto quello dei tre avvocati che si era tradotto anni prima nella condivisione di comuni affari, concretizzati nel ’79 con l’apertura di una società di brokeraggio assicurativo (la Sicula Brokers) insieme a Benny D’Agostino (grande amico di Michele Greco, “il Papa”) poi condannato per mafia e Giuseppe Lombardo, amministratore delle società dei cugini Salvo.
Per questo, dopo l’amicizia tradita (Schifani e La Loggia erano stati ospiti d’onore al suo secondo matrimonio), il capomafia, rievocando momenti di spiacevole confronto con La Loggia, concludeva: “Mi può telefonare che io una volta l’ho fatto piangere?”. “Non mi aspettavo che dovesse fare niente, che dovesse fare dichiarazioni alla stampa, ma almeno un messaggio”. Mi poteva dire mi chiamava e mi diceva: “Nino vedi che, capisci che non si può esporre però è con te, ti manda i (saluti)” e invece non solo non mi manda (a dire) niente lui, ma Schifani…. Schifani, quando quelli la di Forza Italia gli chiedono “ma che è successo all’amico tuo, al figlio dell’amico tuo” risponde “amico mio? … no, manco lo conosco, lo conosco a mala pena”. Poi un giorno, dopo la scarcerazione “di Nicola (io e La Loggia) ci siamo incontrati a un congresso di Forza Italia. Lui viene e mi dice: ‘Nino, io sai per questo incidente di tuo figlio…’ . gli ho detto: ‘Tu mi devi fare la cortesia pezzo di merda che sei, di non permetterti più di rivolgermi la parola’. ‘Ma Nino, ma è mai possibile che tu mi tratti così?’ . ‘E perché come ti devo trattare?’ ‘Ma i nostri rapporti…’ ‘Ma quale rapporto…’ […] e alla fine gli dissi: ‘Senti tu a me non mi devi cercare più. Tu devi dimenticarti che esisto perché la prossima volta che tu ti arrischi a cercarmi e siamo soli… io siccome sono mafioso io ti (inc.), hai capito? (perché) io sono mafioso, come tuo padre purtroppo, perché io con tuo padre me ne andavo a cercargli i voti (…) da Turiddu Malta che era il capo della mafia di Vallelunga. (…)Ora lui non c’è più ma lo posso sempre dire io che era mafioso’. ‘E lui si è messo a piangere per la paura’”.

da AntimafiaDuemila