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venerdì 4 febbraio 2011

La rivolta anti-Mubarak


Sotto il cielo il caos...
di Slavoj Zizek

Quel che salta subito all'occhio nelle rivolte di Tunisia e d'Egitto è la massiccia assenza del fondamentalismo islamico: secondo la migliore tradizione laica e democratica la gente si è limitata a rivoltarsi contro un regime oppressivo, la sua corruzione e la sua povertà, chiedendo libertà e speranza economica. La cinica convinzione occidentale secondo cui nei paesi arabi la coscienza genuinamente democratica si limiterebbe a piccole élite liberal, mentre le grandi masse possono essere mobilitate solo dal fondamentalismo religioso o dal nazionalismo si è dimostrata erronea.
Il grosso interrogativo è naturalmente: che succederà il giorno dopo? Chi ne uscirà vincitore?
.Quando a Tunisi è stato nominato un nuovo governo provvisorio, ad essere esclusi erano gli islamisti e la sinistra più rivoluzionaria. L'autocompiaciuta reazione liberal fu: bene, sono fondamentalmente la stessa cosa, due estremi totalitari - ma davvero le cose sono tanto semplici? Il vero, eterno, antagonismo non è piuttosto tra islamisti e sinistra? Ammesso pure che adesso siano uniti contro il regime, una volta vicini alla vittoria si divideranno, e si scontreranno tra loro in una lotta mortale spesso più feroce di quella contro il nemico comune.
Non abbiamo forse assistito proprio a una lotta del genere dopo le ultime elezioni in Iran? Le centinaia di migliaia di sostenitori di Moussavi lottavano per il sogno popolare che ha puntellato la rivoluzione di Khomeini: libertà e giustizia. Anche se quel sogno era un'utopia, significava la salutare esplosione della creatività politica e sociale, esperimenti di organizzazione e dibattiti tra studenti e gente comune. Quella genuina apertura che aveva liberato forze inaudite di trasformazione sociale, in un momento in cui «tutto sembrava possibile», fu poi completamente soffocata dall'andata al potere dell'establishment islamista.
Anche nel caso di movimenti chiaramente fondamentalisti, dovremmo stare attenti a non confondere la loro componente sociale. I taleban vengono puntualmente presentati come un gruppo fondamentalista islamico che impone la sua legge con la forza - però, quando nella primavera del 2009, s'impadronirono della Valle di Swat in Pakistan, il New York Times scrisse che «avevano organizzato una rivolta di classe sfruttando le fratture profonde presenti nella società tra un piccolo gruppo di ricchi proprietari terrieri e i loro fittavoli senza terra». Se «approfittando» della situazione contadina, i talebani avevano «lanciato l'allarme su quel rischio in Pakistan, che rimaneva in larga parte feudale», cosa impediva ai liberal in Pakistan così come negli Stati Uniti di «approfittare» di questa causa ed aiutare i contadini senza terra? Il fatto è che in Pakistan le forze feudali sono il «naturale alleato» della democrazia liberal.
La conclusione inevitabile cui dovremo giungere è che l'islamismo estremista è sempre stato l'altra faccia della scomparsa della sinistra laica nei paesi musulmani. Quando l'Afghanistan viene rappresentato come il paese islamico più fondamentalista, chi è che ancora ricorda che, solo 40 anni fa, era un paese dalle forti tradizioni laiche, perfino con un forte partito comunista andato al potere indipendentemente dall'Unione sovietica? Dov'è andata a finire quella tradizione laica?
Ed è importantissimo leggere su tale sfondo quello che sta succedendo oggi a Tunisi e in Egitto (e in Yemen e... forse, speriamo, perfino in Arabia saudita!). Se la situazione si «stabilizzerà» e il vecchio regime potrà sopravvivere con un bel po' di chirurgia estetica, la cosa finirà per sollevare uno tsunami fondamentalista. Perché il nucleo forte dell'eredità liberal possa sopravvivere i liberal hanno bisogno dell'aiuto fraterno della sinistra rivoluzionaria. Per quanto marginalizzata, questa sinistra laica esiste a Tunisi così come in Egitto, dove hanno lasciato sopravvivere alcuni piccoli partiti di sinistra a patto che rimanessero marginali e che non criticassero il governo troppo concretamente (nomi importanti come quelli di Mubarak erano off limits, eccetera). Bisogna rendersi conto che il loro rafforzamento e la loro inclusione nella nuova vita politica nel lungo periodo sono la nostra unica protezione contro il fondamentalismo religioso.
La più vergognosa e pericolosamente opportunistica reazione ai tumulti egiziani è stata quella di Tony Blair come riferito dalla Cnn: il cambiamento è necessario, ma dovrebbe essere un cambiamento stabile. «Cambiamento stabile» in Egitto oggi può significare solo un compromesso con le forze di Mubarak attraverso un blando allargamento della cerchia di governo. È per questo che parlare oggi di transizione pacifica è un'oscenità: schiacciando l'opposizione, Mubarak lo ha reso impossibile. Dopo aver mandato l'esercito contro i ribelli, la scelta è chiara: o un cambiamento cosmetico in cui qualcosa cambia perché tutto possa rimanere uguale, oppure la rottura vera.
Eccoci allora al momento della verità: non si può sostenere, come fu dieci anni fa nel caso dell'Algeria, che permettere vere elezioni libere coincida col consegnare il potere ai fondamentalisti musulmani. Israele s'è tolto la maschera di ipocrisia democratica appoggiando apertamente Mubarak - e sostenendo il tiranno contro cui si batte il popolo ha ridato fiato all'antisemitismo!
Un'altra preoccupazione dei liberal è che non ci sia un potere politico organizzato in grado di sostituirglisi se Mubarak va via: ma certo che non c'è, se n'è occupato personalmente Mubarak riducendo ogni opposizione a un fatto decorativo e marginale e il risultato suona come il titolo di quel romanzo di Agatha Christie: E non ne rimase nessuno (titolo originale di Dieci piccoli indiani, ndr) L'argomento di Mubarak è «o lui, o il caos», ma è un argomento che gli si ritorce contro.
L'ipocrisia dei liberal occidentali è spaventosa: hanno sostenuto pubblicamente la democrazia, e ora che la gente si rivolta contro i tiranni in nome di una libertà laica e della giustizia e non in nome della religione, sono tutti «profondamente preoccupati»... Perché tanta preoccupazione? Perché non invece la gioia per questa occasione di libertà? Oggi più che mai risulta pertinente il vecchio motto di Mao Ze Dong: «Sotto il cielo il caos - la situazione è eccellente».
Ma dove deve andare allora Mubarak? Qui la risposta è chiara: a L'Aia. Se c'è un leader che merita di sedere lì, è lui!

Traduzione di Maria Baiocchi

Tratto da:Il Manifesto

Maroni ai pastori sardi: “Non sono stato io. Non ho visto niente.”


di isoladeicassintegrati.com da Reset-Italia.net
Il Movimento Pastori Sardi incontra ad Oristano il Ministro degli Interni Roberto Maroni, che promette soluzioni e… scuse. Forse.

Era in corso l’incontro a Oristano tra i sindaci sardi e il ministro per parlare del problema violenza nei paesi dell’isola. Sí, violenza nell’isola. Non era certo in programma discutere dei pastori picchiati e sequestrati a Civitavecchia lo scorso 28 dicembre. Però il Movimento Pastori Sardi c’è andato ugualmente a Oristano, per manifestare a centinaia nella zona del Teatro Garau, dove si svolgeva la riunione.Facciamo un passo indietro. Qualche mese fa i loro problemi furono “magicamente risolti” dal cappellaio magico dell’isola, Ugo Cappellacci: un perfetto sconosciuto eletto al comando della Sardegna ma che ora tutti conosciamo bene per il suo indegno operato, purtroppo. Ricordiamo ai meno informati che, come prassi, le promesse del governatore regionale vengono sempre prontamente smentite a poche ore dagli accordi.

E mentre la pastorizia dell’isola affronta la più grande crisi economica che si ricordi, il movimento minaccia un blocco totale delle produzioni e chiede risposte. Le chiede alla Regione, ma anche allo Stato. Peccato, però, che l’ultima volta che hanno provato ad andare a Roma siano stati picchiati e bloccati al porto di Civitavecchia da uno squadrone della polizia. Una sorta di arresto preventivo. Un sequestro preventivo, per meglio dire.

Maroni ha quindi acconsentito a un incontro con i vertici del MPS: Felice Floris, Maria Barca e Andrea Cinus, che hanno potuto esporre al ministro le loro rivendicazioni riguardo lo scandaloso trattamento riservatogli a Civitavecchia. Il leghista si è tenuto sul vago:

Non sapevo niente… cioè ho appreso la notizia dai telegiornali…

…queste affermazioni sono molto comuni tra i ministri di questo governo…

E comunque, davvero, non ho dato io l’ordine di bloccarvi al porto…

..mmh…

Se la magistratura confermasse che le forze dell’ordine hanno esagerato – dicesi ‘sequestro di persona’ – allora chiederò scusa pubblicamente…

…in piedi, alla lavagna, davanti a tutta la classe?

Nonostante questo approcio da “esterno”, tipico di chi non vede, non sente, non parla, i vertici del Movimento Pastori Sardi si sono detti soddisfatti dell’incontro con Maroni: “Abbiamo parlato della condizione dei pastori sardi e dei problemi del settore, ed il ministro ha dato la sua disponibilità a farsi portavoce delle nostre rivendicazioni nei confronti del Governo e anche a studiare soluzioni e interventi per affrontare la crisi”, riferisce Felice Floris ai giornalisti.

Promesse promesse promesse… sembra che per obbligare un ministro della Repubblica Italiana a fare il suo lavoro sia necessario braccarlo in cento. Circondarlo, insomma. Ma cosa pensate di fare, voi politici, quando saranno in migliaia a mettervi spalle al muro? Che farete?

Forse allora le promesse saranno già carta straccia…

di Marco Nurra
(3 febbraio 2011)

Elio e le Storie Tese - Regime di cuori