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giovedì 10 settembre 2009

RINO GAETANO - LE BEATITUDINI



LE BEATITUDINI

Beati sono i santi, i cavalieri e i fanti;
beati i vivi, i morti ma soprattutto i risorti
Beati sono i ricchi perchè hanno il mondo in mano
Beati i potenti e i re e beato chi è sovrano
Beati i bulli di quartiere perchè non sanno ciò che fanno
Ed i parlamentari ladri che sicuramente lo sanno
Beata è la guerra, chi la fa e chi la decanta
Ma più beata ancora è la guerra quando è santa
Beati i bambini che sorridono alla mamma,
Beati gli stranieri ed i soufflè di panna
Beati sono i frati, beate anche le suore
Beati i premiati con le medaglie d’oro
Beati i professori, beati gli arrivisti ,
I nobili e i padroni specie se comunisti
Beata la frontiera beata la finanza
Beata è la fiera ad ogni circostanza
Beata la mia prima donna che mi ha preso ancora vergine
Beato il sesso libero si ma entro un certo margine
Beati i sottosegretari i sottufficiali
Beati i sottaceti che ti preparano al cenone
Beati i critici e gli esegeti di questa mia canzone

Questa volta è ufficiale : la nuova Giunta Comunale di Nardò

Il Sindaco,

* Visto il proprio decreto n.18 del 07/08/2009 con il quale si revocava il decreto n.25/2008 affidando, per la gestione degli atti urgenti, la nomina a vicesindaco all’assessore Antonio Cavallo; A risoluzione della crisi amministrativa e visto l’art.26, comma 3°, del vigente Statuto Comunale, che fissa in otto il numero massimo degli Assessori che costituiscono la Giunta, tra cui un Vicesindaco;
* Ritenuto doversi avvalere della facoltà prevista dall’art.47 del T.U. n.267/2000 per la nomina degli Assessori;

D E C R E T A

a) di revocare il decreto n.18/2009 datato 07/08/2009;

b) di nominare componenti della Giunta Comunale con assegnazione di funzioni di responsabilità politico – amministrativa di indirizzo, di controllo o sovrintendenza degli affari assegnati, i signori:



1. Sig. Salvatore De Vitis nato a Nardò il 26/02/1969 - VICE SINDACO - Politiche comunitarie – Relazioni Internazionali – Rapporti con l’Università – Museo della Memoria – Coordinamento per l’attuazione del programma; Contenzioso;
2. Sig. Antonio Cavallo nato a Nardò il 25/09/1943 - ASSESSORE - Gemellaggi e rapporti istituzionali con le città gemellate - Servizi Demografici AIRE - Toponomastica – Statistica - Programma Nardò Città dell’accoglienza ; Attività Economiche Produttive ( Commercio – Industria – Artigianato – Annona- Fiere e Mercati );
3. Sig. Giulio Spano nato a Roma il 15/07/1946 - ASSESSORE - Affari Generali - Pubbliche relazioni e diritti del cittadino – Contratti – Trasparenza Amministrativa – Società Miste – Controllo qualità servizi - Personale – Ricerca - Innovazione;
4. Sig. Gustavo Petolicchio nato a Nardò il 13/02/1947 - ASSESSORE - Lavori Pubblici – Edilizia Residenziale Pubblica e Scolastica – Infrastrutture
5. Sig. Giuseppe Tarantino nato a Nardò il 01/01/1951 - ASSESSORE - Polizia Locale – Turismo;
6. Sig. Fernando Bianco nato a Nardò il 01/04/1951 - ASSESSORE - Programmazione - Attività Economiche Finanziarie – Entrate – Bilancio – Provveditorato – Patrimonio – Controllo di gestione dei sistemi informatici - Promozione della Città e Marketing territoriale – Rapporti con il Consiglio Comunale;
7. Sig. Cosimo Caputo nato a Nardò il 23/07/1958 - ASSESSORE - Urbanistica – Assetto del territorio – Edilizia Privata – Demanio- Politiche energetiche - Protezione Civile – Politiche agricole – Pesca - Trasporti;
8. Sig. Carlo Falangone nato a Nardò il 09/05/1963 - ASSESSORE - Servizi Sociali – Politiche del Lavoro – Problematiche della Casa – Sicurezza Sociale – Politiche della Salute – Associazionismo – Politiche Giovanili e Politiche del Volontariato – Formazione Professionale – Pubblica Istruzione – Cultura – Aree cittadine e Consigli di Quartiere;

IL SINDACO ( Dott. Antonio Vaglio )

Sogno di una notte di mezza estate neretina

Se avete voglia di farvi due risate guardate questo video di MONDOMALATO; SI TRATTA DI UN MUSICAL satirico sull'ultima crisi amministrativa neretina. Non si vuole offendere nessuno, ma si tenta di ridere un pò su a eventi che in verità comici non sono.

Pseudo prete sequestra aereo di linea in Messico

Un ispirazione divina ha portato un fanatico religioso boliviano a sequestrare un volo di Aeromexico in viaggio tra Cancun e Città del Messico. “Dovevo avvisare l’intera popolazione sul prossimo terremoto che colpirà il Messico, dobbiamo unirci tutti in preghiera”.

Quasi paradossale che un paese in piena guerra contro il narcotraffico ed i vari cartelli della droga faccia mettere in ginocchio il suo sistema di sicurezza aerea da uno pseudo prete boliviano appartenente ad una non ancora accertata setta religiosa. Il signor José Mar Flores Pereira, con un passato in patria da alcolista, ladro e tossicodipendente, sequestra con due lattine di succo di frutta ripiene di terra ed adornate da lucine colorate un volo di linea di una delle compagnie aeree più importanti messicane con 104 passeggeri a bordo più 7 componenti dell’equipaggio.

Leggi l'articolo completo su: Vero Sudamerica

Il ritorno della 99 Posse


A sette anni di distanza dall'ultima esibizione dal vivo torna la

99 Posse
Prima data dell'imminente tour e data unica in Campania

Il 12 settembre 2009 Napoli (Piazza Mercato)
concerto gratuito nell’ambito della IX edizione di MUSICA NUEVA - "Assalto culturale alle barriere sociali.
rassegna realizzata con il Patrocinio dell'Assessorato all'Istruzione della Regione Campania.

Regione Campania.

inizio ore 20:00
special guest: Jovine (www.myspace.com/jovine ) e Sangue Mostro (www.myspace.com/sanguemostro).


Il ritorno della 99 POSSE!

Lo storico gruppo antagonista inaugura a Napoli la rassegna "Musica Nueva" presentando un brano inedito e affrontando un tema sociale di drammatica attualità: la sicurezza del lavoro.

La band inoltre sarà protagonista di un progetto che coinvolgerà gli studenti campani nella realizzazione di un brano per il nuovo disco!

Quella di Napoli sarà la prima data (l’unica in Campania) dell’imminente tour, le cui tappe confermate sono per il momento:

19.09 Latiano (BR) @ Campo Sportivo
20.09 Cosenza @ Palestra all'aperto di Via Milelli
09.10 Roma @ Alpheus

(altre saranno annunciate a breve).

La formazione vede Luca Zulù Persico alla voce, Massimo Jrm Jovine al basso, Marco
Messina alle macchine, Sascha Ricci alle tastiere, accompagnati da Claudio Klark Kent
Marino alla batteria, Gennaro de Rosa alle percussioni e Peppe Siracusa alla chitarra.

Il ritorno dei 99 Posse

Il ritorno sulle scene della band avviene dopo ben sette anni di assenza. Dal loro ultimo concerto a Napoli (5 gennaio 2002), molte cose sono cambiate.

ll gruppo ritrova un'Italia in piena emergenza democratica ed economica, un Paese in declino nel quale si sperimentano inedite politiche repressive che alimentano nel corpo sociale sempre più frequenti episodi di razzismo e intolleranza. I severi richiami dell'Onu sui respingimenti di massa, le ronde che rievocano la polizia di partito, l'assenza di misure di sostegno per precari, disoccupati, immigrati e lavoratori a basso reddito, le leggi razziali, le offese di esponenti politici della Lega ai cittadini napoletani, gli attacchi omofobi, rendono bene l'idea del lager a cielo aperto nel quale le destre padane e nazionali vogliono trasformare l'Italia. In questa situazione la voce di una band che si è sempre schierata dalla parte dei più deboli e dei meno garantiti vuole tornare a essere un punto di riferimento per tutti quelli che non si stancano di sognare e lottare per un mondo diverso e migliore. Nel frattempo la crisi del mercato discografico ed i modelli proposti dalla TV (musicisti scelti da discutibili format di “talent scouting” destinati ad un successo usa-e-getta) hanno reso ancora più difficile per i gruppi che privilegiano tematiche sociali e politiche nella propria produzione musicale, emergere ed arrivare al grande pubblico. Per questo il ritorno della 99 Posse assume i caratteri di una scommessa, di un azzardo che si auspica proficuo, quello di un gruppo che canterà canzoni scomode senza giri di parole, testando anche i livelli di tolleranza nell'Italia dei nostri giorni, per riprendersi il posto che merita nella scena musicale nazionale.

MUSICA NUEVA / "Assalto culturale alle barriere sociali"


La rassegna MUSICA NUEVA, che quest'anno ha come sottotitolo "Assalto culturale alle barriere sociali", giunta alla sua nona edizione, è realizzata dall'Associazione Napoli Suoni, che - negli oltre dieci anni di attività sul territorio - si è da sempre concentrata su tematiche strettamente legate ai problemi sociali e alle dinamiche culturali, proponendo eventi musicali che guardano ai mutamenti del mondo contemporaneo, svelando gli incroci fra le culture e le brucianti accelerazioni dello sviluppo tecnologico.
L'associazione "Napoli Suoni" cura, ormai da nove anni, la rassegna "Musica Nueva - Cancion de libertad" tenutasi, nel corso degli anni, presso gli spalti del Maschio Angioino, la Città della Scienza, l'Aria Italsider, il Lido Baia dei Re e l'Arenile di Bagnoli. Il meglio della scena napoletana, le più interessanti novità della scena musicale italiana i migliori djs internazionali hanno composto, negli anni, una programmazione trasversale facendo di Musica Nueva un appuntamento fondamentale nel panorama culturale campano.

In questa edizione Musica Nueva punta ad attirare l'attenzione sul tema della sicurezza dei luoghi di lavoro. Il fenomeno è direttamente collegato ad una dinamica di deperimento culturale e democratico che investe l'Italia da circa 15 anni. Nel nostro Paese le "morti bianche" sono il doppio che in Francia, e il 30% in più rispetto a Germania e Spagna. Il numero di vittime sul lavoro è quasi il doppio dei deceduti in incidenti stradali e otto volte più delle vittime di omicidio.
L'Associazione ritiene opportuno "aggredire" il problema anche da un punto di vista culturale rivolgendosi direttamente ai giovani, parlando loro dei problemi legati al lavoro, spingendoli ad interessarsi in primis alla pericolosità del lavoro svolto dai propri genitori. Infatti durante la rassegna saranno divulgati dati e statistiche sulle morti bianche, saranno ospitati interventi dal palco e gli artisti coinvolti toccheranno il tema durante le performances.
Si proverà inoltre ad intrecciare il tema del lavoro sicuro con il crescente sviluppo imprenditoriale delle organizzazioni criminali. Le imprese di mafia riescono infatti a vincere i grandi appalti facendo leva su due fattori: il risparmio sui materiali e lo sfruttamento del lavoro. Questi, oramai, sono contesti in cui non si rispettano le più elementari regole di sicurezza, dove si impongono ritmi asfissianti e page basse e in nero.
Un "turbocapitalismo" inaccettabile, alimentato dalle organizzazioni criminali e dal mercato globale; un fenomeno ingestibile che tra inquinamento e perdita di vite umane sta distruggendo definitivamente il paese.

I 99 POSSE NELLE SCUOLE CAMPANE
La rassegna s'inaugura il 12 settembre a Napoli, presso Piazza Mercato, dove si svolgerà il concerto dei 99 Posse che si riuniranno ufficialmente per intraprendere un nuovo percorso artistico che li porterà a realizzare a breve un nuovo disco. Prima di loro si esibiranno i rappers Sangue Mostro e il nastro nascente del reggae italiano: Jovine. Lo "storico" ritorno sulle scene della 99 Posse coincide con l'inizio di un'interessante iniziativa sociale: questo concerto costituisce infatti il lancio di un progetto che comprende laboratori scolastici (in istituti scelti tra diverse aree "a rischio" della regione) sul rapporto tra nuove tecnologie e musica, che vedrà la band protagonista insieme agli studenti, inoltre dal 14 settembre a metà ottobre MusicaNueva ospiterà gruppi musicali scelti nelle scuole coinvolte nel progetto, con lo scopo di farli esibire dal vivo mettendo in atto ciò che hanno appresso durante i laboratori didattici.

da GlobalProject

Torino, ex clinica San Paolo: non e' ancora finita!

Dopo 2 anni di lotte, occupazione e resistenza degna, potrebbe giungere a conclusione la vicenda che ha tenuto sospesa su un filo la condizione di oltre 300 rifugiati giunti nella nostra città in cerca di un futuro migliore.
Una vicenda che si sarebbe potuto risolvere meglio e prima, senza l'incompetenza dell'amministrazione comunale e l'ostruzionismo politico (sulla pelle dei rifugiati) giocato dall'assessore alle politiche sociali e alla famiglia Borgione,un "buon cristiano" da cui hanno preso le distanze anche le cristiane (loro si in linea con la morale della loro fede) associazione di volontariato e per la cui riabilitazione si è dovuto mobilitare niente meno che il vescovo della città.

Complice una fase delicata e sommersa dalla crisi, e le infami speculazioni di giornalisti prezzolati (su tutti, spicca, come sempre, Massimo Numa) si è costruita a tavolino "un'emergenza" nel più perfetto stile del governo mediale.

Di fronte a una situazione fattasi insostenibile, molt* rifugiat* (e tra loro: donne incinte, bambini piccoli, persone debilitate) opteranno per il trasferimento in via Asti, senza però accettare di essere chiusi in logiche da "campo d'internamento"; altri potrebbero non accettarlo...

I comitato di Solidarietà, sempre attento ai bisogni de* rifugiat* in questi 2 anni e sempre impegnato nello spiegare i contenuti (a chi spesso non sa nenche l'italiano) e le implicazioni delle varie (ben poche! a dire il vero) "soluzioni" proposte via via dalle Istituzioni, invita tutti e tutte ad una giornata di sostegno ai rifugiat* solidarietà e di vigilanza sull'operato di un trasferimento che Prefettura, Comune, Torino Cronaca, Massimo Numa e immobiliaristi interessati hanno troppa fretta di fare!

da Infoaut

Quel piazzista della tv del benessere


di Michele Serra, da Repubblica, 9 settembre 2009

Con Mike Bongiorno muore la televisione popolare del Novecento, quella fondata sul lavoro. Nella quale i ruoli erano definiti e separati, come in una fabbrica.

Il presentatore, il concorrente, la valletta, il notaio, e uscendo dal quiz l'annunciatrice, lo speaker, il telecronista, l'attore, l'imitatore, il cantante... erano definiti e separati.Capiva poco, e giudicava male, la televisione post-industriale dei nostri giorni, la confusione del reality, le risse verbali che confondono il regista e "sporcano" le inquadrature, lo sgomitare degli avventizi, l'essere in video senza alcuna giustificazione "professionale". Prese a male parole anche il Gabibbo ("Vattene, o chiamo le guardie!") che pure è un lavoratore televisivo tra i più umili e tradizionali, perché non sopportava che si turbasse il regolare svolgimento del suo quiz.

Era un uomo d'ordine. Un italiano del dopoguerra, operoso e pragmatico, felice di essere scampato a quello sconquasso, contento di vivere, di guadagnare quattrini, di comperarsi una casa più grande. La sua, a Milano, l'aveva scelta esattamente a mezza via tra gli studi della Fiera e la sede della Rai, perché il lavoro regolava la sua vita come un dio benevolo ma indiscutibile, e niente doveva accadere che non fosse "professionale". In questo, nella Rai delle origini, Mike incarnava l'aspetto non-romano, ingenuo, anticinico, nordista. È probabile che la sua popolarità, più ancora che nell'esotismo "americano", avesse radici nel piglio promettente e dinamico, da capufficio del boom, con il quale conduceva i suoi quiz: doveva apparire modernissimo, in quell'Italia in larga parte contadina e paesana, il giovanotto benvestito, con la cartella sotto il braccio, che sbrigava con destrezza quelle complicate trafile di domande e risposte. La valletta era la sua segretaria. Diede moltissimo a quella Rai, pedagogica e democristiana, nella quale una domanda sul controfagotto poteva ben figurare tra i metodi di acculturazione popolare.

Entrò a Mediaset con lo stesso slancio, spiegando quel passaggio d'epoca con il più bongiornesco e disarmante dei commenti: "Sapete, Berlusconi mi ha offerto dieci volte di più di quanto mi dava la Rai". Molti altri ebbero da Berlusconi dieci volte di più, non facendolo sapere. Seppe servire come nessun altro, con zelo e serietà, i nuovi padroni della televisione, gli sponsor, che citava come gli dei dell'Olimpo anche se producevano provole o detersivi da cesso. La sua maniera tetragona, imperturbabile, di seguire il filo logico delle cose, e solamente quello, lo rese amatissimo perfino da chi (non solo gli intellettuali) amava sorridere di lui, trovando irresistibile la sua psicologia molto basica, per niente smaliziata. Nella meraviglia con la quale presentava i concorrenti laureati ("Pensate!") si rifletteva l'arretratezza culturale dell'Italia di mezzo secolo fa, ma anche un rispetto delle gerarchie, delle forme, perfino delle apparenze che è stato totalmente stravolto, per mano della stessa televisione, negli ultimi vent'anni.
Non è dato sapere se Mike si fosse accorto davvero di quanto profondo, traumatico e irrimediabile fosse stato il cambiamento: dai tempi di "Pensate, è laureata" a quelli di "Lo sa dove deve mettersela, la sua laurea?". Forse fingeva di non essersene accorto, forse davvero era troppo impegnato a ricongegnare per l'ennesima volta un telequiz. Fatto sta che, a 85 anni, l'infinito ritorno dentro lo schema del "suo" telequiz, e della "sua" televisione, aveva assunto una certa qual magnifica follia. Vecchio, curvo, utilizzato da Sky per spot non sempre indulgenti con la sua età, aveva oramai l'aspetto e lo sguardo del vegliardo incontrollabile, quello che non deve rendere conto a nessuno perché cammina di fianco ai Campi Elisi.

Dalla vita ha avuto moltissimo, compreso (e non è poco) l'affetto di un intero popolo che lo considera uno di famiglia. Se ne è andato senza dovere fare i conti (o forse: rifiutandosi di farli, beato lui) con la fine della sua tv, quella delle competenze, dei tempi giusti, della pronuncia scandita perché tutti capiscano e nessuno si senta a disagio. Una televisione del benessere e non del malessere. La sua tv era morta già prima di lui. Ne era vedovo, ma le aveva voluto così bene che fingeva fosse ancora viva, e al suo fianco. Rimpiangeremo entrambi, e con una particolare, affettuosa delicatezza, il vecchio signore vestito di bianco che si faceva portare fuori scena da Fiorello, sottobraccio, ultima inquadratura di un viaggio solo domestico, ma formidabile per quanto è stato lungo, e cocciuto, e vitale.

da MicroMega

Morire in carcere


Quarantacinque giorni senza mangiare né bere, chiuso nella cella dell’infermeria del carcere di Pavia. Quarantacinque giorni per gridare a tutti, con il suo corpo sempre più debole, la sua innocenza. Poi, ieri, al Policlinico San Matteo Sami Mbarka Ben Gargi, 42 anni tunisino, ha messo fine allo sciopero della fame e della sete ed è morto. Adesso da Cagliari arriva un’altra segnalazione, quella di un uomo in sciopero della fame da metà luglio e della sete dal 17 agosto. Chissà se i paladini della vita che portavano pane e acqua davanti alla clinica dove era ricoverata Eluana Englaro porteranno pane e acqua anche davanti al carcere di Cagliari per chiedere che sia rispettata la vita sempre, anche quella delle persone detenute. Anche se sono povere, straniere, magari senza permesso di soggiorno.
Mbarka dal 16 luglio al 3 settembre aveva perso ventuno chili. La voglia di vivere, invece, l’aveva abbandonato quando su di lui era piombata la condanna della Corte d’appello di Milano: otto anni e mezzo per violenze sulla sua ex convivente. Un’accusa infamante che non accettava.
Per questo aveva deciso di farla finita. “Io sono un uomo e se lo sei anche tu – aveva detto al medico del carcere Pasquale Alecci – devi rispettare la mia decisione”. Così, giorno dopo giorno, ha lasciato che il suo corpo si consumasse. In mezzo ci sono stati due ricoveri all’ospedale San Matteo di Pavia per sottoporlo al trattamento sanitario obbligatorio. La prima volta è stato rispedito indietro perché il paziente era cosciente e lo ha rifiutato. Il secondo, il 2 settembre, con idratazione via flebo. Ma anche questo ricovero è durato poco perché Mbarka il giorno dopo è morto..
“Un soggetto già privato della sua libertà non puoi privarlo della facoltà di poter decidere e quindi di autodeterminarsi” ha detto il medico del carcere. Ma Aldo Egidi, l’avvocato che lo difendeva, è di altro parere: “Il loro compito – dice – non è solo custodire i detenuti, ma anche impedire le conseguenze estreme dei loro gesti”.
Mbarka invece è morto, come Ali Juburi, iracheno di quarant’anni deceduto un anno fa dopo ottanta giorni di digiuno nel carcere dell’Aquila.
Ora la procura di Pavia ha aperto un’inchiesta sulla morte di Mbarka per accertare eventuali responsabilità.

di Daniela de Robert da Articolo21

Il Chavez che conosco e i media italiani


La riflessione più evidente che nasce dalla lettura dei media italiani dopo il trionfale passaggio a Venezia del presidente venezuelano Hugo Chavez, per la prima del film-documentario South of the Border a lui dedicato da Oliver Stone, è che da noi proprio non ne vogliono sapere di dire la verità su quello che sta accadendo nel mondo e perché.
La nostra informazione, pateticamente impantanata nel suo stupido gioco di gossip, insulti e contro insulti locali, sembra ormai malata di autismo nelle sue certezze, anche quando queste certezze sono smentite dai fatti, come è accaduto nel recente crollo del muro del capitalismo.
Questa informazione è, infatti, così abituata ad essere bugiarda, superficiale, ridicola nel raccontare le persone e riferire i fatti che non sente nemmeno più il bisogno di chiedersi, per esempio, perché il regista Oliver Stone, quello di Salvador, Platoon, JFK, Wall Street, cioè un regista aduso a dire la verità fuori dai denti e a riflettere sul mondo che lo circonda, abbia sentito il bisogno di raccontare l’America latina oggi, usando il meccanismo del documentario, incontrando i presidenti del continente a sud del Texas, da Hugo Chavez appunto, al brasiliano Lula da Silva, all’argentina Cristina Kirchner con suo marito Nestor (che l’ha preceduta nella presidenza), all’ecuadoriano Rafael Correa, al paraguayano Fernando Lugo, al cubano Raul Castro, tutti in qualche modo protagonisti del vento di attenzione sociale e civile che sta cambiando e rendendo più giusta quella parte del mondo. Un vento che, secondo tutti gli indicatori internazionali, sta spingendo l’America latina verso un riscatto, storicamente atteso dal tempo delle conquiste coloniali di Spagna e Portogallo, e non gradito agli interessi delle nazioni del nord del mondo.
Oliver Stone compie questa traversata di un continente che sta recuperando diritti democratici, mentre in Europa si perdono ogni giorno brandelli di conquiste civili e sociali, inframezzando le incursioni nella vita di questi leaders a frammenti di telegiornali nordamericani che hanno il merito di sbriciolare la fama usurpata della tante volte esaltata capacità giornalistica dei media d’oltreoceano.
Non a caso proprio a Venezia, nella cena organizzata dalla produzione, dove c’era anche Chavez, Stone mi ha ribadito “Molti dei paesi latinoamericani che hanno recentemente conquistato un’indipendenza reale sono scorrettamente indicati da settori del nostro governo e da parte della stampa miserevolmente asservita come ’non democratici’, perché le loro nuove scelte economiche e politiche nuocciono ai nostri interessi. Tutto questo è insopportabile e bisogna avere la forza di denunciarlo”.
Insomma, il regista di Nato il quattro luglio e di Assassini nati fa il lavoro che una volta facevano i giornalisti, i saggisti, e che, da qualche tempo, fanno i registi come lui, come Sean Penn, George Clooney, perfino Soderbergh (nella rigorosa ricostruzione della vita e dell’epopea di Che Guevara, che smentisce tutte le invenzioni montate contro lui e contro Cuba), o come Michael Moore, l’iniziatore di questo genere, premiato da un pubblico che evidentemente vuole sfuggire le mistificazioni e le menzogne della televisione.
Non è quindi sorprendente che, salvo Il manifesto, i media italiani non abbiano sentito il bisogno di raccontare ai propri lettori il contenuto di South of the Border (A sud del confine), che sarebbe stato doveroso per aiutare il pubblico a capire, ma abbiano sguinzagliato, invece, presunti cronisti d’assalto alla ricerca del pettegolezzo, della battuta, insomma del niente.
Ero a Venezia, nel mio ruolo di giornalista e documentarista, eppure ne sono stato sfiorato io stesso.
In caso contrario questi cacciatori di panzane avrebbero dovuto ricordare, per esempio, che i leaders progressisti latino americani, protagonisti del film di Stone e che sono sembrati tutti dialetticamente più preparati dei nostri saccenti politici, hanno potuto affermarsi democraticamente solo dall’inizio del nuovo secolo, in particolare dopo l’11 settembre 2001, quando gli Stati uniti, distratti da due guerre inventate in Oriente, hanno perso di vista il “cortile di casa”. Prima avrebbero potuto far solo la fine di quei leaders democratici del continente, dal guatemalteco Arbenz al cileno Allende, eletti dal popolo e deposti da criminali giunte militari sostenute dai governi degli Stati uniti.
Ma il nostro attuale giornalismo parolaio ha paura di confrontarsi con la storia e con la verità.
Così sceglie sempre la via del cabaret o della plateale mistificazione.
Il Giornale di Berlusconi aveva per esempio un sommario, nell’articolo di Michele Anselmi, che recitava: ”Il feroce caudillo venezuelano, ospite del regista Oliver Stone, che lo celebra in un film e dimentica la ferocia del regime”. Una simile dizione che richiamava personaggi inquietanti sostenuti dall’occidente, come Bokassa o Idi Amin, o il dittatore haitiano Duvalier o i componenti della giunta militare argentina o cilena, responsabili, con l’appoggio degli Stati uniti, della tragedia dei desaparecidos, è infatti fondata sul niente. Purtroppo per il giornalismo italiano, se fosse stato chiesto a chi ha costruito quella pagina se fosse in grado di enumerare anche solo un atto di ferocia del presidente venezuelano, non avrebbe saputo rispondere, perché oltretutto Chavez, come sa chi fa un giornalismo onesto, è il protagonista di un percorso politico che lo ha visto prevalere dodici volte in altrettante consultazioni elettorali o referendarie negli ultimi undici anni. E’ un dato, questo, che per chiarezza dovrebbe tenere in conto anche una parte della sinistra italiana, prevenuta sulla politica del presidente venezuelano, malgrado i successi sociali che gli organismi internazionali gli riconoscono. Una volta Gad Lerner ha detto in tv “Chavez non ci piace”. Giudizio legittimo, che però suggerisce una domanda: il voto è forse uno strumento che vale solo quando vince il candidato che ci piace?
A controllare, recentemente, le elezioni in Venezuela c’era pure l’ex presidente degli Stati uniti Jimmy Carter con la sua Fondazione per i diritti umani. Non ebbe dubbi sulla correttezza della consultazione in corso.
A parte della nostra sinistra non piacciono nemmeno le frequentazioni di Chavez. A Venezia, per esempio, veniva, dopo un giro in Iran, in Siria e in Libia e l’indomani sarebbe andato in Bielorussia e Russia. "Faccio il presidente di un paese che è il quarto produttore modiale di petrolio" - ha spiegato a me e a Tariq Ali, sceneggiatore di South of the Border, nella cena della produzione. "Che faccio, ignoro questa realtà o tengo vive, periodicamente, le relazioni con le nazioni produttrici di petrolio e riunite nell’Opec, che non a caso ha ripreso vitalità da quando il segretario generale è stato un venezuelano? Insomma, devo fare gli interessi del mio paese o quelli delle multinazionali degli Stati uniti?”.
Non mi azzardo a chiedere che i giornalisti, ignari di quello che succede nel mondo, si addentrino su questi argomenti quando incrociano Chavez, ma mi aspetterei più correttezza almeno quando si affrontano problemi come quello dell’informazione in Venezuela.
Quando, nell’aprile del 2002, con l’appoggio del governo Bush e della Spagna di Aznar, l’oligarchia locale e perfino parte della Chiesa tentò il colpo di stato contro il suo governo democraticamente eletto, nelle ore drammatiche di quell’accadimento le tv, per il 95% in mano all’imprenditoria privata ostile a Chavez, incitavano all’eversione o, nel migliore dei casi, con nessun rispetto per i cittadini, trasmettevano cartoni animati.
Poi, nel tempo, le licenze di molte emittenti televisive e radiofoniche sono scadute e, come sarebbe successo negli Stati uniti e ovunque, a quelle che incitavano all’eversione e all’assassinio del presidente il permesso non è stato rinnovato.
Più recentemente è stata fatta una nuova legge che favorisce cooperative, gruppi di base e sociali. Essendo cittadino di un paese come l’Italia, sono prevenuto su ogni legge sulla televisione. So però una cosa: il 90% delle emittenti è rimasto, in Venezuela, in mano all’opposizione.
Non penso possa essere una legge più liberticida della nostra.

di Gianni Minà da Il Manifesto

FASCIST LEGACY - UN' EREDITA' SCOMODA



Fascist Legacy ("L'eredità del fascismo") è un documentario della BBC sui crimini di guerra commessi dagli italiani durante la Seconda Guerra Mondiale. La RAI acquistò una copia del programma, che però non fu mai mostrato al pubblico. La7 ne ha trasmesso ampi stralci nel 2004. Il documentario, diretto da Ken Kirby, ricostruisce le terribili vicende che accaddero nel corso della guerra di conquista coloniale in Etiopia – e negli anni successivi – e delle ancora più terribili vicende durante l’occupazione nazifascista della Jugoslavia tra gli anni 1941 e 1943. Particolarmente crudele la repressione delle milizie fasciste italiane nella guerriglia antipartigiana in Montenegro ed in altre regioni dei Balcani. Tali azioni vengono mostrate con ottima, ed esclusiva, documentazione filmata di repertorio e con testimonianze registrate sui luoghi storici nella I puntata del film. Il documentario mostra anche i crimini fascisti in Libia e in Etiopia. Nella II puntata il documentario cerca di spiegare le ragioni per le quali i responsabili militari e politici fascisti -colpevoli dei crimini- non sono stati condannati ai sensi del codice del Tribunale Militare Internazionale di Norimberga, per crimini di guerra e crimini contro l’umanità. Conduttore del film è lo storico americano Michael Palumbo, autore del libro “L’olocausto rimosso”, edito -in Italia- da Rizzoli. Nel film vengono intervistati -fra gli altri- gli storici italiani Angelo Del Boca, Giorgio Rochat, Claudio Pavone e lo storico inglese David Ellwood.



















Berlusconi “Rileggere la storia e correggere errori che sono stati scritti”


Silvio Berlusconi parla di unità d’Italia davanti ai giovani del Pdl, dopo aver cantato a gran voce sul palco assieme al ministro Giorgia Meloni l’inno di Mameli. “In preparazione del 150esimo anniversario della Storia d’Italia – ha detto il Premier – consiglio a tutti di andare a rivedere la nostra storia. Per una esigenza di verità è bene per tutti andarsi a rinfrescare la memoria o correggere quel che di erroneo è stato scritto”.

Questo il lancio della agenzie sull’intervento del Premier di ieri dal palco della festa “Atreju 2009″, a Roma
Sul punto rinfrescare la memoria, diciamo che è semplice. Invece sul punto correggere quel che di erroneo è stato scritto bisogna aspettare per sapere.

Nell’attesa, vi propongo dalla storia della Repubblica Italiana degli ultimi venti anni e con l’aiuto di Wikipedia e di tutti i suoi link all’interno, per coloro che non conoscono questa vicenda, il tema “L’armadio della vergogna”.
Quell’armadio rinvenuto nel 1994 in uno sgabuzzino di Palazzo Cesi in via degli Acquasparta a Roma, nella cancelleria della procura militare, dove fu ritrovato un archivio con 695 fascicoli riguardanti crimini di guerra commessi sul territorio italiano durante l’occupazione nazi-fascista, da Acerra a Trieste e nei Balcani, occultati subito dopo la guerra. L’armadio conteneva il promemoria Atrocities in Italy (Atrocità in Italia), con stampigliato il timbro secret. Esso proveniva dal comando dei servizi segreti britannici, che aveva raccolto le denunce delle vittime e consegnato il tutto ai giudici italiani, i quali però resero note solo le denunce verso ignoti.

L’armadio della vergogna da Wikipedia http://it.wikipedia.org/wiki/Armadio_della_vergogna

E se per caso avete un istante di tempo, dal sito del Quirinale, leggete l’intervento del Capo dello Stato per le celebrazioni dell’8 Settembre 2008 (http://www.quirinale.it/elementi/Continua.aspx?tipo=Discorso&key=706 )e quello dell’8 Settembre 2009 (http://www.quirinale.it/elementi/Continua.aspx?tipo=Discorso&key=1618).
E se poi avete ancora qualche momento a disposizione, leggete a questo link http://www.corriere.it/speciali/8settembre/index.shtml, dal Corriere della Sera, la celebrazione dei 60 anni dell’8 Settembre, con un bel reportage sugli eventi di quel giorno, tra fughe reali, notizie e contronotizie. Leggete il tutto e riflettete. Forse c’è qualcosa di più? Forse c’è qualcosa di più!
Quel qualcosa di più che a volte può sfuggire nella premura dei tempi moderni!
Quel qualcosa di più che il 9 Aprile 2008 comparve sul LaStampa.it, e che potete rileggere a questo link http://www.lastampa.it/redazione/cmsSezioni/politica/200804articoli/31717girata.asp.
Arrivederci al prossimo post, sempre sperando in Libertà, dal Vostro Cartapazio Bortollotti

di Cartapazio Bortollotti da Reset-Italia

L'anno zero della televisione


Negli uffici di Borgo S.Angelo, con il cupolone di S.Pietro che sembra caderti addosso, Michele Santoro aspetta. C'è via vai di facce note viste nei collegamenti del giovedì sera, segretarie, fattorini, sembra una giornata come le altre, alla vigilia di un nuovo inizio. E invece no.
Tra due settimane su Raidue vedremo Annozero. Quali servizi state preparando?
Nessuno, le nostre troupe sono ferme.
Ferme?
Ferme perché ancora i contratti dei collaboratori non sono stati firmati. Non abbiamo i contratti per far lavorare la squadra. Se andremo in onda sarà con Travaglio. Altro non so dirti.
In tutti questi anni era mai successa una cosa del genere?
Mai.
Ma la Sipra ha venduto la pubblicità, anzi vi propongono di inserire nel programma il terzo break.
Confermo. Ogni 30 secondi da noi costa dai 56 ai 66 mila euro, Ci ripaghiamo i costi, senza utilizzare un euro del canone, con un ampio margine di guadagno per l'azienda.
Dunque dov'è il problema?
Il problema si chiama Travaglio.
Vi chiedono di affiancargli un giornalista di destra?
Il testo di Travaglio viene letto dal direttore generale e di rete. Così gli esponenti del centrodestra che ospitiamo possono prepararsi a controbattere. Più di questo... Cosa diversa è mettere in trasmissione due persone che dicono cose opposte. Significa cancellare il punto di vista della trasmissione. Travaglio è il simbolo della persistenza di una censura verso tutti quelli (Guzzanti, Luttazzi, Grillo...) banditi dalla tv. Si dà per scontato che ci siano autori proibiti, artisti e giornalisti che non possono avere un rapporto con il pubblico. E' questo che fa diventare deflagranti, simboliche, le poche voci che restano. C'è un confine del proibito che si sposta e si allarga continuamente.
Sei tornato sul piccolo schermo dicendo ai telespettatori che si sarebbero dovute ascoltare tutte le voci. Avete perso la battaglia e ora rischiate di perdere anche i pezzi pregiati di Annozero?
L'editto bulgaro non è mai finito, è diventato la legge della comunicazione in Italia. Ho letto con interesse l'intervista di Agnes alla Stampa. Raccontava il legame tra la vecchia lottizzazione e i partiti di massa. Quella lottizzazione, che escludeva la destra culturale, bisogna riconoscerlo, tuttavia manteneva una corrispondenza tra chi faceva la tv e il pluralismo politico. Oggi non si fa riferimento a idee, ideologie, partiti, ma solo a questo o quel singolo politico. D'Alema, Franceschini, Bersani per parlare della sinistra. Persone, personalismi ma in nome di quale cultura? Raitre è l'ultima barriera perché rappresenta ancora una linea editoriale, un punto di vista, più o meno forte, ma un punto di vista.
Fuori c'è la monocultura berlusconiane, ma dentro la Rai?
Si va sempre di più verso un'azienda di funzionari che comprano i format, i produttori dei quali, a loro volta, vendono quello che non crea fastidi al funzionario. Niente quadri, via la gente che sa fare televisione. Dentro velinismo e becerume. Oltretutto questo funzionariato senza idee si professa anche cattolico. Bel risultato!
Rai e Mediaset hanno ancora due pubblici diversi?
Onestamente questa storia è finita. E non solo per colpa di Berlusconi, ma anche delle gestioni precedenti affidate alla sinistra. Vedi l'asse tra la sinistra e Saccà con allegata teorizzazione che la tv si può fare in un solo modo.
Mentana al Tg3 e Minoli a Raitre, perché no?
Con tutta la stima per Mentana, dovesse dirigere il Tg3 è naturale che vi porterebbe la sua esperienza del Tg5. Si può pensare tutto del Tg3, chiamala pure Telekabul, ma è un telegiornale diverso dagli altri. Delegittimare tutte le diversità per fare che cosa? Una televisione-omnibus, una televisione-Longanesi, una tv che non si può permettere un vero pluralismo ma solo una sorta di frondismo televisivo.
Descrivi l'evoluzione, la tappa finale, del conflitto di interessi: ammazzare creatività, pluralismo, professionalità. Ridurre la Rai a contenitore di format, sviluppare una parvenza di dialettica dentro il centrodestra. Senza via d'uscita?
Cerco di fare il mio lavoro, ma i contrappesi a Berlusconi si sono impoveriti. Sul piano del potere economico la debolezza delle banche è sotto gli occhi, e il vuoto di leadership della sinistra anche.
Lo scenario lascia intravedere una Rai con un bilancio in deficit pesante sommato all'omologazione del prodotto, alla scomparsa di pluralismo. A che cosa (o a chi) serve questa Rai?
A farne un'azienda a rischio-Alitalia, da privatizzare. Che non sarebbe un male in se, ma in questo contesto a pilotarla sarebbe Berlusconi e questo sarebbe un male di sicuro, visto che il nostro concorrente non dovrebbe essere Sky, ma Mediaset. E non mi pare che le strategie messe in campo rispondano a una logica di concorrenza con le tv di Berlusconi. Vedremo cosa accadrà con il digitale, ma finora Rai non ci ha guadagnato a scendere dal satellite, mentre Mediaset ora ha la sua pay tv nelle case di tutti gli italiani. Vedremo se le cose cambieranno.
Il 19 a Roma ci sarà una manifestazione per la libertà di stampa. Il manifesto e la sinistra radicale fino a ieri erano tacitati come fonti di sterile antiberlusconismo. Poi anche Repubblica si è convinta che il paese è segnato da un regime, e qualcuno teme lo spettro del «fascismo».
Posso dire? il fascismo aveva più rispetto per le intelligenze culturali, nel teatro, nel cinema. Non faceva dell'ignoranza e dell'incompetenza la sua bandiera. Siamo a un funzionariato servile, come del resto è emerso dalle telefonate tra Berlusconi e un dirigente della Rai. La mancanza di un dinamismo culturale, sociale, economico è devastante.
Va di moda la real-politik. Si fa quel che si può, il mondo non si cambia. A tenerci buoni ci pensa la tv?
Non è una situazione irreversibile, non penso a una dittatura imbattibile, ma la cosa grave è che in questa situazione se ci fosse un Obama, anche senza la tv, le cose potrebbero cambiare. Purtroppo da noi non esiste competitività, l'intellettuale è schiacciato, prima di fare bisogna pensare a cosa è possibile. Niente sogni per chi sta alla base della piramide sociale, né speranze di migliorare domani, come era per i nostri padri e come ancora la nostra generazione vorrebbe credere.
Se la tv non aiuta, ci sono sempre i giornali.
Ma guarda il Corriere della Sera! Oggi Berlusconi è tra i proprietari della testata, la crisi finanziaria ha indebolito le banche, e la linea politica è cambiata. Non è un piccolo dettaglio. Oppure guarda cosa è successo al direttore di Avvenire. Chi predica il culto della privacy poi ha un giornale dedicato al massacro del privato di tutti quelli che si permettono di criticare Berlusconi, senza rispetto per i tempi della cronaca dei fatti che si raccontano. O vogliamo dire che Feltri ha fatto uno scoop?
Giuliano Ferrara scrive che sei un kapataz, meglio persino la terribile Gabanelli con le sue inchieste-bomba, passi pure Fabio Fazio, ma Santoro proprio non gli va giù. Che gli hai fatto?
Ferrara ha provato a fare il mio stesso mestiere e i risultati non sono stati esaltanti, ricordo che a Mediaset gli inserzionisti scappavano quando si trattava dei suoi programmi. Io ho sempre difeso la sua libertà, ma in nessun paese le polemiche tra i giornalisti arrivano a chiedere tagli e censure politiche. Purtroppo Ferrara non concepisce che qualcuno possa operare in proprio, senza grandi chiese di riferimento, come ha sempre avuto lui.
Mike Bongiorno è morto fuori dalla tv, proprio lui la storia e il simbolo della televisione, mandato in pensione senza una telefonata...
Con il trattamento riservato a Mike è stato come se la tv espellesse se stessa. La televisione che manca di rispetto alla televisione. Mike aveva scelto di affiancare Fiorello, numero uno dell'intrattenimento Rai, e proprio per questo a sua volta espulso dalla tv generalista. E' questo il problema: non solo i talenti scomodi, ma anche il talento in genere trova sempre meno spazio nella tv generalista. Fino a una televisione senza televisione e senza talento. E' la nuova legge del conflitto di interessi.

di Norma Rangeri da Il Manifesto

Ion Cazacu

Ion Cazacu, quarantenne piastrellista rumeno, muore il 16 aprile del 2000 dopo un mese di agonia all'ospedale Sanpierdarena di Genova. Aveva gravi ustioni sul 90% del corpo. Un mese prima, a Gallarate, si era recato, insieme ad alcuni compagni di lavoro, dal suo "padroncino", il piccolo imprenditore trentacinquenne Cosimo Iannece. Ion era stufo di lavorare in nero e chiedeva di essere assunto.
La discussione diventò presto un brutto litigio. L'imprenditore perse la testa, prese una tanica di benzina, la versò addosso all'uomo e gli dette fuoco. I compagni della vittima denunciarono immediatamente l'accaduto alla polizia.
Agli inquirenti Iannece raccontò di averlo fatto per il timore che l'operaio chiedesse di essere regolarizzato per "scippargli" un appalto.
In primo grado il "padroncino" venne condannato a 30 anni di galera e a risarcire i danni alle due figlie di Cazacu, Alina e Florina: 400 milioni di lire a testa. La sentenza venne successivamente confermata in appello. La Cassazione rimandò il processo alla Corte d'Assise d'Appello per un vizio procedurale.
Con un verdetto sconcertante, la Corte d'assise d'appello (presidente Santo Belfiore) confermava l'intento omicida ma dimezzava la condanna cancellando l'unica aggravante rimasta a carico dell'imprenditore: l'aver agito per futili motivi. Esclusa quella, hanno potuto applicare la pena massima prevista per l'omicidio volontario semplice, 24 anni, riducendola automaticamente di un terzo come prevede il rito abbreviato: sedici anni.
La Procura Generale di Milano ricorreva in Cassazione ma la sentenza veniva confermata.

Alla vigilia del processo la vedova di Ion scrisse al giudice:

Sig. Giudice,
Sono Nicoleta Cazacu, già moglie di Ion Cazacu, e intendo renderLe note le ragioni che non inducono a non costituirmi parte civile e ad essere presente nel processo solo in rappresentanza delle mie figlie Alina e Fiorina. Ho aspettato questo processo come l'ambito dal quale ricevere giustizia per il gravissimo torto che io e le mie figlie abbiamo subito. Ma i miei avvocati mi hanno spiegato che il solo modo di partecipare al processo per far valere le mie ragioni è quello di esercitare l'azione civile attraverso la richiesta di risarcimento del danno, cioè attraverso la richiesta di una somma di denaro. Ho molto riflettuto su questo fatto, combattuta tra il disgusto che mi suscitava l'ipotesi di commisurare in qualsiasi modo la perdita di Ion con del denaro e la responsabilità che sentivo per il futuro delle mie figlie, che non possono più contare sulla presenza di Ion come padre e sui proventi del suo lavoro per il loro futuro. Ho molto pensato alla loro terribile sofferenza, al trauma insuperato, che sta rendendo necessario il ricorso ad uno psicologo che insegni loro a convivere con una realtà così insopportabile, perché io, che avevo provato ad aiutarle, mi sono resa conto di essere a mia volta troppo depressa e disperata. E poi, quale certezza c'è che io sarò sempre al loro fianco? Quando c'era Ion avevano tutto: un padre e i mezzi di sostentamento. Oggi, che già hanno perso il padre, non è giusto che si privino anche dei mezzi di sostentamento. Non è giusto che perdano proprio tutto. Quel contrasto, però, tra la responsabilità e il rifiuto, continua a vivere dentro di me, per questo oggi sono presente nel processo solo in rappresentanza delle mie figlie: Fiorina è maggiorenne, ma Alina no. Abbiamo deciso insieme che cosa fare. Per quanto riguarda me, io non voglio niente dall'uomo che ha ucciso mio marito, voglio solo giustizia. Quando c'era Ion, la cosa più importante era che lui poteva tornare a casa, da noi, da me, ed era questo a darmi felicità, non i soldi che lui mandava, che pure erano per noi necessari. A cosa mi servono i soldi ora che lui non c'è più, ora che non posso più essere felice, che la mia vita è un vuoto immenso?
Non conosco le leggi italiane e non ho mai avuto a che fare con i Tribunali, ma mi chiedo: se basta pagare dei soldi per avere uno sconto di pena, una persona ricca ha molti più vantaggi di una povera, e questa che giustizia è? La vita non è una merce che si può scambiare con il denaro: quando sei vivo puoi fare soldi, ma i soldi non possono fare la vita. La vita è un bene supremo, che viene da Dio, e nessuno all'infuori di Lui può decidere di porvi fine. Cosa credeva questo uomo che ha ucciso Ion, di essere Dio? Che cosa aveva dentro di sé questo uomo? Lui dice che aveva una grande rabbia. Tutti abbiamo della rabbia dentro di noi, ma che uomo è se non riesce a controllarla? Quale immane pericolo costituisce per la società? Che esempio per i suoi figli?
Per i bambini i genitori sono il primo esempio: da loro imparano quasi tutto, li imitano nei gesti, nelle parole, nella vita. L'uomo che ha ucciso Ion ha due figli che non sono colpevoli del male che ha fatto il padre, anche se ne portano già il peso e sono segnati definitivamente da quel gesto, ma non vorrei che quei bambini si privassero di qualcosa per me, perché sarebbero loro a soffrirne di più, non il padre, che con un solo gesto ha rovinato due famiglie, la sua e la mia. Come valuterebbero quei figli il gesto del loro padre se lui uscisse presto dal carcere? Penserebbero alla fine che non era poi tanto grave. Non si può permettere che dei bambini guardino con occhio superficiale a questo fatto perché non è questo il modo di costruire un futuro migliore per loro. Quell'uomo non ha solo negato i diritti di lon e la sua dignità di persona, ha persino distrutto il suo diritto alla vita. E allora, da quel momento, lui può solo essere debitore. lo voglio che questo uomo resti in carcere, non voglio contribuire a ridurre la sua pena e non è solo la rabbia che c'è dentro di me, la disperazione, l'impotenza, che mi fa dire queste cose. C'è anche la consapevolezza che in un'epoca confusa come la nostra le autorità dello Stato, almeno loro, devono dare messaggi chiari, poiché la popolazione non valuterebbe come grave ciò che è accaduto a Ion se non dovesse essere sanzionato con una pena adeguata, penserebbe che la morte di Ion, così atroce e insensata, non ha in verità nessun peso, perché Ion era uno straniero. Penserebbe che i diritti degli stranieri non sono uguali a quelli di un cittadino italiano.
Nicoleta Cazacu

scheda a cura di Alfredo Simone
da http://www.ecn.org/coord.rsu/pfoc/per_non_dimenticare_ion_cazacu.htm

Crepa barone, tutto va bene - meritocrazia e nuove gerarchie


È di questi giorni la notizia, strombazzata da un quotidiano umbro: “scovati i primi universitari evasori”. L’ateneo di Perugia ha infatti iniziato i controlli sui redditi dichiarati dagli studenti per il calcolo delle tasse e della relativa fascia che modula il prezzo della formazione. Oltre a polizia e carabinieri, dunque, nella loro crociata giustizialista i Caselli hanno a disposizione anche la guardia di finanza, per scovare gli evasori, far loro pagare i debiti e per “condurli davanti ad un giudice con l’accusa di falso”. È la “caccia ai furbetti dell’università”, sentenzia soddisfatto l’organo di informazione locale. Il rettore perugino giustifica i controlli a tappeto con l’esigenza di “recuperare un’evasione che i tecnici stimano in 4-6 milioni di euro di mancato gettito nelle casse dell’ateneo”. Ecco il punto. Da tempo ormai tra le lobby baronali, dilaniate da uno scontro interno per la sopravvivenza, regna l’unica parola d’ordine del si salvi chi può. Dopo il colpo semi-mortale inferto dalla legge 133, a luglio il governo ha annunciato – sulla base di una proposta elaborata dall’agenzia di valutazione – la differenziazione dei finanziamenti agli atenei, che è più corretto chiamare differenziazione dei tagli e delle possibilità di tirare a campare. Confermato lo storico e bipartisan disinvestimento statale sulla formazione, devono quindi racimolare fondi dove riescono: dal momento che gli imprenditori italiani hanno sempre preferito un ruolo parassitario, non resta che una soluzione. Nel libro cult del liberal-giustizialismo L’università truccata Perotti l’aveva già individuata con chiarezza: la crisi dell’università la paghino gli studenti e i precari attraverso l’aumento delle tasse e la riduzione dei costi della forza lavoro. E per chi non ce la fa a pagare subito, bisogna importare quel sistema del debito (qui chiamato prestito d’onore, per rispetto alle tradizioni locali) il cui crollo costituisce il cuore della crisi economica globale. Le accuse ai corrotti mostrano qui il loro vero volto: in tempi di crisi bisogna sacrificare qualcuno per salvare un sistema che produce esso stesso corruzione. E il linguaggio della meritocrazia si presenta finalmente, senza più fronzoli, come la veste retorica che occulta la materialità del declassamento e della precarietà. Così funziona oggi l’economia politica dei saperi.

Ma meritocrazia e accuse ai corrotti, come sempre succede, sono armi che presto si ritorcono contro chi le usa. Perciò i rettori, che si sono distinti per eccezionale pusillinamità di fronte ai tagli di Gelmini-Tremonti, sono ora costretti – per sopravvivere nella distribuzione “meritocratica” governativa – ad arraffare soldi disperatamente, anche a costo di mobilitare la guardia di finanza. Chi si illudesse, però, che il ministero dell’istruzione berlusconiano abbia ingaggiato una lotta contro i baroni, si sbaglia di grosso. Come l’ennesima alchimia riformatrice dei concorsi dimostra, si cambia tutto per non cambiare nulla: la decisione, ovvero l’imposizione dei criteri della misura e l’ultima parola sulla valutazione, spettano sempre alle lobby accademiche. Semplicemente, si stabilisce una nuova gerarchia al loro interno. È questa la decantata differenziazione, al centro del dibattito sui mutamenti dell’università italiana degli ultimi dieci anni, sponsorizzata dal Corriere della Sera e prefigurata dalla nascita dell’Aquis. Il problema non è distruggere il baronato, ma salvare dal fallimento i baroni più “meritevoli”.

In questo quadro, a nessuno studente e precario può certo venire la tentazione di versare una lacrima sullo smantellamento dell’università pubblica, nel suo terribile cocktail di potere feudale e tendenza aziendalista, né di muovere un dito per salvarne i signorotti in disgrazia. Ben altro è il problema dell’Onda: nell’aggravarsi della crisi, si pone immediatamente la questione della generalizzazione del conflitto attorno a welfare, disoccupazione e salari. Si pone, in altri termini, il problema di un programma per l’autunno. “Noi la crisi non la paghiamo” è certamente il suo titolo. Proviamo ad abbozzarne i contenuti:

Nuovo welfare, con garanzia di reddito e servizi sganciati dall’obbligo al lavoro e alla formazione e dalla cittadinanza;
Immediato risarcimento monetario da parte delle imprese e delle amministrazioni pubbliche per licenziamenti, dismissione di impianti e disoccupazione, per l’operaio della fabbrica che chiude, l’insegnante senza posto o il ricercatore senza borsa di studio, corrispondente al costo della vita e per almeno due anni;
Accesso illimitato al credito e diritto per studenti e precari alla bancarotta, ovvero al non ripianamento del debito;
Moratoria sulle tasse e abolizione dei criteri meritocratici;
Trasformazione del patrimonio immobiliare dell’università in case e spazi gestiti direttamente da studenti e precari;
Libero accesso alla cultura (libri, cinema, teatri) e agevolazioni per le istituzioni artistiche e culturali che garantiscono gratuità dei propri servizi e livelli salariali adeguati per chi vi lavora;
Pagamento di stage e tirocini da parte di imprese e università;
Trasformazione dei consigli didattici in consigli per l’applicazione dell’autoriforma, composti da studenti, precari e docenti che partecipano all’autoformazione, riconosciuti istituzionalmente all’interno dei dipartimenti, finanziati e con potere decisionale;
Elaborazione dei criteri di autovalutazione da parte di studenti, precari e docenti all’interno dei percorsi di autoformazione;
Accesso a fondi in modo indipendente per studenti e precari, senza il vincolo dell’approvazione baronale;
Libero accesso ai fondi per la mobilità internazionale, che coprano interamente costi e bisogni, e per la convocazione del Bologna Process dell’autoriforma, ovvero della costruzione di uno spazio europeo dell’istruzione superiore autogestito da studenti e precari;
Costruzione nell’università e nelle scuole di consigli metropolitani, ossia laboratori permanenti composti da studenti, insegnanti, precari, operai e migranti, aperti alle realtà sindacali disponibili a mettersi al servizio dei processi di autorganizzazione del lavoro/sapere vivo.

Questo abbozzo, da discutere dentro i processi di conflitto, è innanzitutto l’indicazione di un’urgenza politica: come rovesciare la difesa del pubblico, complice del privato e ancella della crisi, e trasformarla in costruzione di nuove istituzioni comuni. In decisione collettiva sulla ricchezza collettivamente prodotta. Dunque all’attacco, et puis... on voit.

di Gigi Roggero
da Carta 04.09.09
trovato su Uniriot

Sansone Berlusconi

Manca solo che ci dicano di che colore erano le lenzuola del «lettone di Putin» nelle innumerevoli occasioni in cui le «escort» al soldo dell’«imprenditore» barese Tarantini [che era convinto non a torto, come ha detto ai giudizi, che sesso e cocaina sono le chiavi del successo in società] «si sono fermate» per la notte a Palazzo Grazioli. Fossimo nei panni di Berlusconi [inimmaginabile], saremmo più che isterici. Proprio come il presidente del consiglio è in queste settimane. E che diavolo.

I giornali pubblicano le registrazioni dei colloqui intimi con la «escort» numero uno. Le procure «di Palermo e Milano» – dice lui stesso a tutti – mi stanno per dare una botta in testa. Il co-fondatore del grande partito chiamato Pdl mi contraddice sostenendo che invece i problemi ci sono, e gravi, tra noi due. Il direttore del mio giornale [cioè di mio fratello, ma fa lo stesso] mi mette contro l’intera Conferenza episcopale italiana pubblicando una velina di chissà chi contro il direttore dell’Avvenire [e non contento insulta subito dopo Fini]. Il terremoto dell’Aquila non è quel presepe che dovrebbe essere, le case nuove non ci sono per tutti, la gente protesta e i media reggeranno il bluff ancora per poco. Quel Tremonti lì se la prende con i banchieri in blocco. I giornali stranieri mi mettono alla berlina e pubblicano quel che in Italia non si può [le foto della villa in Sardegna, con il premier ceco Topolanek in atteggiamento attivo da un punto di vista maschile]. La Mariastella combina un casino con i precari, che si arrampicano ovunque sui tetti. Ecc.

Fossimo nei panni di Berlusconi, minacceremmo le elezioni anticipate, muoia Sansone con tutti i filistei. E infatti ha cominciato a minacciarle.

di Pierluigi Sullo da Carta