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giovedì 15 aprile 2010

NARDO’ – PORTO SELVAGGIO BELLO E POSSIBILE – ANCORA UNO SBARCO


L’altro ieri, 21 disperati tra afgani e curdi sono sbarcati sulla costa ionica nei pressi di Porto Selvaggio, parco protetto del comune di Nardò.
Porto Selvaggio ancora una volta protagonista di un possibile cambiamento. Ancora una volta sinonimo di speranza.
Questo parco è estremamente evocativo per alcuni neretini perché la sua storia è un pò particolare; per la salvaguardia di Porto Selvaggio (e non solo) è stato ucciso un assessore repubblicano Renata Fonte, perché si oppose alla lottizzazione del parco diventando sgradita a chi, al posto dell’oasi verde, avrebbe voluto vedere un bel residence (il “commenda” vincitore dell’appalto oggi sarebbe stato chiamato “il profeta” visto il numero sempre maggiore di villaggi turistici edificati lungo le nostre coste).
Ora, invece, sta diventando un punto di attracco per una possibile terra promessa, ennesima speranza per i sempre ultimi della terra.
In entrambi i casi il sentimento predominante è quello della disperazione che si ha sia per una morte ingiusta e per una giustizia ancora latitante sia per una “vita migliore” che forse (molto spesso è così) non arriverà mai.
Il parco sta diventando sempre più spesso punto di approdo, tra il 2009 e il 2010 sono stati già tre gli sbarchi avvenuti. I paesi di origine sono sempre Afganistan e Kurdistan.
Due nazioni violentate dalle guerre, dalle nostre beneamate guerre o “missioni di pace”.
Come possono convivere due parole estremamente lontane come guerra e pace???
In guerra non si va con i fiori (magari fosse così e allora si che la parola guerra prenderebbe un’accezione positiva) ma con i proiettili che molte volte uccidono poveri civili spettatori inermi di questo “bel gioco”.
Siamo abituati a sentire i numeri delle vittime, a fare la conta dei morti e quelle cifre rimangono incise nella mente, fredde, senza una vera sostanza.
Se, almeno per una volta, provassimo a metterci nei panni di chi,con il dolore nel cuore e un punto interrogativo nella testa, affronta dei viaggi interminabili e molto spesso senza fine, con la speranza che il buon Dio tanto venerato abbia un occhio di riguardo, solo allora potremmo comprenderli e rispettarli in quanto uomini, come noi, non come freddi numeri.
I potenti della terra giocano, e il loro gioco è mortale.
Vorrebbero, di conseguenza scrivono delle vere e proprie leggi, che le vittime della loro sporca guerra rimanessero nei propri territori a morire più in fretta, perché la nostra “evolutissima” nazione non può più accogliere “stranieri”.
Andiamo via dai loro paesi.
Porto Selvaggio quanti altri disperati dovrà accogliere???
Esportiamo il benessere inteso come sapere farmacologico, scientifico, esportiamo quello che c’è di buono e importiamo altrettanto.
Svegliamoci perché si sta facendo tardi.

Da Kabul, cronaca di un sequestro


Una delle infermiere italiane di Emergency rientrate a Kabul da Lashkargah racconta a PeaceReporter i fatti di questi giorni

I cinque membri dello staff internazionale di Emergency che si trovavano a Lashkargah lo scorso sabato, quando Matteo Pagani, Matteo Dell'Aira e Marco Garatti sono stati prelevati dall'ospedale, sono riusciti a rientrare a Kabul martedì mattina.

PeaceReporter ha contattato telefonicamente una di loro.

"Noi stiamo bene, ma siamo molto preoccupati per la sorte dei nostri colleghi, di cui non sappiamo più nulla", ha dichiarato a PaceReporter. "Non li vediamo da sabato mattina e non sappiamo più niente di loro da quando l'ambasciatore ha potuto incontrarli, domenica. Da allora buio assoluto. Lunedì non hanno concesso all'ambasciatore italiano di rivederli e ad oggi non sappiamo dove siano detenuti. Ci pare allucinante che il nostro governo, che mette tanti soldi e soldati in questo paese, non abbia nemmeno la possibilità di chiedere dove sono rinchiusi tre suoi cittadini! Tutta questa storia è una macchinazione vergognosa, e anche stupida".

"Sabato mattina Marco Garatti doveva partire per Kabul, ma il suo volo è stato cancellato. Dopo pranzo l'amministratore del nostro ospedale ha fatto evacuare tutti noi internazionali dall'ospedale dicendo che c'era un allarme-bomba. Quindi siamo tornati tutti a casa. Dopo un po' l'amministratore ci ha detto che l'allarme era rientrato e che potevano tornare tutti al lavoro. Ma proprio in quel momento ci ha chiamato l'infermiere afgano del pronto soccorso, dicendoci che dei militari erano entrati all'ospedale armi in pugno. Allora sono andati solo Marco, Matteo e Matteo per vedere cosa stava succedendo, e noi cinque siamo rimasti a casa, in attesa di notizie.
A un certo punto ci siamo accorti che sul tetto di casa c'era un poliziotto armato: ci siamo spaventati e ci siamo messi in corridoio, la zona più protetta della casa, e abbiamo cercato di contattare gli altri in ospedale, ma non rispondeva nessuno al telefono. La polizia avevano circondato la casa. Abbiamo chiamato i nostri a Kabul e a Milano per capire cosa stesse accadendo e dopo un quarto d'ora agenti afgani armati, in divisa e in tuta mimetica, sono entrati in casa. Hanno perquisito tutte le nostre stanze, hanno preso radio, computer e hard disc esterni e li hanno messi tutti in una delle camere, che poi hanno chiuso e sigillato con il nastro adesivo, dicendoci di non aprirla: sarebbero tornati l'indomani per controllare il contenuto dei computer. Non ci hanno dato nessuna spiegazione".

"La mattina dopo, domenica, sono arrivati tre agenti in borghese che si sono qualificati come agenti della Nds (National Directorate of Security, n.d.r) che hanno esaminato file per file tutti i nostri computer per tre ore, facendoci un sacco di domande sulle foto e su vari documenti e altre strane domande sul numero dei militari afgani deceduti mentre erano ricoverati nel nostro ospedale. Poi se ne sono andati portandosi via i computer dicendoci che erano 'sospetti' ma che ce li avrebbero restituiti in giornata. Ci hanno intimato di non lasciare la città fino alla fine delle indagini. Intanto l'ambasciatore era arrivato a Lashkargah, ma non è venuto a casa nostra perché a quanto pare non era autorizzato. Un afgano ci ha detto che c'erano delle persone in città che 'manifestavano contro Emergency'. Lo staff locale ci ha informati che l'ospedale era rimasto sotto il controllo della polizia armata afgana che ha chiesto loro di proseguire le attività mediche di routine. Ma non sappiamo se abbiano continuato ad ammettere pazienti. Eravamo sempre più tesi e preoccupati".

Lunedì la situazione è rimasta la stessa: noi chiusi in casa con la polizia fuori, senza notizie. L'ambasciatore italiano non è venuto a farci visita. In serata abbiamo sentito una forte esplosione nelle vicinanze, e abbiamo temuto il peggio: poi ci hanno detto che era una carica esplosiva fatta brillare dai militari Isaf. Alcune ore dopo abbiamo saputo che l'indomani saremmo potuti tornare a Kabul. Questa mattina, scortati dalla polizia, abbiamo raggiunto l'aeroporto dove ci hanno perquisito come mai era successo, svuotando tutti i nostri bagagli e facendoci anche brutti commenti sui nostri indumenti. E ora siamo qui a Kabul, senza i nostri passaporti, che - a quanto ne sappiamo - sono ancora in mano alle autorità afgane che li hanno prelevati dagli uffici dell'ospedale. Tutto questo è surreale!".

di Enrico Piovesana da PeaceReporter

The Berlusconi Show



È disponibile su Youtube il documentario The Berlusconi Show, trasmesso dalla Bbc il 17 marzo.
Il documentario, realizzato dal giornalista del Sunday Times Mark Franchetti, racconta la storia di Silvio Berlusconi, cercando di fare luce sulle ragioni che hanno portato al suo successo politico ed economico.

da Internazionale

Roberto Saviano a tutta destra

Vi riportiamo un articolo trovato su contropiano.org

Chi è Roberto Saviano?
di Giancarlo Staffolani

Dopo aver accusato le Farc colombiane, l’Eta e la Sinistra Basca di essere organizzazioni paramafiose colluse col narcotraffico, smentito dallo stesso governo spagnolo.

Definisce “Maroni il miglior ministro dell’interno da sempre in Italia”
“Israele il miglior esempio di stato per la legalità e la sicurezza”

Ora si scopre orgoglioso di essersi formato su ideologi nazifascisti come Ezra Pound, Carl Shmitt, inoltre è anche frequentatore degli stessi “centri” di CasaPound.
Così Roberto Saviano nell’intervista sul settimanale “Panorama” il 22/12/2009 elogia Maroni sul fronte antimafia e frequenta “Casa Pound” (dal sito il VELINO Agenzia Stampa Quotidiana Nazionale)

“Roberto Maroni sul fronte antimafia è uno dei migliori ministri dell’Interno di sempre”. Così Roberto Saviano apre l’intervista sul settimanale “Panorama”, in edicola da domani. “Ho sempre fatto riferimento alla tradizione che fu della destra antimafia: Paolo Borsellino si riconosceva in questa tradizione”, sostiene lo scrittore. “Il centrosinistra ha responsabilità enormi nella collusione con le organizzazioni criminali: le due regioni con più comuni sciolti per mafia sono Campania e Calabria. E chi le ha amministrate negli ultimi 12 anni? Il centrosinistra”.

A “Panorama” l’autore di Gomorra e di La Bellezza e l’Inferno offre di sé un’immagine diversa da quella si sempre:

“è un errore - dichiara - far diventare la battaglia antimafia una battaglia di parte. Come scrittore, mi sono formato su molti autori riconosciuti della cultura tradizionale e conservatrice, Ernst Jünger, Ezra Pound, Louis Ferdinand Celine, Carl Schmitt. E non mi sogno di rinnegarlo, anzi. Leggo spesso persino Julius Evola, che mi avrebbe considerato un inferiore.

Come scrittore è lì che mi sono formato, ma questo non significa che oggi mi senta in contraddizione se difendo la Costituzione. Non credo che la Costituzione italiana oggi sia di sinistra o di destra. Mi sembra semplicemente una base per garantire una convivenza equa a tutti i cittadini, per conservare lo stato di diritto che è una condizione indispensabile anche per la lotta alle mafie. E credo pure che il suo richiamo all’unità di questo Paese sia qualcosa d’importante. Personalmente, terrei che continuasse a esistere un paese di nome Italia, e penso che ci terrebbe pure Gabriele D’Annunzio. Non dimentichiamoci che non sono certo le organizzazioni criminali, italiane o straniere, a subire in negativo eventuali riassetti federalistici”.

Altro che. E i ragazzi di CasaPound (dove è andato a fare una conferenza), il centro sociale di destra, fecero la ola per la sua chiusa dedicata al poeta.

www.contropiano.org

da Indymedia

Un mecenate contro la mafia

Il filantropo Antonio Presti combatte da trent’anni il sistema mafioso siciliano organizzando iniziative culturali, scrive El País.

“Regalo cultura e bellezza senza volere niente in cambio. Fa parte della mia natura. Ma in Sicilia un comportamento del genere è sovversivo. Quando non chiedi niente in cambio, i porci mafiosi non possono eliminarti, i politici non ti possono censurare e la chiesa non ti può frenare”.

Mentre scende dalla magica piramide di acciaio costruita dal suo amico Mauro Stacciol, sulle alture di una montagna da dove si vedono il Tirreno e le isole Eolie, Antonio Presti racconta la sua storia con parole semplici, senza farsi coinvolgere. Con la tranquillità di chi sa di aver già vinto la partita.

Anni fa Presti ha deciso di dedicare la fortuna ereditata da suo padre a combattere il sistema mafioso dell’isola. In che modo? Investendo nella cultura. La sua prima opera è stata Fiumara d’arte. Era il 1982. Presti ha contrattato artisti italiani e internazionali per realizzare sculture da donare ai comuni.

Qualche mese dopo è stato denunciato per costruzione abusiva e appropriazione indebita di terreni. “Ironico, in una regione in cui quasi tutti costruiscono illegalmente”. Nel 2007 un giudice gli ha dato ragione, e ora la Fiumara è legale.

Presti ha ricevuto molte minacce nel silenzio totale dei suoi vicini. Ma non si è mai arreso, e ha continuato la sua crociata culturale.

da Internazionale