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lunedì 13 luglio 2009

JUNIOR MURVIN - POLICE AND THIEVES




JUNIOR MURVIN - POLICE AND THIEVES

Mmmm yes

Police and thieves in the street (oh yeah)
Fighting the nation with their guns and ammunition
Police and thieves in the street (oh yeah)
Scaring the nation with their guns and ammunition

From Genesis to Revelation yeah
And next generation will be hear me

All the crimes committed day by day
No one try to stop it in any way
All the peacemakers turn war officers
Hear what I say

Hehehehehehehey

Police and thieves in the street (oh yeah)
Fighting the nation with their guns and ammunition
Police and thieves in the street (oh yeah)
Scaring the nation with their guns and ammunition

Oh yeah

All the crimes committed day by day
No one try to stop it in any way
All the peacemakers turn war officers
Hear what I say

Hehehehehehehey

Police and thieves in the street (oh yeah)
Fighting the nation with their guns and ammunition
Police and thieves in the street (oh yeah)
Scaring the nation with their guns and ammunition

Police and thieves
Police...


Junior Murvin, vero nome Murvin Junior Smith (Port Antonio, Jamaica, circa 1949) è un cantante giamaicano. La sua carriera musicale inizia con l'incisione per la Gayfeet di Sonia Pottinger dei brani Miss Kushie nel 1966, e successivamente di Slipping e Jennifer, incisi con lo pseudonimo Junior Soul. Dal 1968, lavora con il produttore Derrick Harriott e l'etichetta Crystal, per il quale inciderà pezzi come Solomon, One Wife, Hustler, Magic Touch, Big Boy, Glendevon Special, Chatty Chatty, Yellow Basket e Rescue Children. Il suo maggior successo è il singolo Police and Thieves, prodotto da Lee "Scratch" Perry nel 1976. La voce in falsetto e la ritmica fecero di Police and Thieves un successo internazionale nell'estate del 1976. Il pezzo ebbe influenza anche su gruppi come i Clash, che lo inserirono nel loro disco di esordio, The Clash, nel 1977, e Boy George, che ne fece una cover nel 1997. Il musicista australiano Paul Kelly inserirà un riferimento a Murvin nella sua canzone di Natale, How to Make Gravy. La più recente produzione musicale di Murvin è il singolo Wise Man, pubblicato dalla Dubwise nel 1998.

CALAFRIKA MUSIC FESTIVAL


MigrAzione è un progetto che nasce dalla voglia di trasformare in fatti molti discorsi affrontati tra amici che condividono gli stessi valori e provengono da esperienze in luoghi diversi che li hanno avvicinati ai temi legati alla migrazione, non intesa solo come trasferimento di popoli ma soprattutto come promotrice di saperi e culture differenti.L'Associazione MigrAzione si pone come obiettivi: la diffusione di una cultura di pace, con uno sguardo alla diversità e all'unicità dei popoli. Diversità intesa come ricchezza e non come fattore discriminante, capace di migliorare, la percezione di popoli che si trovano geograficamente lontani, tramite lo scambio di conoscenze. Con queste idee, i membri dell'Associazione MigrAzione, hanno deciso di passare all'Azione promuovendo, nel proprio territorio, il primo "Calafrika Music Festival" che si svolgerà l'8 e 9 agosto 2009. Un piccolo paesino del cuore della Calabria, Jacurso (CZ), diverrà la location di eventi culturali, musicali e gastronomici frutto dell'incontro e della contaminazione tra Africa e Italia. L'Africa, terra così vicina alla Calabria da riguardarla in prima persona. L'Italia come ponte naturale tra due continenti che oggi più che mai tendono a mescolarsi. Attraverso la musica e i colori del festival, MigrAzione vuole portare un momento di riflessione sui temi che non possono essere ignorati e vuole esaltare la sensibilità della propria terra verso il tema della Migrazione. Durante i due giorni del Festival si svolgeranno seminari, concerti, mostre fotografiche oltre a momenti di riflessione di relax. Prima e durante l'evento saranno organizzate diverse attività al fine di raccogliere fondi che saranno devoluti all'Hiwot HIV/AIDS prevention, care and Support Organization, un' organizzazione non governativa che da dieci anni è impegnata sul territorio etiope per sostenere gli adolescenti affetti da patologie gravi come L´AIDS. Attraverso il festival VOGLIAMO RIPORTARE I GIOVANI, VOGLIAMO ANIMARE I VICOLI DI JACURSO SPERANDO CHE LE VIBRAZIONI DELL'EVENTO GIUNGANO A TUTTI COLORO CHE CONOSCERANNO IL "CALAFRIKA MUSIC FESTIVAL"...

Info: www.associazione-migrazione.org www.myspace.com/migrazione

14 luglio; blog in sciopero

Una giornata di "rumoroso silenzio" contro gli articoli "ammazza Internet" contenuti nel Decreto Alfano. Lanciata da blogger, giuristi , giornalisti. E nata sul nostro sito

Sono già centinaia di blog e i siti italiani che hanno aderito alla giornata di "rumoroso silenzio" della Rete indetta per il 14 luglio prossimo contro le norme del Decreto Alfano (quello sulle intercettazioni) che vanno a colpire anche il Web. L'iniziativa, organizzata dal docente Guido Scorza, dal giornalista-blogger Enzo Di Frenna e partita dal nostro blog Piovonorane, nasce dal fatto che nella proposta Alfano è previsto anche un "obbligo di rettifica" per i blog: un apparente richiamo alla responsabilità on line che in realtà, per il modo in cui viene imposto e sanzionato, diventa una disincentivazione molto forte alla produzione dei contenuti on line, con l'effetto di ridurre gli spazi di libertà in Rete.

«Gli ultimi mesi», scrivono gli organizzatori della protesta, « sono stati caratterizzati da un susseguirsi di iniziative legislative apparentemente estemporanee e dettate dalla fantasia dei singoli parlamentari ma collegate tra loro da una linea di continuità: la volontà della politica di soffocare ogni giorno di più la Rete come strumento di diffusione e di condivisione libera dell?informazione e del sapere. Le disposizioni contenute nel "Decreto Alfano" sulle intercettazioni rientrano all'interno di questa offensiva.

Il cosiddetto "obbligo di rettifica" imposto al gestore di qualsiasi sito informatico (dai blog ai social network come Facebook e Twitter fino a .... ) appare chiaramente come un pretesto, un alibi. I suoi effetti infatti - in termini di burocratizzazione della Rete, di complessità di gestione dell'obbligo in questione, di sanzioni pesantissime per gli utenti - rendono il decreto una nuova legge ammazza-internet.

Rispetto ai tentativi precedenti questo è perfino più insidioso e furbesco, perché anziché censurare direttamente i siti e i blog li mette in condizione di non pubblicare più o di pubblicare molto meno, con una norma che si nasconde dietro una falsa apparenza di responsabilizzazione ma che in realtà ha lo scopo di rendere la vita impossibile a blogger e utenti di siti di condivisione.


I blogger sono già oggi del tutto responsabili, in termini penali, di eventuali reati di ingiuria, diffamazione o altro: non c'è alcun bisogno di introdurre sanzioni insostenibili per i "citizen journalist" se questi non aderiscono alla tortuosa e burocratica imposizione prevista nel Decreto Alfano. La pluralità dell'informazione, non importa se via internet, sui giornali, attraverso le radio o le tv o qualsiasi altro mezzo, costituisce uno dei diritti fondamentali dell?uomo e del cittadino e, probabilmente, quello al quale sono più direttamente connesse la libertà e la democrazia. Con il Decreto Alfano siamo di fronte a un attacco alla libertà di di tutti i media, dal grande giornale al più piccolo blog».

Attorno all'iniziativa è nato un sito, chiamato Diritto alla Rete, a cui si può aderire registrandosi, inviando commenti, foto e video.

Qui il video in cui il professor Guido Scorza spiega le ragioni della protesta.

Qui una spiegazione sugli effetti della legge.

Alla protesta hanno già deciso di partecipare moltissimi blog, dai più noti ai meno conosciuti. Tra gli altri, quelli di Vittorio Zambardino, Ivan Scalfarotto, Luca Sofri, Alessandro Robecchi, Mario Adinolfi, Giuseppe Granieri, Claudio Sabelli Fioretti, Sergio Ferrentino e Antonio Di Pietro Chi vuole aderire o comunque contribuire al dibattito, può farlo sul sito di Diritto alla Rete

da L'Espresso

Stop di Emiliano a Bassolino e Loiero: "Non fatevi sedurre dalla Lega sud"

Il sindaco di Bari contro le tentazioni del Pd di aderire al partito di Lombardo. "Franceschini e Bersani cadono in una trappola elettorale: non parlano del Mezzogiorno perché temono di perdere il Nord del Paese"

BARI. Sbagliano Antonio Bassolino e Agazio Loiero a lasciarsi incantare dalle sirene del Partito del Sud. L´idea del governatore della Sicilia, Raffaele Lombardo, potrà sedurre parte della destra, ma non deve illudere gli esponenti del Pd. Michele Emiliano, sindaco di Bari e leader carismatico del Pd del Mezzogiorno, mette in guardia il proprio partito. Il dibattito è acceso. Il progetto non piace neanche a Fabrizio Cicchitto. «Sarebbe un passo indietro», dice il presidente dei deputati del Pdl. Per Lorenzo Cesa, invece, il nuovo soggetto politico decreterebbe la fine del Pdl.

Sindaco Emiliano, l´idea di un Partito del Sud seduce i presidenti di Campania e Calabria. Su che cosa si fonda il suo scetticismo? «I partiti non possono essere il frutto di una posizione di difficoltà dei propri fondatori. Sono d´accordo con Bassolino e Loiero quando affermano che esiste un´istanza meridionalista molto forte. La soluzione, però, non passa attraverso la costruzione di un partito del Sud, ma attraverso un´idea. È quello che abbiamo fatto in Puglia».

In che senso? «Dopo aver vinto le elezioni amministrative, a Bari ho istituito un assessorato alla questione meridionale. Abbiamo anche aderito alla consulta proposta da Adriana Poli Bortone, un organismo bipartisan. La stessa operazione l´ha fatta Nichi Vendola alla Regione Puglia, assegnando l´assessorato al Mezzogiorno al professor Gianfranco Viesti».

Qual è l´alternativa, allora? «Penso ad un accordo trasversale che eserciti una pressione su Roma. Questo progetto non ha bisogno di un´idea per risolvere la questione meridionale, anche con un patto di sindacato fra le regioni del Sud. Tenendo ferma la lezione di don Luigi Sturzo, ambirei a rendere nazionale la questione meridionale. Lo dico al Pd, il mio partito. Nel dibattito precongressuale né Franceschini né Bersani hanno mostrato una particolare considerazione nei confronti del Mezzogiorno».
Come pensa di tradurre questo progetto in alleanze politiche? «Bisogna far sì che i movimenti politici meridionali, senza alcun limite ideologico, guardino al Pd come forza nazionale capace di mettere il Mezzogiorno al centro della propria azione. Questo, però, richiede delle condizioni che devono essere accettate da tutti: lotta alle mafie; questione morale degli amministratori del Sud; efficienza della pubblica amministrazione».

Più che al Partito del Sud lei pensa soprattutto al Partito democratico. «Senza la centralità della questione meridionale, il Pd non ha alcuna speranza. Non ritornerà al governo del Paese fino a quando non convincerà il Sud a votarlo anche alle politiche. I ceti moderati e cattolici si avvicineranno soltanto se il Pd si dichiarerà fraternamente anticomunista».

È l´assenza di un politica per il Mezzogiorno che la porta a non schierarsi nella battaglia per la segreteria nazionale del Pd? «Il motivo per il quale non ho sciolto la riserva è politico. Franceschini e Bersani cadono nella trappola tutta elettorale di non parlare del Sud per paura di perdere il Nord del Paese».

da La RepubblicaBari di Raffaele Lorusso

Le reazioni africane al discorso di Obama

Il discorso di Barack Obama davanti al parlamento ghaneano è stato riconosciuto come un evento storico, e non ha lasciato indifferente nessuno. Uno dei primi commenti arriva dalla Repubblica Democratica del Congo.

“Obama ha parlato. Si è rivolto ai popoli d’Africa e le reazioni sono incoraggianti. È vero che la responsabilità dello sviluppo dell’Africa è soprattutto degli africani, che devono essere degli interlocutori validi. Ma alcuni fatti sono innegabili”.

Le Potentiel, insomma, ci tiene a fare elle puntualizzazioni sulle responsabilità di ognuno. “I conflitti africani sono in gran parte preparati dall’occidente. Certo, l’economia dello Zimbabwe è stata distrutta da Robert Mugabe. Ma è stata gettata sul lastrico perché Mugabe ha deciso una riforma agraria che non piace all’occidente. Le guerre nella Repubblica Democratica del Congo non sono un’invenzione dei congolesi. Per sfruttare le ricchezze del paese, l’occidente ha attizzato il fuoco fino a farlo esplodere. E sono forze occidentali che si affrontano nei Grandi Laghi”.

“Dove Obama ha ragione è quando invita gli africani a rialzarsi, a leggere il segno dei tempi e prendere in mano la sorte del continente. Ha ragione quando insiste sul fatto che gli africani sono responsabili dell’Africa. Questa è la sfida da cogliere”.

da Internazionale

Teheran è la mia casa

Gli iraniani hanno capito che nessuno gli concederà i loro diritti: devono andare a prenderseli, scrive Marjane Satrapi.

Sei anni fa in un caffè di Parigi sono andata a un incontro con un esiliato iraniano (di cui non dirò il nome). Dopo la rivoluzione del 1979 aveva dovuto andarsene dall’Iran per motivi politici. Non tornava nel suo paese da ventiquattro anni.Ha parlato di molte cose e ha concluso dicendo: “Chi lascia la sua patria può vivere ovunque. Io, però, rifiuto l’idea di non morire in Iran. Altrimenti la mia vita non avrà avuto senso”.

Penso a quelle parole commoventi da sei anni. E le capisco sia sul piano razionale sia a livello emotivo. Anch’io sono convinta di dover morire nel mio paese, l’Iran: altrimenti anche la mia vita sarebbe priva di senso. Quando ho incontrato quell’uomo, erano già passati quattro anni dall’ultima volta che ero tornata a casa.

Sì, per me l’Iran è casa mia, perché anche se ho già vissuto e vivrò a lungo in Francia, e anche se dopo tanti anni mi sento in parte francese, per me la parola “casa” significa una cosa sola: Iran.

Immagino che sia lo stesso per tutti: casa è il luogo dove si nasce e si cresce. Sono innamorata di Parigi, ma Teheran, pur nella sua bruttezza, ai miei occhi sarà sempre “la sposa” di tutte le altre città del mondo.

È una questione che ha a che fare con la geografia, con l’odore della pioggia, con ciò che sappiamo senza mai doverci chiedere perché lo sappiamo. Ha a che fare con i monti Alborz che proteggono la mia città. Dove sono adesso? Chi mi proteggerà ora? Ha a che fare con il tanfo insopportabile dell’inquinamento, che conosco così bene. C’entra il fatto di sapere che l’azzurro del cielo non è lo stesso dappertutto, e il sole non splende ovunque allo stesso modo.

Oggi sono passati più di dieci anni dall’ultima volta che sono tornata a casa. Per la precisione dieci anni, sei mesi e tre giorni. Per tutto questo tempo ho creduto che sarei vissuta qualche altro decennio senza mai poter camminare sulle mie montagne. Ma il 12 giugno 2009 è successo qualcosa a cui non avrei mai creduto di poter assistere.

Gli iraniani, accalcandosi in uno spazio di democrazia molto angusto – di solito gli consentono solo di votare un presidente già scelto dal Consiglio dei guardiani – hanno votato davvero. Prima delle elezioni la stampa mondiale si è chiesta se gli iraniani sono pronti per la democrazia.

E la risposta si è sentita forte e chiara: “Sì!”. Con un’affluenza alle urne dell’85 per cento, hanno cominciato a sognare un cambiamento. Hanno cominciato a credere che yes they can, che anche loro possono.

Non è la prima volta che gli iraniani dimostrano di amare la libertà. Basta dare un’occhiata alla storia del ventesimo secolo: sono stati loro a fare la prima rivoluzione costituzionale di tutta l’Asia, nel 1906. Poi nel 1951 hanno nazionalizzato l’industria petrolifera (primo paese mediorientale a fare una cosa del genere).

Hanno fatto la rivoluzione del 1979 e infine hanno dato vita alla rivolta studentesca del 1999. Il che ci porta all’oggi, e a quella richiesta assordante di democrazia. Da tempo gli iraniani gridano per chiedere la democrazia. Finora non li ha ascoltati nessuno.

Ma il 12 giugno 2009 è successo qualcosa. Quasi vent’anni fa, quando ho cominciato i miei studi di belle arti a Teheran, la semplice idea della “politica” ci spaventava al punto che non osavamo neppure pensarci. Parlare di politica? Impossibile! Manifestare in piazza contro il presidente? Surreale! Criticare la Guida suprema? Apocalittico! Gridare “abbasso Khamenei”? La morte!

Morte, tortura e carcere, per i giovani dell’Iran, fanno parte della vita quotidiana. I ragazzi di oggi non sono come noi, come me e i miei amici quando avevamo la loro età. Loro non hanno paura. Loro si tengono per mano e gridano: “Non abbiate paura! Non abbiate paura! Siamo tutti insieme!”.

Hanno capito benissimo che nessuno gli concederà i loro diritti: devono andare a prenderseli. Hanno capito che a differenza della generazione che li ha preceduti – la mia generazione, che sognava di lasciare l’Iran – il vero sogno non è abbandonare il paese ma combattere per esso, per liberarlo e per ricostruirlo.

Oggi ho letto da qualche parte che la “rivoluzione di velluto” iraniana è diventata “il colpo di stato di velluto”: amara ironia. Fatemi dire una cosa, però: con le sue speranze, i suoi sogni, la sua rabbia e la sua ribellione, questa generazione ha modificato per sempre il corso della storia. Nulla sarà più come prima.

D’ora in poi nessuno giudicherà gli iraniani guardando il loro presidente “eletto”. D’ora in poi gli iraniani saranno considerati persone coraggiose. Hanno riconquistato la fiducia in loro stessi. Hanno sfidato tutti i pericoli, dicendo “No”! E sono convinta che questo sia solo l’inizio.

Per questo da ora in poi dirò: “Chi lascia la sua patria può vivere ovunque. Io però mi rifiuto di tornare in Iran solo per morire. Un giorno in Iran ci vivrò. Altrimenti la mia vita non avrà avuto senso”.

Marjane Satrapi è un’autrice di fumetti iraniana. Vive a Parigi. Con il film Persepolis ha vinto il premio della giuria di Cannes nel 2007. Il suo ultimo libro è Taglia e cuci (Rizzoli Lizard 2009).

da Internazionale

11 luglio 2oo5: Paolo, ucciso perchè gay

Pareva un puntino bianco, là, in fondo alla piazza.
La mamma di Paolo si volta, alza la mano e regala un lungo saluto mentre l’applauso non smette, si fa ancora più intenso fra sguardi attoniti, pieni di lacrime: un unico fiato, sospeso…
Centinaia di persone hanno gridato così, così hanno pianto martedì 19 Luglio, alla fiaccolata organizzata a Roma per ricordare Paolo Seganti, torturato e trucidato da un branco di criminali legittimati da questo Papa, da questo governo, questo paese, ammazzato come un cane perché omosessuale – e per un attimo, uno soltanto, la stupidità e l’indifferenza hanno smesso di esistere.
Subito dopo la folla si è allontanata, silenziosa, composta, e chiunque avesse cercato sui volti una risposta non vi avrebbe letto che smarrimento, impotenza. Rabbia (quella vera che unisce al di sopra delle parti e trasforma la paura in coraggio, lucidità) no, non ancora.
I tempi di una Stonewall Italiana sono ancora lontani, temo.

Con Paolo non se ne è andata solo una persona conosciuta o sconosciuta, con lui evapora l’illusione che certe cose capitano solo a chi, in fondo, un po’ se le cerca, a chi non sta dalla parte giusta, nel modo giusto, fra le persone giuste, con i giusti mezzi per garantirsi il giusto grado di visibilità, riconoscimento, libertà.
Con lui se va definitivamente la certezza del diritto e, lasciatemelo dire, del privilegio. Paolo non era un marchettaro a caccia di sesso nel parco, non aveva sordidi conti in sospeso (come se ciò potesse giustificare un omicidio).
Paolo era un bravo ragazzo, un ragazzo normale senza grilli per la testa, credente in sofferenza perché rifiutato da quella comunità cattolica alla quale sentiva di appartenere, della quale voleva far parte.
Era solo andato ad annaffiare le sue amate piantine e ha pagato con la vita il prezzo dell’odio e del disprezzo, delle crociate moralizzatrici partorite dalla mente malata di Ratzinger, sostenute dal centro-destra nel silenzio colpevole e ossequioso del centro-sinistra, condivise dagli integralisti di questo ed ogni altro paese maschilista ed eterosessista.

I giornali e la TV quasi non hanno parlato dell’assassinio di Paolo e quando lo hanno fatto non sono riusciti a risparmiare all’intelligenza e, soprattutto, alla vittima, un supplemento di offesa, evidente o sottesa.
Figuriamoci se poteva rimbalzare sulla stampa nazionale la notizia di una fiaccolata straordinariamente partecipata, sentita, con motivazioni tanto importanti che non riguardano più, ne mai hanno riguardato soltanto i gay, le lesbiche e i/le transessuali.

Si dice che il Comune di Roma intitolerà a Paolo Seganti un albero o un parco, non so.
Chiunque sia sopravvissuto a gesti di violenza e discriminazione diretti o indiretti, chiunque ne abbia consapevolezza, non chiede per sé ed altri targhe o medaglie, parole di circostanza o compassione, ma “solo” l’applicazione della legge e il perseguimento senza sconti di chi compie tali atti (cosa che raramente avviene), il rispetto della Costituzione Italiana (se qualcosa vale ancora), la riaffermazione inequivocabile della laicità dello stato, un adeguamento legislativo che riconosca le persone LGBT* e finalmente le tuteli in modo specifico.
Oppure lo si scriva a chiare lettere, nero su bianco, che questo paese non è uno stato di diritto laico e democratico, che qui le persone con orientamento sessuale e affettivo non eterosessuale non sono gradite, lo si sancisca, dichiari, cosicché possano scegliere se andarsene dove le libertà individuali sono inviolabili, o restare a rischio della vita.

Perché di questo si tratta, casomai qualcuno non l’avesse ancora capito: in Italia non si corre più “solo” il pericolo di essere insultati, vessati, licenziati, emarginati, picchiati, stuprati – qui, ad essere gay, lesbiche e transessuali, si rischia di morire.

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Lunedì 11 luglio 2005. Paolo Seganti veniva ucciso a Roma all’interno del Parco delle Valli di via Val ´Ala, nel quartiere Montesacro. Un omicidio orribile: il corpo di Paolo fu torturato con una violenza assurda, conbastonate e coltellate, proprio per colpire il suo orientamento sessuale. Le responsabilità di questo crimine non sono ancora state accertate.

Un delitto che scosse profondamente la comunità lesbica, gay e trans romana eitaliana, che, una settimana dopo l’omicidio, scelse di ricordare Paolo con una fiaccolata in piazza del Campidoglio alla quale partecipò anche l’allorasindaco di Roma Walter Veltroni.

Negli ultimi dieci anni in Italia ci sono stati oltre 200 omicidi, di cui più di 40 aRoma. Una vera e propria piaga per la Capitale.

A Paolo Seganti, grazie alla volontà e al forte sostegno di sua madre, Augusta, è stato dedicato il numero verde Gay Help Line, il servizio che offre ogni anno migliaia di consulenze legali, psicologiche e mediche e che è in prima filanella lotta all’omofobia e alla transfobia.

Due anni dopo la sua morte, 11 luglio 2007, l’Amministrazione Comunale gli intitolava un viale all’interno del parco in cui venne ritrovato il suo corpo privo di vita.

Vogliamo ricordare Paolo con un ‘candle light’ alla Gay Street. E’ un modo per essere ancora vicini alla sua famiglia e per non dimenticare che la sua tragedia riguarda tutti. L´assassinio di Paolo Seganti è stata una delle pagine più efferate e tristi della vita recente della nostra città. Ogni anno si verificano numerosi episodi di omofobia e di discriminazione a Roma e inItalia: un fenomeno drammatico la cui portata è ancora non identificabile perché sono ancora troppe le persone che non denunciano.

da Indymedia e Arcigay

Grecia. La polizia attacca e incendia un campo profughi

Patrasso. Sgomberato, demolito e dato alle fiamme il campo dei profughi afgani alle porte della città.
Arrestati 4 antirazzisti.

Non lontano dal porto di Patrasso è sorto negli ultimi anni un insediamento abusivo, dove approdano i rifugiati afgani diretti nel nostro paese. Negli ultimi due anni numerosi sono stati i tentativi (falliti) di sgombero, le operazioni repressive e le manifestazioni di protesta dei rifugiati appoggiati da gruppi anarchici e associazioni antirazziste. Nel settembre del 2008 vi si era svolto un campo No Border.Intorno alle 5 del mattino di domenica 12 luglio la polizia ha circondato il campo. Secondo le testimonianze dei presenti quattro cittadini greci che si trovavano nei pressi per esprimere solidarietà sono stati immediatamente arrestati. Subito dopo la polizia è entrata nel campo bloccando i rifugiati e dando il via al lavoro di demolizione. Mentre l’operazione era in corso, ad una delle estremità del campo è divampato “misteriosamente” un incendio che nel giro di qualche ora ha distrutto buona parte delle baracche. Quelle rimaste in piedi sono state abbattute dalla polizia.

Sul sito della BBC c’è un video che mostra la demolizione e l’incendio.
http://news.bbc.co.uk/2/hi/europe/8146597.stm

Gli afgani fuggono una guerra feroce: il governo greco li accoglie con manganelli e fuoco. La guerra è anche in Grecia.

Ecco un elenco di indirizzi e numeri di telefono utili per chi vuole dire la propria ai responsabili dell’attacco al campo profughi di Patrasso:

Ambasciata di Grecia presso lo Stato Italiano
Via S. Mercadante 36
00198-Roma
Tel. 06.8537551
Fax 06.8415927
gremroma@tin.it

Ufficio dell'Addetto alla Difesa dell’Ambasciata di Grecia in Italia
Viale Rossini, 4
00198-Roma
Tel. 06.8553100
Fax 06.85354014

Ufficio Commerciale dell’Ambasciata di Grecia in Italia
Viale Parioli, 10
00198-Roma
Tel. 06.80690758
Fax 06.80692298
oey@ambasciatagreca.191.it

Ufficio Stampa dell’Ambasciata di Grecia in Italia
Via Rossini, 4 00198 Roma
Tel. 06.8546224/068419719
Fax 06.8415840
ufficiostampa@ambasciatagreca.it

Consolato Generale di Napoli
Via A.Gramsci,5
80122-Napoli
Tel. 081-7611243-7611075
Fax081-666835
Email: congrena@tin.it

Consolato Onorario di Ancona
Corso Mazzini, 122
60100- Ancona
Tel. 071-56260
Fax 071-56260

Consolato Onorario di Bari
Via Amendola 172/C
70126-Bari
Tel e fax 080-5468049, 5461657

Consolato Onorario di Bologna
Via dell'Indipendenza 67/2
40128-Bologna
Tel. 051-4213273
Fax 051

Consolato Onorario di Brindisi
Via Tarantini, 52
72100-Brindisi
Tel. 0831-563405
Fax 0831-590543

Consolato Onorario di Catania
Viale Ionio 134
95129-Catania
Tel. e Fax 095534080

Consolato Onorario di Firenze
Via Cavour, 38
50129-Firenze
Tel/fax 055-2381482
Email: gr.consolato@iol.it

Consolato Onorario di Livorno
p.zza Attias, 13
57100-Livorno
Tel/fax 0586-265687

Consolato Onorario di Palermo
Via Noto, 34
90141-Palermo
Tel 091-6259541
Fax 091-308996

Consolato Onorario di Perugia
Via Sant'Ercolano, 12
06121-Perugia
Tel 075-5735140-5736145
Fax 075-5721810

Consolato Generale Onorario di Torino
Via Galileo Ferraris, 65
10128-Torino
Tel e Fax 011-5068635
email: consolatogrecoditorino@yahoo.it

Consolato Generale Onorario di Trieste
Via G.Rossini,6
34132-Trieste
Tel. 040-363834
Fax 040-363822, 77723

Consolato di Venezia
San Polo 720
30125-Venezia
Tel. 041-5237260
Fax 041-5238837
Email: hellasve@libero.it

Milano
Consolato generale di Grecia
Viale Beatrice d' Este, 1- 20122 - Milano
Tel: 02.65.37.75 - 02.65.98.624
Fax: 02.29.00.08.33

Roma
Consolato Grecia
Via Stoppani Antonio,10 - 00197 Roma
Tel.: 068081114

da Indymedia

Caselli e Mattiello: nemici di chi?

Miseria e conservazione della Sinistra Legalitaria torinese

Attaccare il Procuratore Caselli non sta proprio bene. Va bene prendersela con le autorità normali, quelle già esposte al pubblico ludibrio ma attaccare un eroe nazionale... suvvia !

Toni e contenuti della manifestazione di ieri sera, che ha portato per le strade di Torino quasi 2000 persone a chiedere la liberazione dei 21 arrestat* dell’Onda, hanno dato fastidio a molti, c’era da aspettarselo.
Sulle pagine di Repubblica-Torino leggiamo oggi una "vibrante" presa di posizione di tale Davide Mattiello, niente-po'po'-di-meno-che... presidente di Libera Piemonte. E scusate se è poco!
Il succitato ha sentito il dovere improcrastinabile di correre in soccorso del suo principale, il Procuratore Caselli, oggetto di ripetute critiche in questi giorni che hanno succeduto gli arresti preventivi dell'operazione "Rewind".
Il nostro deve aver vissuto come personalmente inaccettabili e lesivi della pubblica decenza i ripetuti attacchi (verbali, telematici e scritti - tanto per precisare!) contro il sommo Procuratore.
Perché invece l'arresto preventivo-cautelare di 21 ragazz* (cioè senza alcun processo che li definisse "colpevoli") per quelli della sua estrazione è cosa normale, sana e giusta.
Su questo, il Mattiello - c'era da giurarci - non ha nulla di dire!
Avevamo già rilevato l'assordante silenzio della sinistra istituzionale sull'intera vicenda, un po' per codardia, un po' per cinismo, un po' per reale incapacità a saper prendere una qualunque posizione.
In questo deserto ecco farsi avanti, profeta in patria, il Mosé-Mattiello ad annunciare le virtù salvifiche del Gesù-Caselli che avrebbe sacrificato chissaché alla propria biblica lotta contro l Male.
In verità, ci sembra, il Mattiello è forse più che tutto preoccupato di difendere il suo comodo posto di lavoro dentro Libera Piemonte. A tal fine, è bene mostrarsi ligi e adoranti le pubbliche virtù del titolare.

Perché spendere ancora tempo e fatica a rispondere a personaggi di questo calibro, si chiederà qualcuno?! Giusta domanda... Il fatto è che troviamo davvero insopportabile dover sempre stare in silenzio e lasciar passare le periodiche dichiarazioni di queste associazioni di paraculi.
Sì, diciamolo senza mezze misure e infingimenti. Nonostante l'aria che si danno e l'aura con cui ammantano il loro operato da odierni Don Chisciotte, questi giovani dell'Antimafia non fanno paura a nessuno, servono (nel senso che "sono utili a" e ne sono "servi") egregiamente le istituzioni e non rischiano assolutamente nulla. E' ora di finirla con queste litanie su presunti eroi che girano il paese coi soldi pubblici costruendosi rispettabilità e carriera. Hanno l'appoggio di tutte le istituzioni, dal Governo giù fino all'ultimo paesello di provincia. Tutti a dargli pacche sulle spalle.
La verità è che costoro sono parte integrante e ben oliata dei meccanismi di funzionamento del Sistema. Sono, ci si conceda il gioco di parole, "Racket sul Racket": acquisiscono beni e soldi sequestrati a chi sequestra e taglieggia. La differenza è che loro lo fanno con l'avvallo dello Stato e senza rischiare nulla.
Potremmo definirli la versione nazionale delle Ong. Come quelle anticipano e "curano" posticipatamente le ferite delle guerre globali ai 4 angoli del pianeta, questi salgono sui carri dei vincitori impossessandosi di ricchezze e beni presentati mediaticamente come "tesori della mafia". E gli immobili pluri-miliardari dell'Immobiliare milanese, romano, torinese, genovese? Lì Caselli e Libera non arrivano. Poteri troppo forti e intoccabili! Più facile prendersi - a battaglia finita - le case al mare di 4 criminali. Il tutto facendosi sorreggere dall'ideologia buonista della medicalizzazione sociale. Sempre cattivi e devianti da curare... Che vomito!

Il Mattiello arriva addirittura a proferire una dichiarazione d'amore per questa Repubblica (come sempre) "nata dalla Resistenza", ovviamente "da difendere" con la santa pratica della "non-violenza".
Una piccola domanda signor Mattiello: A che Repubblica ti stai riferendo?
Alla Prima, retta per 50 anni dai Democristiani e conservata grazie alla collaborazione del Pci e dei suo giudici che (come il Caselli) comminarono secoli di galera ad una generazione che liberarsi voleva per davvero?
Alla Seconda, segnata dall'ascesa di Berlusconi e della Lega Nord e dalla progressiva scomparsa di questa vostra Sinistra di merda?
O alla Terza, che state cercando di far nascere - come tanti Richelieu tramanti nei corridoi del potere - sulle disavventure sessuali del Cavaliere?
Prenditi tutto il tempo che vuoi per rispondere caro Mattiello, tanto sappiamo già da che parte starai... Non ci stupiremo di vederti un giorno salire sul carro dei vincitori a inaugurare una nuova sede di Libera in un centro sociale sgomberato, in una ex-casa occupata da profughi o in qualche stanzetta occupata da qualche collettivo universitario dopo una mobilitazione che sarà durata qualche mese.

Ma non ti preoccupare, anche allora ci sarà qualcuno che saprà opporsi e dare filo da torcere!

Network Antagonista Torinese
csoa Askatasuna – csa Murazzi – coll universitario autonomo – koll studenti autorganizzati
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N.b. "Dimmi a chi ti accompagni e ti dirò chi sei". Nella foto sotto si possono notare, ripettivamente, Davide Mattiello (Libera Piemonte), Gian Carlo Caselli (non ha bisogno di presentazioni) e tale Marco Martino (funzionario” della squadra mobile). I tre intervengono ad una serata di Acmos (una delle associazioni-taglieggio di cui sopra) sul tema "Sicurezza".

da Infoaut

Andreotti. I fatti separati dalle opinioni: Mafioso fino al 1980

Giulio presidente del Senato? Ecco gli eventi accertati. Incontrò due volte il capo di Cosa nostra, Stefano Bontate. Coltivò rapporti con Salvo Lima, Vito Ciancimino, i cugini Salvo. Parlò con il boss Manciaracina

Candidato alla presidenza del Senato. Dal centrodestra, ma non senza la possibilità di «unire», cioè di ottenere voti dal centrosinistra. Una candidatura, ha esplicitato qualcuno, che vale anche come risarcimento per il «calvario giudiziario» che ha dovuto sopportare.Giulio Andreotti riuscirà a conquistare la seconda carica dello Stato? A ogni buon conto, ecco alcuni brani delle sentenze palermitane che lo riguardano. Vi sono raccontati fatti che basterebbero da soli ­ anche prescindendo dalle paroline finali (assolto, condannato, prescritto) ­ a spingere qualunque cittadino di qualunque Paese civile a decidere di non stringere più la mano a chi ne è stato protagonista. Altro che cariche istituzionali.

Alcune note tecniche. La sentenza di primo grado (del 23 ottobre 1999) è confermata da quella d¹appello (del 2 maggio 2003), che la riforma soltanto trasformando l¹assoluzione in prescrizione del reato di associazione a delinquere, comunque «commesso fino alla primavera del 1980». Dunque il senatore Andreotti per i suoi rapporti con Cosa nostra è stato riconosciuto responsabile, fino al 1980, del reato di associazione a delinquere (l¹associazione mafiosa, con l¹articolo 416 bis, è stata introdotta solo dopo i fatti contestati). Per le accuse successive alla primavera del 1980, la Corte d¹appello conferma i fatti, confermando però anche l¹assoluzione: ai sensi dell¹articolo 530 secondo comma del Codice di procedura penale, che ricalca la vecchia insufficienza di prove. Tutto ciò diventa definitivo con la sentenza finale dalla Cassazione, il 15 ottobre 2004. Ecco dunque i fatti accertati nelle sentenze Andreotti.

Rapporti con Cosa nostra.
Secondo la Corte d¹appello, Andreotti, «con la sua condotta (...) (non meramente fittizia) ha, non senza personale tornaconto, consapevolmente e deliberatamente coltivato una stabile relazione con il sodalizio criminale ed arrecato, comunque, allo stesso un contributo rafforzativo manifestando la sua disponibilità a favorire i mafiosi».

In definitiva, la Corte ritiene «che sia ravvisabile il reato di partecipazione alla associazione per delinquere nella condotta di un eminentissimo personaggio politico nazionale, di spiccatissima influenza nella politica generale del Paese ed estraneo all¹ambiente siciliano, il quale, nell¹arco di un congruo lasso di tempo, anche al di fuori di una esplicitata negoziazione di appoggi elettorali in cambio di propri interventi in favore di una organizzazione mafiosa di rilevantissimo radicamento territoriale nell¹Isola: a) chieda ed ottenga, per conto di suoi sodali, ad esponenti di spicco della associazione interventi para-legali, ancorché per finalità non riprovevoli; b) incontri ripetutamente esponenti di vertice della stessa associazione; c) intrattenga con gli stessi relazioni amichevoli, rafforzandone la influenza anche rispetto ad altre componenti dello stesso sodalizio tagliate fuori da tali rapporti; d) appalesi autentico interessamento in relazione a vicende particolarmente delicate per la vita del sodalizio mafioso; e) indichi ai mafiosi, in relazione a tali vicende, le strade da seguire e discuta con i medesimi anche di fatti criminali gravissimi da loro perpetrati in connessione con le medesime vicende, senza destare in essi la preoccupazione di venire denunciati; f) ometta di denunciare elementi utili a far luce su fatti di particolarissima gravità, di cui sia venuto a conoscenza in dipendenza di diretti contatti con i mafiosi; g) dia, in buona sostanza, a detti esponenti mafiosi segni autentici ­ e non meramente fittizi ­ di amichevole disponibilità, idonei, anche al di fuori della messa in atto di specifici ed effettivi interventi agevolativi, a contribuire al rafforzamento della organizzazione criminale, inducendo negli affiliati, anche per la sua autorevolezza politica, il sentimento di essere protetti al più alto livello del potere legale».

Le «vicende particolarmente delicate per la vita» di Cosa nostra e i «fatti di particolarissima gravità» sopra menzionati riguardano Piersanti Mattarella, presidente democristiano della Regione Sicilia, impegnato in un¹opera di moralizzazione che l¹aveva posto in rotta di collisione con la mafia, che perciò lo uccise il giorno dell¹Epifania, il 6 gennaio 1980, mentre con la moglie, la madre e i suoi due figli stava per andare a messa. Andreotti, si legge nella sentenza, «era certamente e nettamente contrario» alla commissione del delitto, ma come tentò di evitarlo? Andando a incontrare in Sicilia l¹allora capo di Cosa nostra, Stefano Bontate, per trattare con lui e discutere dei «problemi» che Mattarella poneva. Andreotti, «nell¹occasione, non si è mosso secondo logiche istituzionali, che potevano suggerirgli di respingere la minaccia alla incolumità del presidente della Regione facendo in modo che intervenissero per tutelarlo gli organi a ciò preposti e, per altro verso, allontanandosi definitivamente dai mafiosi, anche denunciando a chi di dovere le loro identità ed i loro disegni».

Invece, «ha, sì, agito per assumere il controllo della situazione critica e preservare la incolumità dell¹on. Mattarella, che non era certo un suo sodale, ma lo ha fatto dialogando con i mafiosi e palesando, pertanto, la volontà di conservare le amichevoli, pregresse e fruttuose relazioni con costoro, che, in quel contesto, non possono interpretarsi come meramente fittizie e strumentali». Ucciso dai mafiosi Mattarella, «Andreotti non si è limitato a prendere atto, sgomento, che le sue autorevoli indicazioni erano state inaspettatamente disattese dai mafiosi ed a allontanarsi senz¹altro dagli stessi, ma è ³sceso² in Sicilia per chiedere conto al Bontate della scelta di sopprimere il presidente della Regione: anche tale atteggiamento deve considerarsi incompatibile con una pregressa disponibilità soltanto strumentale e fittizia e (...) non può che leggersi come espressione dell¹intento (fallito per le ragioni già esposte in altra parte della sentenza) di verificare, sia pure attraverso un duro chiarimento, la possibilità di recuperare il controllo sulla azione dei mafiosi riportandola entro i tradizionali canali di rispetto per la istituzione pubblica e di salvaguardare le buone relazioni con gli stessi, nel quadro della aspirazione alla continuità delle stesse».

Rapporti con Michele Sindona.
Intensi e significativi i rapporti di Andreotti con il bancarottiere legato alla mafia siciliana, condannato come mandante dell¹omicidio di Giorgio Ambrosoli, commissario liquidatore delle banche di Sindona. Secondo la sentenza di primo grado, «è stato provato» che il senatore Andreotti «adottò reiteratamente iniziative idonee ad agevolare la realizzazione degli interessi del Sindona nel periodo successivo al 1973», così come fecero «taluni altri esponenti politici, ambienti mafiosi e rappresentanti della loggia massonica P2». Andreotti destinò a Sindona «un continuativo interessamento, proprio in un periodo in cui egli ricopriva importantissime cariche governative». Fu «attivo» il suo «impegno per agevolare la soluzione dei problemi di ordine economico-finanziario e di ordine giudiziario» di Sindona e per avvantaggiarlo nel «disegno di sottrarsi alle conseguenze delle proprie condotte». Se «gli interessi di Sindona non prevalsero» fu merito di Ambrosoli, che si oppose ai progetti di salvataggio del finanziere, sostenuti invece da Andreotti, altri politici, ambienti mafiosi e piduisti. Andreotti «anche nel periodo in cui rivestiva le cariche di ministro e di presidente del Consiglio si adoperò in favore di Sindona, nei cui confronti l¹autorità giudiziaria italiana aveva emesso fin dal 24 ottobre 1974 un ordine di cattura per bancarotta fraudolenta». I referenti mafiosi di Sindona conoscevano «il significato essenziale dell¹intervento spiegato dal senatore Andreotti (anche se non le specifiche modalità di esso)». E tuttavia, conclude il tribunale, non vi è «prova sufficiente che l¹imputato abbia agito con la coscienza e volontà di apportare un contributo casualmente rilevante per la conservazione o il rafforzamento dell¹organizzazione mafiosa».

Rapporti con i cugini Salvo.
Ignazio Salvo fu condannato per mafia e poi ucciso da Cosa nostra, Nino Salvo morì per cause naturali dieci giorni prima dell¹inizio del maxiprocesso di Palermo, che lo vedeva tra i rinviati a giudizio. «L¹asserzione dell¹imputato di non aver intrattenuto alcun rapporto con i cugini Salvo è risultata inequivocabilmente contraddetta dalle risultanze probatorie», sancisce la sentenza di primo grado. Tra queste risultanze, due testimonianze oculari su un lungo colloquio tra Andreotti e Nino Salvo nel corso di un¹iniziativa pubblica il 7 giugno 1979 e il vassoio d¹argento regalato dall¹onorevole ad Angela Salvo, figlia di Antonino, in occasione del suo matrimonio. La sentenza giudica però non dimostrato che Andreotti abbia «manifestato ai cugini Salvo una permanente disponibilità ad attivarsi per il conseguimento degli obiettivi propri dell¹associazione mafiosa». Osserva inoltre il tribunale che probabilmente l¹onorevole Andreotti, negando in aula questo rapporto, voleva solo «evitare ogni appannamento della propria immagine di uomo politico», cercava di «impedire che nell¹opinione pubblica si formasse la certezza dell¹esistenza dei suoi rapporti personali con soggetti quali i cugini Salvo, organicamente inseriti in Cosa nostra».

Rapporti con Lima e Ciancimino.
Altrettanto provati sono i rapporti di Andreotti con Salvo Lima, il discusso leader della corrente andreottiana in Sicilia, e Vito Ciancimino, l¹ex sindaco democristiano di Palermo condannato in via definitiva per mafia. La sentenza di Cassazione, che accoglie integralmente le conclusioni dei giudici di primo e secondo grado, ritiene accertato «che il senatore Andreotti ha avuto piena consapevolezza che i suoi referenti siciliani (Lima, i Salvo, Ciancimino) intrattenevano amichevoli rapporti con alcuni boss mafiosi; che egli aveva quindi, a sua volta, coltivato amichevoli relazioni con gli stessi boss; che aveva palesato ai medesimi una disponibilità non necessariamente seguita da concreti, consistenti interventi agevolativi; che aveva loro chiesto favori; che li aveva incontrati; che aveva interagito con essiŠ che aveva omesso di denunciare le loro responsabilità».

Incontro con il mafioso Andrea Manciaracina.
Il 19 agosto 1985, all¹Hotel Hopps di Mazara del Vallo, il ministro degli Esteri Andreotti incontra il boss Andrea Manciaracina, all¹epoca sorvegliato speciale e uomo di fiducia di Totò Riina. Un colloquio riservato, in una stanza chiusa, testimoniato non da un «pentito» ma dal sovraintendente capo della polizia Francesco Stramandino, inviato sul posto per tutelare la sicurezza del ministro che lì avrebbe tenuto un breve discorso. Sentito dalla procura di Palermo il 19 maggio 1993, Stramandino dichiarò: «Ricordo che rimasi un po¹ sorpreso di ciò, poiché pensai che l¹on. Andreotti trattava cortesemente una persona del tipo di Manciaracina, e magari poi a noi della polizia neanche ci guardava». Lo stesso Andreotti ha ammesso in aula l¹incontro con Manciaracina, spiegando che il colloquio ebbe a che fare con i problemi della pesca. La sentenza di primo grado definisce «inverosimile» la «ricostruzione dell¹episodio offerta dall¹imputato». Però «manca qualsiasi elemento che consenta di ricostruire il contenuto del colloquio». La versione «inverosimile» fornita dall¹onorevole Andreotti, secondo il tribunale, potrebbe essere dovuta «al suo intento di non offuscare la propria immagine pubblica ammettendo di avere incontrato un soggetto strettamente collegato alla criminalità organizzata e di avere conferito con lui in modo assolutamente riservato».

da Società Civile

Beppe Grillo si candida alle primarie PD: un'opportunità o un altro colpo alla sinistra?


Alleanza con l'Italia dei Valori. Nessuno dialogo con l'Udc e la sinistra radicale (Vendola incluso).

L'annuncio shoc arriva direttamente dal blog ufficiale di Beppe Grillo (www.beppegrillo.it):
"Il 25 ottobre ci saranno le primarie del PDmenoelle. Voterà ogni potenziale elettore. Chi otterrà più voti potrà diventare il successore di gente del calibro di Franceschini, Fassino e Veltroni. Io mi candiderò.
Dalla morte di Enrico Berlinguer nella sinistra c'è il Vuoto. Un Vuoto di idee, di proposte, di coraggio, di uomini. Una sinistra senza programmi, inciucista, radicata solo nello sfruttamento delle amministrazioni locali. Muta di fronte alla militarizzazione di Vicenza e all'introduzione delle centrali nucleari. Alfiere di inceneritori e della privatizzazione dell'acqua. Un mostro politico, nato dalla sinistra e finito in Vaticano. La stampella di tutti i conflitti di interesse. Una creatura ambigua che ha generato Consorte, Violante, D'Alema, riproduzioni speculari e fedeli dei piduisti che affollanno la corte dello psiconano. Un soggetto non più politico, ma consortile, affaristico, affascinato dal suo doppio berlusconiano. Una collezione di tessere e distintivi. Una galleria di anime morte, preoccupate della loro permanenza al potere. Un partito che ha regalato le televisioni a Berlusconi e agli italiani l'indulto.
Io mi candido, sarò il quarto con Franceschini, Bersani e Marino. Partecipo per rifondare un movimento che ha tolto ogni speranza di opposizione a questo Paese, per offrire un'alternativa al Nulla.
Il mio programma sarà quello dei Comuni a Cinque Stelle a livello nazionale, la restituzione della dignità alla Repubblica con l'applicazione delle leggi popolari di Parlamento Pulito e un'informazione libera con il ritiro delle concessioni televisive di Stato ad ogni soggetto politico, a partire da Silvio Berlusconi. "

Possibili Alleanze

All'indomani della clamorosa discesa in campo alle primarie del Partito Democratico, Beppe Grillo sceglie il Affaritaliani.it per spiegare con chi si alleerebbe se diventasse segretario del Pd. "Certo, con Antonio Di Pietro avremo dei contatti sicuramente. Abbiamo degli obiettivi in comune da molti anni. Ed è uno che fa opposizione alla grande a questo governo". E Pierferdinando Casini? "Ma che cos'è l'Udc? Ma che cosa sta dicendo? Lei è giovane è già vecchio dentro", risponde il comico genovese. "Sono sigle che non vogliono dire nulla".

Un'intesa con Nichi Vendola e i comunisti di Ferrero e Diliberto? Che ne pensa? "Non penso proprio nulla. Sono il vuoto. Il vuoto totale". Poi spiega: "Noi facciamo un cinque stelle. Noi andiamo lì a riempire un vuoto con delle idee, che sono appunto le cinque stelle. Abbiamo il Parlamento pulito, il conflitto di interessi, la legge Gasparri... tutte cose che loro (il Centrosinistra attuale, ndr) non hanno mai neanche accennato nei loro programmi. Poi abbiamo energia, acqua pubblica, wi-fi libero e gratuito e tutte le nostre idee di sempre".

La favola delle “toghe rosse” e della magistratura politicizzata

Quando si parla di toghe politicizzate una buona parte della popolazione italiana ha un’idea ben chiara e cristallina. Un’idea cresciuta radicalmente in questi ultimi 15 anni e che difficilmente si riuscirà a cambiare si basa sulla convinzione che esista una magistratura politicizzata, eversiva ed ad orologeria, votata ad un unico obiettivo: distruggere politicamente il bersaglio di turno. Un bersaglio che in effetti è cambiato negli anni, ripensando ai vari personaggi politici più famosi, anche per i loro processi, come Andreotti, Craxi e Silvio Berlusconi. Credere a questa teoria dell’eterno complotto diventa semplice se a dar man forte ci pensano i mass media, “dimenticandosi” troppo spesso di riportare i fatti e le sentenze per quello che sono e soffermandosi solamente sul “nome” del protagonista per fare audience.

Il caso di Giulio Andreotti è uno dei più simbolici per questa “idea” diffusa della giustizia politicizzata. Con chiunque si parli c’è la piena convinzione della sua completa assoluzione, arrivata con colpevole ritardo dopo anni di continui attacchi, diffamazioni e dicerie sulla sua persona. La realtà invece è molto più grave. Basterebbe riportare la sentenza, con l’aggiunta dei fatti accertati dalla magistratura, come l’incontrò con il capo di Cosa nostra, Stefano Bontate o i rapporti con Salvo Lima, Vito Ciancimino e i cugini Salvo.

«Il reato di associazione per delinquere commesso fino alla primavera del 1980 è estinto per prescrizione (…) con la sua condotta (…) (non meramente fittizia) ha, non senza personale tornaconto, consapevolmente e deliberatamente coltivato una stabile relazione con il sodalizio criminale ed arrecato, comunque, allo stesso un contributo rafforzativo manifestando la sua disponibilità a favorire i mafiosi ». (fonte)

Questo è un esempio, identico al lavoro di pulizia che si sta facendo all’immagine di Bettino Craxi, attaccando, sminuendo e cancellando il lavoro fatto dal pool di Mani Pulite. Avevano l’unica colpa di avere scoperchiato Tangentopoli. Oggi, 15 anni dopo , si cerca di ricordarli come il cancro di quel periodo. Come accennato poco sopra, negli ultimi lustri gli attacchi ai giudici sono continuati, favoriti dalla carriera processuale dell’ On. Berlusconi, unica nel suo genere. Uno di questi fu il pm Ilda Boccassini, attaccata specialmente per il suo lavoro nel Processo Sme. Le accuse mosse a lei e ai suo colleghi di Milano erano le solite: «toghe rosse», «eversivi» o «golpisti a servizio della sinistra». La loro colpa? Indagare sull’allora Presidente del Consiglio dei Ministri, i suoi avvocati, la sua azienda e altri giudici coinvolti. Nel 1996 Vittorio Feltri, ai tempi direttore del “Il Giornale” ( Famiglia Berlusconi) , scriveva cosi:


«Lo strapotere che esercitano, la disinvoltura con cui interpretano e usano i codici (…) intimidiscono il cittadino, lo lasciano in uno stato di vaga inquietudine (…). Anche Ilda Bocassini è troppo per il mio grado di tenuta nervosa. Non giudicatemi male: con lei non salirei neppure in ascensore. Tra poco vi saranno le elezioni, difficile credere che sia soltanto una coincidenza. Comunque, dati i personaggi, più che scandalo, questo sarà archiviato come impiastro. Alla puttanesca».

Una storia che s’è ripetuta questi ultimi mesi con un altro giudice, ironicamente molto simile esteticamente alla collega appena citata. Il suo nome è Nicoletta Gandus, presidente del collegio giudicante nel processo Mills a Milano. Il Cavaliere la definì «un suo nemico politico», «un’estremista di sinistra» e per questo non in grado di giudicarlo. Avviò anche un processo di ricusazione, per «grave inimicizia». Seconde il direttore della Stampa, Augusto Minzolini, il premier disse di avere un testimone da usare per questa ricusazione.

«Ho un testimone che ha ascoltato una conversazione tra la Gandus e un altro magistrato. Gandus ha detto: “A questo str… di Berlusconi gli facciamo un c… così. Gli diamo 6 anni e poi lo voglio vedere a fare il presidente del Consiglio».

Purtroppo di questo teste non si ebbe notizia e la ricusazione fu respinta prima dalla Corte d’Appello e poi dalla Cassazione di Milano:

I documenti che dovrebbero dimostrare l’inimicizia grave tra la dott.sa Gandus e il ricusante (…) sono mere manifestazioni di pensiero relative non a rapporti personali o comportamenti dell’on. Silvio Berlusconi ma semplicemente critiche a testi di legge approvati dal Parlamento durante la legislatura 2001/2006, nella quale quest’ultimo è stato capo del governo. (fonte)


Certamente non è bastato questo, e non basta tutt’ora, per togliere i dubbi insorti nel cittadino comune nei confronti della magistratura. Ci sono tre fatti che però risultano significativi e che dimostrano ancor di più la serietà, l’ estraneità politica e tanto più la mancanza di inimicizia personale di queste due togate. Per quanto riguarda Ilda Boccassini la notizia è di settimana scorsa. Con il suo lavoro ha fatto condannare 14 esponenti delle Nuove Brigate Rosse, con pene che arrivano anche a 15 anni di reclusione. “Il Giornale” nel giorno del loro arresto, nel febbraio 2007, dimenticandosi per un giorno la lotta alle toghe rosse, elogiò le forze dell’ordine guidate dalla pm milanese (Ilda la Rossa), cosi abili nello sventare un’azione terroristica che mirava addirittura a Silvio Berlusconi, il giornalista Ichino di “Libero” e la stessa Mediaset. La presunta toga rossa che condanna i brigatisti. C’è qualcosa che non torna.

Un particolare non così importante ma comunque rilevante è addebitabile invece al giudice Nicoletta Gandus. Nel febbraio del 2008, il Tribunale presieduto dalla stessa accordò il rinvio del processo a Berlusconi e a Mills, per motivi elettorali. Stava per incominciare la campagna del 2008, quella che vide stravincere la colazione Pdl-Lega e un processo nel bel mezzo sarebbe stato un impedimento sia mediatico che politico. Peccato che dopo le elezioni, oltre ai tentativi di ricusazione, subentrò il Lodo Alfano che stralciò la posizione del premier dal processo. Insomma, la Gandus fece un “favore” a Berlusconi posticipandogli il processo e dandogli la possibilità di vincere le elezioni senza interferenze, ma evidentemente questo dettaglio è poco noto ai sostenitori del Cavaliere e della teoria del complotto della amgistratura.

Un altro esempio della sua neutralità fu il processo a Roberto Formigoni , sicuramente tutto fuorché “politicamente vicino” alla sinistra, dove il presidente della regine Lombardia fu completamente assolto, dopo l’accusa di irregolarità nella gestione della discarica di Cerro. (Processo in cui fu coinvolta la Simac, sociètà di Paolo Berlusconi, che però patteggiò la pena con una risarcimento record di 52 milioni di euro).

Tutt’altra situazione può essere addebitata invece a Luigi De Magistris. In questi mesi di campagna elettorale, il neo-eurodeputato ha dichiarato più volte la suo ideologia politica, nata grazie alla vicinanza in gioventù col partito di Berlinguer. Per essere anch’egli una “toga rossa”, con le indagini a Prodi e a Mastella, ha minato non poco la strada di quel governo di centro sinistra. Sembra ci sia una tale confusione in queste vidende da non riuscire mai a capire da che parte sta il torto o la ragione. Si potrebbe iniziare con un punto molto semplice, cioè smettere di dividere i giudici in rossi, gialli e neri. Ritornare a basarsi sui fatti, leggere le carte, valutare le accuse e accettare le sentenze. Ma se così fosse, per gli italiani, si correrebbe il rischio dei crimini che i nostri politici commettono tutti i giorni, e della lunga lista di parlamentari con condanne definitive che siedono a Montecitorio.

In questi giorni alla lista dei “magistrati canaglia” si è aggiunto un nuovo nome (Tg1 docet), Pino Scelsi, sostituto procutore antimafia di Bari. La sua colpa? Indagare su un giro di ragazze invitate a Palazzo Grazioli e a Villa Certosa (le residenze del premier Silvio Berlusconi) in cambio di denaro. L’offensiva mediatica contro il nuovo «eversivo» è appena cominciata.

di Simone Pomi da DirittodiCritica

Prescrizioni, immunità e “leggi ad personam”. Chi è una persona onesta?

E’ sempre più difficile dare una definizione di “persona onesta“. Ultimamente, soprattutto nei salotti che contano della politica e della finanza, questo status personale è diventato qualcosa di artificiale, di assoggettabile al volere di qualcuno invece che ai fatti. Eppure l’onestà dovrebbe essere una di quelle virtù facilmente riscontrabili in una persona, una di quelle verità da leggere sul volto di un individuo.Purtroppo con le vicende del panorama italiano si apprende che la giustizia, in quanto “affare” degli uomini, è sempre meno obiettiva e più soggetta a correzioni di vario genere. Il detto popolare «chi sbaglia paga», nella società italiana contemporanea di fatto non trova applicazione. Questa considerazione nasce alla luce di quanto negli ultimi anni si è potuto apprendere osservando la società italiana e il suo progressivo degrado. Esistono uomini che, per ragioni economiche, politiche o anche meno nobili, sono riusciti ad alterare direttamente o indirettamente il giudizio che la società, per mezzo della giustizia, ha dovuto esprimere su di loro. Oltre a generare nei cittadini una diffusa sensazione di ingiustizia, questo stato di cose ha mutato anche il significato della parola onestà.

Onesto non è più colui che viola la legge, ma bensì chi non viene condannato.

E’ una nuova lettura della giustizia, una sottile, silenziosa e pericolosa rivisitazione della verità dei fatti. Grazie a strumenti come la prescrizione, l’immunità per le alte cariche dello Stato (lodo Alfano) e le leggi ad personam, la sentenza ai danni di alcuni illustri imputati sopraggiunge dopo decenni o non sopraggiunge affatto.

La prescrizione è l’estinzione di un reato a seguito del trascorrere di un determinato periodo di tempo. In sostanza, colpevole o innocente, dopo un determinato periodo l’imputato viene prosciolto dalle accuse. Grazie a questo escamotage è stato dichiarato innocente Giulio Andreotti, nonostante il «reato di partecipazione all’associazione per delinquere» fosse stato provato e avesse mantenuto «un’autentica, stabile ed amichevole disponibilità verso i mafiosi fino alla primavera del 1980». Anche il nostro attuale premier, Silvio Berlusconi, ha beneficiato 3 volte di questa via d’uscita che gli ha permesso di uscire lindo dai processi riguardanti il Lodo Mondadori, il Caso Lentini e il processo All Iberian. Ma questi sono solo i nomi più noti, non gli unici ad averne beneficiato.

L’immunità parlamentare era stata abrogata nel 1993, grazie agli scandali emersi da tangentopoli. Ultimamente però questo “scudo dalla giustizia” è tornato di moda proposto dai membri del Popolo della Libertà. E’ stato dunque approvato il lodo Alfano, una legge che rende immuni da qualunque procedimento giudiziario le alte cariche dello Stato. L’unico reale beneficiario di questa legge è attualmente il premier Berlusconi, il quale è da anni imputato in alcuni processi che hanno scadenza proprio in questi mesi. Il più noto è sicuramente il processo Mills, nel quale l’avvocato inglese del premier è già stato condannato in primo grado per aver ricevuto 600 mila dollari dal premier per dichiarare il falso in un processo ai danni della Fininvest.

Le leggi ad personam sono un altro artificio che rende sempre più sottile il confine tra persona onesta e disonesta. In sostanza una legge ad personam è una norma che interviene a beneficio di un determinato individuo. Le più note sono la depenalizzazione del falso in bilancio, la “legge Cirami” sul legittimo sospetto, la riduzione della prescrizione, la legge Gasparri e il sopracitato lodo Alfano. Purtroppo, sebbene ciò potrebbe valer l’accusa di esser fazioso, è doveroso render noto che le leggi appena citate hanno portato benefici principalmente al Cavalier Berlusconi, sia per superare indenne alcuni processi sia per favorire le sue emittenti televisive.

Ma tutto ciò, per chi vive in Italia, è diventato parte integrante della quotidianità. Ciò che invece può ancora stupire e indignare è apprendere del recente colpo di spugna che è stato effettuato sulle indagini ai danni di un personaggio divenuto famoso negli ultimi mesi: Benedetto Letizia, padre della “celebre ” Noemi che tanto ha fatto parlare per l’oscura vicenda della sua presunta frequentazione con il Premier.

Da quanto emerge in questi giorni, ventiquattro episodi di concussione, mazzette imposte per la concessione di licenze a mega-ristoranti, boutique e ambulanti, sono sparite in un colpo solo. Ad effettuare questo “miracolo napoletano” è intervenuta ancora una volta la provvidenziale prescrizione, nonostante siano emerse diverse anomalie documentate da Repubblica in merito al fascicolo relativo alle indagini “dimenticato” per anni in un cassetto. Oltre mezzo miliardo di vecchie lire è l’ammontare del tesoretto accumulato da Letizia grazie a queste presunte attività illecite. Nonostante il Comune di Napoli si sia costituito parte civile attraverso l’avvocato Giuseppe Dardo, che ha evidenziato «il danno di immagine per effetto della risonanza attribuita dagli organi di informazione locale e nazionale», questa vicenda si ricollega ai dubbi espressi all’inizio di questo articolo. Che cosa significa essere onesti in questo paese? Basta non farsi beccare o esite ancora un giudizio morale?

di Diego Tomasoni da DirittodiCritica

Movimento per la Sinistra Nardò - Documento per l’Assemblea nazionale del 3 luglio 2009


Questo è il documento del Movimento per la Sinistra di Nardò consegnato nelle mani di Nichi Vendola durante l'assemblea nazionale si Sinistra e Libertà tenutasi a Roma il 3 luglio scorso.

La storia del gruppo di Nardò non è certamente né unica né originale nel variegato orizzonte del Movimento per la Sinistra, e forse proprio per questo può risultare utile una testimonianza del suo evolversi, tra grandi entusiasmi e dolorosi dubbi: una storia come tante; forse, chissà, speranze e timori diffusi e condivisi anche altrove.I primi incontri in gennaio: si avverte sin da subito la voglia di ri...”partire”, il progetto di Nichi Vendola è una calamita che attrae energie, idee e storie personali di varia provenienza. La nostra esperienza è quella di un gruppo che nasce già composito e articolato e non, come probabilmente avviene in altre realtà locali, sulle spoglie di quella che in tanti continuano erroneamente a considerare una scissione. In altre parole la nascita del nostro gruppo, che sin dall’inizio ha inteso far riferimento al Movimento per la Sinistra, non avviene per gemmazione attorno ad un nucleo preesistente ( il PRC dei “vendoliani”) ma è il risultato di un incontro nel quale ci si è sentiti/e tutti/e partecipi di un processo di sintesi e mediazione, restando garantita a ciascuno/a la propria identità.
La voglia di fare è tanta: ci si vede a scadenza settimanale e cominciano a delinearsi le tracce di probabili percorsi politici, nel locale e non. Ma cominciano anche i problemi ed i malumori legati ad una certa confusione che accompagna il MPS nazionale nella sua strutturazione. Fisiologico, certo, data la situazione. Però non si riesce ad avere accesso alle informazioni, né si sa bene quale ne sia la provenienza e, poi, quali canali percorra: certo, non sono i nostri.
Cominciamo così a segnalare le nostre difficoltà via mail, al sito nazionale, proponendo un’assemblea costituente che fissi delle regole e stabilisca dei criteri di rappresentatività. Nessuna risposta né qualcosa che ci assomigli. In aprile indiciamo un’assemblea, invitando i gruppi della provincia di Lecce attraverso i pochi contatti a disposizione. In quell’occasione socializziamo le nostre perplessità, generate sia dalle difficoltà di accesso alle informazioni che riguardano il Movimento, sia dalla constatazione che la provvisorietà rischia di fossilizzarsi, introducendo elementi di fissità molto mal tollerati da chi invece si sente partecipe di un divenire quanto mai dinamico, complesso e articolato: in sostanza si chiede che gli organismi rappresentativi non siano costituiti SOLO dai fuoriusciti di Rifondazione, ma che si proceda al più presto alla definizione di gruppi dirigenti, sia pure temporanei, compositi, che rispecchino effettivamente la realtà composita di cui fanno parte. E’ un problema di forma che però è anche sostanziale: si rischia di disperdere energie ed ingenerare dubbi su chi si è appena avvicinato al Movimento solo per un problema di mancanza di circolarità nella gestione delle informazioni, cioè nella comunicazione e, quindi, nella definizione delle scelte. La sensazione, molto fastidiosa visto l’entusiasmo, è quella di esclusione.
Purtroppo, ci viene risposto, c’è l’emergenza delle elezioni provinciali ed europee e “non c’è tempo da perdere”. Ora l’emergenza è alle nostre spalle: è tempo di analisi e riflessione su ciò che è stato e su ciò che sarà.
Senz’altro quello del MPS è un progetto a lungo termine, e proprio per questo ci piace, ma riteniamo che occorra al più presto elaborare dei sistemi di comunicazione interna più efficaci, meno elitari e, soprattutto, condivisi, in modo da legittimare concretamente le domande, le proposte e le richieste che la base, unica vera forza di questo movimento, elabora. Noi abbiamo inteso così il “radicamento nei territori” e ci auguriamo di non aver capito male.