HOME       BLOG    VIDEO    EVENTI    GLI INVISIBILI    MUSICA    LIBRI    POLITICA LOCALE    POST PIU' COMMENTATI

lunedì 18 gennaio 2010

LE DANZE MACABRE

di zia Anto

Confidiamo sulla capacità di analisi nelle persone, da quelle più istruite a quelle più semplici. Siamo sicuri che tutti possano avere i mezzi sufficienti per comprendere ciò che sta accadendo in Puglia ed in verità non ci vuole poi molto.
Da tempo assistiamo alle danze del PD, ai dietro front e poi ai ripensamenti dei suoi uomini. Ci ricordiamo di come uno dei candidati alla segreteria regionale affermava con forza che non avrebbe ubbito, come qualcun'altro (Blasi) al "belzebu rosso chiaro chiaro" o al "baffetto" che muove le fila del partito e costringe i suoi uomini ad immolarsi per giochi di potere. Emiliano confermava così l'organizzazzione verticistica del PD.
Poi cos'è accaduto ???
Emiliano ha detto prima no e poi si, poi si e poi no, il PD ha abdicato all' UDC e gli ha permesso di comandare, di ricattare pur di averlo nella coalizione.
A questo punto ci chiediamo il perchè di tutto ciò, di tutto questo caos di tutto questo imbroglio: è semplice non vogliono Vendola!!!
Lui che è il naturale successore di se stesso, con le loro danze macabre lo volevano sminuire, lo volevano provare, lo volevano stremare ed infine farlo fuori.
Purtroppo per loro e per fortuna della Puglia non ci stanno riuscendo.
Tutti dicono (molti del PD, del PDL, dell' UDC, dell' IDV) con ipocrisia che Vendola è una brava persona, che ha governato bene, che sa parlare (e non è poco rispetto ad altri candidati sia di destra che di sinistra, nella nostra regione e non), ma poi nessuno vuole sostenerlo.
Lui invece gli ha voluti (alle sue condizioni): esempio ne è il governo regionale pieno di gente in quota PD e non senza la presenza dell' UDC Dario Stefano. Ma allora come stanno davvero le cose ??? Perchè vogliono mettere da parte il nostro governatore ???
Forse perchè è stato il primo nella storia della regione ad avere silurato cinque assessori e sciolto la giunta ??? Forse perchè è un intralcio ai giochi di potere ??? Forse perchè rappresenta un ostacolo all'assetto e all'equilibro della politica nazionale ??? O perchè Vendola è ostinato a non far mettere le mani "sull'oro blu di Puglia" ??? O perchè ha portato la regione all'avanguardia per quanto riguarda le energie alternative e non vuole il nucleare ???
CHIEDETEVELO !!!
Noi sappiamo per certo che ogni qual volta che capita un politico con la P maiuscola il potere lo rigetta; nella storia italiana lo abbiamo visto ampiamente (caro UDC ricordati di Aldo Moro) ma sappiamo anche che il cuore della gente vuole Vendola e non riusciranno a toglierci e ad uccidere la speranza in un vero anche se difficile cambiamento.

E ARRIVO' IL GIORNO DELLE PRIMARIE


di Danio Aloisi
E arrivò il giorno delle primarie.
Non a novembre, quando vennero chieste a gran voce da Nichi Vendola, ma alle soglie delle regionali racchiuse in uno spazio temporale di una settimana, tempi dettati non
dal centrosinistra ma dall'Udc con la costante minaccia di andare dall'altra parte.
Questi mesi dovrebbero insegnarci molte cose, la strategia dell'Udc di mettere in conflitto le 3 figure di spicco del centrosinistra: Vendola, Emiliano e Blasi, la determinazione ad eliminare l'anomalia Vendola, l'arroganza di chi mortifica le scelte dei Pugliesi e "svende" la Puglia ad interessi "altri" rispetto alle nostre legittime aspettative di avere una Puglia migliore.
Non è, quest'ultimo, un semplice slogan, ma molto di più, è in gioco la prospettiva politica,il futuro che questa regione vuol darsi.
Sappiamo dove si annidano le ombre, sappiamo quali sono gli interessi in gioco, sappiamo del tentativo di militarizzare il voto. Alle donne e agli uomini di questa regione, agli amici e ai compagni del PD,dico: ABBIATE CORAGGIO!
Il coraggio di rivendicare una scelta autonoma e diversa rispetto alle indicazioni dei potenti che lavorano per sè non per noi.
Non legittimiamo il loro modo di intendere la politica.
Sappiano costoro che non ci toglieranno la speranza!
Non saranno i vostri giochini a risiko a demolire la Puglia che vogliamo. Non saranno i vostri incontri, nelle segrete stanze, delle vostre segreterie ad imporci un ritorno al passato, noi siamo andati oltre, i Pugliesi sono andati oltre, e voi, non ve ne rendete conto perchè avete perso la capacità di ascoltarci, dandoci per scontati, perchè ci volete come marionette pronte a mettere una X sulla scheda elettorale, in virtù delle vostre promesse, delle vostre chiacchere, puntualmente disattese.
Vendola rappresenta la nostra unica speranza di" buona Politica", quella vera, così come intesa dall'etimologia della parola non declinata ad inciucio come ci avete abituati. Per usare le parole di un noto cantautore, vogliamo una Puglia all'altezza dei sogni che abbiamo, non ci trascinerete nell'incubo della Puglia peggiore.
NOI SIAMO CON VENDOLA! E VOI?

Haiti, morire per rubare due stracci

di Roberto Di Caro da Port-au-Prince
Per chi viene sorpreso a rubare la pena è la morte. In una Port-au-Prince piena di cadaveri senza tomba, è la fine di chi ha cercato di impossessarsi di quel che resta nei negozi. La testimonianza dell'inviato

Sette uomini e due donne: li ho visti per un istante, i loro volti imbiancati dalla polvere, le mani legate davanti o dietro la schiena, mentre un gruppo di vigilantes, alcuni con una medesima maglia rossa, altri in giubbotto nero paramilitare e una fascia in fronte, li trascinava via in tutta fretta sul cassone di un pick-up. Ladri. Saccheggiatori.

Avevano appena tentato di prendere quel che è rimasto in un negozio del centro distrutto di Port-au-Prince, a fianco dei ruderi del Marché au Fer, non lontano dal Palazzo di Giustizia che brucia di nuovo e dalla baraccopoli che occupa l'intera piazza di fronte al collassato Palais National.

Li ho riguardati, quei volti, poco fa, ingrandendo la foto in cui si vedevano meglio. Gli leggi in faccia che vanno a morire, e lo sanno. Fuori dalla ressa, li finirà un colpo di pistola come quella che impugna uno dei vigilantes. Cadavere più, cadavere meno, chi vuoi che ci badi: era il "sistema haitiano" anche prima, figuriamoci ora che neanche ci sono più le carceri, distrutte dal sisma. In un rosario di morti senza tomba, quei vivi che vanno a morire per rubare un paio di stracci sono peggio di una pugnalata al cuore.

da L'Espresso

Port-au-Prince città morta


di Stefano Liberti, inviato a Port-au-Prince per Il Manifesto
«Quando la tragedia bussa alla tua porta, devi reagire». Lilianh ha un volto paffuto, un fisico gigantesco e un sorriso tirato che nasconde appena una preoccupazione palpabile. Lilianh è una haitiana-americana e si è precipitata in questo inferno direttamente da New York. Quando ha saputo che il terremoto che aveva devastato e sconvolto la sua isola, quando ha pensato che anche la zia Susanne - quello che restava della sua famiglia – poteva essere finito sotto le macerie, ha avuto un groppo al cuore.Ha capito che la tragedia bussa alla tua porta quando meno te lo aspetti, come era successo in quel giorno di settembre del 2001 in cui lei, paramedica, si era trovata a scavare sotto le macerie di Ground Zero alla ricerca di superstiti. Ha quindi deciso che il destino andava affrontato di petto: bisognava andare a vedere che ne era di sua zia e cosa era rimasto della sua isola in mezzo ai Caraibi.
Non è partita subito, in modo impulsivo. Prima ha provato a procurarsi le informazioni per affrontare al meglio il viaggio, chiamando amici e conoscenti ad Haiti. Ma i telefoni rimanevano muti e, quando suonavano, lo facevano a vuoto. A quel punto ha pensato di comporre il numero di emergenza pubblicizzato in bella mostra dalla rete televisiva Cnn, ma una signora con voce gentile ma ferma le ha detto che loro si occupavano soltanto degli scomparsi di nazionalità americana.
«Una cosa assurda. Ho guardato in modo ossessivo tutti i servizi televisivi, cercando notizie. Ma dicevano tutti la stessa cosa: Terremoto a Port-au-Prince. Migliaia di morti. Crollata la casa bianca (il palazzo presidenziale, ndr). Nessuno che desse indicazioni più dettagliate su quali parti della città fossero state colpite».
Così ha preso Adam, il figlio diciottenne, e si è imbarcata su un aereo per Miami, poi su un altro volo con destinazione Santo Domingo. Arrivata nella capitale della Repubblica dominicana, per portare a termine la sua missione ha affittato una macchina. Quando incontriamo Lilianh e Adam all’aeroporto di Santo Domingo, sono ancora lontani centinaia di chilometri dalla loro meta finale: il quartiere popolare di Canapé vert, su un collina di Port-au-Prince, dove vive da una vita la zia Suzanne.
Il tragitto è stato lungo e penoso; attraverso una frontiera intasata di camion d’aiuti e affollata dei feriti che andavano a cercare conforto e cure nel più ricco paese vicino. Poi, man mano che ci si avvicinava a Port-au-Prince, sempre più vistosi sono comparsi i segni del cataclisma. Prima qualche muro crepato. Poi case crollate, pezzi d’asfalto saltato. Lilianh, che ha fatto la soldatessa nell’esercito americano, non è persona da lasciarsi andare a facili emozioni: mantenendo il sangue freddo continua a dirsi che «quando ti aspetti il peggio, se poi arriva il meglio è una notizia doppiamente bella».
Port-au-Prince la accoglie come una città ferita, mutilata. L’effetto sembra quello di un massiccio bombardamento: edifici accartocciati su se stessi, cadaveri rigonfi abbandonati per strada e che cominciano ad annerirsi per il sole battente. Uomini e donne feriti. Lei si guarda intorno e ripete una sola frase: «My god, che disastro». E poi un sospiro: «Che ne sarà della zia Suzanne?». La città distrutta sfila lenta dietro il nostro sguardo. Folle di persone senza più una casa si aggirano come stordite, apparentemente senza meta. Un gruppo di ragazzi s’è spalmato il dentifricio sotto gli occhi: così pensano di potersi proteggere da eventuali epidemie. Altri scavano a mani nude tra i detriti. Ogni tanto, sopra le macerie, spunta un casco di qualche squadra di soccorso, che continua a cercare nonostante le flebili speranze. Davanti a un palazzo, un cartello fornisce un’indicazione ai soldati americani che cominciano a vedersi per
la città (molti altri sono in arrivo): «Benvenuti soldati americani. Cadaveri all’interno».
Insieme a Lilianh ricostruiamo la topografia di una città che non c’è più e che non sarà mai più la stessa. «Lì c’era una scuola» dice indicando il cumulo di mattoni e resti di un palazzo raso al suolo. Attraversiamo la capitale. Vediamo la Casa bianca, il palazzo del presidente della Repubblica, collassata. Saliamo sulle colline verso Canapé vert. I nomi dei vari quartieri vengono declinati in modo quasi automatico da Lilianh, sempre più inquieta. Sembra quasi che ci stiamo avvicinando all’epicentro dell’ecatombe.
Entriamo a Canapé vert e siamo accolti da un tanfo insopportabile. Fermiamo la macchina e cominciano una lunga camminata tra palazzi crollati, macerie accatastate, cadaveri abbandonati. «Quella è la casa della zia Suzanne», indica in lontananza Lilianh. Nel punto che lei segnala si vedono solo resti di case crollate.
Ma la donna non sembra perdersi d’animo. Nonostante la fatica, scavalca tre o quattro edifici, trascina passi malfermi tra le rovine, altri minuti di angoscia. Quando arriviamo al punto in cui c’era l’appartamento della zia, Lilianh riconosce un uomo. Lo saluta. Gli fa una domanda in creolo. Lui risponde. Lei scoppia in un pianto dirotto. Un secondo dopo anche Adam, che il creolo non lo capisce, si scioglie in lacrime. Poi si lanciano tutti e due in una precisa direzione.
In mezzo a uno spiazzo, sdraiata su un materassino, giace incolume la zia Suzanne. L’abbraccio è immenso. Le lacrime sgorgano a fiumi. L’emozione è fortissima e coinvolge tutti. La zia racconta come è scampata al cataclisma. «Ero in camera da letto, quando ho sentito il botto. La casa è crollata, eccetto il soffitto sopra la stanza in cui stavo. Sono riuscita a uscire dalla finestrella e mi sono arrampicata tra i pezzi della casa del vicino». A vedere questa donna di ottantaquattro anni dal fisico esile, si fa difficoltà a immaginare tutte quelle acrobazie. Eppure è accaduto: la signora è viva, sorride e dice che vuole restare lì, vicino alle sue cose, e non vuole andare in hotel.
«Questa è la mia casa, questa è la mia città, per quello che rimane» dice alla nipote che la invita invece a seguirla negli Stati Uniti, a New York. Intorno i suoi vicini approvano. La salutano come una miracolata. Lilianh quasi non riesce a parlare dalla gioia che le esplode dentro: «L’avevo detto. Quando ti aspetti il peggio e arriva il meglio, la felicità è doppia». Poi si guarda intorno e soffoca il suo sorriso. Vede le case che conosceva bene. Vede quello che ne resta. Chiede notizie delle persone che vivevano lì dentro. Molti sono morti, alcuni si sono salvati. Tutti, senza eccezione, hanno perso la casa e sono ormai alla quinta notte all’addiaccio.
Tutta Port-au-Prince si prepara a un’altra notte di paura. Un'altra notte di abbandono, tra le macerie, i cadaveri e il tanfo pestilenziale che sembra avvolgere tutto e tutti.

da Il Manifesto

Volevate gli schiavi, avete la sommossa


Rigurgito dal passato o spioncino sul futuro? Ad una settimana di distanza è questa la domanda che ci preme formulare pensando a Rosarno. Risposte chiare e univoche, ovviamente, non ne sappiamo dare ma state sicuri che diffidiamo – ostinatamente e per metodo – di chi vorrebbe farci dormire sonni tranquilli.

Sui fatti, in fondo, c’è poco da discutere.
La rivolta sacrosanta di gente sottoposta ad uno sfruttamento bestiale, ammassata ai margini dell’abitato e umiliata ogni giorno, ora dopo ora.

Gente utile finché può essere messa al lavoro e fino a che se ne sta zitta e discosta, rinchiusa in una condizione di apartheid non dichiarata ma concreta e rigidissima. Gente in eccedenza, invece, quando il mercato è tanto spietato che neanche ad utilizzar schiavi puoi reggere la concorrenza, quando anche il gioco delle sovvenzioni e dei finanziamenti si inceppa e non produce più quattrini.
Gente ancor più di troppo perché reduce da una doppia fuga: quella originaria dai paesi martoriati dell’Africa centrale e quella recente dalle metropoli del Nord dell’Italia, dove la guerra ai poveri si respira nell’aria insieme allo smog del traffico cittadino.

A reprimere la rivolta arriva lo scatenamento etnico, ed ha la meglio su tutto. Tanto che nel giro di poche ore quegli stessi poliziotti prima impegnati a darsele di santa ragione con i rivoltosi si trasformano in truppa di interposizione, in scorta armata dei rivoltosi tramutatisi in profughi in fuga. Sul campo arrivano operatori umanitari, come in ogni guerra moderna, e rappresentanti delle Nazioni Unite, a controllare che il disastro segua un corso bene ordinato.
Lo scontro assassino, la pulizia etnica, si svela per quel che è: uno strumento dell’economia politica. Ora a Rosarno di braccia in eccesso non ce ne sono più e, quelle che ancora avevano da fare se ne sono andate di corsa, e senza toccare un quattrino dei propri stipendi.

Fuggiti dall’Africa, poi dal Nord Italia leghistizzato, e poi ancora a gambe levate dagli agrumeti calabresi - tre volte profughi, in qualche maniera – gli scampati di Rosarno sono stati rinchiusi prima nei Centri per richiedenti asilo di Crotone e di Bari e poi – per quelli tra loro che non hanno i documenti – dentro ai Cie.
A Bari, addirittura, alcuni di loro vengono “ospitati” in tende piantate in mezzo al campo da calcio del Centro: sono di troppo anche lì, e nessuno sa più dove metterli. Anche i numeri sono incerti, e fluttuanti.

da Indymedia

Morire di Stato: Il lato oscuro della Luna


di di Natale Adornetto
Un paio di ore fa vado nel blog di Maria Eliantonio, e vi trovo il video sul servizio fatto dal TG3 sulla manifestazione nazionale svoltasi a Livorno il 16 gennaio contro il morire di Stato. Vedo scorrere le immagini… sento le parole delle madri…
Tanti pensieri tornano a galla, e tanti ricordi. E anche se io non sono mai stato in carcere e sono vivo, sono stato rinchiuso in psichiatria e stavo per morire mentre ero legato nel letto rimpinzato di psicofarmaci, e per mesi e mesi – ucciso nell’anima e stroncato nel fisico – “non ci sono stato più”.
E ricordo bene lo strazio vissuto da mia madre, che però ancora “mi aveva”.Penso quindi di poter dire che so a larghe linee cosa provano quelle madri e tutte le madri che si son viste strappate cruentemente un figlio.
E mi sono sovvenute le parole di Pier Paolo Pasolini, che di certo non immaginava minimamente che sarebbe stata una delle morti atroci di cui parlava a porre fine alla sua esistenza.



E penso alle Reti Invisibili. E a quello che ho scritto in questo commento.
E volevo fare un’analisi su ciò e su altre cose, per provare a dare una qualche chiave di lettura alle persone che anche di recente si pongono determinate domande, e parlare anche del fatto che sanno benissimo che gli spazi stretti diventano per chiunque in brevissimo tempo fonte – oltre che di grande aggressività distruttiva ed omicida – di oppressione e di soffocamento psichico insostenibile ed insopportabile, e che i fatti dicono che piuttosto che creare le condizioni – un po’ di spazio in più, giusti controlli e giusti freni, e punibilità per chi sbaglia – per evitare specifiche situazioni, si fa di tutto per aggravarle ed esasperarle.
E stavo per iniziare a fare la stesura, ma vedo il post col video contenente il servizio sulle madri a Livorno, e vado un po’ in crisi, perdo la concentrazione, e poi penso che in questo momento sia opportuno scrivere altro, nella speranza che questo post non nuoccia alle madri.
E mi torna in mente il lato nascosto della Luna, Luna che alla Terra mostra sempre la stessa faccia, e che se si vuole vedere tutto, occorre andare dall’altra parte, andare oltre a ciò che la Luna sempre mostra, andare sul retro, e documentare, filmare, registrare, descrivere, narrare, raccontare, pubblicare, dibattere, esporre e disvelare cosa c’è nella parte nascosta ed oscura.
Post di Maria Eliantonio





Verrà un giorno
in cui il tuo respiro si placherà
come le onde che si infrangono sulla riva
e non sarai più altro
che polvere di mare.

Quando il tempo rallenterà
la sua corsa affannosa
e non avrai più fretta di vivere
forse si placherà anche
il respiro del mondo,
e tutto il male che ti sovrasta
sarà anch’esso nient’altro
che polvere di sogno nello spazio fra le stelle,
e la tua anima
sarà portata dalla corrente
come la schiuma sulle onde del mare
che luccica al chiarore della luna.

E quell’ultimo respiro
si confonderà col ritmo dell’universo
e tu aspetterai sereno
un dolce vento
che ti porti
a danzare fra le stelle

P.S. Dopo aver scritto questo post, ho dato un’occhiata anche in altri blog. In quello di Ornella Gatti, madre di Niki, oltre al video, c’è un bell’articolo e le foto della manifestazione. Nel blog di Ida Frapporti, madre di Stefano, ci sono dei post con dei video (uno; due) e un post con le foto della manifestazione.

da Reset-Italia