HOME       BLOG    VIDEO    EVENTI    GLI INVISIBILI    MUSICA    LIBRI    POLITICA LOCALE    POST PIU' COMMENTATI

domenica 17 gennaio 2010

Pd, primo strappo: l'area Franceschini non vota

L´onorevole Cinzia Capano è categorica: parlare di candidatura all´unanimità è un trucco; spero che vinca Vendola.


Le primarie ricompattano il Pd, ma soltanto per poco. L´assemblea che dà il via libera alla candidatura di Francesco Boccia, che domenica sfiderà Nichi Vendola, si chiude con uno strappo. Il rifiuto di "Area democratica", il gruppo che si rifà a Dario Franceschini, di votare per l´investitura di Francesco Boccia, scegliendo l´abbandono dell´aula, apre di fatto una breccia nel muro eretto dal Pd intorno al proprio candidato alle primarie.

«C´è stata una forzatura rispetto all´accordo e alla mediazione raggiunti nell´incontro con Massimo D´Alema», attacca l´onorevole Gero Grassi, che comunque fa sapere che «difficilmente mi vedrete salire sul palco insieme con Vendola». L´onorevole Cinzia Capano è categorica. «L´accordo raggiunto l´altra sera con D´Alema e Boccia - osserva - prevedeva che non ci sarebbe stata alcuna votazione. Hanno compiuto una violazione statutaria. Parlare di candidatura all´unanimità è un trucco, ma soprattutto libera noi di "Area democratica" da un patto. Il candidato del Pd alla presidenza della Regione sarà colui che vincerà le primarie. Io farò in modo che sia Nichi Vendola».

La posizione della parlamentare non è isolata. Nel Pd esiste un ampio schieramento vendoliano. Per il momento, però, prevale la soddisfazione per la ritrovata unità. Almeno intorno alle primarie. Lo spettro di una conta che con tutta probabilità avrebbe ridotto a brandelli il Pd pugliese è stato allontanato. La fatica della politica, come ama ripetere il segretario regionale Sergio Blasi, ha prodotto il risultato sperato.

«Più che un accordo, le primarie sono un fatto naturale per il Pd: è quello su cui ho sempre lavorato - afferma soddisfatto Blasi - Questa è una soluzione che unisce». Il risultato dell´assemblea convince anche Nicola Latorre. «Il Pd - dice - all´unanimità oggi ha proposto la possibilità di avere un´ampia coalizione di centrosinistra che vada da Vendola all´Idv, fino all´Udc. E proprio per sostenere e concretizzare questa possibilità, il Pd ha messo in campo Francesco Boccia. Ora si va alle primarie e il quadro si semplifica: se vince il candidato del Pd, potremo avere una coalizione allargata e con ragionevoli possibilità di vittoria; se invece le primarie le vincerà Vendola, avremo una coalizione più piccola e meno competitiva. Mi auguro che Vendola lo comprenda e possa contribuire con un suo passo indietro, a far fare a tutti due passi in avanti».


Il passaggio delle primarie convince anche Michele Emiliano, che nella serata di venerdì ha incontrato Nichi Vendola nella sede di Sinistra ecologia e libertà, in via De Rossi. «Sono molto soddisfatto. Siamo in una fase in cui la democrazia ha dimostrato la sua potenza e la sua esistenza», fa sapere il sindaco di Bari e presidente regionale del Pd. «Con la decisione di oggi, il Pd pugliese rinasce», esulta l´onorevole Alberto Losacco. Francesco Boccia sa però che il difficile comincia adesso. Per questo nel suo intervento in assemblea ha ricordato che «io e Nichi Vendola lavoriamo per un solo obiettivo: sconfiggere il centrodestra e continuare a dare alla Puglia una storia nuova».

Il candidato del Pd alla primarie ha anche invitato tutto il partito, veltroniani compresi, a sostenerlo. L´appello è già caduto nel vuoto. «Siamo allo scontro finale di D´Alema contro Vendola - taglia corto Guglielmo Minervini - Questo è il senso della conclusione rocambolesca dell´assemblea. È un errore personalizzare lo scontro: adesso se Boccia perde, perde anche il Pd. Ci avviamo purtroppo a elezioni primarie militarizzate. D´Alema è apparso poco lucido e molto rancoroso: nel suo discorso la componente di giudizio personale ha prevalso sull´analisi politica».


bari.repubblica.it

Haiti se non siete abbonati eccovi il formicaio delle ombre disperate

di Doriana Goracci
Grazie grazie a Eddyburg posso e potete leggere Nelle bidonville nessuno scava
Un formicaio di ombre disperate di Federico Mastrogiovanni e grazie grazie al Fatto e al Manifesto se Federico Mastrogiovanni può scriverne, da Haiti. Entrambi i quotidiani vivono con la vendita e gli abbonamenti, e come si sa, per restare indipendenti. Edicola chiusa e non abbonata e l’aiuto di un amico, hanno fatto il resto che invio.Federico Mastrogiovanni ci chiedeva di leggerlo, lo so che in tanti ne stanno scrivendo ma Federico è lo stesso di RadicalShock,il suo blog diario dalla periferia dell’impero, fermo all’8 gennaio. Un po’ uno di noi, un po’ come un nostro figlio, un cattivo ragazzo in giro…sta a voi giudicare e leggere quanto scritto da Port-au-Prince, con dolore senza confine.Adieu Haiti “Je sais que la Terre est plate”

Doriana Goracci


Nelle bidonville nessuno scava
Un formicaio di ombre disperate
Port-au-Prince è un cumulo di macerie e di corpi. La puzza di morte si appiccica addosso. Per le strade, all’improvviso compaiono decine di accampamenti improvvisati, delimitati da pietre e pezzi di calcinaccio: la gente che ha perso la casa e non sa dove andare si sistema in mezzo alle carreggiate, anche per paura di nuovi crolli, dovuti al peso degli edifici, a scosse di assestamento o conseguenza del sisma di martedì scorso, il più forte degli ultimi 200 anni.
Passando da Rue Dalmas, una delle arterie della capitale haitiana maggiormente colpite dal sisma, si stagliano le gru al lavoro tra le macerie della prigione. Qui sotto sono sepolti molti detenuti e guardiani, ma molti altri prigionieri sono riusciti a salvarsi e a scappare. Secondo testimoni e agenzie stampa, il violento incendio divampato al palazzo di Giustizia sarebbe opera di questi fuggitivi, intenzionati a distruggere i loro fascicoli. La fuga ha generato una violenta caccia all’uomo da parte delle forze dell’ordine e della Minustah, la missione Onu che dal 2004 ha il compito di stabilizzare il paese dopo la cacciata di Aristide.
Ma le ricerche sono concentrate soltanto in alcuni punti della città, come l’hotel Montana, in centro, mentre nella gran parte di Port-au-Prince, soprattutto nelle bidonville, nessuno scava. Non si è nemmeno iniziato, perché non ci sono mezzi per farlo.
Si aprono fosse comuni per raccogliere le decine, forse centinaia di migliaia di morti senza un volto né un nome, semplicemente spazzati via da un terremoto che non ha scalfito le case dei ricchi, costruite con criterio e materiali resistenti.
«Questo disastro non sarebbe successo se queste case fossero state costruite seguendo le elementari norme antisismiche», sostiene Fiammetta Cappellini, capo missione ad Haiti della Ong Avsi. «Dopo tre giorni stiamo ancora contando i morti e i dispersi, ma non si riesce a calcolare con precisione. Sono troppi».
Nel centro città, in Rue Nasone, i morti sono accatastati sulla strada, coperti, nel migliore dei casi, da striminziti lenzuoli, ma vengono anche trasportati a braccia, dai parenti, su carretti trainati da animali. I più fortunati, hanno una bara.
Port-au-Prince è un formicaio di gente che vaga per le strade cercando superstiti, trasportando feriti, oppure sotto shock, assediando i pochi ospedali che danno soccorso e le tendopoli allestite alla meglio da volontari e istituzioni delle Nazioni unite.
«Il problema vero qui è che tutti questi cooperanti e le forze internazionali non hanno un buon coordinamento», sostiene Philippe, cooperante francese aspettando una riunione nel centro logistico delle Nazioni unite allestito all’aeroporto. «La funzione di coordinamento la dovrebbe svolgere la Ocha, l’agenzia Onu che si occupa di gestire tutte le forze sul campo in casi di emergenza umanitaria, ma finora non sembra che siano stati in grado di coordinarsi in modo efficace. Poi le comunicazioni sono precarie. Fino a due giorni fa nemmeno gli integranti della Minustah erano in grado di comunicare adeguatamente tra loro».
Gli aiuti arrivano, ma ancora non si è iniziato a distribuirli sistematicamente alla popolazione.
Di fronte al centro logistico di Medici senza frontiere Belgio, nel «ricco» quartiere di Petionville, si ammassano feriti bisognosi di cure. «Qui ci occupiamo dei casi meno gravi – racconta Nadine, una giovane infermiera haitiana – abbiamo comunque poche risorse e poco posto». E infatti i corpi si ammucchiano negli spazi comuni, uno sull’altro in discesa sulle rampe dei garage, buttati su teloni, cartoni, lenzuoli.
Le ossa vengono aggiustate con steccature di cartone e garza, si fa come si può.
Uno scenario dantesco in cui, col passare dei giorni, la mancanza di cibo, acqua e carburante si fa sempre più drammatica. Le poche pompe di benzina disponibili sono presidiate dai caschi blu nel caos di traffico e gente, per impedire disordini e sommosse.
Nel quartiere di Cité du Soleil, uno dei più poveri della città, si fa la fila per fare rifornimento di acqua da alcuni pozzi. Ma l’acqua non è potabile. È acqua di scolo di una città che non ha un sistema fognario, le cui strade sono una fogna a cielo aperto che si pulisce quando piove, portando tutto a valle.
Cala il buio su Port-au-Prince, la città del buio, dove la corrente – se va bene – c’è per 4 o 6 ore al giorno, in tempi di normalità.
Un predicatore col megafono gira per le strade del centro, seguito da un gruppetto di persone. «La fine del mondo è vicina, preparatevi a ricevere la fine del mondo. Non si sa quando arriverà ma sarà molto presto».
Col buio, l’atmosfera diventa più irreale. Ombre ammucchiate, sdraiate, vaganti. Qualcuno balla, canta e prega davanti a ciò che rimane della sua casa disintegrata, affinché Dio lo aiuti a superare un nuovo giorno all’inferno.

Federico Mastrogiovanni


Lotta per la sopravvivenza all’università

Chang Yafang nata a Taiwan nel 1973. Vive in Italia dal 1998 e insegna cinese all’università di Urbino.

Confesso che dopo sette anni di lavoro nell’università italiana, con tutta la buona volontà non sono ancora riuscita a integrarmi del tutto. Vittima di razzismo? Diffidenza dei colleghi? Diffidenza mia verso gli italiani? Niente di tutto questo.

Lavoro benissimo con i miei colleghi e ho costruito ottimi rapporti con i miei studenti. Quello che proprio non riesco ad accettare ha a che vedere con la politica culturale italiana. Negli ultimi sette anni le risorse per sostenere il normale insegnamento di una lingua – non sto parlando quindi di corsi aggiornati o particolarmente innovativi – sono diminuite costantemente.

All’inizio ci raccomandavano di limitare il numero di fotocopie e l’uso di gessetti e pennarelli. Poi, l’amministrazione ha bloccato l’accesso libero alla fotocopiatrice e ci ha dato una scheda con cui potevamo fare un numero limitato di fotocopie. Per averne una nuova dovevamo fare una richiesta corredata da data e firma.

Tagli e schizofrenia
Sono lettrice di cinese e faccio molti esercizi in laboratorio. Visto il boom di studenti degli ultimi anni, mi capitava di finire una scheda nel giro di una mattinata. E, quando andavo a chiederne una nuova, mi facevano pesare il mio consumismo suggerendomi velatamente di cambiare la mia didattica. Ho consultato i miei colleghi per trovare una soluzione.

Alcuni, però, mi hanno dato dell’ingenua, dicendo che loro avevano smesso di fare certi tipi di esercizi ormai da tempo, dal momento che nessuno riconosceva il loro sudato lavoro. Altri, invece, erano troppo impegnati a salvare le loro materie minacciate dai tagli per pensare alle fotocopie o alla didattica.

Quest’anno ci sono stati nuovi tagli e le cose vanno sempre peggio: la ricarica della scheda è a pagamento. Questo mi manda quasi fuori di testa: dovrei pagare per fare meglio il mio lavoro? Per un secondo ho desiderato che il numero dei miei studenti diminuisse drasticamente, ma mi sono subito sentita profondamente in colpa. È come se il sistema universitario italiano ti spingesse alla schizofrenia. Ma molti miei colleghi sembrano non farci più caso, e devo guardare all’estero per trovare un briciolo di normalità.

Docenti senza frontiere
Mia sorella insegna in un’università statunitense ed è contrattista come me, ma ha un ufficio e un computer tutti per lei. Non poteva credere ai miei racconti e si è offerta di spedirmi con un corriere espresso delle schede per fotocopie e della carta.

Per non parlare dei miei amici che insegnano nelle scuole di Taiwan. Secondo un rapporto dell’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico del 2007, la Finlandia era al primo posto nel mondo per le competenze di lettura e le conoscenze scientifiche e matematiche dei suoi studenti. Taiwan, invece, era al terzo posto. Le autorità dell’isola hanno deciso allora di rendere obbligatori gli scambi tra insegnanti taiwanesi e finlandesi, in modo da rinnovare i manuali di studio e la didattica. I miei colleghi taiwanesi, che considerano la didattica una cosa quasi sacra, vorrebbero fare una colletta per comprarmi una fotocopiatrice.

Un’altra mia amica invece vorrebbe fondare una nuova nobile associazione internazionale di cui, secondo lei, io faccio già parte: docenti senza frontiere. Un amico americano mi ha suggerito di scrivere un best seller per attirare l’attenzione sul mio lavoro. Ma, se dovessi avere successo, il numero di iscritti ai corsi potrebbe aumentare e sarebbe come scavarmi la fossa con le mie stesse mani. Un taglio dopo l’altro, quello che si riduce in brandelli è la nostra etica professionale. Capite allora quant’è difficile integrarsi per una straniera come me? Chang Yafang

da Internazionale

Cancellata piazza 25 aprile. Accade a Pecorara, nella provincia di Piacenza


di Anpi*

A Pecorara, comune della provincia di Piacenza, luogo simbolo della Resistenza al nazifascismo, il sindaco Franco Albertini ha cancellato Piazza 25 aprile. Un affronto a quanti hanno sacrificato la loro vita per la libertà, alla Costituzione della Repubblica, nata dalla Resistenza, all’Italia tutta, che su queste radici ha costruito la democrazia. Un affronto che non ha assunto il dovuto rilievo nazionale, fatto che denunciamo con forza: è in corso un attacco senza precedenti ai valori e ai principi che fondano la nostra convivenza civile, la nostra Repubblica. Chiudere gli occhi è irresponsabile.
L’Anpi, Associazione nazionale partigiani d’Italia, nel richiamare tutti i democratici ad associarsi alla sua denuncia e a mobilitarsi con opportune iniziative, chiede l’immediata revoca di questo vergognoso provvedimento.

* Anpi - Comitato Nazionale
Anpi - Comitato Provinciale di Piacenza

“Raccogliamo e facciamo nostro l’appello dell’Anpi e chiediamo a tutti i media nazionali di illuminare a giorno questa vicenda che non può essere derubricata a fatterello marginale perché questo è un episodio non isolato ma corrisponde purtroppo allo spirito dei tempi, alla volontà di spiantare il ricordo del 25 aprile e dileggiare la resistenza e l’unità antifascista che sono valori fondanti della nostra Costituzione”. Lo affermano Giuseppe Giulietti e Federico Orlando, portavoce e presidente di Articolo21. “Chiediamo ai media di raccontare questa vicenda e di non cancellarla e siamo sicuri che il ministro degli Interni vorrà vigilare e fare tutti i passi affinché questo scempio non si compi. Articolo 21 ha deciso di invitare all’assemblea nazionale di Acquasparta che si terrà il 22-23-24 gennaio i rappresentanti dell’Anpi per concordare opportune iniziative”.