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lunedì 19 ottobre 2009

Eolico nel Parco dei Paduli? Oggi un vertice


Stasera presso il municipio di San Cassiano le associazioni ambientaliste chiederanno un intervento di Angela Barbanente, assessore regionale all'assetto del territorio

Il Parco naturale dell'antica Foresta Belvedere, il "Parco dei Paduli" voluto da Provincia e Regione, con l'interessamento anche del Ministero per l'Ambiente, sta per essere invaso da decine e decine di mega pale eoliche d'acciaio, alte centinaia di metri. E così per impedire che "il regno delle querce e degli ulivi sia abbattuto e irretito nelle maglie di chilometri di nuovi elettrodotti, schiacciato e soffocato dai mastodontici signori d'acciaio del vento", le associazioni ambientaliste stasera alle ore 18,30 presso il municipio di San Cassiano chiederanno un intervento di Angela Barbanente, assessore regionale all'assetto del territorio.
L'appello fa anche seguito alla grande sollevazione popolare contro le scelte delle locali amministrazioni, che proprio in quel territorio, dal paesaggio tra i più belli ed unici d'Italia, hanno aperto le porte "a questo intollerabile immorale stupro dell'identità di ognuno di noi", come le associazioni l'hanno definito. A San Cassiano sono stati convocati dall'assessore tutti i 12 sindaci del Parco, che si estende nei comuni di Supersano, Scorrano, Maglie, San Cassiano, Botrugno, Nociglia, Montesano, Surano, Miggiano, Ruffano, Collepasso, Cutrofiano. A questi primi cittadini il grande onore e la grande responsabilità d'essere stati scelti dalla Regione, per l'unicità e preziosità del loro territorio consegnato dagli avi, quali comuni pilota per l'applicazione dei principi del PPTR, il Piano Paesaggistico Territoriale della Regione Puglia, divenuto dal 29 settembre scorso legge regionale: principi di tutela, massima salvaguardia e ripristino delle antiche suggestioni rurali e naturali del paesaggio a 360°. Per scongiurare lo scempio l'assessore proporrà la realizzazione di un Prie intercomunale, che individuerà le zone nei territorio dei comuni dove non collocare quelle mega torri d'acciaio. "Una sola torre di mega eolico - osserva Oreste Caroppo, presidente del movimento per " La Rinascita del Salento" - sfigura il paesaggio irrimediabilmente come ha più volute sottolineato con forza il curatore scientifico del PPTR, il professor Alberto Magnaghi dell'Università di Firenze, ed in Toscana non ci si sarebbe mai abbandonati allo scempio che qui viviamo, tanto più in un'area delicata e preziosa come il Parco dei Paduli e dei territori e le Serre che gli fanno da cornice, la Collina di Palmariggi-Giuggianello-Poggiardo a Est, e quella di Ruffano-Parabita ad Ovest. Come conciliare il tutto? Abbiamo paura che questo PRIE intercomunale, nonostante le buone intenzioni della proponitrice, si trasformi in un modo ancor più deplorevole per giustificare e legittimare la violenza, lo stupro che si sta impunemente compiendo ai danni di un territorio puro e vergine. Per questo proponiamo ai comuni del basso Salento di dare un esempio vero e valido di seria virtuosità, impegnandosi per la collocazione in alto mare, soluzione off-shore, di tutte le eventuali pale eoliche necessarie al fabbisogno energetico del territorio; da ubicare in uno o, al massimo, due grossi impianti ristretti nello spazio (per non intralciare pesantemente le importanti rotte migratorie dell'avifauna e la navigazione umana) e non visibili dalla costa per lontananza, sgravando così da questa intollerabile pressione visiva, acustica ed elettromagnetica del mega eolico e dal rischio elettro-meccanico che lo stesso introduce, il territorio salentino, dove il paesaggio è economia turistica, fonte di ricchezza diffusa, e palcoscenico della serena e gioiosa quotidianità di ognuno di noi; è qualità di vita che non può essere schiacciata a vantaggio delle speculazioni delle grandi ditte straniere e non dell'energia che vogliono solo colonizzare questa terra, elargendo in cambio dell'irreparabile danno che causano al paesaggio, alla storia e alla salute, contentini pubblici e privati omaggi. La Regione Puglia - spiega ancora Caroppo - deve varare una urgente moratoria per fermare tutti i progetti in corso di approvazione ed esecuzione e avviare tutti i tavoli e le procedure necessarie per risolvere l'immane catastrofico problema che ha creato. Perseverare nell'errore sarebbe solo una conferma della criminosità di quanto sta avvenendo, anche dal punto di vista della legalità, oltre che della moralità, come da innumerevoli parti con coraggio e disgusto denunciato".

da IlTaccoD'Italia

Lizzano (TA) - Cittadinanza Attiva si presenta

E' il comune che decide se fare un parco giochi per bambini o un parcheggio, se dare degli spazi verdi alle persone o cementificare, se vigilare seriamente sulla discarica quindi sul benessere, se valorizzare il localismo, l'agricoltura, se fare le piste ciclabili, se bruciare i rifiuti spendendo di più o se riutilizzarli e ridurli spendendo meno, se risparmiare sull'energia, se informare i cittadini o tenerli all'oscuro di tutto ciò che li riguarda; è il comune che decide se aiutare i giovani, se valorizzare la costa e le attività che ivi possono sorgere o se lasciarla a beneficio di pochi “fortunati”, se farci vedere il mare o lasciarci contemplare dei ruderi antiestetici, se riparare una strada piuttosto che propagandare una piazza rifatta! A loro spetta migliorare le condizioni del paese. E noi cittadini? Che si fa?


Si aspetta che venga un benefattore dall'alto? si aspetta che il Cambiamento ci venga imposto? o che scenda lo Spirito Santo? che è pur sempre ben accetto?

Allora.. La mancanza di un Movimento costituito da semplici cittadini organizzati e sensibili all'avvenire del nostro territorio ha portato la classe politica ad osare nella gestione del Comune. Non vogliamo fare processi a nessuno ma semplicemente prendere atto della situazione attuale. Prendiamo atto della cattiva nomea di cui il paese “gode”, prendiamo atto del GAP creatosi con i paesi limitrofi, prendiamo atto che è necessario mobilizzarci e impegnarci tutti in prima persona per la tanto anelata “rinascita” di Lizzano.

Non solo discutere e discettare ma FARE, operare. Queste le motivazioni che ci hanno spinto ad aprire questo “cantiere” che non vuole essere ne ostile alle amministrazioni ne prendere posizioni politiche; l'unica politica che ci interessa è quella volta alla salvaguardia ed allo sviluppo culturale del territorio nostro . I temi che CITTADINANZA ATTIVA LIZZANO abbraccia sono vari: la salvaguardia dell'ambiente e della salute dei cittadini, il decoro cittadino, il rispetto delle regole, il rispetto dei diritti e della dignità dei Lizzanesi, la trasparenza, le politiche giovanili e sociali, i rifiuti, l'energia.
CITTADINANZA ATTIVA LIZZANO vuole essere un “laboratorio partecipato permanente”, dove specialisti e semplici cittadini cooperino per lo sviluppo di progetti e iniziative.

L'arma principale è l'informazione. La conoscenza! Il valorizzare quel che già si ha è la via maestra di Cittadinanza Attiva Lizzano, in linea con i principi di sobrietà e buonsenso. Il forum di Lizzano.eu ci ha dato una piattaforma dove poter discutere e dibattere creando talvolta interessanti dibattiti e scambi d'opinione. Ma rimaneva tutto la. CITTADINANZA ATTIVA LIZZANO si pone come scopo lo studio e la realizzazione PRATICA e fattibile delle alternative previamente discusse con la comunità e presentandole sotto forma di progetti. Abbiamo capito che l'ingegno porta idee e l'informazione le veicola. Da sole queste due possono migliorare la situazione Lizzanese. Ne siamo convinti. I partiti e le amministrazioni succedutesi non hanno avuto idee o mancavano di volontà. Noi questo possiamo e vogliamo dare: idee; in modo serio e costruttivo, semplice e pratico.
L'unica cosa di cui CITTADINANZA ATTIVA LIZZANO ha bisogno è la partecipazione; che è forza. Chi vorrà impegnarsi, in virtù delle proprie conoscenze, competenze, volontà, passione, appartenenza, tempo libero può aggregarsi a noi. Troverà semplici cittadini attenti e sensibili alla sorte della comunità. Nel mondo si chiama Attivismo Civico.


NOTA BENE! Vi preghiamo di non strumentalizzare CAL come associazione di sovversivi o politicizzati, Esperienza DOCET.

http://cittadinanzaattivalizzano.blogspot.com/
da GrandeSalento

I soldi del Ponte per la sicurezza del territorio


Nella piattaforma della manifestazione contro il Ponte sullo Stretto dell'otto agosto avevamo messo al primo punto la richiesta di utilizzare le risorse economiche destinate alla grande infrastruttura per la messa in sicurezza sismica ed idrogeologica del territorio. Dopo la tragedia del primo di ottobre, la richiesta è diventata addirittura ovvia da parte di larga parte dei cittadini.

E' per questo che dal momento del disastro stiamo assistendo a continui pronunciamenti finalizzati a giustificare l'impiego di soldi pubblici per il Ponte anche in presenza di evidenti altre priorità. I sostenitori del Ponte (ministro Matteoli in testa) sostengono che il Ponte lo si costruirà con i soldi dei privati e, quindi, non è possibile utilizzare quelle risorse per la tutela del territorio. «A dicembre e gennaio - ha confermato Berlusconi- cominceremo la realizzazione di un'altra infrastruttura fondamentale...il Ponte sullo Stretto...».
I cantieri che dicono di voler avviare riguardano le opere collaterali e compensative. Per queste il Cipe ha previsto l'utilizzo di 1,3 miliardi di euro che dovranno essere stanziati, a detta del ministro stesso, di finanziaria in finanziaria. Questi sono soldi pubblici e non si capisce per quale motivo non potrebbero essere utilizzati per una grande opera davvero utile per l'area dello Stretto come la messa in sicurezza del territorio e degli abitanti. Se una casa non ha servizi e non ha il tetto, si pensa per prima cosa a comprare un bel biliardo o forse sarebbe meglio pensare ai servizi ed al tetto?

Si tratta solo di una scelta politica. Il ministro ha anche detto che se le opere propedeutiche al Ponte previste, se fossero state già realizzate, avrebbero mitigato i danni subiti a causa delle recenti frane. Lo ha confermato anche il sottosegretario Urso, che ha addirittura dichiarato che il Ponte sullo Stretto è importante anche per la sicurezza del territorio. E per quale motivo nuove strade, nuovi viadotti, chilometri e chilometri di gallerie in pieno centro cittadino, una nuova stazione ferroviaria in una delle zone più abitate, enormi quantità di materiali di scavo da collocare in discariche dovrebbero ridurre e non aggravare il rischio idrogeologico? Ma sui soldi dei privati il ministro farebbe bene ad essere più chiaro.


Dovrebbe dire, piuttosto, che sarebbero le banche a raccogliere il capitale da investire. Ma visto che il Ponte non sarebbe profittevole, perché anche gli scenari più pessimistici proposti dagli advisor sarebbero oggi paradiso (e, infatti, i transiti nello Stretto sono in calo) chi pagherebbe il crack finanziario? Sarà lo Stato, cioè i contribuenti, a pagare (come sempre) o saranno i risparmiatori che avranno acquistato titoli collegati al Ponte che resteranno col cerino in mano?

di ReteNoPonte da Infoaut

Moro, nel gennaio '78 gli Usa ipotizzarono una 'covert action'


di Paolo Cucchiarelli

Si puntava a 'spaccare' il Pci alla vigilia del rapimento.

Roma. I servizi inglesi seppero, nei primi giorni del 1978, che l'amministrazione americana guidata dal Democratico Jimmy Carter stava prendendo in seria considerazione di attuare in Italia una 'covert action', una operazione segreta per 'spaccare il Pci (''split the Pc") affinché venisse scongiurata la temuta ipotesi di un sostegno dato dal più importante Partito comunista dell'Occidente al governo del Paese.
Quello stesso governo che sarebbe stato varato da Giulio Andreotti il 16 marzo, il giorno del rapimento di Aldo Moro. La novità emerge dai documenti inglesi desecretati all'inizio del 2009 e che sono stati ritrovati da Mario G.Cereghino e Giuseppe Casarrubea negli archivi di Kewgardens e che sono disponibili da oggi sul sito "www.casarrubea.wordpress.com" sotto la voce "Moro e il Pc". Richard Garden, ambasciatore Usa in Italia è convocato a Washington nei primi giorni del 1978. "Ha dipinto - riferiscono i documenti inglesi - un quadro decisamente fosco". Garden teme che con il Pci nell'area del governo "si verifichi una grave ricaduta dell'ordine pubblico". L'ambasciatore inglese a Londra segnala che Washington ha inviato istruzioni alle sue sedi diplomatiche per chiedere le opinioni dei governi europei sulla situazione italiana. Anche gli inglesi dicono la loro e segnalano che la posizione del Partito comunista "é ambivalente" Botteghe Oscure attende che la situazione "maturi lentamente, fino al punto in cui il loro ingresso nel governo si concretizzerà senza drammi".

Queste informazioni raccolte all'interno del Pci - segnala un rapporto del Foreign office, guidato da David Owen - provengono da fonti segrete. Il 23 gennaio, Michael Pike, alto funzionario dell'ambasciata inglese a Washington informa Londra sul duro scontro Falchi e Colombe dell'amministrazione Carter. Il presidente Usa - sottolinea - non ha alcuna intenzione di riesumare i metodi di Kissinger (il golpe in Cile del '73 ad esempio) perche' ciò fornirebbe al Pci un'arma potente con la Dc e gli Usa. Sul tavolo vengono quindi poste diverse opzioni: "ad esempio l'idea di mettere in campo un'operazione segreta per frantumare il Partito comunista". Attorno al tavolo ci sono l'ambasciatore in Italia Gardner, il segretario di Stato, Cyrus Vance, un collaboratore di questi George Vest, e il consigliere la sicurezza nazionale, Brzezinski, lo staff dell'Nsc guidata da Bob Hanter. Solo Vance e Vest, a nome di Carter, si oppongono a soluzioni estreme. Nessuna operazione segreta contro il Pci. Nel documento che fa il punto su quella decisiva riunione si legge "almeno per ora, sembra sia da escludere anche una operazione segreta (striscia nera a nascondere due righe del testo inglese, ndr). Da un punto di vista politico più generale, le difficoltà associate ad azioni di questo tipo non hanno bisogno di essere infatizzate. Inoltre, qualsiasi proposta di operazione segreta dovrebbe essere esaminata da almeno otto commissioni del congresso Usa.

Di conseguenza la possibilità di mantenerla segreta sarebbe minima" in sostanza a Washington ci si rende conto che "anche tra i Falchi" attività di questo genere in un paese membro della nato producono effetti scarsi e che possono ritorcersi contro i loro artefici. Tra i molti documenti desecretati e disponibili ora anche quelli riguardanti l'immediata richiesta fatta da Francesco Cossiga di un aiuto da parte delle Sas inglesi. La sera stessa del rapimento Cossiga chiese l'invio di commandos specializzati nell'affrontare "uno stato di assedio (ossia, nel caso fosse localizzato il nascondiglio di Moro e dei suoi rapitori)". Casarrubea e Cereghino segnalano le novità dei molti documenti: "si è sempre detto che l'ingerenza Usa in vari punti 'caldi' del mondo era proprio della diplomazia del repubblicano Kissinger, segretario di Stato fino a gennaio '77. Al contrario queste carte trovano che si ipotizzo' fino all'ultimo una "operazione segreta" per "frantumare il Pci" ancora nel gennaio-febbraio '78.

La saggezza di Carter sembra essere stata decisiva nell'evitare quel piano. Inoltre Falchi e Colombe negli Usa si confrontarono duramente sull"Affaire Italià a poche settimane dal varo del governo della non fiducia. Furono gli inglesi a svolgere un ruolo moderatore di fondamentale importanza".

ANSA

da AntimafiaDuemila

Un Porta a Porta chiuso in faccia all’Islam


di Marco Alloni

Vivo al Cairo da dodici anni, parlo con cognizione di causa: mai assistito a una trasmissione tanto mistificante nei confronti dell'Islam e della sua complessità come il Porta a Porta del 14 ottobre. Ospiti in studio Paolo Ferrero, Rosy Bindi, Ignazio La Russa, Suad Sbai, Roberta Pinotti e la "giornalista" di Panorama Silvia Grilli. In collegamento esterno, Mara Carfagna, Daniela Santanché, l'imam Abdel Hamid Shaari della moschea di Viale Jenner e il "giornalista" del Corriere della Sera Guido Olimpo dagli Stati Uniti.
Certamente tedioso, oltreché impossibile, riproporre ora nel dettaglio le singole fasi del programma. Necessario invece – forse anche un po' tedioso, ma è la ridondanza delle anomalie italiane a imporre la ridondanza del disappunto – segnalare che siamo di fronte a un consapevole, intenzionale ribaltamento della realtà dei fatti. E, più in generale, a una formidabile ignoranza delle articolazioni in cui si configura l'Islam, sia in rapporto alla questione del velo integrale (burqa, chador o niqab) intorno a cui si sviluppava la trasmissione, sia in rapporto alla questione dell'integrazione su cui si esercitavano tanto fantasie buoniste quanto miopi rancori a sfondo razziale.

Intanto sgombriano il campo da una delle più macroscopiche enormità che abbiamo dovuto ascoltare: Mohammed Game, il libico che ha messo in atto il simulacro di attentato contro la caserma dei carabinieri Santa Barbara di Milano – di cui la Rai e Porta a Porta in particolare hanno voluto leggere il senso come avvisaglia di una prossima minaccia terroristica di stampo islamico in Italia – non èil portato di una cultura religiosa integralista e non riconduce, allo stato e con elementare verosimiglianza, ad alcuna cellula islamica clandestina: basti pensare alle modalità dilettantesche dell'azione e a quel "fai da te" menzionato persino nel titolo della trasmissione. È l'espressione di una condizione di disagio la cui lettura solo un giornalismo prono ad altro che alla verità dei fatti può, decide di collegare a un'ipotesi di jihadismo.

Qualora le espressioni di violenza frutto della degradazione, morale o sociale che siano, venissero sistematicamente ricondotte, e indistintamente, al piano della cospirazione, ci troveremmo infatti a dover considerare ispirati sistematicamente, e indistintamente, dall'alto anche i ragazzi del cavalcavia, gli ultras degli stadi, i black block e qualunque altro degenerato prestato alla violenza: il processo, le scaturigini, sono invece esattamente opposte. Non si tratta di derivare, o dedurre, il gesto criminale da questa o quella ispirazione ideologica (o religiosa), ma di estorcere a questa o quella dimensione ideologica (o religiosa) l'avallo arbitrario per una criminalità che si manifesta a priori. In altre parole, si tratta di non ricondurre verso l'alto una degenerazione che è invece prodotto del basso e ha cause e determinazioni che solo a partire dalle condizioni di tale basso possono essere lette e interpretate nella loro corretta fisionomia.

Fintantoché – come è accaduto a Porta a Porta – si mira a instillare il sospetto che un atto di violenza dalla parvenza terroristica (peggio: dalla parvenza di terrorismo islamico) sia necessariamente di derivazione religiosa (o ideologica), si abbandona in partenza l'unico terreno di analisi logicamente implicato in una simile indagine, quello della natura sociale e esistenziale (ergo, privata e individuale) del disagio da cui l'atto scaturisce. Disagio che non presuppone una sociologia illuminata per comprendere da quali condizioni elementari provenga.

Già questo dovrebbe farci considerare con allarme l'allarmismo degli allarmati. Poiché, se accogliamo come plausibile a livello giornalistico che, alla nazionalità o fede di un attentatore, debba corrispondere un a priori di ispirazione ideologica (o religiosa) – o addirittura una derivazione ideologica (o religiosa) – all'informazione e al dibattito abbiamo già sostituito la propaganda. E alla propaganda abbiamo implicitamente assegnato quello sfondo teleologico che esclude la razionalizzazione oggettiva del problema.

Di propaganda infatti si tratta quando deliberatamente, o per fragilità deontologica – ma le due cose sono forse di dispari grado e gravità? – il piano univoco su cui la discussione viene veicolata è determinato dalla domanda: "Il signor Game era o non era legato a qualche gruppo estremistico islamico?". Domanda che, se costituisse un imperativo di chiarificazione, dovrebbe allora essere posta in qualunque circostanza ci trovassimo di fronte a un atto criminale, evidentemente con l'ovvio effetto comico derivato dall'induzione. Immaginate la perversità umoristica della domanda: "Lo stupratore X della bambina Y era o non era legato a una setta di adoratori di Nabokov?", "Il colombiano Z che ha derubato la vecchia W era non era collegato a un cartello di trafficanti di Medellin?", "Il cubano che ha lanciato il petardo nello stadio di K era o non era legato a un gruppo di irriducibili seguaci del Che?". Sfioreremmo il ridicolo, e solo all'imbarazzo potremmo chiedere perché siffatta risibilità non entra mai nel computo quando si tratta di induzioni dal radicalismo islamico.

La domanda che dobbiamo porci è dunque giocoforza, prima che di ordine deontologico, di natura morale. Quale ragione motiva un immediato rimando al fondamentalismo islamico quando si tratta di un atto criminale perpetrato da un musulmano e, per contro, alcun richiamo analogo verso questo o quel serbatoio ideologico o religioso (o identitario) quando si tratta di altri attori di equivalenti forme di criminalità? E più precisamente, quale ragione motiva ipotesi o illazioni di derivazione dall'alto di atti criminali quando siano perpetrati da musulmani e, viceversa, sempre di ispirazione all'alto quando si tratta di atti criminali perpetrati da non musulmani? Perché un fanatico adolescente tedesco che spara all'impazzata in un liceo è aprioristicamente qualificato come "deviato" nella sua imitatioHitler, mentre un musulmano che un'altrettale deviazione paga nei confronti di un Islam fanatizzato lo si suppone orientato da esso (e non ad esso patologicamente orientato)? Perché la causa dei crimini viene ricondotta nel secondo caso all'Islam fanatizzato mentre nel primo nessuno ha l'ardire di affermare che causa della strage nella scuola sarebbe la presenza di cellule naziste in Germania? Perché, nel primo caso, il pericolo è colto in alto e nel secondo in basso (quando per entrambi è dal disagio in basso che scaturisce l'aberrazione)? Chi decide, e perché, il discrimine che impone o viceversa nega l'induzione da e di contesti separati dalle ragioni in sé della criminalità?

La risposta è nel presupposto della domanda: se non si tratta di fragilità deontologica si tratta di propaganda. E se si tratta di propaganda non può trattarsi di giornalismo. E se non si tratta di giornalismo, perché gli organi di controllo e autorità ignorano questi subdoli approcci strategici?

Veniamo allora al merito della puntata. Dicevo, all'inizio, che vivo al Cairo da dodici anni. Troppi – se esiste una durata per la coscientizzazione responsabile – per ritenere che l'Islam sia la caricatura che l'Occidente ha deciso di sovrapporre, in virtù di paure di comodo, alla complessità che lo attraversa e alla storia che lo sospinge fino a noi nei modi di quell'esasperato repli identitaire in cui lo osserviamo. Ma troppi, anche, per valutare o sopravvalutare la minaccia islamica come lo spauracchio che gli stessi "creatori" di Ben Laden – l'Occidente (almeno a partire dall'occupazione sovietica dell'Afghanistan e poi dalla guerra Iran-Iraq) – utilizzano a difesa delle azioni di guerra promosse in nome di una finzione di pace, di una finzione di democratizzazione del pianeta e di una insincera volontà di distensione dei rapporti fra civiltà.

Ma troppi, soprattutto, per ignorare che l'islamizzazione (o neo-islamizzazione) interna ai paesi musulmani (e di conseguenza esportata nei paesi della diaspora) è un fenomeno recente che cresce di pari passo con l'imperialismo e si alimenta in primis (secondo le mille possibili forme di ermeneutica coranica) delle politiche di discriminazione nei confronti dei paesi arabo-musulmani. Troppi, quindi, per non accorgermi che l'esasperazione dei rapporti – la fanatizzazione dell'Islam, l'ideologizzazione della fede, la politicizzazione delle religio (datasi in termini di anti-sionismo negli anni Trenta, di anti-colonialismo poi e di anti-imperialismo oggi) – procedono, e si acutizzano, in primo luogo in virtù di quelle politiche che, nel segno della propaganda sorda all'analisi, vorrebbero – da noi e in genere in Occidente – considerare la minaccia indipendente da qualunque condizione storica o politica globale. E soprattutto da qualsivoglia "nostra" responsabilità parallela e contemporanea alla predicazione dei vari salafismi, wahabismi ecc.

Ed è appunto qui che i disinvolti apriorismi di Porta a Porta si fanno perniciosi. Trasmissioni come quella del 14 ottobre riproducono, in piccolo, ciò che in grande è il predominio della Propaganda sull'Analisi: la subordinazione del giudizio al pre-giudizio, il perpetuarsi di quel fenomeno di chiusura e fanatizzazione che, lungi dall'essere autodeterminato, è la stessa propaganda (che dice di scongiurarlo) a fertilizzare (sarebbe più appropriato dire a "concimare", visti i moventi).

Il caso in questione del velo integrale rappresenta l'ipostasi del problema generale. E tale problema non è la critica – e il necessario adattamento legale – che i musulmani della diaspora devono accogliere una volta giunti in Italia ma le forme di tale critica e i modi di tale adattamento. Vale a dire l'atteggiamento corretto (culturale e politico) che andrebbe assunto nell'affrontare il tema dell'adeguamento dei princìpi e dei costumi della cultura di provenienza a quelli della cultura di arrivo.

Il velo integrale è solo una cartina di tornasole, un casus belli, intorno a cui si raccolgono tutte le altre questioni fondamentali: la condizione e il rispetto della donna, i diritti delle minoranze, il rispetto della nostra carta costituzionale, il rapporto fra religione e laicità. Ma è anche un caso paradigmatico. Poiché, intorno al velo, si raccolgono gli estremisti di questo e quel fronte, e la discussione intorno all'opportunità di accoglierlo o respingerlo (di come accoglierlo e se e quanto respingerlo) investe per intero la grande questione dell'alterità – che certo non si scioglie ignorando il velo o risolvendo legalisticamente il problema del velo.

Diciamolo senza indugi. Tutti – laici, cattolici, destrorsi e sinistrorsi – tutti, in Italia, guardiamo con fastidio al velo integrale. Sia esso niqab, chador, burqa o quant'altro. Aldilà di qualunque ipocrisia di matrice esotistica il velo integrale rappresenta infatti, per ciascuno di noi, in primo luogo una violazione della legge, in secondo una simbolizzazione sinistra di una condizione femminile di subalternità e, in terzo, una forma esasperata di espressione identitaria che male si attaglia col principio secondo il quale la libertà non deve ledere – provocatoriamente, come ci ricordava John Stuart Mill – quella altrui. E certo è "illiberale" e "provocatorio", in un contesto di emancipazione post-sessantottarda, far coincidere espressione e nascondimento della persona, almeno se diamo per acquisita la nozione laica secondo cui la "maschera" può aver al più un'applicazione rituale.

Detto questo non nascondiamoci dietro un dito. Il problema in Italia non è il velo integrale (che attualmente copre un migliaio di donne e non ha ancora assicurato nessuna forma di attentato: se escludiamo quelli al comune senso dell'impudicizia che, come sappiamo, assolve più disinvoltamente forme mitigate di pornografia come il Grande Fratello e la varia congerie dei mercimonii d'alto bordo). Il problema sono le modalità e le forme di approccio alla sua eventuale diffusione. E qui Porta a Porta ha perso un'occasione preziosa. Invece di dare per scontata la reazione della gente di fronte a un capo d'abbigliamento evidentemente estraneo ai suoi costumi e quindi evidentemente scioccante a prescindere da qualunque retrosenso religioso, ha enfatizzato tale reazione concedendo alla "giornalista" di Panorama Silvia Grilli (che coperta di chador ha girato per due giorni per le strade di Milano e dintorni) spazio e risonanza tali da tradurre la parodia di tale reportage in una autentica azione camuffata di propaganda. Va da sé, a danno non solo dei musulmani ma di qualunque utile discorso di integrazione e di relazione con loro.

Il modo, quindi, la forma. Il modo e la forma – l'approccio, le coordinate analitiche e l'impostazione dei criteri di indagine – non rappresentano varianti equivalenti di una indifferenziabile analisi dell'Islam. Ma le forme possibili di una Propaganda occulta o, viceversa, di una onesta e corretta Informazione. Presumere che si tratti di informazione, e non di propaganda, affermare trionfalmente che gli italiani – a seguito di quella spettacolare passeggiata provocatoria tra i meneghini – "hanno dimostrato di essere contro il velo integrale" significa far torto contemporaneamente all'intelligenza degli italiani (che forse avrebbero gradito essere interrogati sul perché, e sull'ovvietà di tale perché, non gradiscono il velo integrale), al giornalismo (che è altra cosa dal divertissement al soldo della destra) e infine soprattutto ai musulmani (che per le strade di Milano hanno certamente reagito esattamente come tutti gli italiani: con lo stesso e ovvio stupore). In buona sostanza, significa aver veicolato quello stesso messaggio di ostilità e legittimazione al rifiuto (e quindi al razzismo) che la demagogia legalista della destra "al servizio dell'emancipazione della donna islamica" (ma quando mai?) pateticamente occulta sotto la sua pretesa di operare nel segno della sicurezza e della legalità.

Quindi Porta a Porta concede al pregiudizio, e all'ovvietà, lo spazio che una trasmissione di tale risonanza – su un tema di tale rilievo – dovrebbe al contratrio concedere all'interrogazione e all'indagine.

Ma non finisce qui. Complici i "se" e i "chissà" di La Russa, la sensibilità monolitica "alla Huntington" di Guido Olimpo in collegamento dagli Stati Uniti e le varie articolazioni e declinazioni di un futuro immaginario di possibili minacce terroristiche islamiche in Italia, su cui claudicava allegramente il programma (sarebbe interessante contare i riferimenti ai fatti e al presente e, per converso, il profluvio di ipotesi, illazioni, preveggenze e prescienze sugli scenari "futuri" di questa "immaginaria" Italia dominata dallo spettro del terrorismo jihadista, assente quanto sempre incombente), il problema dell'Islam si è trasformato miracolosamente da questione reale in problema ipotetico e profetico. E la valutazione dell'esistente in congettura allarmistica (cioè propagandistica) sull'esistibile.

E qui il meglio lo hanno dato le predizioni e la chiaroveggenza di La Russa; il quale, suggerendo a più riprese, spalleggiato dalla Santanché, che Mohammed Shaari non avesse diritto a partecipare alla trasmissione (sic!), ha collezionato una tale casistica di fantomatici scenari futuri da indurre il sospetto che, se il presente indicativo ha ancora voce in capitolo in una trattazione giornalistica dell'esistente, deve valere più o meno come una capricciosa fissazione da positivisti: cioè che la storia ipotetica futura è ormai l'unico solido contesto di riflessione per chi voglia affrontare seriamente le problematiche poste dall'Islam della dispora. Insomma, propaganda! Lo spauracchio della minaccia come sfondo davanti al quale imbastire il risaputo spettacolo della legittimazione dell'autorità e della forza.

Detto questo, c'è da chiedersi quali spazio potranno avere e quando le voci che, nel mondo islamico, lavorano da anni per superare dall'interno – del tutto ignorate dai media italiani – le derive salafite che si stanno propagando entro le loro società e di conseguenza verso l'Islam della diaspora. Voci che non enfatizzano – come purtroppo accade per quell'ossimorica figura di moderata integralista che è Suad Sbai – il fronte contro fronte come unica prospettiva di confronto possibile fra Islam e Occidente, fra cultura religiosa e cultura laica, ma intraprendono un paziente e complicatissimo lavoro di autocritica che è, probabilmente – come ci ricorda il recente Islam e modernità nel pensiero riformista islamico di padre Paolo Nicelli (Ed. San Paolo, 2009) – la sola vera strada maestra affinché il mondo islamico possa affacciarsi da noi altrimenti che come la minaccia che il profetismo allarmistico di La Russa e compari non fa che esasperare. Ma chi sono costoro? Chi li ha mai visti comparire da Vespa o in qualunque altra trasmissione di riflessione sull'Islam? Chi ha mai sentito nominare Nasr Hamid Abu Zeid, Abdullah Ahmed Al Naim, Abdullah Ahmad Badawi, Hassan Hanafi, Mohammed Arkoun, Abdelmeguid Charfi, Benzine Rachid e tutta quell'ampia schiera di "riformisti" minoritari che l'Occidente, da decenni, lascia colpevolmente nelle retrovie della loro solitaria battaglia di "svecchiamento" (tagdid) dell'Islam? Celebrando, inutile ripeterlo, soltanto i martiri della satira, dell'oltraggio e della provocazione, come Theo Van Gogh, Salman Rushdie e via elencando.

È drammatico. Ma è anche questo un segno dei tempi e della spettacolarizzazione del reale. Laddove l'Occidente lamenta la scarsità o assenza di interlocutori islamici moderati e progressisti – gli unici che potrebbero avere titolo per criticare quanto la sensibilità musulmana recepisce come indebita ingerenza o blasfemia se proveniente dall'esterno (si ricordino le famigerate vignette su Maometto) – nessuno spazio concreto viene però loro concesso. E, fra chi dell'Islam parla per sentito dire, chi ne valuta i fenomeni e l'insorgenza in Europa con la delicatezza buonista che rifugge la critica temendone l'assimilazione al pregiudizio, chi in malafede lo respinge sic et simpliciter, manca sempre la voce di chi, da lungo tempo, si adopera invece per darne una lettura moderna, uno statuto di religione compatibile con le logiche e le complicazioni della diaspora e una natura che trovi, nel laicismo, le forme plausibili di un accordo. Ma forse è troppo pretendere, se è alla propaganda che viene subordinato il giornalismo, che si possa un giorno riformare, prima ancora dell'Islam, il nostro modo di parlarne. E, ripeto, trovare le persone idonee e utilicon cui parlarne: che, se proprio non possono essere aiutate a casa loro, nei loro paesi, che siano almeno più spesso e più utilmente ospitate da noi. In questo paese dove, tanti anni fa, un siracusano salutava il suo vicino con un allegro "Al salamu aleikum".

da MicroMega

ROMA - I migranti non si fermano: mobilitazione a oltranza


Migliaia di richiedenti asilo continuano la protesta chiedendo sanatoria per tutti

A Roma ancora giornate di protesta dei migranti che invadono la città

Dopo la straordinaria manifestazione di ieri contro il razzismo che ha visto la sperimentazione di uno spezzone meticcio e ibrido di migranti e studenti, oltre a centinaia di associazioni in piazza assieme alla società civile, migliaia di rifugiati politici e richiedenti asilo di Caserta hanno deciso di rimanere a Roma per continuare la mobilitazione.

Sono rimasti in piazza per raggiungere un obiettivo preciso: l'allargamento della sanatoria, al di là delle sole colf e badanti, a tutte le categorie di lavoratori, e dunque l'ottenimento del permesso di soggiorno.

Ieri a partire dalle 9 di mattina i migranti hanno occupato la piazza Bocca della Verità per rilanciare la lotta dopo la manifestazione di ieri. Con grande determinazione hanno affrontato una giornata piena di mobilitazione, con forza dicono di voler arrivare fino in fondo, fino all'ottenimento del permesso di soggiorno.

Nel tardo pomeriggio un gruppo di migranti è riuscito ad entrare nella chiesa a fianco del Campidoglio per cercare di ottenere un incontro con il sindaco di Roma Alemanno, incontro finalizzato all'apertura di una vertenza direttamente con il governo. Intanto diverse centinaia di migranti venivano bloccati dalla polizia che ha impedito l'ingresso in massa nella chiesa.

La mobilitazione continuerà domani mattina, a partire dal sit in convocato a Piazza SS. Apostoli alle ore 10.

La ferrea volontà dei migranti è quella di costringere il governo ad un incontro per aprire una vertenza che sia direttamente conquista di visibilità politica e tentativo di risoluzione concreto del problema del permesso di soggiorno e dell'allargamento della sanatoria.

I migranti hanno dichiarato di voler continuare ad oltranza la mobilitazione, e per questo chiedono il sostegno di tutti durante i prossimi giorni.

Globalproject seguirà con video, corrispondenze e foto la giornata di mobilitazione di domani - stay tuned on globalproject.info

da GlobalProject

Si arrivi quanto prima alla verità


di Rita Borsellino

“Dopo le stragi di Capaci e di via D'Amelio, Totò Riina presentò il papello, una sorta di conto e condizioni e qualcuno si fece vivo”. Lo disse per la prima volta Giovanni Brusca in un interrogatorio del 10 settembre del ‘96. Nel 2001, sempre Brusca, anche sulla base di quanto raccontato nove anni prima dal pentito Gaspare Mutolo a proposito di un incontro tra Paolo Borsellino e l’allora ministro dell’Interno Nicola Mancino, riferì che “Borsellino fu ucciso perché voleva fermare la trattativa tra pezzi dello Stato e i Corleonesi avviata dopo la strage di Capaci”.
Sono passati lustri e decenni da queste e da altre rivelazioni. Che oggi sembrerebbero trovare conferma nel “papello” consegnato ai magistrati da Massimo Ciancimino, il figlio dell’ex sindaco di Palermo, che della presunta trattativa sarebbe stato il principale intermediario. Il condizionale, purtroppo, è d’obbligo, in questa vicenda che continua ad essere avvolta da un alone di mistero, con personaggi che dicono e non dicono, ricordano e non ricordano. Fatto sta che le maggior parte delle testimonianze raccolte negli ultimi 17 anni ci raccontano le stesse cose: ossia, che in qualche modo la trattativa tra Stato e mafia fu intavolata e che a questa trattativa Borsellino, come non poteva essere altrimenti per un uomo che ha a cuore le istituzioni e la democrazia, era contrario.

Da qui, l’ipotesi che “l’accelerazione” dell’uccisione del giudice fu impressa proprio per evitare pericolose interposizioni. Insomma, si tratta di un quadro lineare. Che poi ci sia voluta una trasmissione televisiva per riportarlo alla luce, piuttosto che testimonianze riferite nelle sedi opportune, ossia le procure, è un fatto che fa pensare e che fa male. Un fatto che potrebbe aggiungere altra confusione al già fitto giallo di cui stiamo parlando. Ma tant’é… Dopo diciassette anni, dopo tutto questo tempo in cui alcune cose sono state tralasciate e su altre non si è indagato a sufficienza, ciò che importa è che si arrivi finalmente e al più presto alla verità.

Quella vera, e non le piccole e tante verità che in questi anni hanno deviatoi e confuso. Perché non è più accettabile continuare ad assistere a questa pantomima inquietante, con “pillole di verità” che vengono fornite a puntate, anche da uomini delle istituzioni la cui memoria sembra funzionare a intermittenza. Perché non è più accettabile che non si sappia ancora che fine abbia fatto l’agenda rossa del giudice Borsellino in cui sicuramente sono contenute queste verità o che cosa sia successo nel covo di Totò Riina nei giorni successivi alla sua cattura. Chi ha sbagliato si assuma le proprie responsabilità. E la giustizia faccia il suo corso. Che è poi quello di far trionfare la verità.

*Deputato del Parlamento europeo
da Articolo21

Lo stato e la mafia

Il quotidiano spagnolo El País parla della trattativa tra lo stato e la mafia durante gli anni novanta.

“All’inizio degli anni novanta lo stato italiano ha negoziato con la mafia siciliana per evitare stragi come quella in cui è rimasto ucciso il giudice Giovanni Falcone. Quello che era un segreto di Pulcinella è stato confermato ufficialmente dalla massima autorità italiana in materia di lotta alla criminalità organizzata”, scrive El País. In un’intervista al Tg3 il procuratore nazionale antimafia, Piero Grasso, ha rivelato che i servizi segreti italiani entrarono in contatto con personaggi come Totò Riina e Vito Ciancimino.

Il quotidiano francese Le Monde, invece, riprende la notizia della nascita della Banca del Mezzogiorno, annunciata dal ministro dell’economia Giulio Tremonti.

“Il ministro dell’economia Giulio Tremonti ha annunciato la creazione della Banca del mezzogiorno, un’iniziativa ostacolata dalla Lega nord e da Silvio Berlusconi. Il presidente del consiglio ha finito per accettare la proposta in vista delle elezioni regionali di marzo 2010 e dopo la minaccia di alcuni parlamentari del sud di creare un nuovo partito di centrodestra”, afferma Le Monde. Il nuovo istituto bancario si appoggerà sulle poste e su una rete di banche cooperative e popolari. L’obiettivo è rendere più accessibile il credito agli imprenditori del Mezzogiorno.

da Internazionale

TOMA MAGLIE vs ASD NARDO': pareggio e polemiche

Il risultato tutto sommato è giusto visto l'andamento della gara. Resta l'amarezza per aver regalato un tempo ad una squadra mediocre, e soprattutto la rabbia per un goal regolare di De Benedictis, annullato inspigabilmente nel finale.

LE PAGELLE


NARDO':

Bassi 6,5; Incolpevole sui goals. Compie un paio di interventi decisivi sul 2-0

De Donno 5,5; Arrangia in fase difensiva, ma non trova quasi mai i tempi per proporsi in fase offensiva.

De Padova 4,5; Quasi sempre in difficoltà; Un suo erroraccio spiana la strada per il vantaggio magliese.

Calabuig 6; Il terreno viscido crea qualche imbarazzo anche a lui, ma con tenacia non lascia quasi mai che gli avversari lo superino. TAPPABUCHI

Contessa 5,5; Svolge il suo compitino in difesa. Timido in fase di proposizione.

Irace 4,5; Da lui ci si aspetta di più. Non si fa sentire in fase di interdizione, non è lesto nelle ripartenze, non tira mai in porta. Da un suo errore nasce il contropiede per il 2-0. DELUDENTE

Frascolla 6(78' Patera 6);E' il più lucido a centrocampo, corre da destra a sinistra per ricucire gli spazi troppo lunghi fra i reparti.

Tartaglia 5; Mezzo voto in meno per un primo tempo da dimenticare. Nel secondo tempo da vero capitano ci mette grinta e determinazione. Suo l'assist per Di Rito.

Parlacino 5(70' De Benedictis6),"Tutto fumo e niente arrosto". Non pervenuto.

Di Rito 6; Bello lo stacco di testa che sigla il pareggio. Spreca qualche buona occasione. SCIUPONE

Montaldi 5,5; Dopo il rigore sbagliato al minuto 93 nella scorsa partita sembra un po' timido. Poi insieme a tutta la squadra si sveglia nel secondo tempo e va vicinissimo al 3-2 con una bella iniziativa personale al limite dell'area di rigore.

A disp. Baglivo, Massarelli, Ruggiero, Turitto, Patera, De Benedictis. All. A. Longo.

MAGLIE: Potenza , Eleni, Sabatelli, Cezza, Vetrugno, Biasco, Colucci, Tommasi, Sirito (65' Foderaro), Botrugno, Montinaro. A disp Provenzano, Tommasi, Pedone, Laporta, D'Errico, Antonelli. All. K. Zeman

Arbitro: Mastrodonato di Molfetta

Note: Spettatori 1800 circa di cui quasi mille neretini,

MAYA - 2012: cosa hanno detto in realtà


2012: cosa hanno detto i Maya in realtà
Ciarlatani e conduttori televisivi ci stanno intortando da anni con la fine del mondo prevista dai Maya. I quali, guarda un po', negano con decisione.

Un moderno Maya abitante in Guatemala.

Quanti soldi avrà guadagnato il furbesco Roberto Giacobbo con il suo libro sulla fine del mondo nel 2012? Quanti ne guadagnerà l'anno prossimo Roland Emmerich con il film omonimo? Quanti ne hanno guadagnati tutti i ciarlatani che hanno fatto propria questa idea e scritto libri, articoli, tenuto conferenze o altro?
Quanti di questi soldi andranno ai legittimi detentori del copyright, ovvero i discendenti dei Maya? Probabilmente neanche un centesimo.

Che i Maya o chi sopravvive oggi di questo antico popolo siano leggermente imbufaliti riguardo alla faccenda non c'è da stupirsene. È probabile che qualunque turista passi dalle loro parti si mostri interessato prima di tutto a chiedere di questa fantomatica apocalisse anziché fare domande serie sulle meraviglie archeologiche lasciate da questa civiltà.

Ma cos'hanno detto esattamente i Maya a proposito di questa supposta fine del mondo? Ne parla in un interessante articolo il giornalista americano Mark Stevenson su Yahoo News.

Intanto, il fatto che nel 2012 termina un ciclo del loro calendario, com'è evidente, non significa nulla; o almeno non più di quanto abbiano potuto significare le fini dei nostri millennio, primo e secondo, che comunque sono state anch'esse indicate come probabili apocalissi, nel secondo caso quantomeno apocalissi informatiche. In realtà nei documenti Maya si fa tranquillamente riferimento a date successive al 2012, inclusa un'iscrizione che fa riferimento al nostro 4772.

Il calendario Maya è diviso in periodi di 394 anni, detti Baktun, e il 21 dicembre 2012 terminerà il tredicesimo di questi periodi. Il 13 è un numero importante per i Maya, ma non c'è scritto da nessuna parte che il mondo debba finire o che debba succedere qualcosa di negativo, sostiene David Stuart, specialista in epigrafi Maya dell'università di Austin.

Del 2012 si parla in particolare nel cosiddetto "monumento sei", una pietra trovata nel Messico meridionale durante i lavori di costruzione di un'autostrada. Nella pietra, purtroppo rovinata dai lavori stessi, si fa riferimento al dio Bolon Yokte, legato a miti di guerra e di creazione. Secondo l'archeologo Guillermo Bernal l'iscrizione indicherebbe che nel 2012 Bolon Yokte scenderà dal cielo.

Un'altra teoria è quella dell'allineamento della Terra rispetto al sole e al centro della Galassia. L'astronomo Phil Plait è piuttosto chiaro sull'argomento: l'allineamento non avverrà esattamente nel 2012, e in ogni caso è evidente che non esiste nessun motivo scientifico per supporre che questo debba avere un qualche effetto sulla Terra. Lo studioso dei Maya John Major Jenkins conferma che comunque i Maya non davano alcuna importanza a questo evento astronomico.

I discendenti dei Maya che popolano la regione dello Yucatan dicono di non sapere assolutamente nulla della fine del mondo. Hanno invece problemi molto più pratici e immediati, come la siccità. In effetti, tutta l'idea di eschaton, di fine del mondo, è in realtà un concetto di origine squisitamente cristiana. I primi Cristiani credevano fermamente che il mondo sarebbe finito pochi decenni dopo la morte di Cristo, e da allora, sebbene questo elemento sia diventato nel tempo sempre meno importante nella religione cristiana, ha continuato a ripresentarsi periodicamente.

Anche se, questa volta, per fortuna sono davvero pochi quelli che lo prendono sul serio. Almeno, speriamo sia così.

da Indymedia

FRANCESCO GUCCINI - LA TUA LIBERTA'



La Tua Libertà (Francesco Guccini)

Oltre le mura
della città
un orizzonte insegue un orizzonte;
a un’autostrada, un’altra seguirà,
gli spazi sono fatti per andare;
la tua libertà,
se vuoi, la puoi trovare.
E un uomo saggio
regole farà,
una prigione fatta di parole;
i carcerieri
di una società
ti impediranno di cercare il sole;
la tua libertà,
se vuoi, la puoi avere.

Fossi un uccello
alto nel cielo
potrei volare senza aver padroni;
se fossi un fiume
potrei andare
rompendo gli argini nelle mie alluvioni

E boschi e boschi
cerco attorno a me
dov’è la terra che non ha barriere?
dov’è quel vento
che ci spingerà
come le vele o le bandiere;
la tua libertà
se vuoi la puoi avere.
Fossi un uccello
alto nel cielo
potrei volare senza aver padroni;
se fossi un fiume
potrei andare
rompendo gli argini nelle mie alluvioni

Ma sono un uomo
uno fra milioni
e come gli altri ho il peso della vita
e la mia strada
lungo le stagioni
può essere breve, ma può essere infinita;
la tua libertà
cercala, che si è smarrita,
cercala, che si è smarrita

Augias Corrado ... che venne dal freddo

di Rita Pani

Scrivevo ieri della poca fantasia degli sceneggiatori del governo, e ci devo tornare oggi, che si sprecano le dichiarazioni solidaristiche verso il corruttore del governo, minacciato da una fantomatica nuova formazione terroristica, così nuova da scombinare il sistema rivolgendosi al Riformista, anziché a Repubblica o il Corriere, probabilmente ritenuti troppo comunisti persino dai rivoluzionari. Insomma, se da un lato ci si rivolge agli industriali per non investire in pubblicità su Repubblica, gli si potrà fornire gratis con la pubblicazione di un testo così allarmante?Ricordate? Era – mi pare – il 2006 quando alcune sconvolgenti rivelazioni emersero dalla commissione Mitrokhin, la fabbrica di bufale commissionate da berlusconi, a partire dal 2002: “Romano Prodi era un agente del KGB”.

Poca fantasia e stupidità, come scrivevo ieri, che tuttavia ci fecero ridere, a sinistra, per svariato tempo, soprattutto leggendo i commenti alla notizia dei forzidioti, che giuravano sui loro figli e gioielli di famiglia, sulla veridicità della minchiata cosmica. In realtà sarebbe bastato guardare il serafico viso di Prodi per ridere fino alle lacrime, ma invece si discusse a lungo della presunta attività dello 007 de noantri.
Il confezionatore di bufale, e bene ricordarlo, pagato profumatamente dai contribuenti italiani, per ricoprire quel ruolo, oltre quello di senatore, era il servo paolo guzzanti, ora pentito.

Ci risiamo. Il giornale, l’unico giornale che davvero ha al suo interno una spia, tale farina meglio noto come l’agente betulla, ha iniziato la caccia alle spie di Repubblica, e da oggi ha iniziato a pubblicare l’elenco seguendo un preciso ordine alfabetico: Augias Corrado spia dell’Est.
Il giornalista scrittore, mentre si trova in viaggio, ha commentato la diffamazione con sdegno e incredulità. Ora io invece attendo il primo forzidiota che mi dirà: "Invece no, è possibile. Lo dice il giornale. "(E sono sicura che ci sarà perché l’Italia brulica di idioti forzidioti).

E così si inaspriscono le disparità di questo paese negletto, nel quale il governo tenta in tutti i modi di tappare la bocca alle voci libere, siano essi veri giornalisti o blogger, social network o forum, ma utilizza i giornali del presidente del consiglio per diffamare ed oltraggiare l’onorabilità di chi avversa il sistema semplicemente facendo il suo lavoro.

da Indymedia

Atene - Violenta aggressione sessista dei nazi


Violenta aggressione neonazista contro una cantante indifesa

Un gruppo neonazista greco ha aggredito violentemente una giovane ragazza in Atene, spruzzandole dello spray in faccia.
Questo perché la ragazza si era rifiutata di leggere un loro volantino.
Una pattuglia della polizia presente sul posto non è intervenuta.
La ragazza è ancora in ospedale.
Il primo ottobre in Grecia, a mezzogiorno, circa 30 fanatici neonazisti, membri di una organizzazione fascista parastatale denominata Chrysi Avyi, si trovavano alla stazione Katechaki della metropolitana di Atene a distribuire la loro propaganda e a scandire violenti slogan, tutti con in mano la bandiera della Grecia.

Una giovane donna, la cantante e artista Sofia Papazoglou si trovava alla stazione della metropolitana dove i fascisti l'hanno costretta a prendere uno dei loro volantini.
Riconosciuto il contenuto come razzista la ragazza buttava il foglio in un cestino poco lontano, senza provocazioni.
Immediatamente una decina di nazisti hanno urlando offese sessiste nei confronti della indifesa ragazza e l'hanno violentemente aggredita spruzzandole in faccia dello spray.
Questo davanti a degli addetti della metropolitana.

Una pattuglia della polizia che stazionava nei pressi non è assolutamente intervenuta, permettendo ai neonazisti di portare a termine la loro aggressione sessista contro l'innocente artista.
La giovane donna è stata poi trasportata in ospedale dopo che gli addetti della metro hanno chiamato un'ambulanza.
La ragazza si trova ancora in ospedale per problemi agli occhi.

I partiti politici ANTARSYA e EEK (Troskisti) hanno immediatamente rilasciato dei comunicati di solidarietà nei confronti della vittima di questa aggressione sessista.

Related Link: https://athens.indymedia.org/front.php3?lang=el&article...85668

http://toscana.indymedia.org/article/6134

toscana.indymedia.org/article/6134

L'assassino dei sogni


Carissimi,
vi scrivo per dirvi che Carmelo, uno dei miei amici ergastolani ostativi, ha scritto un libro che si intitola "L'assassino dei sogni".
Il libro, di cui vi invio la copertina in allegato, è una raccolta di ciò che Carmelo ha scritto in questi suoi primi 20 anni di carcere: ci sono racconti, fiabe, parti del suo diario giornaliero ecc. E' tutto scritto con un linguaggio molto semplice, Carmelo racconta la sua quotidianità fatta di tanta sofferenza e di piccole speranze. Il libro è molto bello e commuovente fa capire la vera realtà del carcere, è scritto da un uomo che ora ha 54 anni e che da più di 20 anni non mette un piede fuori dal carcere.Vi prego di non vedere Carmelo solo come un criminale e un ergastolano ostativo. Carmelo è molto diverso da quello che era 20 anni fa, oggi è un uomo nuovo, è una creatura nuova con un animo buono, leggendo il libro lo capirete. Leggendo il libro comincerete a conoscere ed amare Carmelo e con lui anche tutti gli ergastolani ostativi.
Due amici di Carmelo hanno sostenuto personalmente tutte le spese della stampa del libro e ora io sono qui per proporre a ciascuno di voi l'acquisto di una copia del libro.
Il ricavato andrà a Carmelo e alla sua famiglia che, come potete immaginare, versano in una brutta situazione finanziaria.
Il carcere non passa più nulla ai detenuti, quindi qualsiasi cosa serva a Carmelo (cibo, vestiti, sapone, carta, ecc) deve essere pagato dalla famiglia. Carmelo, essendo un ergastolano ostativo, non ha il permesso di lavorare all'interno del carcere, lui, in quanto ostativo deve stare chiuso nella sua cella 23 ore al giorno, quindi visto che non gli è permesso di lavorare, due suoi amici hanno pensato di stampare sotto forma di libro tutti gli scritti di Carmelo, in modo che Carmelo e la sua famiglia possano beneficiare dell'incasso derivante dalla vendita del libro.

Ciascuna copia del libro costa 10 Euro, chiunque di voi volesse aiutare concretamente Carmelo e acquistare una copia del libro me lo dica, io ho con me molte copie pronte ad essere vendute.
Se potete acquistatene una copia, ve lo chiedo con lo spirito di vedere nel volto di ogni povero, ogni carcerato, il volto di Gesù sofferente “Tutto quello che avrete fatto a uno dei miei fratelli più piccoli l’avrete fatto a me” .

In allegato a questa mail vi invio la foto della copertina del libro e la foto di Carmelo, scattata vari anni fa nel cortile interno del carcere.

Vi ringrazio a nome mio, a nome della Comunità papa Giovanni XXIII e a nome di Carmelo.

Mita