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mercoledì 16 settembre 2009

..per Mia Colpa,Mia Colpa..Mia grandissima Colpa!‏

Quand'ero piccola conoscevo a memoria molte preghiere,che imparavo con facilità come fossero filastrocche e non vedevo l'ora che arrivasse domemica pomeriggio per sedere accanto a mia nonna nellla chiesetta del paese e poter dar lustro al mio ego di bambina,intonando a gran voce ogni salmo,senza capire precisamente quel che mi accingessi a cantare."Confesso che ho molto peccato..in pensieri,parole,opere,o missioni"..e chi ci capiva niente?? e poi,quali cattivi pensieri per chi ha poco più di 6 anni..!Oggi,dopo 20 anni,di cattive parole ne ho dette tante e di opere meritevoli di due o tre "Confesso" pure(se solo credessi che una preghiera potesse bastare a lavare le mie piccole colpe da pecorella smarrita)...
Ieri sera,solita sera settembrina-neretina,dove sei fortunato se trovi un semaforo lampeggiante,indicatore di un qualche segnale di vita artificiale(perchè quella umana di vita si dissolve nel nulla dalle 21.00 in poi)ero di ritorno da una gita fuori porta in quel di Gallipoli,tanto per constatare l'assenza di materia organica anche lì..e con il mio fidanzato canticchiavo "people have the power",di Patti Smith,una filastrocca un pò più rock delle litanie catto-liturgiche della mia infanzia,quando,imboccata la litoranea per lido conchiglie,mentre in macchina si stava celebrando un vero e proprio woodstock di acuti e risate,ecco che appare un'ombra sul ciglio della strada,materializzatasi dal nulla..la supero senza capire bene se sia una delle mie paranoie serali audio-visive..continuo a guidare per 100metri circa;Nico,il mio ragazzo,non si è accorto di nulla..si,forse è la mia solita immaginazione che ritorna prepotente a prendersi gioco di me..,rallento un pò..dallo specchietto retrovisore non si riesce a vedere altro che niente..la strada sembra deserta..solo la mia macchina risucchiata dal buio pesto di una notte appiccicosa,illuminata da una luna troppo pallida.E allora sogno o son desta?Devo dirlo a Nico,che ormai conosce ed asseconda le mie fisime quotidiane,del tipo"c'è un mostro sotto il letto" e che,dopo aver sentito la mia sgangherata versione non ha esitato un momento nel farmi tornare indietro per scacciare i soliti fantasmi impertinenti,venuti a farmi visita.
Purtroppo però la mia visione e il suo intuito si sono rivelati più che fondati!Trovandoci ora dal lato opposto della strada,dopo una rapida inversione di marcia,intravvediamo,con l'aiuto delle deboli luci della mia auto,che certo un fuoristrada non è,la sagoma di una persona,seduta per terra,che sostiene qualcosa o qualcuno sulle sue gambe mentre pronuncia parole indecifrabili dalla nostra distanza;siamo in due ad avere le traveggole ora?..decidiamo di proseguire per altri 20 metri,dove c'è una piazzola di sosta,per capire cosa fare;chi o cosa abbiamo visto?la domanda sorge spontanea tra noi due..dobbiamo avvicinarci se vogliamo renderci conto di quel che sta succedendo,perchè il buio e i frammanti di frasi flebili e sommesse che cerchiamo di carpire non ci aiutano granchè..finchè,nel silenzio assordante che ci avvolge non si alza un lamento disperato,in cerca di ascolto.Una macchina nel frattempo sembra accostarsi lì vicino,per poi procedere per la sua strada senza tornare indietro...
il panico decide allora di venirci a far visita e per una frazione di secondo,sembrata un'eternità rimaniamo impietriti,gli occhi sbarrati in cerca di un volto soffocato dal buio,con il cellulare in mano,a fare i conti con un cervello momentaneamente assente per formulare un numero troppo facile da ricordare..finchè la lucidità torna a risvegliare le nostre membra intorpidite da incredulità e paura;il motore ancora rombante ci indica il sentiero da ripercorrere e così torniamo..con due pattuglie dei carabinieri,chiamate da qualche viandante solitario come noi,poi corso via..
Per terra c'è un uomo,che cerca di rianimare un suo amico,disteso,immobile,con il volto coperto di tagli.
Qualcuno l'ha investito,forse senza vederlo,ed è scappato via..forse senza fregarsene di aver quasi ammazzato un uomo...
Dopo 10 minuti,quella strada così deserta e buia sembra illuminata a festa,dalle luci intermittenti di 3 volanti,ma qualcuno manca all'appello..Dunque,rivediamo l'elenco delle presenze:volanti dei carabinieri?PRESENTI;volante della polizia?PRESENTE;macchine di curiosi?PRESENTISSIME...e allora chi è assente questa notte?ah si l'ambulanza...solita ritardataria(devi smetterla di marinare la strada quando devi essere interrogata)???!!
Che dire poi dell'ignoranza generale dei presenti,più preoccupati a stabilire il tasso alcolemico dei due uomini,piuttosto che ascoltare la versione fornita dall'uomo in lacrime per il suo amico ferito,cioè di essere stati investiti,mentre camminavano a piedi sul ciglio della strada,da un'auto poi datasi alla macchia.
Nella mia storia ho omesso un particolare piccolo piccolo,in merito alla provenienza dei due esseri umani,vittime dell'indifferenza di questa notte:udite udite,trattasi di due stranieri di sesso maschile,dalla carnagione scura,senza documenti addosso,spaventati,incompresi,non creduti(c'è pure chi ha pensato che l'uomo ferito potesse essersi fatto male da se,inciampando per terra perchè troppo ubriaco)...
Ed allora io "Confesso che ho molto peccato in pensieri,parole,opere ed OMISSIONI",perchè anche se per un solo secondo,io ho avuto paura,abbandonandoli un minuto in più al loro destino irregolare di clandestini.
Quella pietas cristiana,che da piccola credevo di possedere per il sol fatto di essere in grado di recitare a memoria lunghe cantilene pagane,è tornata a bussare ferocemente alla porta della mia coscienza questa notte,chiedendomi di entrare ed io,anche se per un solo minuto,non l'ho permesso,lasciando che i miei fantasmi ancora una volta brindassero alla triste dipartita di una piccola anima umana,troppo umana,mentre alla radio,le graffianti note di una canzone rock,qualche momento prima intonata a squarciagola si perdono nei silenzi miei e di nico,di ritorno a casa.

di Francesca C.

A Maglie abbattuti altri 40 capi di bestiame intossicati dalla diossina

Altri 40 capi di bestiame abbattuti nel Salento ai danni di un allevamento intorno all'agro di Corigliano d'Otranto. Sale così a oltre un centinaio il numero di animali risultati essere "alla diossina" e per questo abbattuti. L' azienda agricola in questione si trova a ridosso della Copersalento, l'ex sansificio sito a Maglie finito agli "onori" della cronaca dopo l'allarme scattato nel luglio 2008 per gli sforamenti in atmosfera di sostanze inquinanti, in particolare diossina e pcb, che avrebbero determinato una vera situazione di emergenza sanitaria ed ambientale....

"Ci risiamo: dopo il provvedimento di luglio 2009, disposto dal servizio veterinario della ASL che ordinava l'abbattimento di 70 capi di bestiame, fra mucche e vitelli, eccone un altro simile che, a quanto sembra, dovrebbe riuscire a risolvere il problema "fumi Copersalento", dichiara la responsabile del CODICI-Centro per i Diritti del Cittadino della delegazione di Cursi, Sara Francesca De Giorgi. "L'abbattimento degli animali non è altro che un provvedimento tampone, una soluzione non solo inefficace ma anche dispendiosa economicamente in quanto per attuarla saranno erogati fondi regionali che serviranno per l'abbattimento e lo smaltimento degli animali oltre che per ripagare gli allevatori della perdita subita.

Tale provvedimento, probabilmente servirà solo a ridimensionare l'allarmismo esploso nuovamente in questi giorni dopo la delibera emessa dal Comune di Maglie che non nega la possibilità di costruire un nuovo termovalorizzatore nel comprensorio magliese. " prosegue la Dott.ssa Valentina Coppola Resp. Naz. Settore Ambiente. "Oltre al danno la beffa, insomma visto che anche questo inceneritore provocherebbe necessariamente l'emissione di diossina nell'aria. Chiediamo ancora una volta agli organi competenti di attuare piani per la bonifica dei terreni intorno all'impianto industriale e invitiamo chi di dovere a fare chiarezza su una vicenda apparentemente senza fine". "Chi reputa di aver subito danni, come gli allevatori, si può rivolgere allo sportello legale dell'Associazione", conclude l'Avv. Vittorina Teofilatto, legale del CODICI.

Gli avvocati sono contattabili allo 0655301808, per informazioni è possibile inviare una e-mail all'indirizzo codici.cursi@codici.org Questo indirizzo e-mail è protetto dallo spam bot. Abilita Javascript per vederlo. .

da GrandeSalento

LETTERE DAL CARCERE DI PAVIA SETTEMBRE 2009

Verrà la morte e ha avuto i loro occhi.

Allego il testo da me personalmente trascritto, di due lette autografe che mi sono pervenute per posta privata e con mailing list ma che non ho capacità tecnica di allegare e sicuramente qualcuno l’avrà già fatto o lo farà. La prima è la testimonianza dei detenuti della Prima Sezione di Pavia, compagni di cella di Sami Mbarka Ben Garci , l’altra già ieri circolata sulla stampa, parzialmente o integralmente. Per finire l’articolo dettagliato della Provincia Pavese.

Vi prego di diffondere. Non “scendiamo nel gorgo muti”.

Verrà la morte e ha avuto i loro occhi.

Doriana Goracci

http://www.reset-italia.net/?p=17189

p.s. ho trovato ora dei “dettagli” in proposito su CNR MEDIA

Egregio signor Avvocato! noi detenuti della 1a abbiamo assistito alla lunga agonia del suo povero cliente, una morte lenta e umiliante. Sicuramente non pagherà nessuno per questa morte, ma le assicuriamo che si poteva evitare benissimo, bastava un pizzico di umanità in più.Era diventato come un prigioniero nei campi di concentramento vomitava acidi e sveniva davanti agli occhi di tutti veniva aiutato da noi detenuti per fare la doccia altrimenti poteva morire nel suo vomito!
Ma non è stato fatto assolutamente niente tranne che lasciarlo morire nella sua cella sotto gli occhi del compagno che più di tutti ha visto spegnersi un essere umano!! La preghiamo vivamente di non arrendersi alle falsità che le verranno dette perchè il suo povero cliente è stato lasciato morire sotto gli occhi di tutti noi!
Prima di lui si è impiccato un altro ragazzo seminfermo e invalido al 75% dopo averlo riempito di sedativi e spedito a San Vittore. Il padre di questo povero ragazzo ha denunciato la sua storia su Rai 3 nel programma di Tirabella accusando il carcere di Pavia di aver lasciato morire il proprio figlio!! La preghiamo di andare fino in fondo con la speranza che non succeda mai più che delle vite umane diano uno spettacolo di un campo di concentramento finchè non si spengono nella più totale indifferenza. Sarebbe una bella e giusta cosa se l’Indagine che verrà fatta si arricchisse anche delle testimonianze dei detenuti della 1a sezione. Le porgiamo i nostri più sinceri saluti

I detenuti della 1a sezione di Pavia!

Ciao Amore speriamo che tu stia bene tanti auguri x il Ramadan speriamo che ti porta fortuna e tanti auguri alla tua famiglia per il ramadan e tanti auguri a tutto il mondo mussulmano x il Ramadan, io sto morendo sono dimagrito troppo, credimi non riesco neanche ad alzarmi dal letto, spero Dio che fai presto Amore mio ma no dirlo a mia madre, bisogna accettare il destino, io ho ricevuto la tua lettera ti dico che mi dispiace iolosciopero non lo tolgo di questa vita a me non me ne frega niente STO MORENDO!!! SAMI

PAVIA, LO SCIOPERO DELLA FAME FATALE AL DETENUTO TUNISINO
Detenuto morto, ultimi giorni dentro e fuori dall’ospedale
Novantasei ore di odissea prima di morire. Lo psichiatra lo aveva rimandato in carcere PAVIA. Cinque giorni sospeso nel limbo della burocrazia, in attesa che si trovasse la forma di ricovero e di cura più adeguata. Nel frattempo Sami Mbarka Ben Garci, il tunisino di 42 anni detenuto a Torre del Gallo, che aveva ingaggiato da un mese e mezzo uno sciopero della fame estremo, è morto. Tre giorni dopo che il sindaco di Pavia aveva firmato il trattamento sanitario obbligatorio. L’inchiesta avviata dalla Procura di Pavia dovrà fare luce sugli accadimenti dei suoi ultimi giorni di vita. E sulle eventali responsabilità. Gli atti sono ancora coperti da segreto, ma tra le carte ci sono parecchi punti da chiarire.
La richiesta di aiuto. Alla fine del mese di agosto, il medico del carcere, Pasquale Alecci, segnala il problema al magistrato di sorveglianza, Marco Odorisio, e all’amministrazione penitenziaria. Il detenuto non mangia cibi solidi da quasi 40 giorni. Beve, da quanto riferisce lo stesso detenuto, solo acqua e zucchero. E’ dimagrito 21 chili e non si regge in piedi, ma è lucido e determinato nella scelta di portare avanti una forma di protesta contro una condanna ritenuta ingiusta. Anche a rischio della propria vita. Il medico prima, e il magistrato di sorveglianza poi, chiedono al Ministero di intervenire, disponendo il ricovero del tunisino in una struttura adeguata. Per la precisione, un centro diagnostico terapeutico attrezzato per il ricovero dei detenuti.
L’ospedale San Paolo, ad esempio, che ha un reparto apposito. E anche l’istituto penitenziario di Opera è attrezzato.
La visita psichiatrica. Il primo settembre, in attesa che si chiarisca la faccenda del ricovero, il detenuto tunisino viene portato in ospedale d’urgenza. Sta molto male, e Torre del Gallo non ha un presidio sanitario adeguatamente attrezzato. Tanto più che, a quanto pare, da un paio di settimane mancano nel carcere sia il cardiologo che lo psichiatra. Il tunisino arriva in ospedale ma rifiuta le cure. Viene visitato da uno psichiatra, che lo trova lucido e capace di intendere e volere. Per il medico non esistono gli estremi per un trattamento sanitario obbligatorio. Il detenuto torna in carcere a Pavia.
La risposta del Ministero. Il 2 settembre il Ministero risponde alla richiesta del magistrato di sorveglianza, ma non ritiene necessario trasferire il detenuto in un centro diagnostico terapeutico dell’amministrazione. Il “rifiuto” è motivato dal fatto che non esisterebbero, in Italia, centri clinici penitenziari adatti a curare un detenuto che sia in sciopero della fame. Il Ministero invita a tenere sotto controllo il detenuto, per evitare che commetta gesti estremi, valutando anche la possibilità di un trattamento sanitario obbligatorio. Il giorno stesso il sindaco di Pavia Alessandro Cattaneo firma il Tso.
La decisione del magistrato. E’ sempre del 2 settembre il provvedimento del magistrato che, dopo la risposta del Ministero, dispone il ricovero in una struttura esterna all’a mministrazione penitenziaria. Nel caso specifico, il Policlinico San Matteo. Il magistrato, che agisce con tempestività, dice anche di non condividere la decisione del Ministero, visto che l’o biettivo del ricovero di un detenuto che è in sciopero della fame non è tanto quello della cura, secondo il magistrato, bensì la possibilità di intervenire subito nel caso di un aggravamento delle condizioni cliniche del paziente.
I ritardi. Il detenuto entra in ospedale, al San Matteo, il 3 settembre. Se vi sia stato un ritardo (lo sciopero della fame inizia il 17 luglio, ma a metà agosto le condizioni del tunisino sono già preoccupanti) sarà la magistratura ad accertarlo. Fatto sta che il 4 settembre le sue condizioni invece di migliorare si aggravano. Il paziente è sottoposto a terapia medica (il diario clinico è sotto sequestro, quindi non è possibile sapere i dettagli della cartella) e sorvegliato. Ma nella notte del 5, alle 3,45, il detenuto muore. Dopo cinque giorni
frenetici. Una fretta che non è bastata a salvargli la vita.
(15 settembre 2009)
http://laprovinciapavese.gelocal.it/dettaglio/detenuto-morto-ultimi-giorni-dentro-e-fuori-dall’ospedale/1721237

di Doriana Goracci
da Indymedia

Stragi, mafia e Stato. Ipotesi che fanno tremare il governo


Se lo scenario descritto dalla sentenza del processo a Dell’Utri venisse riconfermato in secondo grado e poi in Cassazione, la tenuta della maggioranza sarebbe in pericolo. Le confi denze di un politico siciliano del Pdl. «Non “babbiamo”, Dell’Utri non è un perseguitato», esclama un politico siciliano del Pdl. È uno di quelli che si ispira alla vecchia destra sociale siciliana, quella, tanto per essere chiari, che era riferimento anche di Paolo Borsellino, e lo stare dentro il Pdl e essere associato a chi non perde occasione per attaccare chi sta conducendo le indagini più scabrose su mafia e affari e politica non gli piace affatto. Ovviamente chiede di rimanere anonimo, la paura di essere “escluso” in un partito che ormai vive solo della “coptazione” è tanta. Ma poi, prosegue: «Fini ha tutte le ragioni a chiedere che si vada avanti sulle indagini sulle stragi e sull’inciucio fra mafia e Stato. Deve essere fatta chiarezza, si è davvero a livelli preoccupanti. Si vada a leggere le motivazioni della sentenza». La sentenza, chiaramente, è quella del processo a Marcello Dell’Utri. Già, quelle 1.700 pagine raccontano uno scenario (che prende forma fin dagli anni ’70) che se riconfermato in secondo grado e, poi, in Cassazione, rappresentano un pericolo per la tenuta della maggioranza di governo e per il partito di Berlusconi. E allora leggiamo. Per scoprire che l’ex capo di Publitalia sarebbe stato condannato «per avere concorso nelle attività della associazione di tipo mafioso denominata “Cosa Nostra”, nonché nel perseguimento degli scopi della stessa, mettendo a disposizione della medesima associazione l’influenza ed il potere derivanti dalla sua posizione di esponente del mondo finanziario ed imprenditoriale, nonché dalle relazioni intessute nel corso della sua attività». E poi giù, la lista di un quantitativo impressionante di accuse e circostanze. Come, per esempio, la partecipazione «ad incontri con esponenti anche di vertice di Cosa Nostra», di aver tenuto rapporti continuativi nel tempo con esponenti di altissimo livello della mafia come «Bontate Stefano, Teresi Girolamo, Pullarà Ignazio, Pullarà Giovanbattista, Mangano Vittorio, Cinà Gaetano, Di Napoli Giuseppe, Di Napoli Pietro, Ganci Raffaele, Riina Salvatore» e, addirittura, ad aver provveduto «a ricoverare latitanti appartenenti alla detta organizzazione». Ecco, dopo aver letto solo le prime quattro pagine della sentenza che lo condanna in primo grado a nove anni non “babbiamo” più. Nelle conclusioni si apprende che sarebbe stata fatta chiarezza «sulla posizione assunta da Marcello Dell’Utri nei confronti di esponenti di Cosa nostra, sui contatti diretti e personali con alcuni di essi (Bontate, Teresi, oltre a Mangano e Cinà), sul ruolo ricoperto dallo stesso nell’attività di costante mediazione, con il coordinamento di Cinà Gaetano, tra quel sodalizio criminoso, il più pericoloso e sanguinario nel panorama delle organizzazioni criminali operanti al mondo, e gli ambienti imprenditoriali e finanziari milanesi con particolare riguardo al gruppo Fininvest». E addirittura il pentito Antonino Giuffrè arriva a raccontare come Dell’Utri fosse il terminale dell’interessamento di Cosa nostra alla nascita di Forza Italia. «A Cosa nostra interessava che il vertice di questo movimento assumesse delle responsabilità ben precise per fare fronte a quei problemi – spiega il pentito – e poi, successivamente, l’andare a mettere degli uomini puliti all’interno di questo movimento che facessero, in modo particolare, gli interessi di Cosa nostra in Sicilia, mi sono spiegato?». Si è spiegato. Ma a fare da detonatore del processo in questa sua fase, queste le voci che circolano in questi giorni a Palermo, sarebbero le recenti dichiarazioni di Massimo Ciancimino, figlio dell’ex sindaco Vito, che racconterebbero (questa la versione tutta da verificare) di una possibile partecipazione di questo imputato eccellente nella trattativa fra Stato e mafia. Una trattativa, però, parallela da quella più conosciuta del “papello” di Totò Riina, e che riguarderebbe invece Bernardo Provenzano e ben un anno prima delle stragi del ’92. E se questo fosse solo anche parzialmente vero, bisognerebbe probabilmente riscrivere i libri di storia sulla mafia.

di Pietro Orsatti da AntimafiaDuemila

ALPHA BLONDY - PEACE IN LIBERIA



PEACE IN LIBERIA

We want peace in Liberia
Peace in Monrovia
We want peace in Liberia
Peace in Monrovia

Cause Babylone shall not rise again
Babylone shall not rise again
Babylone shall not stand again
Babylone shall not stand again

Cause everyday they talking about
The Liberian civil war
And everywhere over JAH land
Muddy rivers of blood oh lord !!

No matter who wins, Liberia is crying
No matter who loose, Liberia still crying
No matter who’s right, they’ve got to stop the fight
No matter matter who’s wrong, the devil still strong…

So we want peace in Liberia
Peace in Monrovia
We want peace in Liberia
Peace in Monrovia

Cause Babylone shall not rise again
Babylone shall not rise again
Babylone shall not stand again
Babylone shall not stand again

We calling on Jesus Christ to save I and I
We calling on Jesus Christ to save I and I
We calling on Allah to save I and I
Calling Adonaï to save I land I
Cry, cry Liberia…


Dopo la Cina, anche l’India parte alla conquista dell’Africa

È un processo lento e discreto, ma la conquista indiana del continente africano ha già messo radici ben salde.

“Energia, chimica, industrie automobilistiche, infrastrutture, informatica, finanza… New Delhi continua ad avanzare ovunque in Africa, lontano dalla copertura mediatica che caratterizza la presenza del suo vicino cinese sul continente”, scrive Les Afriques.

Le cifre parlano chiaro: gli scambi commerciali con l’Africa sono passati da un valore di 967 milioni di dollari nel 1991 a 36 miliardi nel 2008. La grande differenza con la Cina, è che si tratta di un impegno prevalentemente privato, in cui lo stato a poco a che fare. Il capostipite è stata la fabbrica di auto Tata, seguita da industrie che si occupano di materie prime e infrastrutture.

E mentre i privati avanzano, il ministero degli esteri indiano ha aperto tre dipartimenti dedicati all’Africa, e tutti aspettano il bis del summit India-Africa che si è tenuto a New Delhi nel 2008.

da Internazionale

Una città è sicura se accogliente e solidale



Le associazioni si mobilitano per un'iniziativa di solidarietà

Venezia si stringe attorno a Ervin Doçi, il ragazzo pestato a sangue da un gruppo di leghisti

Ieri ha ricevuto la visita del sindaco Massimo Cacciari e del consigliere dei Verdi Beppe Caccia, Ervin Doçi, ragazzo di origine albanese che dopo il pestaggio subito domenica da otto leghisti, si è ritrovato con il setto nasale e un braccio rotti, sei punti in testa e un sospetto trauma cranico.

E' una calda domenica di settembre, e Venezia dopo dieci giorni di dibattiti culturali e ariose discussioni intorno a film provenienti da tutto il mondo in occasione della Mostra del Cinema, ha dovuto mestamente assistere ancora una volta al teatrino populista e ignorante delle migliaia di camicie verdi che da remoti paesini del nord partecipano alla consueta buffonata di fine estate arrivando a Riva degli Schiavoni e ritorno, dritti lungo l'unica strada che conoscono. Mentre il popolo NoDalMolin che intendeva manifestare in Piazza, non solo non ha avuto garantita la libertà di opinione, ma ha anche saggiato i manganelli dei carabinieri impegnati a garantire l'agibilità ai soli militanti leghisti.

Tra bandiere di tutti i tipi, cagnolini con il cappotto verde, famigliole che rigorosamente si perdono in sestieri "ostili" (difficile trovare un veneziano che ben sopporta la calata dei barbari), sono però purtroppo presenti parecchi squadristi nostralgici delle Ronde, quelli che i leader della Lega arringano dal palco e che poi prontamente negano di avere tra i loro fans. Il consigliere comunale di Venezia Alberto Mazzonetto è pronto a giurare che "no, tra i nostri iscritti non ci sono picchiatori", ma in realtà parlava chiaro il messaggio stampato sulle magliette di quegli otto che, persi fra le calli, si sono infilati nel primo ristorante aperto e si sono prodigati nel passatempo rondista per eccellenza: la caccia all'immigrato.

Che cosa significhi poi la parola immigrato, o straniero, in una città come Venezia, è tutto da discutere: Ervin è nato in Albania, vive in Italia da anni, a Venezia è stato tempo fa accolto dal Servizio comunale per minori stranieri non accompagnati, poi a sua volta ha aiutato i mediatori culturali nel loro lavoro ed ora per mantenersi fa il cameriere in un locale, i cui gestori sono cittadini italiani a tutti gli effetti, ma di origine egiziana, arrivati in città trent'anni fa e oggi dinamici imprenditori della ristorazione.

Questa è Venezia, una città viva perché vive sono le culture di cui è pregna, un luogo di destino in cui il Consiglio Comunale ha immediatamente votato un ordine del giorno in solidarietà con la vittima dei leghisti, perché Ervin è un cittadino i cui diritti sono stati calpestati, la cui libertà è stata violata: ci si chiede quindi perché al momento del voto Lega e Pdl abbiano abbandonato l'aula...

Qualcuno ha voluto minimizzare, parlando di semplici ubriachi. E' importante invece ribadire che non è una casualità ciò che è accaduto, e non ci sarà tolleranza per la presenza dei razzisti in città.

La città si sta mobilitando per stringersi ancora più concretamente attorno al giovane Ervin: le associazioni della rete cittadina Tuttiidirittiumanipe-rtutti si ritroveranno domani, mercoledì 16 settembre alle 18.00 presso il Centro Pace di via Andrea Costa, a Mestre, per organizzare un'iniziativa solidale che esprima un forte dissenso con i metodi squadristi e fascisti imposti dalla Lega.

La solidarietà della città si esprimerà senz'altro nel rafforzamento dei servizi per la tutela dei minori stranieri, messi a dura prova dai tagli e governativi e dalle recenti riforme imposte dal pacchetto sicurezza. Ma ci sarà il modo per rendere questa città ancora più accogliente, libera e ospitale: scendere in piazza, riappropriarsi del proprio diritto a vivere in un luogo solidale, aperto e proprio per questo sicuro.

Seguiranno, dopo l'incontro di mercoledì, le coordinate per partecipare alle iniziative previste.

da GlobalProject

L'ANPI Nazionale scrive al Presidente del CONI: chiediamo le dimissioni del Presidente dell'UITS

Roma, 15 settembre 2009
GIOVANNI PETRUCCI
Presidente CONI
Largo Lauro De Bosis, 15
00194 ROMA

Signor Presidente,
siamo qui a richiamare alla Sua attenzione una vicenda che
consideriamo sconcertante oltre che grave sotto il profilo del rispetto dei princìpi e delle norme che permeano la nostra Carta Costituzionale.
Il giorno 25 aprile, anniversario della Liberazione, Ernfried Obrist,
Presidente Nazionale dell’UITS (Unione italiana tiro a segno) – ente pubblico posto sotto la vigilanza del Ministero della Difesa e riconosciuto dal CONI – si faceva riprendere fotograficamente, nei locali del tiro a segno di S. Arcangelo di Romagna (Rimini), in atteggiamento di evidente consonanza con degli individui che indossavano le divise della Waffen-SS (imbracciando anche armi), le famigerate squadre militari tedesche autrici, tra le altre, delle stragi di Marzabotto e di S. Anna di Stazzema. È inevitabile, in questo contesto, andare con la memoria al 28 dicembre 1943 dove proprio in un campo di tiro a segno, a Reggio Emilia, furono fucilati dai tedeschi i sette fratelli Cervi, o al 1944 dove al Martinetto di Torino, nel cortile detto del Tiro alla pistola, ebbero luogo ben 61 esecuzioni ai danni di operai, studenti, sacerdoti, militari e contadini.
Si tratta, come Lei capirà bene, di un gesto gravemente offensivo della memoria delle migliaia di vittime innocenti dei crimini di guerra nazisti, oltre che di un palese reato di apologia di nazismo.
La vicenda è balzata sulle cronache locali e nazionali, grazie anche alla presa di posizione dell’ANPI di S. Arcangelo, sostenuta dal Comitato provinciale ANPI di Rimini, della denuncia del sindaco di S. Arcangelo e di una interrogazione parlamentare a firma dell’On. Manuela Ghizzoni che non ha ancora avuto risposta. Ad aggravare ulteriormente il tutto è il comportamento dello stesso Presidente Obrist che si trincera dietro “leggeri” atteggiamenti autoassolutori francamente inaccettabili. Tra l’altro lo stesso dichiara di avere manifestato le sue scuse all’ANPI, attese invano, atto che conferma l’intenzionalità oltraggiosa.


Temendo che la vicenda possa chiudersi nel silenzio generale e in attesa di un auspicato intervento dell’autorità giudiziaria per la conseguente condanna - in ottemperanza alle norme costituzionali e alle leggi delle Repubblica - provvedimento che costituirebbe un segnale forte a livello nazionale contro i rigurgiti neofascisti e neonazisti che si stanno riaffacciando in modo diffuso e preoccupante nel nostro Paese, siamo qui a chiederLe una precisa iniziativa volta ad ottenere correttamente le dimissioni del Presidente del UITS Nazionale.
Certi della Sua attenzione, nell’informarLa che abbiamo inviato copia
della presente al Presidente della Repubblica, ai Presidenti di Camera e Senato e al Procuratore capo di Rimini, Le giungano i nostri migliori saluti.

Armando Cossutta
VICE PRESIDENTE VICARIO

da Antifa

ECCO CHE FINE HANNO FATTO I RESPINTI. DOPO 4 MESI, ANCORA IN CARCERE


ROMA – Ma dove sono andati a finire i primi respinti in Libia? Ricordate? Era il sei maggio del 2009. Le autorità italiane intercettarono nel Canale di Sicilia tre gommoni con 227 passeggeri, e per la prima volta in anni di pattugliamento, venne dato l’ordine di respingere tutti in Libia. Comprese le 40 donne. Una “svolta storica”, la definì il ministro dell’interno Roberto Maroni, che rassicurò gli scettici: “La Libia fa parte dell’Onu: lì c’è l’Unhcr che può fare l’accertamento delle persone che richiedono asilo”. A quattro mesi di distanza però la verità inizia a venire a galla. A parlare sono le vittime di quei respingimenti. Ventiquattro rifugiati somali e eritrei, che dalle carceri libiche hanno nominato l’avvocato Anton Giulio Lana, perché denunci l’Italia alla Corte europea dei diritti umani di Strasburgo. Il ricorso è stato depositato a luglio. Oggi, a quattro mesi di distanza dal respingimento, Lana sostiene che i suoi assistiti siano ancora detenuti nei campi libici. Tra loro ci sono 11 cittadini eritrei, fuggiti dopo anni di servizio nell’esercito, in un paese dove la coscrizione militare a tempo indeterminato è diventata una delle armi del regime di Isaias Afewerki per controllare la popolazione. E 13 cittadini somali sfuggiti alla violenza della guerra civile. Persone che in Italia si vedrebbero riconosciuto un permesso di soggiorno per asilo politico. Ma che in Libia marciscono in carcere da quattro mesi, dal giorno del loro respingimento, sotto gli occhi impotenti delle Nazioni Unite invocate da Maroni. Ecco le loro storie.

“La Libia fa parte dell’Onu”
Tra i respinti c’era anche chi era già stato riconosciuto come rifugiato politico dalle Nazioni Unite. K. ad esempio ricevette l’asilo che nel settembre 2006 in un campo profughi in Sudan. Era stato arruolato nell’esercito eritreo nel 2000, all’età di 19 anni. Dopo un anno e mezzo di leva, senza salario, e con la prospettiva di rimanere tutta la vita abbracciato a un fucile, K. disertò. Ma la sua latitanza durò poco. Nel 2004 venne arrestato dalla polizia militare, trasportato a Korkogy e detenuto per due anni. Tornato in libertà, nell’agosto del 2006 fu ricollocato in una divisione dell’esercito nel Mandefra. K. stavolta decise di abbandonare definitivamente il paese, e riuscì a raggiungere clandestinamente il Sudan, dove chiese asilo in un campo profughi. In Sudan però circolavano voci di deportazioni organizzate dai servizi segreti eritrei. K. non si sentiva al sicuro. Decise di emigrare in Europa, e attraversò il deserto. In Libia lo arrestarono quasi subito, a Ajdabiya, da dove fu trasferito al campo di detenzione degli eritrei, a Misratah, la vecchia Misurata di coloniale memoria. Vi rimase dall’aprile del 2007 fino alla fine di marzo del 2009. Per l’Italia si imbarcò poco dopo, all’inizio di maggio. Il suo gommone però fu respinto. Oggi, quattro mesi dopo, si trova ancora in un campo di detenzione in Libia, pur essendo difeso da un avvocato di rango internazionale dinnanzi alla Corte europea e pur essendo un rifugiato politico riconosciuto a tutti gli effetti dalle Nazioni Unite.

Respinto due volte
Tra i respinti poi c’è chi la traversata l’aveva già provata, e lo avevano già respinto. L’anno scorso però, prima dell’accordo stretto tra Italia e Libia. Forse qualcuno ricorderà il caso del “Clot de l'Illot”, il peschereccio spagnolo, che il 22 agosto del 2008, dopo un braccio di ferro diplomatico tra Spagna e Libia, attraccò al porto di Tripoli riconsegnando 49 naufraghi alle guardie libiche. Li avevano soccorsi in acque internazionali, 90 miglia a sud di Malta. A bordo c’erano anche donne e bambini. Erano in mare da giorni, cinque dei passeggeri erano morti di stenti. All’arrivo dei soccorsi, due persone furono elitrasportate in Italia. Gli altri invece furono riportati tutti a Tripoli e finirono nel carcere di ‘Ain Zara. A. era uno di loro. Si fece otto mesi. Appena riuscì a scappare, si comprò subito un altro passaggio per l’Europa. Rimanere in Libia in quelle condizioni era impensabile. Ma il suo gommone venne respinto. Era il 6 maggio del 2009. Quattro mesi dopo, A. si trova ancora dietro le sbarre. Eppure in Italia otterrebbe facilmente l’asilo politico. Classe 1983, ha lasciato Mogadiscio nel 2006. La minoranza degli Ashraf, a cui appartiene, negli ultimi anni ha subito numerose persecuzioni da parte del clan maggioritario del paese, gli Hawiye. Nel 2004, suo padre fu ucciso per mano di un Hawiye, che aveva cercato di estorcergli con la forza il certificato di proprietà della casa. E lo stesso A., prima di partire, era stato costretto sotto minaccia a divorziare dalla moglie.

In mare da 12 giorni
Una delle imbarcazioni intercettata dalle motovedette italiane il 6 maggio scorso e riportata in tutta fretta a Tripoli, era in mare da 12 giorni e i passeggeri non erano in buone condizioni di salute. Lo sostengono due dei rifugiati somali che hanno denunciato l’Italia. B. è uno di loro. Costretto a lasciare la Somalia nel marzo 2008, in seguito agli scontri tra le Corti islamiche e il governo di transizione, arrivò in Libia dopo aver attraversato clandestinamente Etiopia e Sudan. La prima volta partì nel febbraio del 2009, ma persero la rotta e finirono a Bengasi, dove furono tutti arrestati. Riuscito a fuggire dal campo di detenzione nell’aprile del 2009, acquistò quanto prima un posto su un gommone diretto in Italia, ma il carburante era insufficiente e finirono presto alla deriva. Dopo 12 giorni in mare, finalmente arrivarono i soccorsi, ma anche l’immediato respingimento. Su quella stessa barca viaggiava anche C., un ragazzo somalo di 25 anni fuggito da Mogadiscio nel marzo del 2007. All’epoca si era rifugiato in un campo profughi a Elasha. La madre e il fratello erano rimasti feriti negli scontri a fuoco nella capitale, e la loro casa era stata distrutta dai bombardamenti. Nel dicembre del 2007 decise di prendere la rotta per l’Europa. Il giorno del respingimento, C. era in pessime condizioni di salute, e nonostante ciò venne comunque detenuto, insieme agli altri, nel campo di Garaboulli, vicino Tripoli, senza ricevere nessuna cura. A oggi è tuttora in carcere.

Il partigiano respinto
Capita di combattere per l’indipendenza del proprio paese. Di essere feriti in guerra, di ricevere i massimi onori, e poi di dover fuggire da quello stesso paese per cui si è rischiato la vita. E di essere respinti alle frontiere dei Paesi vicini presso cui si voleva chiedere asilo. È la storia di M., nato in Eritrea nel 1978. Nel 1999 il signor M. venne richiamato alle armi per difendere la patria, nella seconda guerra etiope-eritrea. Dopo tre giorni di combattimenti sul fronte, M. venne gravemente ferito a una gamba e ricoverato d’urgenza presso l’ospedale Makanaheiwt a Asmara. Dopo nove mesi di ricovero, nel 2001 venne ricollocato presso la 22° divisione a Dekemhare. I guai arrivarono nel giugno del 2008. Per una banale visita alla famiglia, effettuata però senza avere preventivamente ottenuto un permesso ufficiale dell’esercito. La polizia fece arrestare suo padre, intimandogli di consegnare il figlio alle autorità. Temendo per la sua incolumità, M. si consegnò spontaneamente. I tre mesi nel carcere militare di Alla furono terribili. Lo misero ai lavori forzati, e quando non lavorava lo costringevano a lunghe marce sotto il sole. Quando riuscì a evadere, nel novembre del 2008, entrò clandestinamente in Sudan. E poi proseguì il viaggio, perché a Khartoum non si sentiva protetto dalle incursioni dei servizi segreti eritrei. Lo stesso timore lo spinse a imbarcarsi dalla Libia verso l’Italia. Non aveva calcolato però che da maggio l’Italia ha fermato l’invasione.

da Fortress Europe

“Belle le case di Onna, ma gli altri?” – Porta a Porta oscura le proteste

Alla soddisfazione dei cittadini della frazione de l’Aquila si contrappone lo sconforto degli abitanti di altri centri colpiti col la stessa drammatica irruenza dal terremoto. Un tetto sicuro non lo vedono nemmeno all’orizzonte e il sindaco conferma le loro paure: “Non credo si faccia in tempo a sistemare tutti”

Ad attendere Silvio Berlusconi in Abruzzo non ci sono solo sorrisi, strette di mano e complimenti. C’è anche la protesta. E non è quella suscettibile del sospetto di essere pretestuosa, strumentale, inutile. La muovono quelli che una casa ancora la sognano e, sia ben chiaro, non la vedono nemmeno all’orizzonte. Con l’inverno che incombe. Gli striscioni di chi oggi non riceve le chiavi dal Presidente del Consiglio parlano chiaro: “Prima terremotati poi ostaggi mediatici… grazie Vespa!”, si legge.E ancora: “Castelnuovo ringrazia per il nulla”, “Macché Porta a Porta, non tenemo le case”. Pure domande: “L’Aquila riparte? Con i cittadini sparsi in ogni parte?”, “Belle le case di Onna, ma gli altri?”. Richiami nel vuoto: “Terremotati di serie B, tante grazie Presidente… Tempera è viva!”, “Tempera… dove andremo a settembre? No alla deportazione!”. Il terremoto in Abruzzo, insomma, sembra non aver colpito solo Onna, purtroppo. I 65.000 sfollati provocati dalla catastrofe di aprile in tutta la regione non potevano certo essere tutti abitanti del piccolissimo centro aquilano che oggi può sorridere, o, almeno, ricominciare. Il bisogno primario di avere un tetto soddisfatto ieri con la consegna delle casette, probabilmente resterà solo un sogno per migliaia di sfollati ancora privi di una sistemazione soddisfacente, o, forse, nemmeno decente.

APPLAUSI DA SIT COM – Provano a dirglielo di persona al premier: “Presidente, venga a parlare con i cittadini”, “Presidente venga a sentire le nostre istanze”, “Presidente, esistiamo anche noi, non solo i cittadini di Onna, questo non è un teatro, 5.000 sfollati chiedono di rimanere sulla propria terra”. Ma non ce la fanno. Ne parla Anna, una delle manifestanti, che racconta di un Berlusconi irraggiungibile nel parco dove sono state costruite le nuove case, visitato ieri. Gli uomini della sicurezza lo tengono al riparo da ogni possibile contestazione, nessun infiltrato riesce ad accedere, quelli che possono farlo sono quasi tutti in divisa: è una realtà ben diversa da quella immortalata dai flash delle grandi testate e dalle luci delle telecamere, dai servizi di Vespa e da una trasmissione accomodante. “Sento degli applausi, voglio vedere chi applaude, se è Aquilano”, racconta Anna sul suo blog. La risposta che trova è sorprendente: “Cerco le mani che battono e non le trovo. Ma gli applausi ci sono, escono da un altoparlante. Come in una sit com”.

SISTEMATO 1 SFOLLATO SU 100 – Proviamo, dunque, ad inquadrare l’evento nella giusta dimensione. “Entro la fine del mese saranno smontate tutte le tendopoli in Abruzzo ed entro la fine dell’anno, tutti gli sfollati saranno sistemati nelle abitazioni. Potremmo ospitare nelle case di legno e in quelle antisismiche tra le 25 e le 30.000 persone”, fa sapere il capo della Protezione Civile Guido Bertolaso. Ma le villette di legno alla ribalta della cronaca sono 47 e bastano per 300 persone. E’ osservando questi numeri che ci si rende conto, per quanto possano essere significativi i primi tagli di nastro, di quanto sia irrisoria la quantità di alloggi donati dalla Provincia di Trento e consegnati ieri agli abitanti di Onna in confronto alla mole di popolazione da sistemare. In effetti anche il sindaco dell’Aquila, Massimo Cialente, ha più di un sospetto: “Non credo si faccia in tempo a sistemare tutti entro il 30 dicembre”.

DIMENTICATI E INASCOLTATI - C’è Tempera, ad esempio, paese a sette chilometri da L’Aquila, tra i comuni che rischiano. Pochi giorni dopo il terremoto si supponeva addirittura che la situazione lì fosse peggiore che ad Onna: un rapporto del dipartimento di Scienze della Terra dell’Università di Camerino risalente a 7 giorni dopo il terremoto lo descriveva come un centro praticamente raso al suolo dal sisma. Ebbene, mentre nel mese di luglio ad Onna la costruzione delle case consegnate oggi era già ad uno stadio avanzato, a Tempera qualche pala meccanica era ancora impegnata a sgombrare la strada principale dalle macerie. Poi c’è Castelnuovo, che ha visto morire sotto le macerie ben 39 persone, quasi quanto Onna, che ne ha perse 41. “In paese ancora non si è fatto nulla”, fanno sapere gli abitanti del paesino. E questa volta è difficile credere che si tratti dei soliti cattocomunisti.

Nardò: Questa sera inaugurazione 2°edizione di Ecologico Film Festival

Aprirà ufficialmente questa sera, 16 settembre, con una cerimonia di inaugurazione presso il Chiostro dei Carmelitani a Nardò (Le), la II edizione dell'Ecologico International Film Festival.
Il Festival organizzato dall'Associazione Culturale Contemporary Art Addiction, in collaborazione con il Comune di Nardò, la Provincia di Lecce e la Regione Puglia - e che gode, tra gli altri, del patrocinio dell'Unesco - si svolgerà dal 16 ed al 20 settembre prossimi. Nell'arco dei 5 giorni saranno proiettati 94 film, alla presenza di una giuria presieduta da Giuseppe Ferrara (regista. Tra i suoi film più noti Il caso Moro) e composta da Fabio Frisenda (attore e regista), Pippo Affinito (Direttore della fotografia e regista), Eleonora Pariante (regista), Massimo Causo (giornalista). L'Ecologico International Film Festival promuove la conoscenza dell'ambiente, la cultura del paesaggio ed il rispetto delle diversità territoriali e, quest'anno, in occasione della commemorazione del ventennale della scomparsa di Cesare Zavattini, dal 17 al 19 settembre, si terranno una serie d'incontri sulla figura ed il messaggio umano e artistico del grande Maestro.
Attraverso la programmazione di film di autori nazionali ed internazionali, prevista per il 17 settembre dalle 15.30 alle 24, il Festival avvicina il grande pubblico al cinema ambientalista proponendo opere difficilmente fruibili altrimenti attraverso i consueti canali distributivi. Avviando, così, un processo di sensibilizzazione ai temi ambientali. Il Festival ha una sezione dedicata alle Scuole, in programma dal 17 al 19 settembre, nella quale saranno proiettati i film realizzati dagli studenti delle scuole primarie e secondarie. Il coinvolgimento dei ragazzi testimonia la sensibilità delle giovani generazioni ai problemi dell'ambiente e dell'importanza del rispetto per la natura.

MOVIMENTO PER LA SINISTRA NARDO' - DOCUMENTO PRESETATO DURANTE L'ASSEMBLEA PROVINCIALE DI MARTEDI' 15 SETTEMBRE 2009

Ieri, martedì 19 settembre 2009, si è tenuta a Maglie nella Biblioteca Sarajevo un'assemblea autoconvocata alla quale, oltre alla presenza di vari gruppi territoriali, hanno partecipato Nicola Fratoianni (membro del coordinamento nazionale del Movimento per la Sinistra) e Mimmo Saponaro (Sinstra Democratica).
Durante la stessa la portavoce del Movimento per la Sinistra di Nardò, Claudia Raho, ha esposto, per l'ennesima volta, tutte quelle perplessità e tutti quei dubbi che aimè sono rimasti tali.
Di seguito il documento:

Finalmente! Finalmente un'assemblea provinciale, finalmente i gruppi del salento si incontrano e conoscono. Abbiamo perso il conto dei tentativi infruttuosi di convocarne una nei mesi precedenti. Abbiamo perso il conto dei tentativi, infruttuosi anche questi, di chiarimenti, di confronto, di discussione.

Il nostro documento è intestato con il logo di "Movimento per la Sinistra" per una ragione per noi importante. Abbiamo aderito e lavorato con passione credendo nel progetto del "partire", dello "stile nuovo", ma fino a questo momento le speranze di un soggetto politico nuovo e incisivo, di una forza politica alernativa, di una piattaforma politica che ricominciasse dalle piazze e dalle strade, che rappresentasse con pari dignità e rispetto tutta la sinistra, fino a questo momento tali istanze almeno nella realtà di Lecce sono state slogan buoni per comizi e comunicati, al di là della generosa militanza dei gruppi territoriali.

Verticismo e autoreferenzialità, settarismo e esclusione hanno contassegnato la conduzione del coordinamento provinciale, condizionando la vita del movimento dalla sua costituzione in poi.

Alla vigilia della festa nazionale ancora una volta se non fosse venuta dal basso la richiesta ( e con qualche scavalcamento) saremmo alla stasi totale, mentre da tutt'Italia ci giungono le notizie di iniziative e fermenti che premono verso il salto di qualità dal movimento al partito.

Sinceramente abbiamo qualche perplessità che speriamo quest'assemblea possa chiarire. Tali perplessità riguardano la struttura organizzativa, la linea politica e le alleanze.

Il partito che vogliamo non è un collage. Non vogliamo più sentire riferimenti a sigle e organismi strutturati precedenti : Sn&Lb è un partito nuovo, fatto da chi crede nella sinistra unita. Servono quindi organismi direttivi nuovi, eletti democraticamente dalla base, che rappresentino la molteplicità e varietà e ricchezza delle diverse realtà territoriali.

La linea politica deve essere stabilita attraverso consulatazioni assembleari di vario livello : niente più linee direttive imposte senza discussione e confronto.

Le alleanze e la collocazione devono essere chiare fin da subito : a sinistra, senza debolezze, tentennamenti o apparentamenti dovuti a emergenze elettorali.

Le nostre priorità sono legalità e diritti, che non possono essere conseguiti, però, se non attraverso regole condivise e trasparenza a tutti i livelli.


Movimento per la Sinistra
nardò