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mercoledì 7 aprile 2010

Non resta che Nichi


Ha convinto i moderati, sfida Berlusconi. E ora potrebbe candidarsi alla regia dell'opposizione: "Sono pronto a un percorso inedito e coraggioso"

di Francesca Schianchi
Sono a disposizione per la creazione di un nuovo centrosinistra, un percorso inedito e coraggioso». All'indomani della vittoria, il presidente confermato della Puglia, Nichi Vendola, baluardo della sinistra che vince in un panorama dominato dal Pdl e dalla Lega, parla con il consueto tono morbido. Ma la sostanza è chiara.«Ciascuno da solo è inadeguato, ma insieme possiamo fare un passo avanti: trovare le parole per un nuovo programma, dove sia centrale la nozione di popolo. A quel punto il problema della leadership sarà risolto». Giusto il modello che lo ha fatto vincere in Puglia, due volte alle primarie contro il Pd, Massimo D'Alema e le strategie romane, e due contro il centrodestra, «io ho battuto sia Bersani che Berlusconi». Il leader di Sinistra, ecologia e libertà non si tira indietro e il risultato lo spedisce dritto nella rosa ristretta dei padroni del centrosinistra che verrà, in vista delle politiche del 2013. Nell'anno zero della gauche italiana, per lui si profila un futuro nazionale. Il rifondatore della sinistra sparita dal Parlamento due anni fa. E, in caso di primarie, un candidato alla leadership della coalizione.

Poeta e amministratore, cantastorie e uomo del Web, comunista e credente («Ricordo quando coi miei ragazzi recitavamo il rosario al pomeriggio», sospira la vivace madre 85enne). L'orecchino luccicante portato con disinvoltura sopra giacca e cravatta, la fede al pollice regalo di un marinaio, «simbolo del mio matrimonio col popolo di Puglia», l'omosessualità dichiarata ma discreta, l'eloquio alato, le citazioni dotte. Un «inedito», lo definisce il professor Luciano Canfora (aggiungendo «Per questo fa ben sperare»): uno che la sua campagna elettorale l'ha costruita con una banda di ragazzi che non arrivano a trent'anni, La fabbrica di Nichi, una fucina di idee senza logo di partito, «un'esperienza di cooperazione e non di competizione, come sono i partiti, ormai in crisi irreversibile», dice Vendola, decine di pullman arrivati da varie città del Nord per mettere la croce sul suo nome, al grido di «Non torno per votare ma voto per tornare », come esortava il Pci in tempi lontani gli italiani immigrati all'estero. Lui alza il tiro e punta direttamente all'avversario numero uno: «Io e Berlusconi siamo due anomalie».
Nichi contro Silvio. Due visioni del mondo, due approcci alla vita e alla politica che più diversi non potrebbero. Là dove Berlusconi teorizza di rivolgersi agli elettori come a bambini di prima media, Vendola li convince a colpi di protocollo di Kyoto, di impianti fotovoltaici, di parabole evangeliche.

Se il Cavaliere si propone come "l'uomo del fare" - datemi il voto e io risolvo i problemi - il poeta di Terlizzi rivendica l'estetica della fragilità: «Siamo belli non perché onnipotenti, ma perché siamo fragili, perché abbiamo paura, perché ci sentiamo goffi e ci tremano le gambe». L'uomo di Arcore propaganda i successi dell'esecutivo, il presidente della Puglia ammette gli errori: «Il nostro governo ha avuto molte luci e anche qualche ombra, perché si impara facendo ». Il premier gigioneggia sulle ragazze, Vendola spiega il suo rapporto col potere, «come si fa a evitare che ti manipoli il cuore e ti mangi l'anima? Questa è stata la scommessa più difficile, per vincerla non facevo che ripetermi la frase di San Paolo: "Io sono nel potere, non del potere"». In comune però hanno un concetto, ripreso, evocato, coccolato: il popolo.
Quello "della libertà" che acclama a piazza San Giovanni il premier, quello che «finché mi sarà vicino avrò forza» proclama il segretario di Sel, quello da rimettere al centro del programma di centrosinistra, perché «non esistono uomini della Provvidenza, ma solo popoli che trovano la forza di mettere in campo un racconto».

Per ora, a credere in lui è stato il popolo pugliese. Ha premiato «la nostra narrazione », come ripete il presidente, che è stato capace di attraversare senza danni i guai della sua giunta e ripresentarsi come uomo nuovo agli elettori. Aiutato nell'operazione dall'ostinata opposizione del Pd: più D'Alema e compagnia cercavano di farlo fuori, più l'opinione pubblica lo sosteneva, novello Davide contro Golia, «mi hanno visto come un guerriero», ammette. Alle primarie di gennaio ha giocato su questo tentativo di isolamento: "Solo con(tro) tutti", strillavano i suoi manifesti. Continuando una pratica che gli ha portato fortuna: ribaltare le accuse, sottolineare i possibili punti deboli. Lo ha fatto cinque anni fa, quando sposò parole forti come "diverso" o "estremista", lo ha ripetuto stavolta giocando sulla definizione di poeta, con lo slogan "La poesia è nei fatti" e i claim in rima, "Troppe scorie, via smammare, disse il sole al nucleare", "Col contratto co.co.pro. questo bimbo a chi lo do?". Adesso potrebbe arrivare il momento di mettersi alla prova su scala nazionale. E capire se il suo immaginario mediterraneo, le "o" chiuse, il linguaggio avvolgente, la sua rivoluzione gentile potrebbero avere un appeal sul popolo del Nord così massicciamente schierato con il centrodestra, sulle piccole e medie imprese, sugli operai che votano Lega. La strada potrebbe essere quella di ripetere la ricetta pugliese in chiave nazionale. Correre alle primarie per fare il candidato premier di un centrosinistra unito nel 2013: sembrava fantapolitica, il successo alle urne, così netto e isolato, autorizza a sognare. Non a caso i più preoccupati sono proprio i compagni di strada del Partito democratico, gli sconfitti di queste regionali.
Il segretario Pier Luigi Bersani ha già cominciato un corteggiamento per neutralizzarlo con l'offerta di entrare nel Pd, «vedo una prospettiva comune». Meglio controllarlo da dentro che osservarlo come una mina vagante fuori. Massimo D'Alema ha già generosamente sbarrato la strada, confinandolo allo status di leader meridionale. «Il Pd deve ricordare che non ci sono raccolti senza semine», ammonisce lui. Ci vuole la forza per rimettere insieme cocci di sinistra, gli ex compagni di partito di Rifondazione, abbandonati poco più di un anno fa non senza traumi, le schegge di sinistra radicale. «Bisogna proporre un'alternativa, di valori prima ancora che politica, perché non c'è da parte del centrosinistra oggi un cantiere di politica forte e buona», predica Vendola. E poi ci sono i nuovi movimenti della società, il popolo viola che lo ha accolto con un'ovazione a piazza del Popolo. C'è una sintonia con l'Italia dei valori: a fine gennaio con Luigi De Magistris c'è stata una curiosa iniziativa, un seguitissimo incontro a Roma, con la gente in attesa sotto la pioggia per ascoltarli. «Dobbiamo fare una cosa nuova, un grande cambiamento di popolo», lo ha invitato esplicitamente l'ex magistrato. Con Emma Bonino, dopo un passato di critiche dure, c'è stato un sostegno trasparente, «lei è la credibilità fatta persona». Nel suo universo, in apparenza sembrerebbe mancare la componente moderata: non è così, lo dimostra il risultato della lista La Puglia per Vendola, promossa dall'ex democristiano Pino Pisicchio, 5,5 per cento di voti centristi per un comunista. «Il tema dell'allargamento al centro di per sé non è una narrazione, ma tutto ciò che può mettere insieme l'allargamento e la nitidezza di un programma riformatore va bene». E ora per il poeta potrebbe arrivare la tentazione di inventare un racconto popolare capace di parlare a tutto il Paese.

da L'Espresso

I Legionari di Cristo fondati da un pedofilo


Nessuno ricorda le disavventure pedofile dei Legionari di Cristo, ma qualche giorno fa, con discrezione rispettata dal silenzio dai media italiani, unica eccezione, il “Fatto quotidiano”, i Legionari hanno chiesto perdono.

di Tatiana Fabbrizio - RCA
E i commenti sulle ombre di questa “macchina da guerra” sono fioriti su giornali e tv delle due americhe e della Spagna.
Coinvolge una congregazione che ha potere, capitali e influenza in frenetica espansione: 80 sacerdoti, 2.500 seminaristi con sedi in diversi parti del mondo.


Il fondatore Marcial Maciel era pedofilo e pederasta e ha vissuto una doppia vita, una da sacerdote cattolico e quella di uomo orribile che approfittava dei ragazzi in seminario. Le rivelazioni si moltiplicarono, anche la Chiesa dovette ammettere gli sbagli, tanto che Papa Wojitla gli impedì di celebrare la messa, ma Maciel poteva contare su un grande potere economico, tanto che un canale messicano che aveva raccolto le testimonianze sull’infanzia rubata dei seminaristi torturati venne asfissiato da un blocco della pubblicità e fu costretto a chiudere.

Lui morì a fine secolo a 87 anni, ma per un tempo troppo lungo era riuscito salvare il potere nonostante tutto aggregando politici e soldi. Un seminarista , sette anni fa aggiunse che soldi e politica riguardano anche altre chiese dell’America Latina. E non solo.

Tra arrestati, indagati e condannati sono circa 130 i casi di sacerdoti italiani coinvolti in reati legati alla pedofilia e venuti alla ribalta delle cronache , soprattutto locali, negli ultimi due anni.
Da Bolzano a Trapani, nelle città così come nei piccoli borghi, le procure italiane si sono ritrovate spesso a dover intraprendere indagini in cui erano coinvolti ecclesiastici. Un dato allarmante se si tiene conto che quello che è emerso è solo la punta di un iceberg. Molti casi rimangono sommersi e non hanno un eco mediatica e molte vittime poi sono riluttanti ad uscire allo scoperto, spesso dei fatti non ne parlano nemmeno ai familiari.

Inoltre il Vaticano in Italia ha lavorato alacremente con i vescovi per nascondere i casi, rispetto all’estero, semplicemente perché il contatto era più vicino e la chiesa molto potente in Italia.

La dinamica degli abusi è sempre la stessa, vittime tutti maschi e al di sotto dei 14 anni, ragazzi che frequentano i locali della parrocchia, vengono attirati in altre stanze dove vengono costretti a soddisfare i desideri del sacerdote in cambio di piccole somme o capi d’abbigliamento. Nel corso del processo sono stati ripetutamente chiamati in causa Monsignor Carlo Galli di Legnano, il vescovo Gino Reali di Roma, come prelati che sapevano da anni dei fatti senza prendere alcuna posizione concreta.

Anche quando i sacerdoti sono stati arresati in flagranza di reato, le Curie sono sempre rimaste fedeli alla difesa dei loro parroci come nel caso di Don Marco Cerullo, arrestato nelle campagne tra Villa Literno e Casal di Principe nel dicembre del 2007, mentre era in macchina con un bambino di 11 anni e lo costringeva ad un rapporto orale.

da Indymedia

La carta straccia della Costituzione in carcere

“La California svuota le carceri. Costano troppo, meglio liberi. Progetto rivoluzionario.|
(Fonte: Liberazione giovedì 25 marzo 2010)

Nel Corriere della sera di giovedì 25 marzo 2010 leggo che il Presidente delle Repubblica Napolitano, riguardo alla nostra Carta Costituzionale, dichiara:
“La Carta si onora rispettando le Istituzioni.”
Signor Presidente, non sono d’accordo.
Non credo che la nostra Costituzione si rispetti solo onorando le Istituzioni quando le stesse Istituzioni non la rispettano.
La Costituzione Italiana si onora solo quando si applica ai cittadini, a tutti, anche a quelli cattivi che sono in carcere a scontare una pena.
Signor Presidente, mi permetta di ricordare che il dettato costituzionale assegna alla pena una funzione rieducativa e non vendicativa.
Invece in Italia il carcere trasforma i suoi abitanti in mostri perché fra queste mura non esiste la Costituzione.
Signor Presidente, a parte le responsabilità istituzionali esistono quelle morali e intellettuali.
La esorto, guardi cosa sta accadendo dentro le carceri italiane .
Esiste ormai una rassegnazione d’illegalità diffusa, spesso incolpevole, sia per chi ci lavora, sia per chi ci vive.
La legalità prima di pretenderla va offerta.
Invece in carcere ci sono uomini accatastati uno accanto all’altro, uno sopra l’altro.
Detenuti che si tolgono la vita per non impazzire.
Ci sono uomini murati vivi sottoposti al regime del 41 bis che non possono vedere neppure la luna e le stelle dalle loro finestre.
Ci sono uomini condannati all’ergastolo ostativo, una pena interminabile che può finire solo quando muori o quando trovi un altro da mettere in cella al posto tuo.
Signor Presidente, come fa il carcere e rieducare se sei sbattuto come uno straccio da un carcere all’altro?
Lontano da casa, chiuso in una gabbia come in un canile, privato degli affetti, da una carezza e di perdono?
Signor Presidente, ci dia una mano a educare le Istituzioni e a portare la legalità e la Costituzione in carcere.
Non siamo solo carne viva immagazzinata in una cella, siamo anche qualche cos’altro.
Dietro i nostri reati e le nostre colpe ci sono ancora delle persone.
Le ricordo che il rimpianto Presidente della Repubblica Italiana, Sandro Pertini, che in galera passò lunghi anni, diceva spesso:
-Ricordatevi, quando avete a che fare con un detenuto, che molte volte avete davanti una persona migliore di quanto non lo siete voi.

Carmelo Musumeci
Carcere Spoleto
Marzo 2010

ALESSIO LEGA - DOVE VOLA L'AVVOLTOIO



(1961)
Testo di Italo Calvino
Musica di Sergio Liberovici


Cantata da i "Cantacronache" e ripresa da molti artisti tra i quali il leccese Alessio Lega.


Il Cantacronache (gennaio 1962). Da sinistra: Sergio Liberovici, Fausto Amodei, Michele L. Straniero, Margot

Da sottolineare che alcuni versi sono rieccheggiati, non sappiamo se per caso o meno, ne La guerra di Piero.

Un giorno nel mondo finita fu l'ultima guerra,
il cupo cannone si tacque e più non sparò,
e privo del tristo suo cibo dall'arida terra,
un branco di neri avvoltoi si levò.

Dove vola l'avvoltoio?
avvoltoio vola via,
vola via dalla terra mia,
che è la terra dell'amor.

L'avvoltoio andò dal fiume
ed il fiume disse: "No,
avvoltoio vola via,
avvoltoio vola via.
Nella limpida corrente
ora scendon carpe e trote
non più i corpi dei soldati
che la fanno insanguinar".

Dove vola l'avvoltoio?
avvoltoio vola via,
vola via dalla terra mia,
che è la terra dell'amor.

L'avvoltoio andò dal bosco
ed il bosco disse: "No
avvoltoio vola via,
avvoltoio vola via.
Tra le foglie in mezzo ai rami
passan sol raggi di sole,
gli scoiattoli e le rane
non più i colpi del fucil".

Dove vola l'avvoltoio?
avvoltoio vola via,
vola via dalla terra mia,
che è la terra dell'amor.

L'avvoltoio andò dall'eco
e anche l'eco disse "No
avvoltoio vola via,
avvoltoio vola via.
Sono canti che io porto
sono i tonfi delle zappe,
girotondi e ninnenanne,
non più il rombo del cannon".

Dove vola l'avvoltoio?
avvoltoio vola via,
vola via dalla terra mia,
che è la terra dell'amor.

L'avvoltoio andò ai tedeschi
e i tedeschi disse: "No
avvoltoio vola via,
avvoltoio vola via.
Non vogliam mangiar più fango,
odio e piombo nelle guerre,
pane e case in terra altrui
non vogliamo più rubar".

Dove vola l'avvoltoio?
avvoltoio vola via,
vola via dalla terra mia,
che è la terra dell'amor.

L'avvoltoio andò alla madre
e la madre disse: "No
avvoltoio vola via,
avvoltoio vola via.
I miei figli li dò solo
a una bella fidanzata
che li porti nel suo letto
non li mando più a ammazzar"

Dove vola l'avvoltoio?
avvoltoio vola via,
vola via dalla terra mia,
che è la terra dell'amor.

L'avvoltoio andò all'uranio
e l'uranio disse: "No,
avvoltoio vola via,
avvoltoio vola via.
La mia forza nucleare
farà andare sulla Luna,
non deflagrerà infuocata
distruggendo le città".

Dove vola l'avvoltoio?
avvoltoio vola via,
vola via dalla terra mia,
che è la terra dell'amor.

Ma chi delle guerre quel giorno aveva il rimpianto
in un luogo deserto a complotto si radunò
e vide nel cielo arrivare girando quel branco
e scendere scendere finché qualcuno gridò:

Dove vola l'avvoltoio?
avvoltoio vola via,
vola via dalla testa mia...
ma il rapace li sbranò.