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sabato 10 ottobre 2009

Il medico non c'è. L'ambulatorio resta chiuso

Il responsabile dell'ambulatorio di Ginecologia di Poggiardo è in malattia e pertanto tutti i pazienti sono stati indirizzati al nosocomio di Scorrano

I fari sull'ospedale di Poggiardo ritornano ad accendersi, così come accaduto cinque-sei anni fa quando qualcuno temeva che di lì a poco si sarebbe arrivati alla chiusura definitiva del "Pispico".
Dopo la notizia di nuove sale operatorie e attrezzature più moderne, deliberate nell'ultimo mese dal direttore generale della Asl di Lecce Guido Scoditti, scatta oggi il grido d'allarme del consigliere regionale dei Socialisti autonomisti, Aurelio Gianfreda, il quale ha inviato un'interrogazione urgente all'assessore regionale alle politiche della Salute Tommaso Fiore per segnalare che da martedì 6 ottobre il responsabile dell'ambulatorio di Ginecologia di Poggiardo dottor Francesco Carluccio è in malattia e pertanto tutti i pazienti sono stati indirizzati al reparto del nosocomio di Scorrano.

"Della situazione - scrive Gianfreda nell'interrogazione - sono stati tempestivamente informati il direttore sanitario di Scorrano ed il direttore sanitario generale ma ad oggi la condizione non è cambiata, anzi si è ulteriormente aggravata a causa della disposizione da parte della Direzione Sanitaria di chiudere l'ambulatorio di Poggiardo sine die. Ciò - evidenzia l'esponente dei Socialisti - determina un ulteriore disservizio al buon funzionamento del presidio poggiardese, con ulteriori aggravi e disagi per l'utenza del comprensorio anche perché non esistono mezzi di comunicazione pubblici diretti tra Poggiardo e Scorrano. Considerato che il responsabile dell'ambulatorio di Ginecologia di Poggiardo dal primo gennaio 2010 andrà in pensione - conclude Gianfreda - chiedo all'assessore alla salute quali misure intende assumere per scongiurare il consolidarsi della situazione denunciata che comprometterebbe la credibilità dell'offerta del servizio salute nel comprensorio di Poggiardo e per evitare che la situazione da ‘provvisoria' diventi ‘definitiva' così come spesso avvenuto in passato".
Lo stesso Gianfreda auspica che venga nominato al "Pispico" un sostituto, cioè il dottore Salvatore Minnella ginecologo dell'Ospedale di Casarano in trasferta a Gagliano del Capo: "sarebbe un paradosso che mentre ristrutturiamo con impegni importanti l'ospedale, poi lo priviamo di servizi essenziali, creando pure problemi e disagi all'utenza".

di Donato Nuzzaci da IlTaccoD'Italia

Centrali nucleari, ora l’Enel studia i siti: torna la mappa del ’79

La vecchia map­pa delle aree nucleari del Cnen risale al settembre del 1979, giusto trent’anni fa, quando venne consegnata al governo Cossiga una relazione di 19 pa­gine. La «Carta dei siti» si può trovare oggi pubblicata da qual­che blog (generalmente antinu­clearista) ed è stata rispolvera­ta da Greenpeace per dimostra­re che in Italia sarà assai diffici­le trovare posti adatti per gli impianti nucleari, data la mag­giore vulnerabilità delle coste ai mutamenti climatici e all’in­nalzamento del mare. La di­scussione è destinata a riaccen­dersi in pochi mesi: dal prossi­mo marzo il ministero dell’Am­biente e la futura Agenzia nu­cleare si metteranno al lavoro per sottoporre a «Vas» (Valuta­zione ambientale strategica) il programma atomico naziona­le.
E’ probabile così che prima della fine del 2010 inizino ad emergere i contorni delle «ma­cro aree» ritenute idonee ad ospitare gli impianti. Ma anche se dal 1979 ad oggi parecchie cose sono cambiate — dalle ca­ratteristiche dei reattori nuclea­ri alla densità abitativa, fino al­le serie storiche dei terremoti e al clima — non ci sono solo le più aggiornate e minuziose pre­scrizioni redatte dall’Iaea (l’In­ternational Atomic Energy Agency) a orientare la ricerca dei siti. Nel caso italiano il lavo­ro compiuto dal Cnen (dall’82 diventato Enea) continua a ser­vire da pietra di paragone o ad­dirittura da punto di partenza per gli studi che aziende come l’Enel e istituzioni come il mini­stero dell’Ambiente o dello Svi­luppo stano approntando o do­vranno redigere. Obiettivi di­chiarati e vincoli sono gli stes­si: sicurezza e ambiente da una parte e l’imprescindibile intesa con le Regioni dall’altra. Pro­prio ieri, peraltro, il ministro Scajola ha spiegato che «il pote­re sostitutivo del governo è uno strumento estremo che mi auguro di non dover utilizza­re».

Per il Cnen, ieri come oggi, la «variabile demografica» costrin­ge a ridurre drasticamente il ter­ritorio utile. Nel 1979 si pensa­va ad almeno dieci chilometri di distanza dalla periferia di cen­tri con decine di migliaia di abi­tanti e venti chilometri per quel­li superiori a centomila. Le di­stanze potrebbero essere riviste (il reattore Epr ha contenimenti impensabili trent’anni fa) ma si tratterà di un punto chiave. Tra gli altri fattori c’è poi la «sismicità», le cui serie storiche potranno considerare oggi non solo il Friuli, ma anche i terre­moti di Irpinia, Umbria, Abruz­zo. La lista dei fattori sensibili prosegue con il vulcanismo, l’ac­qua di raffreddamento (nel 1979 si prevedeva una distanza non superiore ai 10 chilometri da fiumi con portata minima di 12 metri cubi per 355 giorni l’an­no) e le pendenze. Il Cnen, inol­tre, non mancava neppure di se­gnalare i territori caratterizzati da intenso uso residenziale o tu­ristico o da vincoli naturalistici e persino militari.

Un lavoro complesso, insom­ma, che ha comunque portato a identificare una serie di aree che nel Nord Italia gravitavano in particolare intorno al bacino del Po, alle sue foci e a quelle dell’Adige, e poi sulla costa ve­neta e friulana. Al Centro erano interessate porzioni di costa tir­renica della Toscana meridiona­le e dell’Alto Lazio anche all’in­terno della provincia di Viterbo. Al Sud parti di costa tra Molise e Puglia, il golfo di Manfredo­nia e ancora aree costiere tra Brindisi, Lecce e Taranto per proseguire sul litorale della Basi­licata e di alcune zone ioniche della costa calabra. In Campa­nia, invece, le aree del Gariglia­no e del Sele. Zone idonee an­che sulle isole: Pianosa ad esem­pio, ma anche alcuni tratti della costa meridionale della Sicilia e altri in Sardegna tra costiera est, sud e ovest.

(C) http://www.corriere.it/
da GrandeSalento

Bolivia, l'ultimo viaggio del Che


La geniale interpretazione di Benicio del Toro nei panni del Comandnate Ernesto Guevara. A 42 anni dalla sua esecuzione

Non possono bastare due (o più) pellicole cinematografiche per capire chi era davvero Ernesto Guevara (Rosario, Argentina, 14 giugno 1928 - La Higuera, Bolivia, 9 ottobre 1967). Non è semplice descrivere la vita di un uomo, interrotta dal proiettile esploso da un fucile di un soldato boliviano, lontano dalla sua casa natale, da quella adottiva e da tutte le persone care che aveva conosciuto.
Nel tentativo di ricostruire ciò che è stato il Che, Steven Soderbergh, regista dei due film che da qualche tempo fanno molto discutere sulla figura dell'argentino rivoluzionario, ha centrato il punto. Due ottime ricostruzioni di quello che è stato il comandante Guevara.
Nella prima parte si racconta la storia della vittoriosa rivoluzione del Movimento 26 luglio contro la dittatura di Fulgencio Batista. Dal primo incontro con Fidel Castro a Città del Messico, i momenti dello sbarco del Granma, la guerra di guerriglia, le sofferenze e le gioie, i rapporti di assoluto rispetto con i compagni di lotta, la vittoria finale e la liberazione di Cuba. Ma è nella seconda metà della storia che si capisce a fondo chi era Che Guevara. Un uomo catapultato in Bolivia dai suoi stessi ideali di libertà, dalla sete di giustizia e di uguaglianza.

Nonostante tutto, il Che in Bolivia sarà sostanzialmente solo. Da alcuni suoi scritti contenuti nel Diario che teneva quotidianamente si evince chiaramente. Una rivoluzione, quella in Bolivia, nata sotto buoni auspici ma sviluppatasi in un modo non ipotizzato.
Il comandante lo sapeva: fare, o meglio esportare, la rivoluzione nel paese andino non sarebbe stata impresa semplice. Per molti motivi. Primo su tutti il territorio, impervio e poco conosciuto. Poi i guerriglieri, pochi e disorganizzati. I contadini che abitavano la regione, ignoranti e impauriti dalla violenza delle forze militari al soldo del dittatore Barrientos. Loro sono stati i primi a abbandonare il Che e i suoi uomini.
Ed è proprio il senso d'angoscia e d'abbandono che Benicio del Toro (grande attore) riesce a trasmettere al pubblico, soprattutto nella seconda parte del film. Il Che sofferente per i continui attacchi d'asma, la sua voglia, nonostante tutto, di rendere conto all'ideologia, alla sua etica e morale, che lo ha spinto fino a Cuba, in Congo, in Bolivia. Una missione la sua, che sarebbe divenuta mito e leggenda per le generazioni a seguire.

E che lo è stato per le generazioni di giovani coetanei del Che, che ne sposavano i comportamenti, apprezzavano le sue virtù e diffondevano i fondamenti della rivoluzione: pace, libertà e giustizia. Ma la vita di Ernesto Guevara è stata vissuta nel pieno rispetto del dovere verso le popolazioni che dal giorno dell'invasione dei conquistadores non hanno mai più avuto un minimo di speranza, di pace, di serenità. Per loro il Che ha fatto molto. E oggi a distanza di molti anni dalla sua scomparsa, sono ancora centinaia di milioni le persone che portano il suo messaggio nel cuore e i suoi insegnamenti nelle azioni quotidiane.

di Alessandro Grandi da PeaceReporter

Sui muri di Roma, contro la sentenza di Genova


Una prima reazione "grafica" alla indecente sentenza che ha comminato 100 anni di carcere a dieci attivisti, dopo aver assolto i responsabili materiali delle violenze generalizzate e soprattutto della morte di Carlo Giuliani.

da Indymedia

Milano Casa Pound e Volontari Verdi leghisti contro Hammer e Forza Nuova

Casa Pound e Volontari Verdi leghisti contro Hammer e Forza Nuova

di Saverio Ferrari

MILANO
Acque agitate nell'estrema destra milanese. La tensione fra alcune
componenti è altissima, sfociata, già a luglio, in risse e pestaggi.
L'episodio più eclatante è avvenuto a fine agosto, un giovedì, sul piazzale antistante lo stadio Meazza, nei pressi del bar «Chiringuito», un abituale luogo di ritrovo ultras. Qui i due fratelli Todisco, Alessandro e Franco, di Cuore nero sono stati pesantemente malmenati da un gruppo di Hammer, i
seguaci milanesi dell'omonima setta neonazista nata negli Stati uniti. In particolare Franco, detto «Lothar», ne è uscito con la faccia gonfia e pieno di lividi. La faccenda è poi proseguita nei giorni seguenti. Qualcuno ha anche raccontato di minacce accompagnate dall'esibizione di coltelli e pistole.
Il neofascismo milanese è ora spaccato in due. Da una parte gli Hammer alleati con Forza nuova, dall'altra Cuore nero, aderente al circuito di Casa Pound, che nelle settimane scorse ha stretto un accordo di collaborazione con i Volontari verdi del Centro identitario di via Bassano del Grappa, di Max Bastoni, il referente milanese dell'eurodeputato padano Mario Borghezio.
Lo stesso Borghezio è venuto a sancire il patto d'azione, lo scorso 5 settembre, partecipando con il responsabile nazionale del Blocco studentesco a un convegno sulla scuola nella sede di Cuore nero. Altre iniziative sono state programmate nei prossimi mesi.
Cuore nero tenta, dunque, anche grazie alle coperture leghiste, di uscire dalle secche, dopo la fuoriuscita nel febbraio scorso di un folto gruppo di militanti, guidati da Matteo Pisoni, detto «Stizza», che è confluito direttamente nel Popolo delle libertà. A dirigere questo rilancio non più i fratelli Todisco, attualmente con troppi problemi, anche giudiziari, in attesa del definitivo pronunciamento della Cassazione sul mandato di cattura nei loro confronti per i fatti a Milano dell'11 novembre 2007, seguiti alla morte del tifoso laziale Gabriele Sandri, quando si registrò anche un tentativo di assalto da parte di numerosi ultras a una caserma dei
carabinieri. L'uomo di punta è ora il più «moderato» Francesco Cappuccio, detto «Doppio malto», già membro della segreteria personale di Daniela Santanchè, in stretti rapporti con lo Spazio Ritter, in realtà l'ex libreria La Bottega del Fantastico di Maurizio Murelli che ha riaperto sotto questa nuova denominazione in via Maiocchi.
Dal canto suo Forza nuova cerca di intensificare le proprie iniziative puntando sul cosiddetto Presidio di piazza Aspromonte, la sede milanese del gruppo con tanto di pub annesso. Una specie di piccolo centro sociale. Poche le conferenze e molti i concerti.
Gli Hammer, facenti capo alla Skinhouse di Bollate, sembrerebbero non essere da meno. Maldestri anche gli ultimi tentativi di darsi una veste culturale.
Tra i pochissimi incontri spicca infatti per il prossimo 23 ottobre una conferenza dal titolo surreale «Africa addio», celebrativa del 120° anniversario della fondazione del «Regio corpo truppe coloniali» (!). Qui in realtà si è in attesa della decisione del Prefetto di Milano riguardo l'ordinanza emessa dal sindaco bollatese di chiusura della sede per ragioni di ordine pubblico.
Ciò che sta accadendo nella destra radicale milanese, divisioni e scontri fisici compresi, non sembrerebbe comunque risalire a particolari motivi di concorrenza o a ragioni di natura ideologica, quanto al sommovimento in corso all'interno della curva dell'Inter che si rifletterebbe in questo ambito. Alcuni ex, sia degli «Irriducibili» sia dei «Viking» per lo più malavitosi, già coinvolti in giri di droga, stanno infatti cercando di riprendere il loro posto allo stadio.
Come già accaduto nella curva milanista, dopo lo scioglimento della Fossa dei leoni, con il pesante ingresso di una banda criminale che ha ridisegnato le gerarchie interne sulla base di metodi mafiosi, così anche sulla sponda interista potrebbero determinarsi fenomeni simili.
Gli Hammer e gli Ambrosiana skinheads, secondo molti indizi, sembrerebbero al servizio di questa operazione garantendo la «mano d'opera» necessaria.
Da qui gli scontri, a dimostrazione di come, per storia e composizione, nel neofascismo milanese la politica non abbia oggi molta rilevanza.

http://lombardia.indymedia.org/node/22080
da Antifa

Una promessa di pace

La notizia ha preso tutti di sorpresa: anche alla Casa bianca i più stretti consiglieri non ne sapevano nulla. Obama è stato svegliato alle sei del mattino per dirgli che il Comitato del premio Nobel aveva deciso di attribuire a lui il premio per la pace del 2009. Non è la prima vota che un americano riceve il premio e Obama non è il primo presidente a riceverlo. Non tutti i premi assegnati ai suoi predecessori sono apparsi giustificati. Il premio a Obama è diverso.

Lo era sicuramente quello attribuito nel 1919 a Woodrow Wilson, il presidente della pace di Versailles e della Lega delle nazioni; molto meno lo era stato quello a Theodore Roosevelt nel 1906 (dopotutto Roosevelt era un uomo di guerra e uno sciovinista); fece discutere, giustamente, il premio a Henry Kissinger nel 1973 per le trattative di Parigi, che portarono alla fine della guerra del Vietnam (ma, poco dopo averlo ricevuto, Kissinger ordinò massicci bombardamenti del Vietnam del Nord che provocarono decine di migliaia di vittime civili.)
Ben diversamente meritato fu il premio assegnato nel 2002 all'ex presidente Jimmy Carter, quando non era più in carica da molti anni, ma da privato cittadino continuava (come continua tuttora) a battersi per il rispetto dei diritti umani nel mondo. Infine, nel 2007 il premio attribuito ad Al Gore, l'ex vicepresidente di Bill Clinton, fu giustamente interpretato non solo come un riconoscimento della sua lunga battaglia per la difesa del pianeta, ma come uno schiaffo alla politica bellicosa dell'amministrazione in carica, quella di George W. Bush.

Il premio a Obama è diverso da tutti questi. Non viene attribuito per qualcosa che ha fatto, come nel caso di Wilson, di Carter e di Gore, ma per qualcosa che ha promesso di fare e che, finora, ha solo in piccolissima parte realizzato. E' un premio che costituisce per colui che lo riceve un impegno per il futuro più che una ricompensa per il passato. Il comitato per il premio Nobel lo dice chiaramente nella sua motivazione: "Il comitato ha deciso che ... sia attribuito a Barack Obama per i suoi straordinari sforzi al fine di rafforzare la diplomazia internazionale e la cooperazione tra i popoli. Obama ha creato un nuovo clima nella politica internazionale. La diplomazia multilaterale ha riconquistato una posizione centrale, ponendo l'accento sul ruolo che possono svolgere le Nazioni Unite e le altre organizzazioni internazionali. Grazie alla sua iniziativa saranno rafforzati la democrazia e il rispetto dei diritti umani."
Indubbiamente, gli sforzi da parte del nuovo presidente ci sono stati nel corso dei primi nove mesi del suo mandato: da quando, appena divenuto presidente, ha promesso a nome del suo popolo che gli Stati Uniti non tortureranno mai più e ha ordinato la chiusura del carcere segreto di Guantanamo; al discorso di Praga ad aprile, quando si è impegnato a realizzare "un mondo libero dalle armi nucleari, al discorso del Cairo a giugno, dove ha inaugurato una nuova stagione di dialogo e di rispetto reciproco con il mondo arabo e mussulmano; fino al discorso alle Nazioni Unite di due settimane fa in cui ha enunciato i "quattro pilastri" della politica estera della sua presidenza: lotta contro la proliferazione delle armi nucleari e loro progressiva eliminazione; lotta contro il terrorismo e l'estremismo violento, ma allo stesso tempo soluzione dei problemi decennali che mettono in pericolo la pace (particolarmente il conflitto israelo-palestinese); difesa dell'ambiente e sviluppo di energie alternative per fermare la devastazione del pianeta; nuove regole per l'economia mondiale perché il mercato sia una fonte di progresso e di sviluppo e non di crisi e di ingiustizia.

Questi impegni e promesse sono stati seguiti fino ad oggi da risultati ancora molto parziali: la ripresa del dialogo con l'Iran non ha ancora prodotto risultati: l'obbiettivo di bloccare la costruzione di una bomba atomica da parte di Teheran si preannuncia lungo e pieno di trabocchetti; la Corea del Nord ha ignorato gli appelli alla moderazione e ha compiuto nuovi gesti bellicosi lanciando missili a lunga gittata potenzialmente dotati di testate nucleari; gli israeliani non hanno accolto la richiesta di blocco degli insediamenti e il processo di pace sembra per il momento bloccato. L'unico risultato positivo tangibile è stato la riapertura del dialogo con la Russia, attraverso una serie di gesti di distensione da ambo le parti, che dovrebbe portare entro la fine dell'anno al rinnovo del trattato di riduzione delle armi nucleari. Soprattutto c'è ancora, più drammatica che mai, la realtà della guerra afgana, che continua a mietere vittime tra i soldati americani e alleati e vittime tra i civili afgani.

Barack Obama, come ha detto lui stesso nel discorso alle Nazioni Unite di settembre, non è "un ingenuo". Non è un sognatore idealista; sa bene che il mondo è un luogo molto pericoloso dove si scontrano corposi interessi configgenti tra i diversi stati e tra diverse visioni; dove operano terroristi e dittatori brutali; dove pesano e peseranno a lungo gli errori e i crimini commessi dagli Stati Uniti in passato; dove si agitano rivendicazioni e aspirazioni all'egemonia; dove l'uso della forza o la minaccia di usarla è sempre stato ed è ancora lo strumento fondamentale della politica internazionale.
Obama sa quindi che la strada per raggiungere gli obbiettivi di pace e di convivenza che ha enunciato e in cui sicuramente crede sarà lunga e difficile, che ci saranno resistenze da parte di molti paesi, compreso il suo, che dal punto di vista della logica di potenza non è né migliore né peggiore di tanti altri. Nove mesi sono soltanto un inizio. Obama lo sa e lo sapeva anche il Comitato di Stoccolma quando ha deciso di attribuirgli il premio: è un incoraggiamento a proseguire sulla strada intrapresa e l'invito a mantenere la promessa di pace.

da aprileonline.it