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domenica 13 dicembre 2009

Fitto rinviato a giudizio per corruzione. "Prosciolto dalle accuse più infamanti"


Il ministro per gli Affari regionali sarà processato per corruzione, peculato e illecito finanziamento nell'ambito del procedimento "La Fiorita". "Cadono le accuse più infamanti grazie al lavoro sulle intercettazioni svolto dai miei avvocati", ha commentato stamani ( ieri mattina) nella conferenza stampa convocata all'hotel Tiziano di Lecce

12 dicembre 2009
Andrà a processo per corruzione, peculato e illecito finanziamento nell'ambito del procedimento "La Fiorita". E' stato prosciolto, invece, dalle accuse di associazione a delinquere, concussione e tre episodi di falso. Così il ministro Raffaele Fitto ha commentato stamani, nell'hotel Tiziano di Lecce, la sentenza del Gup di Bari:





11 dicembre 2009
Il Gup del Tribunale di Bari, la dottoressa Rosa Calia Di Pinto, ha rinviato a giudizio il ministro per gli affari regionali, Raffaele Fitto, imputato con altre 78 persone per reati commessi a vario titolo nell' inchiesta denominata La Fiorita. Reati che risalgono al periodo tra il 1999 e il 2005, in cui Fitto era presidente della Regione Puglia. Il giudice del tribunale del capoluogo ha accolto solo in parte la tesi dell'accusa, ritenendo validi solo sei degli undici capi d'imputazione. In particolare il rinvio a giudizio riguarda i reati di abuso d'ufficio, corruzione (in concorso, tra l'altro, con l'imprenditore romano Giampaolo Angelucci l'imprenditore di Telerama Paolo Pagliaro e l'amministratore di Seap Domenico Di Paola, tutti rinviati a giudizio), finanziamento illecito ai partiti e peculato. Non è stato riconosciuto invece il reato di associazione a delinquere (per non aver commesso il fatto), per cui il Gup ha dichiarato il non luogo a procedere, così come per i reati di falso e concussione (perché il fatto non sussiste).
Una sentenza che ha comunque soddisfatto il ministro Fitto, che in una nota ha commentato: "Le decisioni del giudice facciano crollare l'impianto accusatorio della Procura barese, non ritenendo valide le accuse per i reati più gravi e infamanti, soprattutto, quella di associazione a delinquere".
In realtà l'impianto accusatorio dei pm Lorenzo Nicastro, Roberto Rossi e Renato Nitti rimane in piedi proprio nei capi di imputazioni più gravi che riguardano la corruzione con aggravanti, la corruzione di pubblico ufficiale ed il concorso. Secondo i pm, infatti, in cambio di 500mila euro versati da Angelucci sul conto corrente de "La Puglia prima di tutto", movimento politico creato da Fitto per le Regionali 2005, l'ex presidente della Regione avrebbe concesso all'imprenditore della sanità l'appalto della durata di sette anni (pari a 198 milioni di euro) per la gestione di undici Residenze sanitarie assistite. L'ex presidente della Regione avrebbe inoltre offerto "copertura politica" alla società barese "La Fiorita" dei fratelli Dario e Piero Maniglia alla quale sarebbero stati affidati quasi in regime di monopolio i servizi di pulizia nelle Asl pugliesi. A Fitto viene contestata anche una presunta appropriazione di circa 190mila euro dal fondo di rappresentanza della Regione, che sarebbero stati utilizzati invece per finanziare la propria campagna elettorale.
La prima udienza dibattimentale si terrà il prossimo 25 febbraio dinanzi ai giudici della I sezione penale del Tribunale di Bari.

da Il Tacco D'Italia

Ibrahim non fa notizia


di Gianni Rinaldini (Segretario generale Fiom-Cgil)
Il segretario Fiom Rinaldini scrive ai direttori dei giornali: «L’immigrato ucciso dal padrone, risorsa umana dismessa».
Qualche giorno fa, in provincia di Biella, un ragazzo è andato dal suo datore di lavoro per chiedere che gli venissero pagati tre mesi di stipendio arretrato: qualche migliaia di euro che si era guadagnato onestamente, lavorando tutti i giorni e facendo quindi ciò per cui era stato assunto. Forse ne è nata una discussione, forse il ragazzo e il datore di lavoro – un artigiano – hanno litigato, forse si sono insultati, non sappiamo. Ciò che importa è che il datore di lavoro lo ha ucciso con nove coltellate, ha forse chiesto aiuto a qualcuno di fidato, ha caricato il corpo del ragazzo nel bagagliaio di una macchina e lo ha scaricato sulla riva di un torrente, nella vicina provincia di Vercelli. Il datore di lavoro si è così disfatto di «qualcosa» che in quel momento risultava essere inefficiente
e antieconomico per la sua impresa edile: un peso morto.
Il corpo del ragazzo è stato poi trovato senza vita dalla polizia ed è stato
quindi identificato dai suoi familiari. Il ragazzo si chiamava Ibrahim M’Bodj,
aveva 35 anni, era originario del Senegal e lavorava in edilizia. Il datore di lavoro ha ammesso di averlo ucciso. Sì, il ragazzo era un immigrato, uno di
quei tanti uomini e donne che decidono di lasciare il proprio paese alla ricerca
di condizioni di lavoro e di vita migliori. Uno di quei tanti che sperano di trovare un lavoro che gli permetta di avere una prospettiva di vita dignitosa, che possa garantire un futuro migliore a se stesso e ai suoi familiari; un lavoro che possa garantire una prospettiva di vita, appunto. Ibrahim ha trovato condizioni di lavoro che gli hanno dato la morte. Ibrahim non ha trovato un datore di lavoro, ma un padrone con potere di vita e di morte su di lui.
Ibrahim era un ragazzo normale come tanti altri. Ibrahim non era un eroe, e quando è andato a chiedere che gli venissero pagati i tre mesi di stipendio
arretrati pensava di andare a chiedere solo ciò che gli spettava legittimamente.
Di certo non pensava che quelle sarebbero state le ultime ore della sua vita. Di certo non pensava di fare niente di eccezionale. Per tre mesi si era arrangiato e aveva aspettato, ma a quel punto – dopo novanta giorni senza stipendio – doveva continuare a vivere, doveva fare qualcosa, e ha deciso di chiedere all’artigiano per cui lavorava ciò che gli spettava, niente di più.
La ferocia della reazione del datore di lavoro è purtroppo significativa del
clima sociale e culturale del nostro tempo. Ma ciò che quasi ancor più ci
colpisce di questo episodio è il fatto che i giornali, le televisioni, e in generale
i mass media, se ne siano completamente disinteressati. Nei giorni successivi
al ritrovamento del corpo di Ibrahim, quasi nessuno ha scritto o detto qualcosa su ciò che era successo, con pochissime eccezioni come nel caso del manifesto che ha scelto di dare rilievo a questa storia orribile. E allora viene in mente l’idea che, a parti rovesciate, si sarebbe forse mobilitato l’intero circo mediatico e che per settimane questo episodio sarebbe stato, giustamente, al centro delle riflessioni e delle analisi di politici, giornalisti, intellettuali e opinionisti vari, animando una fitta serie di dibattiti e discussioni.
Ibrahim, evidentemente, aveva una doppia sfortuna: era un lavoratore ed
era un immigrato. Ibrahim era doppiamente invisibile, nonostante avesse
un contratto di lavoro regolare e soggiornasse regolarmente in Italia da
molti anni. Ibrahim non era uno qualsiasi: non era nessuno.
Per il suo datore di lavoro, probabilmente, Ibrahim non era un uomo in
carne e ossa, dotato di una vita propria. Sì, certo, era umano, ma era una
risorsa, una risorsa umana, alla pari o forse poco più importante delle risorse
tecnologiche, di quelle energetiche o naturali, di quelle organizzative. E se
una risorsa, anche se umana, non serve più, la si dismette, se ne fa a meno,
la si scarica. Certo, per dismettere le risorse, ci sono modi civili e modi incivili,
ma il concetto è sempre lo stesso.
A pensarci bene, questa è anche, e sempre di più, la logica costitutiva di quello che, non a caso, viene definito come il «sistema di management dell’immigrazione» degli Stati liberali (non solo dell’Italia). Primo: prendere
le risorse umane che ci servono (qualche tempo fa si diceva di prendere gli
immigrati che sono disponibili a fare quello che gli italiani non vogliono più
fare, ma l’attuale crisi economica ha complicato un po’ le cose). Secondo:
essere ancor più ricettivi nei confronti delle risorse umane che possono contribuire a fare acquisire al paese un vantaggio competitivo nei settori produttivi strategici (gli immigrati con alte competenze professionali). Terzo: evitare l’arrivo delle risorse che non risultano utili o, nel caso in cui queste siano
già presenti, reindirizzarle verso i paesi da cui provengono. Anche in questo caso, esistono modi civili e modi incivili di disfarsi di queste particolari risorse umane: le si può rimpatriare, se mai attraverso incentivi economici, ma si può anche buttarli a mare come le scorie radioattive.
Per quel datore di lavoro, Ibrahim era una risorsa da dismettere. Se si fosse
trovato senza lavoro e senza la possibilità di rinnovare il permesso di soggiorno, Ibrahim sarebbe potuto diventare una risorsa da dismettere anche
per l’intero paese Italia. Ma, evidentemente, è proprio così che è stato considerato da molti di coloro che fanno parte dei salotti televisivi, delle redazioni dei giornali e dei telegiornali. Un uomo che muore può fare notizia, una risorsa dismessa no. Se poi questa risorsa è straniera, anzi extra-comunitaria, è come se non fosse mai esistita.
Ci sono dei singoli avvenimenti che hanno la capacità di raccontare un dato
assetto della realtà sociale quanto un’analisi statistica o un’inchiesta sociologica, se non addirittura di più. Rappresentano quello che sta accadendo
in determinati tempi e luoghi, di sintetizzare il senso dei processi sociali e culturali che attraversano questi luoghi e tempi, e di svelare le logiche che
sottostanno ai sistemi mediatici.
Sono passati più di vent’anni dall’assassinio di Jerry Maslow, un omicidio
che tanto clamore e tanta indignazione suscitò nella società civile. Ciò avvenne
anche grazie all’attenzione che i mass media del nostro Paese dedicarono
allora a quell’episodio. L’impressione è che oggi, a venti anni di distanza,
si sia tornati indietro di secoli.

da Il Manifesto

La Moratti e Formigoni rimediano solo fischi alla commemorazione di Piazza Fontana

Fischi alle autorità nel giorno in cui si commemorano le vittime di una strage.

Accade alla stazione di Bologna ed è accaduto anche oggi a Milano, durante le celebrazioni per il 40esimo anniversario della strage di Piazza Fontana che, il 12 dicembre 1969 fece 17 morti e un’ottantina di feriti.
Quando il sindaco del capoluogo lombardo Letizia Moratti, affiancata dal governatore Formigoni e dal presidente della Provincia di Milano Podestà, è salita sul palco per prendere la parola, dalla folla si sono alzati fischi e qualcuno ha urlato “vergogna”.


In precedenza il centro cittadino è stato attraversato da due distinti cortei, simbolo tangibile di una memoria che, su Piazza Fontana, resta non condivisa.
Da una parte le autorità locali hanno sfilato insieme ai parenti delle vittime, dall’altro Rifondazione Comunista, il Pdci e diversi gruppi di sinistra o anarchici, hanno scelto di manifestare contro la “strage di Stato” e in memoria dell’anarchico Giuseppe Pinelli.
Al termine di quest’ultima manifestazione si sono avuti momenti di tensione e sono scoppiati brevi tafferugli tra gli antagonisti e le forze dell’ordine, poi trasformatisi in una sorta di festa per strada.

Nel giorno delle commemorazioni per la strage anche il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano ha voluto rivolgersi alla signora Francesca Dendena, presidente dell’Associazione Familiari delle vittime della strage di Piazza Fontana, e al professor Carlo Smuraglia, presidente del Comitato permanente antifascista contro il terrorismo per la difesa dell’ordine repubblicano.
“Continuate pure a cercare perché si possa recuperare qualsiasi frammento di verità rimasto nascosto. Spero – ha scritto Napolitano – che questa vostra ricerca, a cui debbono collaborare tutte le istituzioni, possa condurre a dei risultati. Il chiedere giustizia per le vittime del terrorismo per tutti coloro che hanno pagato, non significa solo chiedere riparazione ai tribunali ma chiedere giustizia e riparazione alla nazione. Dobbiamo riuscire a gettare le basi di una vita democratica per il nostro Paese, che non corra più i rischi terribili, che non conosca più le fratture terribili che ha vissuto alcuni decenni orsono. Questo – ha aggiunto il Presidente – ci dice la strage di Piazza Fontana, questo ci dice una lunga e tormentata vicenda di indagini e di processi da cui non si è riusciti a far scaturire una esauriente verità giudiziaria. Il nostro Stato democratico porta su di sé questo peso, con cui deve fare i conti la coscienza di tutti gli italiani”.

da Indymedia

Piazza Fontana oggi è tornata agli antifascisti!

OGGI PIAZZA FONTANA È STATA SOTTRATTA A CHI COPRE GLI STRAGISTI, FORAGGIA I GRUPPI FASCISTI E XENOFOBI, ALIMENTA L’INTOLLERANZA E IL RAZZISMO!
PIAZZA FONTANA OGGI È TORNATA AGLI ANTIFASCISTI!
Oggi Piazza Fontana è stata sottratta a quanti vorrebbero ridurre l’anniversario della Strage di Stato ad una vuota ricorrenza, per continuare poi a coprire mandanti ed esecutori della “strategia della tensione”, per proseguire nello sdoganamento di gruppi come la Lega Nord, Casa Pound, Forza Nuova e La Destra, per alimentare il razzismo e la xenofobia con misure contro i rom e gli immigrati.
Oggi Piazza Fontana è tornata a chi doveva avercela: agli antifascisti, ai comunisti, agli anarchici, ai lavoratori e agli studenti in lotta, ai sinceri democratici!
È stato giusto non sottostare ai tentativi delle Autorità, DIGOS e Polizia di impedire al corteo l’accesso alla Piazza. È legittimo tutto quello che è conforme agli interessi delle masse popolari, anche se non è consentito da chi “amministra la giustizia e l’ordine”!
L’importante vittoria di oggi è stata frutto del fronte antifascista e antirazzista e alimento per lo sviluppo e il rafforzamento della lotta per soffocare le prove di fascismo!
Costruiamo Ronde Popolari Antifasciste e Antirazziste per pulire i nostri quartieri: non diamo nessuna tregua a questi topi di fogna, eliminiamo la malattia prima che infetti tutto il corpo!
Chi oggi ha conquistato il palco riservato ai burattinai e chi oggi è in carcere o inquisito perché antifascista ha difeso e continua a difendere nell’unico vero modo possibile la memoria di quanti a Piazza Fontana sono morti per mano fascista e di quanti con il sangue hanno conquistato quei diritti che oggi siamo tornati a dover con forza difendere e rivendicare.
Oggi ci siamo ripresi la piazza. Organizziamoci, coordiniamoci, mobilitiamoci per prendere anche le redini della società: strappiamole di mano a questa casta di parassiti, padroni, razzisti, fascisti, mafiosi e alti prelati e costruiamo un governo composto dalle organizzazioni operaie e popolari, un Governo di Blocco Popolare che si muova seguendo queste direttive:
NESSUNA AZIENDA DEVE ESSERE CHIUSA!
NESSUN LAVORATORE DEVE ESSERE LICENZIATO!
AD OGNI AZIENDA QUANTO OCCORRE PER FUNZIONARE!
AD OGNI ADULTO UN LAVORO DIGNITOSO!
AD OGNI INDIVIDUO CONDIZIONI DI VITA DIGNITOSE!
Il Governo di Blocco Popolare permetterà di far vivere agli operai, ai lavoratori autonomi, agli studenti, alle casalinghe quell'esperienza di mobilitazione, organizzazione, lotta necessaria per comprendere che "i lavoratori senza i padroni possono fare tutto e meglio" e rendere l'instaurazione del socialismo un obiettivo perseguito coscientemente da un ampia parte delle masse popolari del nostro paese.
LIBERTA’ PER ALESSANDRO DELLA MALVA E TUTTI GLI ANTIFASCISTI ARRESTATI!
CHIUDERE I COVI FASCISTI!
10, 100, 1000 RONDE POPOLARI ANTIFASCISTE E ANTIRAZZISTE

autore:
CARC
Partito dei Comitati di Appoggio alla Resistenza - per il Comunismo (CARC)
Federazione Lombardia-Piemonte - Milano - Via Hermada, 19 - 20162
Tel. 335.7677695; e-mail: carcfpl@yahoo.it; sito web: www.carc.it
Associazione Solidarietà Proletaria (ASP)
E-mail: info@solidarietaproletaria.org
Sito web: www.solidarietaproletaria.org

da Indymedia