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giovedì 1 ottobre 2009

Nardò & l'informazione: una mischia fuori controllo

Vorrei partire da un episodio in particolare per fare delle riflessioni ed invitare voi a fare altrettanto.
Da qualche giorno il noto sito Portadimare ha deciso di sospendere i commenti alle notizie. Premetto che questa è una cosa che a me personalmente non mi tocca minimamente visto che i commenti (quasi tutti con il link LA FONTE) che di tanto in tanto mi permettevo di postare sul portale venivano puntualmente censurati. Non erano mai commenti offensivi, almenochè per offensivi non si intenda avere un’opinione diversa da chi scrive e da chi fra l’altro detiene una buona fetta dell’informazione Neritina sia online che cartacea. Comunque a parte questo piccolo particolare, penso che un sito così “importane”, così visitato, come ci svelano i numenri pubblicati dallo stesso portale l’altro ieri, non possa sottrarsi all’opinione del lettore!
I responsabili del sito saranno certamente e primariamente interessati al marketing (come riferitomi da loro stessi tempo fa in occasione della nascita di Movimento per la Sinistra Nardò, notizia censurata per dar spazio al super mega esclusivissimo video dell’inaugurazione del bar di corona a Nardò) ma non possono dimenticare di svolgere un servizio, non possono dimenticare di essere giornalisti!
Il mestiere del giornalista, a Nardò più che altrove, è a mio parere male interpretato. La più bella definizione di cosa significhi fare il giornalista l’ho sentita anni fa dalla giornalista israeliana ebrea Amira Hass. Disse: “Il nostro compito principale è di monitorare le fonti del potere”.
Monitorare le fonti del potere significa scandagliarne quattro primariamente: le tre della notissima suddivisione di Montesquieu – esecutivo, legislativo e giudiziario – e l’ultimo arrivato, il quarto potere, cioè proprio l’informazione. Per fare ciò, il giornalista necessita di una dote sopra a tutte: saper essere un professionista solo. Significa essere un libero battitore, capace di guardare e se necessario criticare a 360 gradi tutto e chiunque, e cioè gli sconosciuti e i distanti, ma anche i conosciuti e i compagni di strada.
Invece in questo Paese la norma è che i giornalisti facciano ‘parrocchia’ con altri ‘compagni di merenda; oppure può accadere che durante le elezioni qualche giornalista sia delegato dal comune come responsabile di una sezione, o che una notizia particolarmente delicata su processi in corso ai dirigenti comunali venga sbattuta in prima pagina sul Quotidiano di lecce senza la firma del giornalista, o che una notizia come la manifestazione contro la mafia di qualche giorno fa a Nardò non trovi spazio (il giorno dopo)su nessun portale tranne LA FONTE…. Anche questo è marketing?
E’ ovvio che un buon rapporto con l’istituzione può offrire quel qualcosa in più, quella dichiarazione in esclusiva che può fare la differenza in termini di numeri. Mai perdere di vista però il nostro mandato, cioè fare informazione anche quando scomoda per qualche rappresentante locale; ed è qui che occorre intervenire con professionalità Esiste infatti una sottile linea di confine sulla quale i giornalisti di turno, si muovono interagendo con l’istituzione competente sull’argomento trattato. Questa linea divide l’indipendenza nella scelta degli argomenti da una più stretta complicità con un rappresentante istituzionale che può indirizzare l’operato. L’importante è rimanere nel mezzo, oltre che instaurare un rapporto di reciproca stima e talvolta amicizia
Insomma, trovo la situazione neritina un po’ grottesca. E nessuno lo nota più. E’ una mischia ormai fuori controllo
Per dare una pennellata di decenza all’informazione occorre prima di ogni altra cosa puntare il dito sull’informazione che ogni giorno i cittadini di questo paese si scelgono!

CASARANO - Debiti comunali. Un Consiglio ad hoc

La prossima settimana si conoscerà l'ammontare dei conti fuori bilancio del Comune di Casarano. Se ne discuterà il 6 ottobre in Consiglio comunale

Si saprà martedì prossimo l'entità dei debiti fuori bilancio del Comune di Casarano. Paolo Zompì, presidente del Consiglio comunale, ha infatti convocato per il 6 ottobre prossimo (ore 9) l'assemblea cittadina per la discussione e l'approvazione della "ricognizione dello stato di attuazione dei programmi e salvaguardia degli equilibri di bilancio" (questa la denominazione tecnica) relativa all'esercizio finanziario 2009. La prossima convocazione sarà importante anche per l'analisi delle linee programmatiche del sindaco Ivan De Masi per la nomina delle varie commissioni consiliari e per l'illustrazione del piano casa.
Ma l'interesse dei cittadini, oltre che per il programma politico del sindaco, si concentra soprattutto per conoscere quali strumenti adotterà il nuovo governo cittadino per far fronte ai debiti fuori bilancio, ereditati dall'amministrazione uscente, ed uscire dall'emergenza finanziaria. Uno di questi strumenti sarà discusso in aula: il "Piano delle alienazioni e delle valorizzazioni del patrimonio immobiliare". Si tratta di una ricognizione e valorizzazione dei singoli beni immobili ricadenti nel territorio di competenza, non strumentali all'esercizio delle proprie funzioni istituzionali, suscettibili di valorizzazione oppure di dismissione.
Il piano servirà, in sostanza, a fare un elenco degli immobili che si possono già vendere o che sono suscettibili di modifica della destinazione d'uso, per accrescerne il valore, nel rispetto di una norma inserita dal governo Berlusconi l'anno scorso nella cosiddetta "Manovra d'estate". Legato alla vicenda della manovra finanziaria è il punto sui debiti fuori bilancio della "Monteco", l'ex gestore del servizio di raccolta e smaltimento dei rifiuti solidi urbani, richiesto tempo fa dall'opposizione di centro-destra e per il quale le stesse forze di minoranza si erano rivolti al Prefetto, chiedendo il rispetto dei tempi di convocazione del Consiglio Comunale. "Per questo punto siamo nei termini – ha affermato Zompì – non c'era stato bisogno di rivolgersi al Prefetto".
Le linee programmatiche del sindaco De Masi apriranno di fatto la seduta di martedì (subito dopo la lettura dei verbali della seduta precedente), ma il completamento dell'avvio della Consiliatura si attuerà con la nomina delle cinque commissioni consiliari previste dalla Statuto: "Controllo, indagine, inchiesta e studio"; "Bilancio e sviluppo economico"; "Affari istituzionali ed amministrativi"; "Servizi sociali, culturali, sport e tempo libero"; "Urbanistica, assetto del territorio e lavori pubblici".

di Enzo Schiavano da IlTaccoD'Italia

LECCE - La Poli rompe il silenzio: “La mia verità su via Brenta”

Lecce (Salento) – Fissato per il 9 ottobre il consiglio comunale monotematico su via Brenta, dopo la Commissione indetta dalla consigliera Rita Quarta, durante le quale 11 consiglieri fecero tale richiesta.

La Senatrice Adriana Poli Bortone, appresa tale notizia, ho convocato per Sabato 3 Ottobre, presso la sede della Segreteria Provinciale di Io Sud una conferenza stampa. La volontà è quella di rompere il silenzio su una affare cos' delicato e sul quale sta già indagando la Magistratura,la Poli vuole far conoscere la verità.

“Il mio silenzio fino ad ora è generato solo ed esclusivamente dal rispetto nei riguardi della magistratura che deve operare serenamente e con la sollecitudine dovuta.

La mia coscienza è tranquilla per aver operato con amore e dedizione nei riguardi della città per 9 anni che hanno visto una trasformazione urbanistica, sociale ed economica di Lecce, riconosciuta a livello nazionale.

Ritengo profondamente ingiusto che tanto lavoro debba essere infangato da malevoli illazioni.

Esco pertanto dal riserbo che mi ero imposto per illustrare con documenti e ragionamenti quanto è accaduto, perché è giusto che i cittadini sappiano.

Con i collaboratori di sempre e con quanti credono in me, continuerò con convinzione nel progetto di Io Sud, ormai esteso anche ad altre Regioni Meridionali a difesa di un Mezzogiorno depauperato dagli sperperi bipartisan”.

da IlPaeseNuovo

Il tackle di Cosa nostra


di Pietro Orsatti su Terra - 1° ottobre 2009
Uno stadio e un centro commerciale, ecco i progetti di Zamparini per Palermo. Ma le infiltrazioni dei Lo Piccolo che puntavano agli appalti dell’imprenditore e al business del mercato calcistico, hanno rallentato l’operazione. Il calcio può essere un business pericoloso. I centri commerciali pure.

Ne sa qualcosa Marcello Zamparini, attuale patron del Palermo Calcio e re dei centri commerciali in Italia. Oggi è praticamente certo che l’imprenditore friulano realizzerà il più grande centro commerciale del capoluogo siciliano al quartiere Zen ma allo stesso tempo sembra aver rinunciato, almeno per ora o almeno nei tempi che aveva annunciato in gran pompa, al progetto del nuovo stadio sempre nello stesso quartiere. Le ragioni sono tante, non ultima la vicenda dell’infiltrazione dei clan nel Palermo Calcio e del tentativo di “scalare” le aziende dell’irruente presidente da parte della famiglia Lo Piccolo, vicenda esplosa lo scorso anno e su cui ancora si sta indagando. A quanto risulta i Lo Piccolo cercavano di pilotare la compravendita di giovani giocatori della squadra rosanero tentando contemporaneamente di accaparrarsi gli appalti in città dell’imprenditore.
La storia di questi intrecci economici e criminali è emersa dall’inchiesta della procura distrettuale antimafia che ha condotto all’arresto, un anno fa, dell’avvocato e procuratore sportivo,
Marcello Trapani, difensore dei Lo Piccolo, accusato di associazione mafiosa. Insieme a lui venne arrestato anche l’ex responsabile del settore giovanile del Palermo Calcio, Giovanni Pecorare. Secondo i magistrati Trapani svolgeva un ruolo importante come tramite fra imprenditori e i boss detenuti, incaricandosi di portare messaggi dentro e fuori il carcere, intestandosi società che avrebbero dovuto gestire una speculazione edilizia a Chioggia (il porto) per otto milioni di euro. Le intercettazioni, non solo ambientali ma anche video, effettuate nello studio del penalista hanno documentato che Trapani quando incontrava Calogero Lo Piccolo, figlio del capomafia, non parlava, ma i due si scambiavano ‘’pizzini’’ in modo da evitare le “cimici”. Pizzini poi recuperati dagli investigatori tra i rifiuti. Le indagini hanno svelato anche le intimidazioni ai dirigenti della società calcistica, che erano state commissionate dagli uomini dei Lo Piccolo. Vicenda sulla quale ha parlato anche un pentito. Il collaboratore Andrea Bonaccorso, infatti, ha confessato di essere l’autore dell’intimidazione rivolta all’ex direttore sportivo del Palermo Rino Foschi, al quale, quattro anni fa, venne recapitata un testa d’agnello mozzata. Zamparini risultava e risulta estraneo alla vicenda, vittima di un tentativo di scalata alle sue società messo in atto a sua insaputa da alcuni uomini del suo stretto entourage che invece sarebbero da collegare ai clan.
Ma già prima di diventare presidente del Palermo, Zamparini aveva subito un tentativo di infiltrazione mafiosa in un suo progetto.
Allora ai vertici del Venezia calcio, l’imprenditore aveva tentato di mettere in piedi un grande ipermercato a Cinisi fra il 2000 e il 2001.
E si era ritrovato coinvolto nelle indagine sui presunti fiancheggiatori dell’allora latitante Bernardo Provenzano. In quella vicenda rimasero coinvolti uno dei collaboratori di Zamparini, l’ex
sindaco di Tarvisio Eriberto Rosenwirth, accusato di essere al centro di accordi illeciti tra la cosca di Cinisi e la società Salzam, del gruppo Emmezeta, riconducibile - come riportato dalla stampa dell’epoca - a Zamparini. Secondo l’accusa di allora l’azienda veneta, per realizzare l’ipermercato, avrebbe chiesto le dovute autorizzazioni al Comune attraverso la Sicinvest, una società che le aveva precedentemente ottenute. Cambiata l’amministrazione del paese, i permessi furono revocati. A quel punto Zamparini cercò un contatto con la nuova amministrazione attraverso un calciatore del Venezia, Massimo Taibi, originario di Cinisi. Taibi conosceva un consigliere comunale, Giuseppe Pizzo, e ne offrì all’imprenditore il numero di telefono.
Successivamente, Pizzo contattò a sua volta Giuseppe Leone e Antonio Giannusa, personaggi considerati organici a Cosa nostra. Risulta dall’ inchiesta, che questi ultimi, insieme a un altro indagato, Giuseppe Palazzolo, avrebbero mostrato un «diretto, ingiustificato e concreto interesse» nella realizzazione dell’ ipermercato. «Zamparini - scriveva il pm Asaro nella richiesta di archiviazione nei confronti del patron - risulta comunque estraneo a ogni condotta di agevolazione dell’associazione operante a Cinisi». Dell’ipermercato di Cinisi non se ne fece più nulla. Questa disavventura, che all’epoca fece scalpore visto che l’imprenditore stava cercando di consolidare il suo impero imprenditoriale basato sugli ipermercati nel meridione italiano, non
impedì a Zamparini di acquistare successivamente la società calcistica e mettere in piedi il mega progetto dello Zen. E di ritrovarsi, ancora una volta, obiettivo di una “scalata” da parte dei clan, la temibile famiglia Lo Piccolo, che proprio dallo Zen agiva per conquistare il controllo della città.

Tratto da: Terra
da AntimafiaDuemila

Nucleare in Italia: Popolo sovrano?


Il popolo italiano il nucleare non lo vuole, come ha già dimostrato con il referendum abrogativo del 1987, ma il Governo che “ci rappresenta” sì. E quindi, per dirla in modo franco, ce lo dobbiamo “assuppare”. Con le buone o con le cattive.

Non ha problemi di sfacciataggine il nostro Eminente Ministro per lo Sviluppo Economico, che si è dimostrato profondamente amareggiato perché alcune Regioni hanno presentato ricorso alla Corte Costituzionale contro l’ennesima legge porcata. Quella sullo Sviluppo, che recita più o meno così: cerchiamo un’intesa con gli enti territoriali per collocare nuovi impianti nucleari, nel caso non dovessimo raggiungerla decidiamo noi. Cioè loro. Quelli che ancora non hanno pensato a come smantellare le centrali spente proprio dopo il referendum, quindi più di vent’anni fa. Né tantomeno a dove mettere i rifiuti e le scorie ancora stipati lì dentro con il tutto il loro carico di morte, come ha dimostrato un’inchiesta di Sigfrido Ranucci su “Report”, una delle trasmissioni che non si vorrebbe più mandare in onda. Che faremo con le scorie vecchie e nuove, le nasconderemo in fondo al mare?
“Se la Corte desse ragione al Governo – ha detto oggi Scajola a margine della firma dell’accordo di collaborazione nucleare con gli Usa – sarebbe una doppia legittimazione. Se ci dà torto ci può suggerire delle modifiche legislative”. E quindi “se anche la Corte intervenisse, il nostro percorso sarebbe quello di definire i criteri per dire dove non si possono costruire le centrali”.
Poi ha sottolineato: "Non intendiamo tornare al nucleare costruendo centrali contro qualcuno. E' evidente che cercheremo la massima collaborazione con il territorio e le Regioni”. Però attenti! “Nella legge Sviluppo c'è uno strumento forte, secondo il quale le centrali sono siti di interesse strategico per il Paese. Mi auguro che non debba essere usato, ma laddove ci fosse il veto del territorio, l'interesse generale del Paese deve prevalere”.
Lo strumento forte, in situazioni estreme, è l’utilizzo dei militari come mezzo per mantenere il controllo dell’ordine pubblico.
Non c’è che dire Ministro: una bella lezione di Democrazia!

da AntimafiaDuemila

FILLEA CGIL: “Ancora licenziamenti alla Ses di Nardò”

La FILLEA CGIL si oppone e denuncia: “Atteggiamenti discriminatori nei confronti dei lavoratori e dei rappresentanti sindacali. Questi licenziamenti disattendono gli accordi sindacali”. Oggi 1° ottobre, sit-in di protesta davanti ai cancelli dello stabilimento.

Continuano gli atteggiamenti discriminatori delle Direzioni Aziendali del Gruppo S.E.S. (SEVAR Srl-GRANDI srl -ITALGECRI srl) di Nardò, nei confronti delle proprie maestranze e dei loro Rappresentanti sindacali. A dichiararlo è la FILLEA CGIL.

“Nel corso 2009 – fa sapere l’associazione - sono stati 14 i lavoratori licenziati, tra cui 2 delegati sindacali, da parte delle ditte SEVAR srl e Italgecri srl ed ora incombe la minaccia di licenziamento di altre 10 unità lavorative con qualifica di operaio, attualmente impiegati con la terza ditta del gruppo, la Grandi srl”. La FILLEA CGIL contesta i licenziamenti di personale con contratto a tempo indeterminato in quanto avvenuti disattendendo precedenti accordi, siglati in sedi ufficiali con le Organizzazioni Sindacali, che prevedevano incontri preventivi qualora ci fossero state difficoltà.
“I licenziamenti - continua - sono avvenuti invece senza preventiva consultazione con le parti sociali e senza valutare lo strumento degli ammortizzatori sociali secondo quanto previsto dalle vigenti disposizioni di legge, onde evitare i licenziamenti stessi”.

La FILLEA CGIL contesta in particolare come la Direzione aziendale abbia rifiutato in modo categorico la revoca dei licenziamenti e il reintegro dei lavoratori che potevano invece usufruire degli ammortizzatori sociali. Non si capisce perché l’Azienda si ostini a rifiutare la nostra legittima proposta. L’associazione si oppone con forza all’atteggiamento assunto dall’Azienda e ribadisce che bisogna scrupolosamente attenersi a quanto già stabilito in fase di contrattazione a livello nazionale e territoriale tra le parti datoriali e sindacali, disconoscendo qualsiasi altra forma di contrattazione.

L’azione di protesta prosegue con un sit-in che si terrà vicino ai cancelli dello stabilimento, in C. da Castellino a Nardò, oggi 1° ottobre a partire dalle ore 16.

da ilpaesenuovo.it

Presidente, lascio la toga anche per colpa sua


di Luigi De Magistris* - 1° ottobre 2009

Al Sig. Presidente della Repubblica - Piazza del Quirinale ROMA
Signor Presidente, scrivo questa lettera a Lei soprattutto nella Sua qualità di Presidente del Consiglio Superiore della Magistratura.

E’ una lettera che non avrei mai voluto scrivere. E’ uno scritto che evidenzia quanto sia grave e serio lo stato di salute della democrazia nella nostra amata Italia.
E’ una lettera con la quale Le comunico, formalmente, le mie dimissioni dall’Ordine Giudiziario.
Lei non può nemmeno lontanamente immaginare quanto dolorosa sia per me tale decisione.
Sebbene l’Italia sia una Repubblica fondata sul lavoro – come recita l’art. 1 della Costituzione – non sono molti quelli che possono fare il lavoro che hanno sognato; tanti il lavoro non lo hanno, molti sono precari, altri hanno dovuto piegare la schiena al potente di turno per ottenere un posto per vivere, altri vengono licenziati come scarti sociali, tanti altri ancora sono cassintegrati. Ebbene, io ho avuto la fortuna di fare il magistrato, il mestiere che avevo sognato fin dal momento in cui mi iscrissi alla facoltà di Giurisprudenza dell’Università “Federico II” di Napoli, luogo storico della cultura giuridica. La magistratura ce l’ho nel mio sangue, provengo da quattro generazioni di magistrati. Ho respirato l’aria di questo nobile e difficile mestiere sin da bambino. Uno dei giorni più belli della mia vita è stato quando ho superato il concorso per diventare uditore giudiziario. Una gioia immensa che mai avrei potuto immaginare destinata a un epilogo così buio. E’ cominciata con passione, idealità, entusiasmo, ma anche con umiltà ed equilibrio, la missione della mia vita professionale, come in modo spregiativo la definì il rappresentante della Procura Generale della Cassazione durante quel simulacro di processo disciplinare che fu imbastito nei miei confronti davanti al Csm. Per me, esercitare le funzioni giudiziarie in ossequio alla Costituzione Repubblicana significava tentare di dare una risposta concreta alla richiesta di giustizia che sale dai cittadini in nome dei quali la Giustizia viene amministrata. Quei cittadini che – contrariamente a quanto reputa la casta politica e dei poteri forti – sono tutti uguali davanti alla legge. Del resto Lei, signor Presidente, che è il custode della Costituzione, ben conosce tali inviolabili principi costituzionali e mi perdoni, pertanto, se li ricordo a me stesso.
I modelli ai quali mi sono ispirato sin dall’ingresso in magistratura – oltre a mio padre, il cui esempio è scolpito per sempre nel mio cuore e nella mia mente – sono stati magistrati quali Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. Ed è nella loro memoria che ho deciso di sventolare anch’io l’agenda rossa di Borsellino, portata in piazza con immensa dignità dal fratello Salvatore. Ho sempre pensato che chi ha il privilegio di poter fare quello che sogna nella vita debba dare il massimo per il bene pubblico e l’interesse collettivo, anche a costo della vita. Per questo decisi di assumere le funzioni di Pubblico Ministero in una sede di trincea, di prima linea nel contrasto al crimine organizzato: la Calabria. Una terra da cui, in genere, i magistrati forestieri scappano dopo aver svolto il periodo previsto dalla legge e dove invece avevo deciso (ingenuamente) di restare.
Ho dedicato a questo lavoro gli anni migliori della mia vita, dai 25 ai 40, lavorando mai meno di dodici ore al giorno, spesso anche di notte, di domenica, le ferie un lusso al quale dover spesso rinunciare. Sacrifici enormi, personali e familiari, ma nessun rimpianto: rifarei tutto, con le stesse energie e il medesimo entusiasmo.
In questi anni difficili, ma entusiasmanti, in quanto numerosi sono stati i risultati raggiunti, ho avuto al mio fianco diversi colleghi magistrati, significativi settori della polizia giudiziaria, un gruppo di validi collaboratori. Ho cercato sempre di fare un lavoro di squadra, di operare in pool. Parallelamente al consolidarsi dell’azione investigativa svolta, però, si rafforzavano le attività di ostacolo che puntavano al mio isolamento, alla de-legittimazione del mio lavoro, alle più disparate strumentalizzazioni. Intimidazioni, pressioni, minacce, ostacoli, interferenze. Attività che, talvolta, provenivano dall’esterno delle Istituzioni, ma il più delle volte dall’interno: dalla politica, dai poteri forti, dalla stessa magistratura. Signor Presidente, a Lei non sfuggirà, quale Presidente del CSM, che l’indipendenza della magistratura può essere minata non solo dall’esterno dell’ordine giudiziario, ma anche dall’interno: ostacoli nel lavoro quotidiano da parte di dirigenti e colleghi , revoche e avocazioni illegali, tecniche per impedire un celere ed efficace svolgimento delle inchieste.
Ho condotto indagini nei settori più disparati, ma solo quando mi occupavo di reati contro la Pubblica amministrazione diventavo un cattivo magistrato.
Posso dire con orgoglio che il mio lavoro a Catanzaro procedeva in modo assolutamente proficuo in tutte le direzioni, come impone il precetto costituzionale dell’obbligatorietà dell’azione penale, corollario del principio di uguaglianza dei cittadini di fronte alla legge. La polizia giudiziaria lavorava con sacrifici enormi, perché percepiva che risultati straordinari venivano raggiunti. Le persone informate dei fatti testimoniavano e offrivano il loro contributo. Lo Stato c’era ed era visibile, in un territorio martoriato dal malaffare. Le inchieste venivano portate avanti tutte, senza insabbiamenti di quelle contro i poteri forti (come invece troppe volte accade). Questo modo di lavorare, il popolo calabrese – piaccia o non piaccia al sistema castale – lo ha capito, mostrandoci sostegno e solidarietà. Non è poco, signor Presidente, in una Regione in cui opera una delle organizzazioni mafiose più potenti del mondo. E che lo Stato stesse funzionando lo ha compreso bene anche la criminalità organizzata. Tant’è vero che si sono subito affinate nuove tecniche di neutralizzazione dei servitori dello Stato che si ostinano ad applicare la Costituzione Repubblicana.
Non so se Ella, Signor Presidente, condivide la mia analisi. Ma a me pare che - dopo la stagione delle stragi di mafia culminate nel 1992 con gli attentati di Capaci e di via D’Amelio e dopo la strategia della tensione delle bombe a grappolo in punti nevralgici del Paese nel 1993 - le mafie hanno preso a istituzionalizzarsi. Hanno deciso di penetrare diffusamente nella cosa pubblica,nell’economia, nella finanza. Sono divenute il cancro della nostra democrazia. Controllano una parte significativa del prodotto interno lordo del nostro paese, hanno loro rappresentanti nella politica e nelle Istituzioni a tutti i livelli, nazionali e territoriali. Nemmeno la magistratura e le forze dell’ordine sono rimaste impermeabili. Si è creata un’autentica emergenza democratica, da sconfiggere in Italia e in Europa.
Gli ostacoli più micidiali all’attività dei servitori dello Stato sono i mafiosi di Stato: quelli che indossano abiti istituzionali, ma piegano le loro funzioni a interessi personali, di gruppi, di comitati d’affari, di centri di potere occulto. Non mi dilungo oltre, perché credo che al Presidente della Repubblica tutto questo dovrebbe essere noto.
Ebbene oggi, Signor Presidente, non è più necessario uccidere i servitori dello Stato: si creerebbero nuovi martiri; magari, ai funerali di Stato, il popolo prenderebbe di nuovo a calci e sputi i simulacri del regime; l’Europa ci metterebbe sotto tutela. Non vale la pena rischiare, anzi non serve. Si può raggiungere lo stesso risultato con modalità diverse: al posto della violenza fisica si utilizza quella morale, la violenza della carta da bollo, l’uso illegale del diritto o il diritto illegittimo, le campagne diffamatorie della propaganda di regime, si scelga la formula che più piace.
Che ci vuole del resto, signor Presidente, per trasferire un magistrato perbene, un poliziotto troppo curioso, un carabiniere zelante, un finanziere scrupoloso, un prete coraggioso, un funzionario che non piega la schiena, o per imbavagliare un giornalista che racconta i fatti? E’ tutto molto semplice, quasi banale. Ordinaria amministrazione.
Per allontanare i servitori dello Stato e del bene pubblico, bisogna prima isolarli, delegittimarli, diffamarli, calunniarli. A questo servono i politici collusi, la stampa di regime al servizio dei poteri forti, i magistrati proni al potere, gli apparati deviati dello Stato.
La solitudine è una caratteristica del magistrato, l’isolamento è un pericolo. Ebbene, in Calabria, mentre le persone rispondevano positivamente all’azione di servitori dello Stato vincendo timori di ritorsioni, spezzando omertà e connivenze, pezzi significativi delle Istituzioni contrastavano le attività di magistrati e forze dell’ordine con ogni mezzo.
Quello che si è realizzato negli anni in Calabria sul piano investigativo è rimasto ignoto, in quanto la cappa esercitata anche dalla forza delle massonerie deviate impediva di farlo conoscere all’esterno. Il resto del Paese non doveva sapere. Si praticava la scomparsa dei fatti. Quando però le vicende sono cominciate a uscire dal territorio calabrese, l’azione di sabotaggio si è fatta ancor più violenta e repentina. Invece dello sbarco degli Alleati, c’è stato quello della borghesia mafiosa che soffoca la vita civile calabrese. L’azione dello Stato produceva risultati in termini di indagini, restituiva fiducia nelle Istituzioni, svelava i legami tra mafia “militare” e colletti bianchi, smascherava il saccheggio di denaro pubblico perpetrate da politici collusi, (im)prenditori criminali e pezzi deviati delle Istituzioni a danno della stragrande maggioranza della popolazione, scoperchiava un mercato del lavoro piegato a interessi illeciti, squadernava il controllo del voto e, quindi, l’inquinamento e la confisca della democrazia.
Sono cose che non si possono far conoscere, signor Presidente. Altrimenti poi il popolo prende coscienza, capisce come si fanno affari sulla pelle dei più deboli, dissente e magari innesca quella democrazia partecipativa che spaventa il sistema di potere che opprime la nostra democrazia. Una presa di coscienza e conoscenza poteva scatenare una sana e pacifica ribellione sociale.
Lei, signor Presidente, dovrebbe conoscere – sempre quale Presidente del CSM - le attività messe in atto ai miei danni. Mi auguro che abbia assunto le dovute informazioni su quello che accadeva in Calabria per fermare il lavoro che stavo svolgendo in ossequio alla legge e alla Costituzione. Avrà potuto così notare che è stata messa in atto un’attività di indebito esercizio di funzioni istituzionali al solo fine di bloccare indagini che avrebbero potuto ricostruire fatti gravissimi commessi in Calabria (e non solo) da politici di destra, di sinistra e di centro, da imprenditori, magistrati, professionisti, esponenti dei servizi segreti e delle forze dell’ordine. Tutto ciò non era tollerabile in un Paese ad alta densità mafiosa istituzionale. Come poteva un pugno di servitori dello Stato pensare di esercitare il proprio mandato onestamente applicando la Costituzione? Signor Presidente, Lei - come altri esponenti delle Istituzioni - è venuto in Calabria, ha esortato i cittadini a ribellarsi al crimine organizzato e ad avere fiducia nelle Istituzioni. Perché, allora, non è stato vicino ai servitori dello Stato che si sono imbattuti nel cancro della nostra democrazia, cioè nelle più terribili collusioni tra criminalità organizzata e poteri deviati? Non ho mai colto alcun segnale da parte Sua in questa direzione, anzi. Eppure avevo sperato in un Suo intervento, anche pubblico: ero ancora nella fase della mia ingenuità istituzionale. Mi illudevo nella neutralità, anzi nell’imparzialità dei pubblici poteri. Poi ho visto in volto, pagando il prezzo più amaro, l’ingiustizia senza fine.
Sono stato ostacolato, mi sono state sottratte le indagini, mi hanno trasferito, mi hanno punito solo perché ho fatto il mio dovere, come poi ha sancito l’Autorità Giudiziaria competente. Ma intanto l’obiettivo era stato raggiunto, anche se una parte del Paese aveva e ha capito quel che è accaduto, ha compreso la posta in gioco e me l’ha testimoniato con un affetto che Lei non può nemmeno immaginare. Un affetto che costituisce per me un’inesauribile risorsa aurea.
Ho denunciato fatti gravissimi all’Autorità giudiziaria competente, la Procura della Repubblica di Salerno: me lo imponeva la legge e prima ancora la mia coscienza. Magistrati onesti e coraggiosi hanno avuto il solo torto di accertare la verità, ma questa ancora una volta era sgradita al potere. E allora anche loro dovevano pagare, in modo ancora più duro e ingiusto: la lezione impartita al sottoscritto non era stata sufficiente. La logica di regime del “colpirne uno per educarne cento” usata nei miei confronti non bastava ancora a scalfire quella parte della magistratura che è l’orgoglio del nostro Paese. Ci voleva un altro segnale forte, proveniente dalle massime Istituzioni, magistratura compresa: la ragion di Stato (ma quale Stato, signor Presidente?) non può tollerare che magistrati liberi, autonomi e indipendenti possano ricostruire fatti gravissimi che mettono in pericolo il sistema criminale di potere su cui si regge, in parte, il nostro Paese.
Quando la Procura della Repubblica di Salerno – un pool di magistrati, non uno “antropologicamente diverso”, come nel mio caso – ha adottato nei confronti di insigni personaggi calabresi provvedimenti non graditi a quei poteri che avevano agito per distruggermi, ecco che il circuito mediatico-istituzionale, ai più alti livelli, ha fatto filtrare il messaggio perverso che era in atto una “lite fra Procure”, una guerra per bande. Una menzogna di regime: nessuna guerra vi è stata, fra magistrati di Salerno e Catanzaro. C’era invece semplicemente, come capirebbe anche mio figlio di 5 anni, una Procura che indagava, ai sensi dell’art. 11 del Codice di procedura penale, su magistrati di un altro distretto. E questi, per ostacolare le indagini, hanno a loro volta indagato i colleghi che indagavano su di loro, e me quale loro istigatore. Un mostro giuridico. Un’aberrazione di un sistema che si difende dalla ricerca della verità, tentando di nascondersi dietro lo schermo di una legalità solo apparente.
Questa menzogna è servita a buttare fuori dalle indagini (e dalla funzioni di Pm) tre magistrati di Salerno, uno dei quali lasciato addirittura senza lavoro. Il messaggio doveva essere chiaro e inequivocabile: non deve accadere più, basta, capito?!
Signor Presidente, io credo che Lei in questa vicenda abbia sbagliato. Lo affermo con enorme rispetto per l’Istituzione che Lei rappresenta, ma con altrettanta sincerità e determinazione. Ricordo bene il Suo intervento – devo dire, senza precedenti – dopo che furono eseguite le perquisizioni da parte dei magistrati di Salerno. Rimasi amareggiato, ma non meravigliato.
Signor Presidente, questo sistema malato mi ha di fatto strappato di dosso la toga che avevo indossato con amore profondo. E il fatto che non mi sia stato più consentito di esercitare il mestiere stupendo di Pubblico ministero mi ha spinto ad accettare un’avventura politica straordinaria. Un’azione inaccettabile come quella che ho subìto può strapparmi le amate funzioni, può spegnere il sogno professionale della mia vita, può allontanarmi dal mio lavoro, ma non può piegare la mia dignità, nè ledere la mia schiena dritta, nè scalfire il mio entusiasmo, nè corrodere la mia passione e la volontà di fare qualcosa di utile per il mio Paese.
Nell’animo, nel cuore e nella mente, sarò sempre magistrato.
Nella Politica, quella con la P maiuscola, porterò gli stessi ideali con cui ho fatto il magistrato, accompagnato dalla medesima sete di giustizia, i miei ideali e valori di sempre (dai tempi della scuola) saranno il faro del nuovo percorso che ho intrapreso. Darò il mio contributo affinchè i diritti e la giustizia possano affermarsi sempre di più e chi soffre possa utilizzarmi come strumento per far sentire la sua voce.
E’ per questo che, con grande serenità, mi dimetto dall’Ordine giudiziario, dal lavoro più bello che avrei potuto fare, nella consapevolezza che non mi sarebbe più consentito esercitarlo dopo il mandato politico. Lo faccio con un ulteriore impegno: quello di fare in modo che ciò che è successo a me non accada mai più a nessuno e che tanti giovani indossino la toga non con la mentalità burocratica e conformista magistralmente descritta da Piero Calamandrei nel secolo scorso, come vorrebbe il sistema di potere consolidato, ma con la Costituzione della Repubblica nel cuore e nella mente.

*(Europarlamentare IDV)

Tratto da: Il Fatto Quotidiano
da AntimafiaDuemila

Sudafrica - Attacco alla democrazia nelle baraccopoli

Nell'insediamento di Kennedy Road la milizia armata dell'Anc attacca il movimento Abahlali baseMjondolo

Ormai da tre giorni Abahlali base Mjondolo (“quelli che vivono nelle baracche” in lingua zulu) è sotto violento attacco da parte della milizia armata dall’African National Congress. Il teatro principale delle violenze è l’insediamento di Kennedy Road, una delle principali baraccopoli di Durban. L’insediamento informale di Kennedy Road (dove vivono circa 7000 persone) è il luogo dove, alla fine del 2005, è nato il movimento Abahlali baseMjondolo.Il movimento lotta per i diritti alla casa
e all’accesso ai servizi pubblici, e si oppone agli sgomberi indiscriminati delle baraccopoli. La battaglia di Abahlali è anche diventata una battaglia di democrazia: secondo il movimento, le autorità devono consultare i residenti degli insediamenti (shack dwellers) prima di prendere decisioni che riguardano gli insediamenti e il loro futuro, ascoltando le esigenze degli shack dwellers. La lotta del movimento si è concretizzata anche in un rifiuto della politica istituzionale, che non fornisce adeguate risposte ai problemi degli shack dwellers, e nel rifiuto di votare alle elezioni.

Abahlali baseMjondolo conta migliaia di membri e simpatizzanti in vari insediamenti nel KwaZulu-Natal e nell’area di Città del Capo. Il movimento elegge annualmente la sua leadership e prende ogni decisione attraverso assemblee di gestione aperte a tutti, in ogni insediamento in cui è presente.

Nell’insediamento di Kennedy Road a Durban, Abahlali lavora da anni insieme al Kennedy Road Development Committee.

Nella notte di sabato 26 settembre, i membri del Kennedy Road Development Committee sono stati vittima di un improvviso attacco da parte di un gruppo di 40 uomini armati. Ci sono sicuramente dei morti, alcuni dicono 3 altri 5. La polizia, per quanto avvertita, non è arrivata a Kennedy Road. Nella stessa notte, tutti i leader principali del movimento Abahlali sono stati presi di mira. Le loro case e i loro negozi sono stati distrutti. Dalle prime ricostruzioni pare evidente che il gruppo di criminali che ha sferrato l’attacco abbia legami diretti con la leadership locale
dell’African National Congress (ANC), che aveva promesso, due settimane fa, che avrebbe “reso la sede di Abahlali baseMjondolo una sede dell’ANC”.

La polizia è giunta la mattina di domenica e ha arrestato circa 8 persone.
Paradossalmente, però, le persone arrestate sono membri del Kennedy Road Development Committee, cioè quelli che hanno subito le aggressioni. Fra gli arrestati ci sono anche alcune persone che stavano partecipante ad una festa popolare a chilometri di distanza quando è avvenuto l’attacco.

La polizia presidia l’insediamento da domenica mattina, ma non sta facendo nulla per evitare che gruppi di criminali armati si aggirino per Kennedy Road, minacciando e aggredendo gli abitanti. Ogni richiesta di aiuto da parte di membri del movimento è stata ignorata.

Migliaia di persone hanno abbandonato la baraccopoli di Kennedy Road nelle ultime ore. Oltre alle donne e ai bambini, anche gli attivisti di Abahlali hanno lasciato l’insediamento a causa delle minacce di morte che hanno ricevuto.

Lunedì mattina il presidente della circoscrizione e l’assessore provinciale alla sicurezza sono giunti all’insediamento con una massiccia presenza di polizia. Le autorità hanno tenuto una conferenza stampa nella sala della comunità, dimostrando implicitamente il loro appoggio alle aggressioni che sono avvenute nel fine settimana. Hanno anche lanciato accuse al Kennedy Road Development Committee, sostenendo che i membri del comitato sono stati i primi ad iniziare le violenze.
Questa dichiarazione, però, risulta essere falsa. Ci sono vari testimoni, alcuni anche estranei alle vicende locali, che possono affermare il contrario.

Poco dopo, la polizia ha lasciato l’insediamento insieme alle autorità.
L’insediamento è stato lasciato nelle mani di gruppi di uomini armati al soldo dell’African National Congress che hanno distrutto l’ufficio di Abahlali baseMjondolo e minacciato di morte gli attivisti del movimento. Anche simpatizzanti e sostenitori del movimento, nonché vari giornalisti, sono stati minacciati ed è stato loro intimato di non avvicinarsi all’insediamento.

Dalle dichiarazioni delle autorità e dalle notizie che giungono, pare che il Kennedy Road Development Commitee e Abahlali siano stati allontanati dell’insediamento e sembra che tutt’ora l’insediamento sia sotto il controllo armato di membri della milizia. Tutti i membri del movimento hanno dovuto rifugiarsi altrove per la loro sicurezza.

La realtà, purtroppo, è che nei suoi 4 anni di attività il movimento è stato
continuamente bersaglio della polizia. I suoi membri sono stati arrestati
innumerevoli volte, accusati di crimini mai commessi, picchiati, perseguitati,
minacciati. Le manifestazioni del movimento sono state vietate e represse, e le autorità hanno cercato di rappresentare il movimento come manovrato da forze esterne e antidemocratiche. Diverse organizzazioni che si battono per la libertà di espressione e per i diritti umani hanno denunciato questi atteggiamenti deprecabili da parte delle autorità pubbliche sudafricane.

In queste ore i comunicati dell’African National Congress locale cercano di addossare la responsabilità di quanto accaduto ai membri del movimento e che “è inaccettabile che un’associazione decida orari di chiusura ad esercizi commerciali nelle baraccopoli e che imponga alle persone un coprifuoco durante la notte”.
Paradossalmente, diventa una mancanza di democrazia una norma di autoregolazione che una comunità (attraverso un comitato regolarmente eletto) si era data, e non tanto un attacco da parte di uomini armati che ha ucciso, ferito e lasciato persone senza casa.

Il movimento continua a fare paura soprattutto all’ex partito “rivoluzionario”. Il fatto che i poveri abbiano deciso di parlare, di fare sentire la propria voce denunciando i tradimenti dell’elite politica è avvertito come una grande minaccia.
L’ANC vuole riconquistare, con ogni mezzo, i territori controllati democraticamente dal movimento. Nessuno è ostaggio del movimento! Ogni persona che vive negli insediamenti è libera di partecipare e di eleggere i propri leader. L’ANC ora vuole invece fare credere che il movimento sia un gruppo di criminali che terrorizza la propria gente.

Il movimento sta dando fastidio con la sua lotta alla corte costituzionale, dove si sta cercando di dichiarare incostituzionale una legge che garantirebbe alle varie municipalità di radere al suolo gli insediamenti e ricacciare gli abitanti verso il “deserto” delle periferie. Sta dando fastidio con il suo rifiuto di partecipare alla “politica” gestita dai partiti, dagli esperti delle sofferenze altrui. Sta dando
fastidio perché è una realtà che sta crescendo in tutto il Sudafrica e si sta
opponendo agli sgomberi forzati che il governo sta attuando per garantire
un’immagine patinata in occasione del 2010.

L’apartheid non è finito, a quanto pare.

Francesco Gastaldon (Durban)

Filippo Mondini (Castelvolturno, di ritorno dal Sudafrica)
da GlobalProject

Il governo degli Stati Uniti rinuncia al controllo su internet

Sarà la società di gestione e monitoraggio Icann a vigilare sulla comunità della Rete

Il governo statunitense ha concesso la massima libertà all'Internet Corporation Assigned Names and Numbers (Icann), l'autorità che gestisce e controlla buona parte delle regole di funzionamento di internet.
Fino ad oggi gli Stati Uniti applicavano un controllo molto rigido sull'operato dell'Icann e ne supervisionavano il lavoro. Grazie al nuovo trattato questa responsabiltià passa a tutta la comunità di internet: i rapporti dell'organizzazione saranno infatti resi pubblici.
Gli accorid entrranno in vigore il 1 ottobre, esattamente 40 anni dopo la prima connessione tra due computers. Sia la Comunità Europea, tradizionalmente scettica sull'operato dell'Icann, che Google si sono dichiarati soddisfatti del cambiamento: "gli utilizzatori di internet in tutto il mondo ora sanno che le decisioni di Icann saranno più indipendenti e prese nell'interesse di tutti".

da PeaceReporter

Isole di Samoa, tsunami: 140 morti. A Upolu 70 villaggi rasi al suolo

In territorio Usa, le vittime sono 34, 9 a Tonga, 97 alle Samoa

È salito a 140 morti il bilancio provvisorio dello tsunami che ha colpito il sud Pacifico. In territorio Usa, le vittime sono 34, 9 a Tonga, 97 alle Samoa. Lo riferisce il New Zealand Herald. Le zone disastrate sono tante, e il bilancio è destinato a salire.Nell'isola di Upolu, la seconda dell'arcipelago delle Samoa, risultano completamente distrutti 70 villaggi, abitati da 300-800 persone ciascuno. Nell'isola di Toputapu, a Tonga, è stato distrutto il 90 percento delle abitazioni, ha annunciato il portavoce del premier Feleti Vakàuta Sevele. La Croce rossa stima siano 32.000 le persone sfollate a causa dello tsunami in tutta l'area.

da PeaceReporter

due pesi e due misure: scudo fiscale e sanatoria degli immigrati irregolari

Scudo fiscale e sanatoria degli immigrati irregolari sono misure in un certo modo simili, eppure profondamente differenti nella cultura che li ha definiti: una fotografia a fuoco impeccabile dello stato in cui versa il nostro Paese.
Per osservarla bene, basta accostare i due provvedimenti e confrontarli. I tempi innanzitutto: per riportare in patria soldi sottratti illecitamente al fisco italiano, il governo ha concesso agli evasori tre mesi di tempo (salvo proroghe). In questo periodo, paradossalmente, la Guardia di Finanza è impegnata come non mai a scovare evasori, prima che il governo li dichiari ufficialmente persone oneste e probi contribuenti.
Per riconoscere burocraticamente i diritti di centinaia di migliaia di migranti, che un lavoro ce l’hanno e costituiscono un contributo indispensabile al nostro welfare, c’è stato un mese di tempo.
Ancora: chi si avvarrà dello scudo fiscale sarà coperto da totale anonimato: non resterà nessuna traccia dell’ammissione di reato implicita nel condono. Gli evasori non saranno registrati né, almeno, tenuti sott’occhio dall’Agenzia delle entrate, per evitare illeciti futuri. Dovranno solo recarsi negli uffici discreti e silenziosi di una banca. Della categoria, è bene ricordarlo, fanno parte anche tutti quei personaggi rei di frode fiscale e falso in bilancio, e quindi condannati penalmente.
Chi ha deciso di regolarizzare il proprio colf o la propria badante, ha fatto tutto sotto la luce del sole. Addirittura, si presenterà in una questura a firmare il contratto col lavoratore, e tutti i suoi dati saranno registrati dalla burocrazia. Davanti a un poliziotto dovrà ammettere: “sì, ho dato da lavorare a un clandestino”, secondo la spregiativa definizione che la legge usa per indicare chi l’ha aiutato con la mamma anziana o coi figli piccoli. Soprattutto, lo faranno tutte quelle persone (e grazie al cielo non sono state poche) che hanno regolarizzato un immigrato anche se non realmente alle loro dipendenze: un atto di disobbedienza civile contro una legge ingiusta.
Chi rimpatria i soldi custoditi gelosamente in qualche paradiso fiscale in giro per il pianeta, dovrà corrispondere un’aliquota del 5% sui soldi detenuti all’estero: una cifra troppo bassa per essere ritenuta seria, e non un regalo agli evasori. La famiglia che regolarizza il collaboratore lo fa sborsando subito 500 euro, poi pagando i contributi arretrati e infine garantendo un contratto di assunzione di 20 ore settimanali. Un impegno che poche famiglie possono permettersi.
Che ritratto del nostro Paese viene fuori da questo confronto? Quello di una nazione schizofrenica, che da un lato non sa (meglio: non vuole) combattere un reato vero (l’evasione) e fa un favore ai criminali, e dall’altro si inventa un reato (la clandestinità) che lede i diritti fondamentali delle persone per propaganda per poi ammettere di averne bisogno.
Un Paese, in una parola, ingiusto.

di Pietro Raitano da Altrecomia

Cosa fare a sinistra

Una sinistra diffusa e singolare, tanto da sentirsi ogni tanto più che diffusa dispersa, ma non ancora del tutto rassegnata alla solitudine muta. Una rete di associazioni varie che lavorano nelle realtà locali intorno ai temi della pace, dell’ambiente, della laicità, dell’antirazzismo, della difesa del territorio. L’idea che non è più tempo di appelli alla sinistra: ai partiti o alle federazioni o a quello che è rimasto di loro, in nome dell’unità e del rinnovamento della forme della politica.
È ora di praticarle quelle forme e quell’unità a partire da se stessi.
Da qui nasce questo documento e l’invito a un incontro collettivo di due giorni da tenersi il 24 e 25 ottobre. Il 4 ottobre a Roma sarà l’occasione di un primo confronto progettuale e organizzativo.
Non è una questione di sigle o liste da presentare, meno che mai di sommatorie di ceti politici da garantire. Il punto di partenza sono i territori e le situazioni locali dove si fa politica perché si fa società, e viceversa. Luoghi dove la democrazia è qualcosa che coinvolge l’intera vita, le persone: una cosa seria e anche felice. Questo tessuto si propone di costituire la rete di un soggetto politico che rappresenti una proposta forte per tutto quello che rimane della sinistra in Italia; una di quelle proposte che non si possono rifiutare. Qualcosa che affronti il problema del degrado culturale e istituzionale italiano, abbia i piedi ben poggiati per terra, nella società, nei conflitti e nei desideri, ma anche la capacità di costruire mediazioni larghe, di tessere relazioni significative, di rappresentare questioni politiche generali. Anzi di esserlo, una questione politica generale.

Cosa fare a sinistra… proposta di bozza/azione di documento per un forum a rete della sinistra [presentato a Perugia il 13 settembre 2009]

1. Ci pare che le proposte fin qui avanzate dalle varie formazioni della sinistra dopo il disastro delle elezioni europee non siano all’altezza della crisi, che è crisi sociale e di democrazia. Ripensare e rifondare la sinistra non è cosa diversa e separata dal rifondare la politica e avanzare una idea di società. La deriva populistico-autoritaria italiana mira a non lasciare spazio a una sinistra. Non ha senso in una società desertificata. Il compito per noi tutti non è semplicemente offrire liste, ma ricostruire un soggetto collettivo e una prospettiva.

2. Dalle elezioni europee sono residuate a sinistra due sigle e due processi: una federazione di partiti tradizionali in cerca di allargamento intorno al proprio nucleo comunista; una federazione di sigle in cerca di processo costituente, nell’orizzonte a priori del centrosinistra. Rimane fuori un’altra parte della sinistra, in parte attiva nella società, nell’associazionismo, nella difesa dei territori, in parte convinta o rassegnata al non voto. In ogni modo la società cui si rivolgono le due formazioni ci appare lontana dall’essere attirata da quei due processi paralleli. Troppo forte è l’impressione che intendano congelare l’esistente, più che lanciare una radicale innovazione.

3. Occorre tornare alla società e cioè tornare alla politica non solo per dare rappresentanza alle istanze sociali, ma per aprire spazi, favorire reti, allargare relazioni. Per superare solitudini e paure. Per fare società.
A noi sembra che sia utile un soggetto nuovo della sinistra ma non possiamo più delegare la sua formazione agli attuali partiti. Non possiamo neppure continuare a lanciare appelli all’unità della sinistra. Quell’unità non potrà che nascere da una svolta nelle forme della politica. Questa svolta proponiamo di praticarla a partire da noi stessi: dalla costruzione di una rete delle esperienze diffuse di nuova sinistra. Intorno a tre assi essenziali:

4. Il rinnovamento e la riforma delle pratiche e dei modelli organizzativi della sinistra.
Occorre pensare ad un modello federale, orizzontale, fra territori – non federativo di organizzazioni chiuse, verticali o piramidali. Occorre sperimentare l’incompatibilità fra responsabilità politica e cariche elettive, il limite temporale e la rotazione degli incarichi, l’equilibrio di genere, lo sviluppo delle forme di democrazia diretta e partecipativa, modalità decisionali più adatte alle appartenenze fluide di oggi, ricerca ostinata dei punti di incontro e di mediazione, assunzione di responsabilità. Nessuna differenza fra forma e sostanza, fra mezzi e fini; dunque pratica radicale della non violenza. Unire rappresentanza, movimenti e società civile, con pari dignità, in modo da superare l’antica gerarchia per la quale il primato della politica spetta ai partiti, alla società il muto consenso. La società civile è luogo di relazioni, movimenti e tessuto politico, ma rischia di esserlo in forma angusta nel deserto della politica istituzionale.

5. Il punto fondamentale è ripensare la sinistra oggi, in questa società esplosa e frammentata, a partire da libertà e liberazione, eguaglianza, pace e solidarietà. Dunque a partire dall’autonomia del suo punto di vista: dalla riflessione sulla società, sul lavoro, sulle soggettività, facendo tesoro della critica elaborata dall’ecologia e dal femminismo. Ritrovare senso e funzione, comunità e relazioni, utilità sociale, richiede di riconoscere le trasformazioni e insieme dare voce e spazio ai bisogni e ai desideri che le nuove contraddizioni determinano.

6. A partire da questa autonomia e da nuove pratiche politiche, è possibile affrontare la questione delle alleanze e del governo, mal posta dalle due federazioni. Non si tratta di una pregiudiziale aprioristica sulla cui base definire amici e nemici. Ha a che vedere con quella emergenza democratica ed istituzionale per la quale è necessario costruire relazioni di resistenza e conflitto a tutti i livelli, prima che il degrado etico e politico cancelli gli spazi più elementari del confronto politico. Ha a che fare con quelle politiche che disarticolando la società e precarizzando il mondo del lavoro, determinano solitudine e sfiducia nell’agire collettivo, paura intrisa di razzismo e violenza – la crisi drammatica della democrazia costituzionale. Senza processi diffusi che contrastino quella deriva nessuna costituzione si può difendere. La sinistra per la quale proponiamo di lavorare deve dare prova di saper elaborare collettivamente i suoi contenuti, di saper decidere democraticamente come gestirli – con quali alleanze e mediazioni – nel contesto in cui vive.

7. Se non è più tempo di appelli ai partiti, ciò non significa che ci si debba rassegnare all’esistente o ad aggiungere un’altra sigla a quelle che già agiscono. Pensiamo a un soggetto nuovo, capace di fare da sé, ma non autosufficiente. Un soggetto che miri a rimettere in movimento tutto lo scenario della sinistra. Dipenderà dalla profondità delle radici e dalla loro crescita. Ci sembra che convenga provare.

8. Si può partire da esperienze locali unitarie che si sono dimostrate capaci di spostare gli scenari politici e dare voce a realtà territoriali vive. Fare rete fra queste esperienze e sperimentare forme organizzative, di democrazia e di decisionalità, nuove. Livelli nazionali, livelli locali e regionali potrebbero intrecciarsi e contagiarsi a vicenda, anche nell’ottica delle prossime scadenze elettorali.

9. Nostro obiettivo è coinvolgere in questo processo l’area degli intellettuali italiani che in questi anni ha cercato di denunciare il disastro di democrazia che andava avanzando.
Un comitato di garanti a livello nazionale e un comitato di coordinamento (nazionale e non solo) delle reti regionali potrebbero dare respiro collettivo e spessore teorico al nuovo soggetto. Che dovrebbe sperimentare altre relazioni al proprio interno, uno stile di confronto che non è una questione di forma ma strumento e modalità dell’agire collettivo. Segno di una svolta rispetto alla tradizione rancorosa e aspra delle relazioni personali della sinistra. La gestione delle diversità, la ricerca paziente del consenso più largo e lo spazio offerto alle diverse storie e appartenenze, dovrebbero essere una delle connotazioni essenziali del nuovo modo di fare politica.

10. Questo processo costituente di una sinistra autonoma, ecologica e solidale, pacifista e antirazzista, espressione del mondo del lavoro, dell’associazionismo, dei valori di libertà della costituzione, proponiamo di lanciarlo a partire da un appuntamento nazionale di due giorni,sabato 24 e domenica 25 ottobre, nel quale sia già possibile praticare modalità nuove ed inclusive di partecipazione.
Con le stesse modalità aperte e partecipative potremo scegliere il nome con cui definire questo percorso. Nominarsi è già un riconoscimento reciproco, la descrizione di una realtà e un programma di lavoro.

Invitiamo tutte/i, singoli, associazioni e realtà territoriali a partecipare ad un incontro operativo da fare domenica 4 ottobre a Roma, al Rialto occupato, in via S. Ambrogio 4. La sede e il giorno sono stati individuati per facilitare la presenza di chi parteciperà alle manifestazioni previste a Roma il 3 ottobre.
Per manifestare la propria disponibilità-interesse è attiva la mail : retesinistra@gmail.com

Hanno lavorato alla redazione della bozza: Andrea Bagni, Marzia Biagiotti, Lorenzo Bicchi, Paolo Cacciari, Alessio Ciacci, Maria Grazia Campus, Giovanni Corazzi, Stefano Falcinelli, Chiara Giunti, Carlo Lucchesi, Gianni Morando, Giovanni Petriccioli, Anna Picciolini, Patrizio Santi, Francesca Terreni, Luciano Tiecco, Massimo Torelli, Loris Viari.

da Carta

NAPOLI - MANIFESTAZIONE ANTIFASCISTA CONTRO L'OCCUPAZIONE DI UN MONASTERO FATTA DAI FASCISTI DI CASA POUND



Scontri al corteo antifascista feriti 3 agenti e un manifestante La tensione si è fatta forte al corteo di protesta contro l'occupazione, da giorni in corso a Napoli, da parte di attivisti di destra di Casa Pound, dell'ex monastero in Salita San Raffaele. I manifestanti hanno tentato di sfondare il cordone delle forze dell'ordine lungo Sant'Agostino degli Scalzi. Sono stati tirati sassi, bottiglie, fumogeni e petardi contro la polizia (30 settembre 2009)




Oltre 5000 persone! il corteo antifascista, le presenze, le cariche... la mobilitazione continua! ·

Oltre 5000 persone sono partite oggi da piazza Dante per il corteo contro il razzismo, il neo-fascismo e il sessismo. Studenti delle scuole superiori e dell'università , i movimenti sociali napoletani, il coordinamento dei precari della scuola, i collettivi Glbt, una folta rappresentanza del coordinamento degli immigrati, associazioni come Attac, i comitati ambientalisti come Chiaiano e realtà democratiche di Materdei (il comitato di quartiere che ha già fatto un manifesto contro Casapound, i giovani del Pd, della sinistra radicale e di alcune associazioni) . Una presenza imponente (in un giorno feriale...) che probabilmente oggi nessuna forza politica della città riesce a mobilitare!

Il collante che ha tenuto insieme tutte queste presenze era semplice: nell'anniversario delle quattro giornate di Napoli, il rifiuto totale della presenza di gruppi xenofobi e neofascisti nei nostri quartieri! Come Casapound nel convento di Materdei. Quest'organizzazion e che si presenta con la faccia pulita davanti alle telecamere per cercare legittimazione, è parte di una struttura nazionale che ovunque organizza lo squadrismo contro gli immigrati, le diversità e gli studenti (vedi la famosa aggressione di piazza Navona). Il loro leader Iannone è un convinto negazionista dell'Olocausto, si definisce un "fascista del terzo millennio" e considera Hitler "un rivoluzionario" . Basta fare un giro su You tube o google per sincerarsene. ..

Il resto è ipocrisia, parallelismi che non stanno ne in cielo ne in terra. Noi non siamo di nessun partito. Siamo gli studenti dell'Onda che si mobilitano nelle scuole e nelle università per difendere il diritto allo studio, quelli che occupano e riaprono dal basso spazi sociali da anni, quelli che hanno resistito alla devastazione ambientale della nostra regione da Chiaiano ad Acerra, che lottano contro la precarietà e il carovita. Rivendichiamo questi diritti e ci riprendiamo il diritto a mandare via dai nostri quartieri organizzazioni incostituzionali che teorizzano e organizzano la prevaricazione razziale, incoraggiati forse da un governo che lascia morire in mare o nei campi libici migliaia di migranti e di profughi.

Il corteo ha avuto una voce poliforme, dai Kalifoo ground music, immigrati di castelvolturno che hanno costituito un gruppo musicale il cui nome "Kalifoo" significa "schiavo a giornata", alla voce di giovani precarie che la vulgata neofascista rivorrebbe chiuse in casa...

Pur essendoci grande rabbia, la manifestazione ha attraversato tutta Materdei, in cui diversi di noi pure abitano, in maniera assolutamente pacifica e colorata. Per rispetto del quartiere e per continare a comunicare come già si è fatto in tutti questi giorni.
Usciti dal quartiere, su via Santa Teresa, abbiamo chiesto di deporre una targa in Salita San Raffaele a Maddalena Cerasuolo, resistente proprio del quartiere Materdei, protagonista in quelle strade nella difesa della città. Abbiamo chiesto che potesse farlo almeno una delegazione di 10 persone. La polizia ha negato questa possibilità, sostenendo che potevano esserci provocazioni verso la delegazione. "Perchè?" - "Perchè sono fascisti"... Smascherata questa ipocrisia, il corteo ha provato a passare con schermi difensivi su cui erano delle gigantografie dei motivi della manifestazione, il no al razzismo e a chi inneggia agli orrori della tirannia, come i campi di concentramento. (le foto erano di un ragazzo africano pestato dai neo-fascisti, di Auschwitz e delle deportazioni nel ghetto di Varsavia).

La polizia ha respinto il tentativo, poi però ha anche caricato inutilmente gli studenti nel mezzo per spaccare in due tronconi il corteo. E ha preso a sparare lacrimogeni verso l'alto dove si trovavano studenti inermi. (Alleghiamo le foto di una delle persone colpite). Alla fine sei manifestanti sono rimasti feriti e due sono stati ospedalizzati. Uno in particolare è ferito in modo pesante con 7 punti di sutura alla testa! In questa circostanza la testa del corteo, arretrando, ha usato qualche fumogeno e qualche petardo per non essere caricata lungo la discesa. Li la situazione si è tranquillizzata e le due parti di corteo si sono ricongiunte al museo, per terminare a piazza Cavour.

Ma la mobilitazione non si arresta! l'assemblea antirazzista e antifascista si riunirà all'Università venerdi prossimo alle 17. La mobilitazione continua! Noi i fascisti non li vogliamo!!

Qualcuno pensa che disseminare un pò di squadristi in giro possa far digerire precarietà, carovita e discriminazione degli immigrati. La riattualizzazione di un vecchio giochino... Ma chi ha occhi per vedere sa che i numeri di oggi dimostrano che c'è una generazione di napoletani che è determinata a cambiare la sua città!

"Non si può essere tollerante con gli intolleranti" Hannah Harendt

Rete napoletana contro il razzismo, il neo-fascismo e il sessismo


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30 Settembre 2009

Un centinaio di giovani, tra cui alcuni appartenenti ai centri sociali, che hanno partecipato ad un corteo antifascista, hanno assalito poco prima delle ore 14 la polizia. I militanti dell'estrema sinistra volevano "sfondare" un cordone di agenti del reparto mobile che stava sbarrando una strada di accesso alla salita San Raffaele dove si trova una sede di giovani di destra, recentemente aperta all'interno di un ex convento ma osteggiata dalla sinistra.

Un centinaio di manifestanti, soprattutto giovani ha dato l'assalto a un cordone di celerini messi a protezione di un vicoletto che poi conduceva alla salita San Raffaele dove c'è la sede dei giovani di destra. Contro gli agenti sono stati lanciati petardi, pietre e bottiglie. All'assalto con degli scudi in plexiglass, ma anche con un lancio di pietre, bottiglie, bastoni e bombe carta gli agenti in assetto antisommossa, del reparto mobile ma coordinati dalla Digos, hanno risposto con il lancio di due lacrimogeni.

Secondo le prime informazioni alcuni poliziotti sarebbero rimasti feriti. Due poliziotti del reparto Mobile e un vicequestore sono finiti all'ospedale a seguito dell'assalto di un centinaio di giovani dei centri sociali nel corso di un assalto ad un cordone di poliziotti. Non si conoscono ancora le condizioni dei tre feriti, ma non sarebbero gravi.

Il grosso del corteo, scortato dalla polizia e formato da oltre 1.300 persone, ha proseguito raggiungendo piazza Cavour dove si è sciolto. Per il momento la Digos non ha fermato alcun manifestante ma, per l'identificazione dei partecipanti all'assalto (e, eventualmente, alla successiva emissione di provvedimenti a loro carico) dovrebbe essere questione di ore.

La Digos, infatti, fin dal primo momento in cui il corteo si è mosso ha eseguito riprese e scattato foto di tutti i partecipanti alla manifestazione. Anche gli scontri sono stati videoripresi e fotografati. Si tratterebbe, secondo quanto si è appreso da fonti investigative, di militanti in gran parte già conosciuti dalla polizia e napoletani. La mattinata di scontri ha avuto pesanti ripercussioni sul traffico cittadino del centro ma anche della zona alta della città.

http://www.loccidentale.it/articolo/napoli.+scontri+tra+centri+sociali+e+polizia+nel+corteo+anti-casa+pound.0078856

Manifestazione messicana per la legalizzazione dell'aborto

Aborto sí, aborto no, eso lo decido yo

Cronaca della manifestazione per la legalizzazione dell'aborto in Messico e la difesa dello Stato laico del 28 novembre 2009

Città del Messico. Lunedì 28 settembre, ore 16:00. Sfidando Tláloc, il dio azteco della pioggia, varie migliaia di persone, tra uomini, donne e transessuali di ogni età e strato sociale, si è concentrato nell’emblematica Piazza del Monumento alla Madre per dar vita ad un agguerrito ma non meno gioioso corteo in difesa del diritto delle donne di decidere liberamente sul proprio corpo e maternità.

Al grido di "Aborto legale, diritto fondamentale" e nell’ambito della Giornata Latinoamericana e Caraibica per la Legalizzazione dell'Aborto, sono sfilate le principali organizzazioni femministe che difendono i diritti e la salute sessuale e riproduttiva delle donne, insieme a liberi/e cittadini/e preooccupati/e per la recente ondata reazionaria di riforme costituzionali dei singoli stati (per l’esattezza, 16 su 32) che mirano a limitare ulteriormente la ristretta casistica in cui è legalmente consentita l'interruzione volontaria della gravidanza in Messico: violenza carnale, grave malformazione del feto e pericolo di vita per la gestante.

Il corteo si è snodato lungo la centralissima Avenida Paseo de la Reforma fino a giungere all'Emiciclo a Juárez, simbolo nazionale della difesa dello Stato laico. Su un carro trascinato a mano da un gruppo di “pecoroni” con il volto e il nome dei governatori degli stati “inquisitori”, venivano portate verso la prigione delle donne colpevoli di “aver deciso liberamente”. Seguiva l'immancabile e contagiosa batucada aperta da quattro trampoliere che si sono anche cimentate in un trascinante hip hop liberatorio. Non potevano mancare i principali attori politici (per lo meno, le loro silhouettes) che hanno permesso e propiziato le recenti riforme costituzionali statali: in primis, il presidente Felipe Calderón, ma anche Mario Fabio Beltrones e Beatriz Paredes del PRI, la leader vitalizia del sindicato dell’educazione Elba Esther Gordillo e il vero impulsore di queste riforme, l’oscurantista cardinale Norberto Rivera. L'evento si è concluso con una libera interpretazione in chiave legalizzatrice di I will survive di Gloria Gaynor.

Secondo il “Manifesto per il Diritto di Decidere e la Difesa dello Stato Laico" letto da una delle organizzatrici, la giornalista Denise Dresser, in Messico tra il 2002 e il 2006 l'80% delle donne incinte non voleva esserlo. Attualmente il 36,2% delle gravidanze non desiderate si verifica in ragazze d’età inferiore ai 20 anni e le complicazioni per gli aborti clandestini rappresentano la quinta causa di morte materna a livello nazionale. Pur avendo legislazioni tra le più restrittive nel mondo, l'America Latina e i Caraibi registrano 4,1 milioni di aborti insicuri all'anno.

Clara Ferri da Indymedia

Dopo gli operai ecco gli studenti sul tetto «Gelmini, stop ai tagli e ai licenziamenti»

Sit-in di studenti e ricercatori all'Università del Salento
La protesta: «Basta precarietà, la cultura non si vende»


LECCE - Sul tetto per rivendicare le proprie ragioni: dopo gli operai Tricase, un gruppo di studenti, studentesse e ricercatori dell'Università del Salento, aderenti al neonato collettivo interfacoltà Resistenza Universitaria, ha occupato il tetto dell'ateneo presso viale dell'Università a Lecce «in segno di solidarietà con gli insegnanti precari della scuola che da settimane sono in mobilitazione contro i licenziamenti previsti e i tagli voluti dalla ministra Gelmini e dal suo tutore Tremonti». Lo riferisce una nota diffusa dai collettivi universitari.

LO STRISCIONE - Dal tetto dell'Università è stato esposto uno striscione con la scritta «Scuola e università: stessi tagli, stessa precarietà» che riprende il tema di uno striscione analogo esposto dagli studenti sul tetto dell'Università di Roma «La Sapienza». Gli studenti, le studentesse e i ricercatori, spiega la nota, rimarranno simbolicamente in presidio per alcune ore in solidarietà con quegli insegnanti che da settimane si mobilitano attraverso il presidio permanente di fronte al ministero della Pubblica Istruzione e attraverso l'occupazione di scuole e provveditorati in tutta Italia.

LE RICHIESTE - «Chiediamo l'assunzione immediata di tutti i precari - conclude la nota - le dimissioni della ministra Gelmini e la costituzione di una sistema pubblico della formazione, democratico, di massa e di qualità. A questo fine aderiamo alla manifestazione nazionale promossa dai comitati dei precari della scuola per sabato 3 ottobre a Roma».