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venerdì 18 marzo 2011

FAUSTO E IAIO 18 MARZO 1978 - 18 MARZO 2011



Faceva freddo a Milano il 18 marzo 1978, e il centro era intasato di auto della polizia e dei carabinieri: lampeggianti accesi, posti di blocco, mitra spianati. Due giorni prima a Roma era stato rapito Aldo Moro, e la macchina dello Stato sembrava impegnata in una buffa parodia di efficienza e "pronta risposta alla sfida brigatista", come promesso dal ministro dell'Interno Francesco Cossiga. Ma non c'erano sirene e poliziotti al Casoretto, quartiere di periferia. Solo persiane sbarrate a tener fuori lo smog e televisori accesi, in attesa del tg delle 20.

A quell'ora Fausto Tinelli e Lorenzo Iannucci camminano lungo via Mancinelli, stretti nei paltò. Chiacchierano, e il freddo forma nuvolette di vapore davanti alle loro bocche. Hanno trascorso un pomeriggio tranquillo: Lorenzo in piazza Duomo insieme alla sua ragazza, Fausto al Parco Lambro con gli amici. Mezz'ora prima si sono incontrati alla "Crota Piemunteisa", un bar-trattoria di fronte al centro sociale Leoncavallo, e ora si dirigono verso casa di Fausto, in via Montenevoso 9, per l'appuntamento del sabato col risotto di mamma Danila. L'edicolante all'angolo tra via Casoretto e via Mancinelli li vede fermarsi davanti alle edizioni straordinarie dei giornali, a commentare i titoli sul sequestro Moro. Sono ragazzi come oggi ce ne sono sempre meno, Fausto e Iaio: attenti al mondo intorno a loro, impegnati nel quartiere. Negli ultimi mesi hanno lavorato ad un dossier sullo spaccio di droga al Casoretto.

All'altezza dell'Anderson School di via Mancinelli ci sono tre persone infagottate in trench bianchi. Una signora, Marisa Biffi, vede Fausto e Iaio fermi alla loro altezza. Ecco il suo racconto, tratto dal libro Fausto e Iaio, di Daniele Biacchessi, uno dei tanti giornalisti che hanno tentato di ricostruire il delitto: "Tre ragazzi sono in piedi sul marciapiede, a 5-6 metri da me. Contemporaneamente un altro giovane è leggermente piegato e si comprime lo stomaco con entrambe le mani. Odo tre colpi attutiti che lì per lì sembrano petardi. I tre giovani sul marciapiede scappano velocemente mentre quello che è piegato su se stesso cade a terra. Mi avvicino al giovane caduto... Subito oltre il suo corpo, a un paio di metri, il corpo di questo ragazzo che prima non avevo visto né in piedi né a terra. Nessuno dei due ragazzi pronuncia un parola... Altrettanto fanno gli assassini che fuggono nel silenzio, avviandosi verso via Leoncavallo. Noto che il giovane con l'impermeabile ha un sacchetto che sembra di cellophane bianco in mano".

Dalla testimonianza si deduce che gli assassini sono professionisti: agiscono rapidamente, non dicono un parola, raccolgono i bossoli nel sacchetto di plastica che la signora Biffi ha visto nelle mani di uno dei killer. A sparare otto o nove volte è stata una Beretta 80 calibro 7,65, arma leggera e agile, ideale per colpire da vicino. Prima è caduto Fausto, colpito all'addome, al torace, al braccio destro e ai lombi. Poi è toccato a Lorenzo: torace, ascella destra, inguine, fianco destro.

Dopo l'omicidio, il gruppetto di tre sparisce nel nulla. L'indomani un funzionario della Questura parla con i cronisti: "E' chiaro, si tratta di una faida tra gruppi della nuova sinistra, o inerente al traffico di stupefacenti". La scientifica fa circolare la voce che l'assassino abbia sparato con una pistola calibro 32. "E' un'ipotesi tirata per i capelli, come del resto quasi tutte quelle formulate - scrive L'Unità -. C'è almeno un elemento certo nelle indagini sulla barbara uccisione di Lorenzo Iannucci e Fausto Tinelli. I killer per uccidere hanno usato pistole automatiche avvolte in sacchetti di plastica".

L'articolo è firmato da Mauro Brutto. Non ancora trentenne, Brutto è il prototipo di una specie oggi in estinzione, il cronista di nera. La Milano di quegli anni, splendidamente raccontata da Scerbanenco, gli offre mille spunti di lavoro. Ma Brutto è anche un uomo di sinistra, e nella morte di Fausto e Iaio vede chiaramente la mano della destra milanese. Ne parla mesi dopo il delitto con Danila, la mamma di Fausto: "Mauro venne a casa mia - ha raccontato la donna - si stava occupando del connubio tra trafficanti di eroina, fascisti milanesi e romani, apparati dello Stato; mi disse che la verità su Fausto e Iaio non era chiara".

Per mesi Mauro Brutto raccoglie elementi sul delitto di Via Mancinelli. In novembre qualcuno gli spara tre colpi di pistola senza colpirlo. Pochi giorni dopo il giornalista mostra una parte del suo lavoro ad un colonnello dei carabinieri. Il 25 novembre, dopo cena, Brutto ha appuntamento con una sua fonte. Lo vedono entrare in un bar di via Murat, comprare due pacchi di Gauloise, uscire, attraversare la strada. A metà della carreggiata si ferma per far passare una 127 rossa. In senso inverso arriva una Simca 1100 bianca, lo investe e scappa.

"La Simca sembrava puntare sul pedone", dirà nel corso della rapida inchiesta l'uomo a bordo dell'altra auto, la 127. Sparisce il borsello di Brutto, pieno di carte, forse trascinato dalle auto in corsa. Lo ritrovano qualche ora dopo in una via vicina, vuoto.

Ci sono elementi sufficienti per fare ipotesi, ma non per evitare che la morte di quel bravo cronista sia archiviata come incidente, mentre prosegue l'inchiesta su Fausto e Iaio. Dopo il delitto sono arrivate alcune rivendicazioni di ambienti di estrema destra. La più credibile appartiene all'Esercito nazionale rivoluzionario - brigata combattente Franco Anselmi. Anselmi era un neofascista romano, morto dodici giorni prima dell'omicidio di Fausto e Iaio, mentre tentava di rapinare un'armeria della capitale. Tra i camerati del gruppo di Anselmi c'è Massimo Carminati, il guascone senza paura che svolge i lavori sporchi per conto della banda della Magliana, la più potente organizzazione criminale romana, e ha rapporti con i servizi deviati. Tra le molte cose, Carminati è stato accusato di aver ucciso Carmine Pecorelli ed ha lavorato con due ufficiali del Sismi a un tentativo di depistaggio dell'inchiesta sulla strage di Bologna...

Dopo anni d'indagine, Carminati sarà prosciolto per l'omicidio di Fausto e Iaio insieme ai camerati Claudio Bracci e Mario Corsi. Nei loro confronti ci sono alcuni indizi e le dichiarazioni dei pentiti, ma niente che si tramuti in prove certe. Del gruppo, oggi il più famoso è Corsi. Lo chiamano Marione, ed è il conduttore di una popolare trasmissione calcistica sulla Roma, in onda su "Radio Incontro". Cliccando sul suo sito internet ci si trova davanti ad un volto aperto e sorridente che incornicia due occhi gelidi. Ma è davvero un esercizio inutile, a distanza di tanti anni, cercare di rintracciare su quel viso i segni dell'uomo che Mario Corsi è stato, e di quello che ha fatto o non ha fatto.

Resta invece una domanda: perché Fausto e Iaio? Due ragazzi come tanti, di sinistra ma senza strette appartenenze. Più politicamente in vista di loro, a Milano, vi sono migliaia di persone. Si è parlato molto del dossier sulla droga cui i due ragazzi avevano collaborato, ma quel lavoro, una rigorosa analisi dello spaccio milanese, non contiene rivelazioni di alcun tipo. E allora bisogna fermarsi su una coincidenza, come ha fatto recentemente Aldo Giannuli, consulente della commissione Stragi: i due ragazzi vengono ammazzati cinquantasei ore dopo il sequestro Moro, e Fausto Tinelli abita in via Montenevoso 9, dirimpetto al covo dei misteri brigatisti, quello in cui sarà custodito il memoriale di Moro. Dalla stanza di Fausto alla finestra del covo brigatista ci sono meno di dieci metri, e in quell'ambiente il ragazzo del Casoretto passa buona parte delle sue giornate, a leggere e ascoltare musica. Se esiste un misterioso legame tra il sequestro Moro e il duplice delitto di Milano, bisogna dare atto ai registi della trama di aver fornito anche la controprova: nel 1981 in provincia di Roma venne ucciso il capitano di polizia Francesco Straullu, e il delitto fu rivendicato dal nucleo fascista che si rifaceva a Franco Anselmi. Il fatto è che anche il nome di Straullu riporta al caso Moro: il capitano aveva indagato sul famoso borsello trovato nel 1979 in un taxi romano, e carico di "simboli" riferiti a Moro e al giornalista Pecorelli. Coincidenza per coincidenza, Carminati è stato indagato e prosciolto anche per l'omicidio Pecorelli. L'autore di quel delitto, chiunque fosse, indossava un trench bianco. Come i carnefici di Fausto e Iaio.

***

da una intervista a Danila Angeli, mamma di Fausto:

"Quel sabato avevo preparato il risotto e lo strudel perché li aspettavo tutti e due a cena. Era anche l'anniversario del mio matrimonio.
Alle 19.45 Fausto era sempre a casa per la cena, era sempre puntuale ma quel giorno non si vedeva. Alle 20.30 cominciai a preoccuparmi e dopo aver messo il piccolino a letto , decisi di telefonare a qualche amico di Fausto ma nessuno sapeva nulla. Il bambino quella sera non voleva dormire, era agitatissimo.
Poi ho sentito bussare alla porta e dalla finestra ho visto dei poliziotti. Sono saliti e mi hanno chiesto dove abitava Fausto Tinelli. Io ho risposto che era mio figlio. Poi hanno rovistato in giro per la casa e mi hanno chiesto dov'erano le armi. Fausto era onesto, non aveva armi. In camera sua c'erano solo libri e giornali. I libri erano le sue armi.
I poliziotti mi hanno poi detto che aveva avuto un incidente in manifestazione. Impossibile, perché quel giorno non c'erano manifestazioni in programma. Un incidente in auto. Ma Fausto non aveva neanche la patente. Infine mi hanno detto che aveva preso una bastonata in testa, consigliandomi di recarmi in ospedale.
Allora sono andata all'ospedale "Bassini" e ho chiesto notizie di Fausto. Mi ha risposto un poliziotto dicendomi che era morto già da un pezzo.
A quel punto sono scappata a casa e ho acceso RadioPopolare per sapere cos'era accaduto.
Ho sentito che avevano ucciso anche Iaio per un regolamento di conti riguardante l'eroina.
Io ho subito chiamato la radio smentendo questa cosa perché Fausto e Iaio lavoravano contro lo spaccio e per la prevenzione.
Il giorno dopo quelli di Democrazia Proletaria mi hanno detto di far eseguire l'autopsia sui corpi, per dimostrare che i ragazzi non assumevano nessuna sostanza.
L'autopsia è stata fatta e non è risultato nulla. Fausto non fumava nemmeno le sigarette.
Il Giudice ha ammesso che i ragazzi erano assolutamente puliti e che con la droga non c'entravano nulla ma fino ad ora non c'è stato giustizia e io voglio la verità."

***

Messaggio di DANILA ANGELI, madre di Fausto Tinelli, in occasione del convegno "I comitati civili contro silenzi e impunità", tenuto a Genova il 12 luglio 2003.

Sono la madre di Fausto Tinelli e voglio esprimere quello che provo, oltre alla mia sincera solidarietà verso i parenti delle vittime delle stragi e di quelle cadute sotto un gioco perverso. So quello che si prova in quei momenti, l'ho sperimentato sulla mia pelle.

All'inizio non capisci, non ti rendi conto di quello che è accaduto. Vivi come un brutto sogno, stupito e incredulo. Vivi nel frastuono: un bel funerale di stato, belle parole e con questi gesti tutti se ne lavano le mani. Subito dopo ritorni alla realtà. Il dolore ti fa impazzire, entra in te come l'aria che respiri. E allora cerchi aiuto e conforto.

Chiedi una mano e riponi tutte le tue speranze nella giustizia, che ti aiuti a capire. Ma ti si chiudono le porte in faccia perché tu non sei di serie A anche se sei una persona onesta, come lo erano Fausto e Iaio, due ragazzi che frequentavano il Leoncavallo e perciò "carne da macello". Il privilegio di sperare giustizia, di avere un processo, di essere risarciti del sangue dei nostri cari non è un nostro diritto.

Anche se sono vittime innocenti della strategia di quel periodo e nessuno si azzardi a dire il contrario.

Da ben 22 anni mi sono costituita parte civile in un procedimento contro 3 individui di estrema destra, ma questi vivono tranquilli e fanno carriera.
Perché nessuno li tocca?
Eppure ci sono 6 pentiti che li accusano.
Perché i pentiti dei nostri processi non sono attendibili?
Forse lo sono solo quelli che vogliono loro e i nostri non sono tra questi.
Dove sono tutte quelle belle frasi che da bambina ti hanno insegnato a scuola, come ama la patria, difendila e rispettala. Io l'ho fatto questo, ma lei non mi ha ricambiato.

Noi per lo stato siamo vittime invisibili, che non vuole proprio vedere. E io mi sento come una madre argentina e Fausto e Iaio dei desaparecidos.

Danila Angeli

FAUSTO E IAIO, 28 ANNI DOPO - intervista con Maria Iannucci, sorella di Iaio e intervento di Danila Angeli, madre di Fausto
Francesco "baro" Barilli
Fonte: http://www.ecomancina.com/
18 febbraio 2006
18 marzo 1978. Mentre la situazione politica in Italia è tesissima (due giorni prima è stato rapito a Roma Aldo Moro) a Milano vengono uccisi due giovani simpatizzanti della sinistra alternativa. Si chiamavano Fausto Tinelli e Lorenzo Iannucci, ma nell'immaginario collettivo di chi ancora attende giustizia per il loro omicidio i loro nomi resteranno scolpiti come Fausto e Iaio.
Nel dicembre 2000 il GUP di Milano Clementina Forleo dispone l'archiviazione del fascicolo. Pur riconoscendo di essere in presenza di indizi concreti a carico di esponenti della destra eversiva, al giudice "... appare evidente allo stato la non superabilità in giudizio del limite appunto indiziario di questi elementi...". (la citazione della disposizione del GUP è tratta, come le successive, da "Fausto e Iaio. La speranza muore a 18 anni", di Daniele Biacchessi; libro disponibile on line a questo indirizzo: http://www.retedigreen.com/index-35.htm).
Questi due passaggi racchiudono l'inizio e (per il momento...) la fine della vicenda. Ma in mezzo ci sono anni di inchieste, ufficiali e "alternative" (riassunte molto bene nel succitato libro di Biacchessi); inchieste purtroppo viziate dai "consueti" depistaggi.
Infatti, fin dall'immediatezza, la versione della Questura di Milano parlerà di una "faida fra i gruppi della nuova sinistra, o inerente il traffico di stupefacenti". In realtà la dinamica dell'omicidio, nonché il numero, la freddezza e l'esperienza dimostrata dagli esecutori, parlano chiaro. L'omicidio viene consumato in modo rapido e professionale: un commando di tre persone (cui sono da aggiungere almeno altri due elementi, come supporto logistico) avvicina i due giovani in via Mancinelli, e li uccide con otto colpi sparati a distanza ravvicinata, per poi darsi alla fuga.
E' vero che Fausto e Iaio stavano svolgendo indagini sullo spaccio di droga nel quartiere Casoretto e sui rapporti tra spacciatori e fascisti, nell'ambito di un dossier che verrà pubblicato a cura del Centro Sociale Leoncavallo e dei Collettivi Autonomi, ma saranno le indagini della Magistratura a liquidare la prima teoria della Questura come infondata. Il giudice Armando Spataro, a proposito degli assassini, disse: "Non potevano essere solo spacciatori di eroina. C'era dell'altro. Le prime indagini si erano mosse proprio in questa direzione ma ben presto mi accorsi che era un omicidio politico, dove la costruzione del libro bianco del Leoncavallo c'entrava poco o nulla". Un omicidio politico, dunque; un messaggio lanciato alla sinistra extraparlamentare, per scatenare la tensione a Milano (a cominciare da un quartiere storicamente fertile per la sinistra), magari per innescare una spirale di ritorsioni.
Mauro Brutto, un giovane cronista dell'Unità, sarà tra i primi a cercare di fare luce sulla morte di Fausto e Iaio. Finirà ucciso il 25 novembre 1978, investito da un'auto pirata. Un incidente la cui strana dinamica fa pensare all'incidente "costruito". E anche in questo caso, come per l'omicidio dei due ragazzi, possiamo parlare di uno schema che può essere messo in atto solo da organizzazioni che vantino spietatezza e struttura professionale.

Siamo ormai prossimi al ventottesimo anniversario della morte di Fausto e Iaio. Abbiamo incontrato Maria Iannucci (sorella di Iaio) e Danila Angeli (madre di Fausto), per parlare delle iniziative programmate per l'anniversario, della situazione del Leoncavallo, ma soprattutto del senso della memoria e del loro mai cessato impegno.

***

Intervista con Maria Ianucci - Milano, 18 febbraio 2006

In passato ho scritto alcuni articoli circa le tesi revisioniste sulla resistenza italiana e sul ventennio fascista. Purtroppo la "moda" di rivisitare la storia con interpretazioni di comodo non incide solo sull'epoca fascista, ma pure sugli anni 60/70, con atteggiamenti che vorrebbero spacciare per "pacificazione" una rilettura annacquata di quegli anni, nel tentativo di sostenere che tutti (a destra e a sinistra) furono "ugualmente" violenti, tutti hanno "ugualmente" sbagliato... In questa ottica, a mio avviso sbagliatissima, per te cosa vuol dire ricordare oggi il 18 marzo 1978?

Maria Iannucci:
Io non ho la pretesa di fare analisi politiche approfondite, ma so di aver vissuto un periodo intensissimo, da studentessa prima e da disoccupata poi: gli anni '70 e i primissimi anni '80. So cosa e come hanno vissuto i giovani in quel periodo; per questo mi sforzo di fare un paragone con i giovani d'oggi. La gente della nostra età riesce, seppur con fatica, a distinguere tra verità, verità di comodo e mistificazioni della verità; e riesce pure a fare valutazioni non solo sui fatti, ma a giudicare il modo in cui questi vengono utilizzati. Secondo me ricordare ciò che è accaduto ha come primo obbiettivo il fare chiarezza in questa confusione mistificante; e questo serve proprio per dare ai giovani gli strumenti per capire. Si dice che i giovani d'oggi hanno le idee confuse su quegli anni, che ritengono le stragi di piazza Fontana o piazza Della Loggia opera delle BR: la confusione esiste, è vero, ma esiste perché nei giovani mancano gli strumenti per formarsi un'autonoma e completa visione di quei fatti, per capire anni che loro non hanno vissuto e vedono già come "episodi di storia".
Per gente come noi (e non parlo solo di me o di Danila, ma in generale della nostra generazione) vedere questa confusione, questa scarsa informazione nelle nuove leve, genera un peso ulteriore: il dovere di fare chiarezza di fronte a tentativi di mistificazione che vanno a deformare e appiattire la realtà di quegli anni. Tempo fa si è parlato molto di una puntata di Blu Notte, programma di Lucarelli, imperniata sugli anni '70. Anche in quel programma, che pure aveva aspetti positivi, è passato un messaggio che potremmo riassumere così: "negli anni '70 abbiamo vissuto una specie di guerra civile in cui morire da una parte o dall'altra era uguale, perché uguale era la violenza". Ecco perché dico che con messaggi del genere, più che di pacificazione possiamo parlare di appiattimento della realtà. E' una cosa, oltre che difficile da sradicare, molto pericolosa. Io sono convinta che l'odio non aiuterà mai ad arrivare alla verità, e non mi sono mai mossa sotto questa spinta. Se sono ancora qui a chiedere verità e giustizia per quegli anni non è certo per rivangare l'odio, ma perché verità e giustizia servono a creare le condizioni affinchè queste cose non succedano più: come vedi si tratta di una spinta ideale molto distante dall'odio. Per questo dico che una pacificazione basata sulla menzogna non è "vera" pacificazione, non serve a nulla.
A questo proposito vorrei fare un inciso. Se parliamo di verità storica noi, come familiari di Fausto e Iaio, abbiamo ottenuto un piccolo ma importante riconoscimento: Fausto e Iaio, un anno dopo l'archiviazione del novembre 2000, sono stati dichiarati vittime del terrorismo, rientrando nella Legge 480 (una disposizione che riconosce un risarcimento ai familiari delle vittime delle stragi o di episodi di terrorismo). Ma il punto non sta certo nel risarcimento, quanto nel riconoscimento storico. "Vittime del terrorismo" vuol dire far cadere tutti quei discorsi (omicidio per "opposti estremismi", per delinquenza comune ecc) che erano nati in quegli anni: vuol dire riscattare perlomeno la loro figura da chi tentò di infangarne la memoria. E per questo riconoscimento devo ringraziare Paolo Bolognesi (Presidente della "Unione familiari vittime per stragi") e Paolo Cento, autore di un'interpellanza parlamentare.

Volevo spingerti a sviluppare la riflessione sul rapporto con l'attuale generazione. Tu hai preso contatto con questi giovani e hai visto che la differenza non sta nella voglia di apprendere (ed in questo concordo con te), ma negli strumenti a loro disposizione per sviluppare questa conoscenza. Anch'io penso che il problema stia nel sapere già "acquisito e sedimentato": mi sembra che una volta questa stratificazione del sapere fosse più solida, mentre oggi questi ragazzi spesso hanno le migliori intenzioni, ma partono da zero (e non per colpa loro).

M.I.:
Sono d'accordo: io non credo che i giovani oggi siano disinteressati a queste tematiche; semplicemente gli mancano gli strumenti per formarsi una coscienza su quei fatti. Io l'anno scorso ho partecipato alle iniziative organizzate dal Liceo Artistico Brera (dove andava Fausto): il reading di Daniele Biacchessi, la musica degli anni '70... Ho visto molta partecipazione e molta voglia di capire, da parte di quei giovani. Ed è stato bello vedere questi ragazzi, della stessa età che avevano Fausto e Iaio 28 anni fa) assieme a noi (oggi loro genitori, un tempo familiari o amici di mio fratello e di Fausto): una sorta di ideale passaggio del testimone.
Insomma, non è assolutamente vero che i giovani d'oggi hanno meno voglia di impegnarsi; è invece vero che hanno meno coscienza di "quel che è stato", rispetto alla nostra generazione, e questo crea molto disorientamento. Anche perché loro (giustamente!) vogliono costruire un loro modo di essere e un proprio bagaglio di esperienze, e non attingere semplicemente al patrimonio di una generazione passata. Sicuramente su questa lacuna incide anche il vuoto lasciato dalla mancanza di ideologie strutturate: gli studenti politicizzati sono sempre meno, e generalmente se lo sono è perché hanno alle spalle genitori che li hanno sensibilizzati. In generale penso di poter dire che la voglia di esserci e di partecipare c'è, ma all'interno di un orizzonte più limitato. Per intenderci, contro la riforma Moratti la mobilitazione c'è stata, vasta e organizzata...

Tu pensi che tutto questo sia dovuto (perlomeno in parte) anche a mancanze nostre? Intendo dire che prima parlavo di una cultura "sedimentata" in noi, ma noi avevamo alle spalle la generazione della resistenza partigiana, che ci aveva trasmesso un patrimonio di idee. Anche noi, poi, abbiamo visto e vissuto pagine fondamentali della storia, ma non abbiamo saputo trasmettere il nostro vissuto.

M.I.:
Credo di sì; è difficile addentrarsi in analisi sociologiche, ma è indubbio che è stata anche "colpa" nostra. A nostra discolpa, però, qualcosa da dire c'è: è indubbio che abbiamo vissuto anni intensi, ma poi sono arrivati gli '80, con il riflusso e quel che segue. E noi, a fatica, ci siamo dovuti inserire nella società proprio quando si rimetteva in discussione quel patrimonio culturale che per noi aveva significato tanto... Oggi la situazione è ancora diversa. Tu parlavi di "sedimentazione" del sapere, ed è correttissimo, ma per restare al tuo esempio possiamo dire che in seguito è arrivata un'ondata che ha fatto tabula rasa di quei valori. A quel punto, cosa è rimasto? I giovani d'oggi su quale base potevano costruire una propria identità collettiva?
Io posso dirti che a me l'ideologia politica è servita anche per affrontare le difficoltà della vita, e sento che i ragazzi di oggi non hanno questa base. Per questo bisogna faticare per trovare gli strumenti giusti per stabilire un contatto. Come ti dicevo, io ho vissuto una bella esperienza l'anno scorso, nell'ambito delle iniziative organizzate per ricordare Fausto e Iaio al Liceo Brera: Biacchessi, col suo reading teatrale è riuscito proprio a trovare uno dei modi "giusti" per azzerare le distanze, a livello di comunicazione, tra la nostra generazione e quei ragazzi, che vidi interessatissimi allo spettacolo.

Nelle vicende che ho trattato mi sono spesso trovato a parlare di "due livelli" di verità (giudiziaria e storica). La verità storica l'abbiamo parzialmente affrontata nelle prime domande; sul piano giudiziario, sono possibili nuove iniziative per riportare la vicenda nell'aula di un tribunale (nuovi processi ecc.)?

M.I.:
E' giusto sottolineare la differenza tra verità storica e verità giudiziaria. Così come è corretto sottolineare la differenza tra memoria e semplice commemorazione. Direi che Reti-Invisibili (nota: http://www.reti-invisibili.net) è importante proprio sotto questo aspetto, nel senso che ci ha aiutato ad andare al di là della semplice commemorazione, oltre che a non farci sentire soli. Dico questo proprio per collegarmi alla tua domanda: noi, come "Associazione familiari ed amici di Fausto e Iaio" e come "mamme antifasciste del Leoncavallo", abbiamo vissuto periodi davvero duri, sotto questo punto di vista. Parlo degli anni in cui andavamo ad elemosinare giustizia al tribunale ogni 18 marzo. Ogni anno, la stessa storia: prima in via Mancinelli, poi a Palazzo di Giustizia a dire "ci siamo ancora"... Oggi è diverso: ritrovarsi e ricompattarsi con chi ha lo stesso tipo di ideali e lo stesso tipo di problemi è stato davvero molto importante.
Tornando allo specifico della tua domanda sulle possibili novità processuali: non ti nascondo che dopo l'archiviazione del 2000 non avevamo più speranze. Fino a quando, pochi mesi fa, l'avvocato Mariani (legale di parte civile di Danila Angeli) ha trovato uno spiraglio, in seguito all'estradizione di Pasquale Belsito (nota: vedi http://www.reti-invisibili.net/faustoeiaio/articles/art_4259.html). E' una speranza che dovrebbe portare alla riapertura del fascicolo giudiziario.

Una domanda che ho fatto spesso: per la tua storia personale mi sembra naturale che tu ti definisca "antifascista": quale è il significato del tuo antifascismo oggi?

M.I.:
Innanzitutto significa: combattere il discorso di "questa" pacificazione, come giustamente dicevi anche tu prima. Saper distinguere i "valori" della destra, anche quando si presentano camuffati e "presentabili", come in questo periodo. Oggi la destra è al potere; si sono evoluti e si sono introdotti nella società in modo subdolo, ma il loro progetto politico è sempre quello, anche se i modi proposti per realizzarlo sono più ambigui (e questo rende più difficile l'opera di contrasto). Basta vedere le leggi sulle droghe, sull'immigrazione, sulla legittima difesa, solo per fare qualche esempio. Penso sia importante sottolineare la pericolosità di questa violenza sottile e strisciante, proprio perché per la sua natura ambigua non è semplice riconoscerla da subito.
Ecco, direi che essere antifascista oggi vuol dire combattere la mistificazione della realtà; per fare un esempio banale: rendersi conto che Berlusconi non è "democratico" solo perché lascia fare satira sulle reti Mediaset...

Una domanda più d'attualità e solo apparentemente fuori contesto... Dico "apparentemente" perché la vicenda di Fausto e Iaio si intreccia con la storia del Leoncavallo: cosa mi puoi dire circa le prospettive del Leoncavallo, da anni sotto la perenne minaccia dello sgombero?

M.I.:
Il Leoncavallo non è solo una realtà, ma un simbolo. Ed è da difendere sia in quanto realtà, sia in quanto simbolo...
Penso che siamo arrivati davvero al momento cruciale, anche perché il periodo politico è particolare (in imminenza di elezioni) e costringerà un po' tutti a schierarsi, in un senso o nell'altro. Certi segnali sono sicuramente positivi. Recentemente anche Ferrante ha parlato del Leoncavallo come di una realtà sociale da conservare e difendere; la provincia di Milano già in passato si era mossa, e anche nell'immediato futuro sembra sensibile (ha preso in considerazione un progetto del Centro di documentazione che si intitolerà proprio a Fausto e Iaio).
Nonostante questo non so dirti se sono ottimista. Posso solo confermare che sarebbe importante se il Leoncavallo rimanesse lì, senza essere costretto a traslocare dalla sede storica. Certo, ci sono anche problemi squisitamente logistici: l'attuale sede è molto grande e non è semplice da gestire, e questo rappresenta un punto debole nella trattativa (nel senso che la sopravvivenza si gioca non solo sul piano degli ideali, ma pure sul piano pratico).
Insomma, la partita è ancora aperta. Io so che i ragazzi del centro vorrebbero rimanere lì, nella sede storica, e questo, ripeto, è anche il mio auspicio. Ma siamo sotto elezioni, e questo potrebbe portare a sviluppi imprevedibili.

Mi sembra doveroso parlare delle iniziative che avete in programma in occasione dell'ormai prossimo anniversario della morte di Fausto e Iaio.

M.I.:
Le iniziative sono ancora in via di definizione. Sicuramente nei prossimi giorni ci saranno notizie più dettagliate sul sito del Leoncavallo (nota: http://www.leoncavallo.org/). Sicuramente organizzeremo un momento di ritrovo in via Mancinelli e un concerto.
Anche quest'anno alle iniziative del centro sociale si uniranno quelle del Liceo Artistico Brera, col supporto della Provincia di Milano. Quest'anno hanno proposto un percorso che si collega con quanto dicevamo all'inizio, sull'esigenza di dare ai ragazzi gli strumenti per capire quel periodo che va da Piazza Fontana e porta al 18 marzo 1978. Ci sono diverse idee in ballo: la digitalizzazione della mostra realizzata pochi mesi dopo la morte di Fausto e Iaio, la ristampa del libro "Che idea morire di marzo", la proiezione del nuovo video di Osvaldo Verri, "Che idea nascere di marzo"...

So che ti costa molto umanamente, ma vorrei chiudere questa intervista con un ricordo di tuo fratello.

M.I.:
Io e mio fratello viaggiavamo insieme, a livello di esperienze e frequentazioni; il Leoncavallo, Parco Lambro, gli amici in comune... Però m'è rimasto sempre il rimpianto di non aver mai fatto davvero qualcosa con lui. Vivevamo nello stesso ambiente, ma per questioni d'età io, di due anni più grande, tenevo già molto alla mia indipendenza e al vivere le mie esperienze senza "il fratellino che mi seguiva"... A volte mi è capitato d'incontrare amici che mi raccontano episodi bellissimi su mio fratello, e io m'accorgo di non aver condiviso con lui quei momenti.
Ricordo che ci ritrovavamo la sera. Poco prima che lui venisse ucciso, io stavo già progettando di andare a vivere da sola, e lui voleva venire a stare da me: era normale, perché i sogni e le esigenze erano comuni a entrambi. Io e mio fratello, nonostante la nostra realtà (che era dura: la realtà di proletari, di chi non ha molto e deve faticare per costruirsi un futuro), eravamo uniti da questo senso di appartenenza ad un'esistenza comune, che ci arricchiva.
Ho il ricordo di mio fratello che scrocca le sigarette (lui non ne aveva mai...) e tutti col sorriso gliele davano, perché aveva il modo giusto di rapportarsi con gli altri. Noi eravamo molto radicati nel quartiere. Non voglio adesso idealizzarti la situazione dipingendoti come un idillio il quartiere o il centro sociale, ma ti assicuro che ancora oggi vado al Casoretto e sento questa sensazione di appartenenza.
L'uccisione di Fausto e Iaio è stata una cosa enorme anche per questo: loro erano due ragazzi molto noti nella zona, perfettamente calati in quella realtà. E io sono sempre stata convinta che il senso del loro omicidio sia stato proprio questo: hanno colpito loro due non perché avessero scoperto chissà cosa circa il traffico di droga, ma perché volevano colpire due ragazzi in cui gli altri potevano identificarsi. Volevano distruggere qualcosa di più grosso che stava nascendo.

***

intervento di Danila Angeli

Fausto e Iaio sono stati assassinati il 18 marzo 1978 a Milano, da un commando fascista su commissione, venuto appositamente da Roma. Ora sono passati 28 anni, di attesa e di dolore... Da quel maledetto giorno la mia vita è cambiata, e tutto il dolore e la rabbia che sono dentro di me mi stanno consumando giorno per giorno.
Giustizia non è stata fatta. Ma io penso che la verità noi la sappiamo; abbiamo avuto molto tempo per capire, ma anche questa "nostra verità" appartiene ad una verità storica generale, mentre la voglia di giustizia ti rimane dentro.
Dentro di me ci sono pure i bei ricordi che ho di mio figlio, perché era una persona speciale... Prima di tutto ricordo la sua onestà, il suo altruismo, il suo rispetto, l'amore che portava verso gli animali, la natura, lo studio, la musica... Io di mio figlio sono sempre andata fiera...
Io oggi vivo il mio antifascismo come l'ho sempre vissuto e interpretato: come un ideale di libertà, onestà, rispetto e giustizia. Tutto questo me l'ha insegnato mio padre.
Sull'idea di perdono e di "pacificazione" mi sento di dire questo: sono sentimenti che possono essere concessi a chi commette uno sbaglio, non a dei killers che ammazzano "per mestiere", che quando passano davanti ad una lapide si fanno una bella risata (di cui loro conoscono "il perché"), e che si sentono ben protetti.
Per loro, nessun perdono, da parte mia; solo compassione per le loro madri.
Io il 18 marzo lo vivo ogni giorno, come una spina che ho nel cuore e nella mente...

La madre di Fausto
Danila Angeli

da reti-invisibili.net

Bombe a Benghazi


da FortressEurope
Viaggio a Benghazi, 17 marzo 2011
Il cratere è largo tre metri e tutto intorno la pista è cosparsa di pietre. Poco distante, quel che resta della carlinga di un aereo civile continua a bruciare. In mezzo al fumo nero si riesce ancora a leggere distintamente Air Libya. È quel che resta dell'aereo colpito dalle bombe di Gheddafi, sganciate questa mattina sull'aeroporto internazionale di Benina, a 20 chilometri dalla città di Benghazi. Proprio così, mentre a Washington il consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite discuteva la risoluzione sulla no fly zone, il Colonnello ha ordinato di bombardare Benghazi. È il secondo bombardamento in due giorni. Mercoledì mattina un aereo aveva attaccato l'aeroporto mancando di poco il bersaglio. Oggi invece l'hanno preso in pieno. Anche perché stavolta di aerei ne hanno mandati tre. Tre vecchi Mirage che oltre a Benina hanno sganciato altre bombe sopra la caserma Muaskar 36, a sud di Benghazi, dove si trova un importante deposito di munizioni dell'armata popolare degli insorti. Fortunatamente non ci sono stati feriti né morti e la pista di decollo non sembra compromessa da quello che abbiamo potuto constatare di persona. La nostra visita all'aeroporto dura pochi minuti. Il colonnello Salah El Fituri infatti ci invita senza tante formalità a infilarci di nuovo in macchina e sgommare via prima che possa tornare l'aviazione del colonnello. Potrebbero attaccare di nuovo in qualsiasi momento. Prima di lasciare la zona del bombardamento però Marai mi chiede di fargli una foto. Noncurante del pericolo, mentre intorno la contraerea continua a sparare, si mette in posa dietro al cratere tenendo il kalashnikov in una mano mentre con l'altra fa il segno della vittoria. Ha i suoi buoni motivi per festeggiare Marai, perché due dei tre Mirage di Gheddafi che hanno bombardato la città, sono stati abbattuti. Ed è un bel colpo per il morale delle truppe. Per la prima volta infatti la contraerea degli insorti è riuscita a colpire il bersaglio. E per la prima volta ci sono le prove. Sono sparse in un campo coltivato nella campagna a sud di Benghazi, e sono i resti del Mirage abbattuto. Marai ci accompagna a vederli. Lui è uno dei volontari in armi dell'esercito popolare della rivoluzione libica. Ha 36 anni, indossa mimetica, bandana rossa e kalashnikov. Ma non fa parte dell'esercito. É un vecchio rigattiere improvvisato soldato per il bene della moglie e dei due bimbi di due anni e otto mesi, che lo aspettano a casa a Benina, a cinque minuti di macchina dall'aeroporto bombardato oggi da Gheddafi. Intorno all'aeroporto, si è creato uno strano ingorgo di macchine, che procedono a rilento lungo le stradine di campagna. Sono centinaia di ragazzi, venuti a vedere quel che resta del primo aereo abbattuto dell'aviazione di Gheddafi.

Marai mi spiega che è un Mirage. Per metà è esploso e bruciato. Del pilota non c'è nessuna traccia, anche perché la testa dell'aereo è completamente distrutta. Sulla coda qualcuno ha scritto con il fango “Gibu al tayara gibu hatta al dabbaba”, ovvero: “portate gli aerei e portate pure i carri armati”. Della serie: non abbiamo paura. Poco sopra invece hanno scritto con lo spray la data dell'abbattimento. 17.3.2011. Oggi è l'anniversario del primo mese della rivoluzione. I ragazzi fotografano con il cellulare l'aereo. E fanno a gara a smontare i pezzi di quello che resta, per portare con sé una qualche reliquia. Un pezzo del radiatore, la ruota, un tubo del telaio.

Probabilmente i tre aerei erano partiti da Sirte. Un altro sarebbe stato abbattuto, secondo l'armata degli insorti, nella zona di Ganfuda, a una cinquantina di chilometri da Benghazi. E il terzo sarebbe riuscito a fuggire indenne. Il bombardamento, secondo il colonnello El Fituri sarebbe la risposta all'attacco aereo sferrato in mattinata dagli insorti contro una colonna di carri armati che da Zilla stava raggiungendo il fronte di Ijdabiya, dove da tre giorni rivoluzionari e lealisti combattono per il controllo della città. Aerei che hanno misteriosamente iniziato a operare quattro giorni fa. All'inizio nessuno ci credeva. Ma oggi abbiamo personalmente visto in azione un elicottero, ci sono conferme dell'avvenuto bombardamento da parte degli insorti dell'aeroporto di Sirte e la conferma – fuori microfono – dataci da parte di un membro influente del consiglio nazionale temporaneo di Benghazi secondo cui alcuni Stati starebbero aiutando militarmente gli insorti, fornendo loro armamenti pesanti, munizioni e aiuto logistico. Un supporto senza il quale difficilmente avrebbero potuto fare arrivare le armi a Misratah, dove si è aperto un altro fronte, e bombardare le retrovie di Gheddafi a Ijdabiya, dove la situazione tre giorni fa sembrava irrimediabilmente compromessa.

Intanto da Ijdabiya arrivano anche oggi notizie drammatiche. Secondo testimoni oculari nell'ospedale della città si troverebbero in questo momento i corpi senza vita di almeno 22 ragazzi uccisi negli scontri con le truppe di Gheddafi, che nella notte di ieri avrebbero accerchiato la città su tre lati, appoggiati dagli incessanti e continui bombardamenti dell'aviazione del regime. A confermarcelo è il dottor Adil Eljamal, primario del reparto di terapia intensiva dell'ospedale di Jala, a Benghazi, dove negli ultimi tre giorni sono stati trasferiti decine di feriti dal fronte di Ijdabiya. Tutti feriti sotto i bombardamenti. Dieci di loro non ce l'hanno fatta. Il più piccolo è un bambino di quattro anni, ferito mortalmente alla testa dalla scheggia di una bomba esplosa vicino casa. Numeri che si aggiungono al macabro conteggio dei morti che in questo ospedale non è mai stato così alto. Soltanto nei primi cinque giorni della rivoluzione, tra il 17 e il 20 febbraio, qui si sono contati 250 morti durante gli scontri tra i ragazzi del movimento e le milizie di Gheddafi. Sono quei morti a ispirare ancora oggi i ragazzi che hanno preso le armi contro Gheddafi e che non vedono nessuna altra forma di resistenza pacifica al massacro ordinato dal Colonnello.

RESINA SONORA - MENUMALE



RESINA SONORA nasce con l’intento di realizzare un progetto che attraverso liriche rap, esponga alla gente tecniche musicali e testi basati sulle proprie esperienze quotidiane e artistiche.
Nel ’97, dopo diversi anni da solisti, JAKAL (Claudio Filograna), RIFLE (Jerry Bramato) e TONIO (Antonio Mastria G.) con DJ Cordella formano i FOTTUTI RANDAGI, gruppo che diede vita ad alcuni lavori molto validi ma mai conclusi per motivi tecnici e per la mancanza di uno studio adeguato alle loro esigenze e possibilità economiche. Dopo l’uscita del DJ, i tre rapper si ritrovano senza alcun produttore ma non per questo fermano la loro attività musicale, TONIO decide di creare un piccolo home-recording-studio la K.S.P. ( Kiavino Sound Produzioni ) dove comincia a prendere familiarità con le tecniche di registrazione. Successivamente si aggiunge alla crew un altro elemento , DJ DB ( Dario Blasi ) con cui il gruppo continua le sue produzioni.
Dopo alcuni mesi in studio i RESINA SONORA decidono di presentare un promo autoprodotto intitolato BUIO E LUCE, apprezzato largamente dal pubblico underground del Salento, che fece da anteprima all’intero album di 16 tracce SOGNI OSCURI. Questo tra il 2004 e il 2007 procurò al gruppo varie esibizioni live, fra le tante, come supporters agli Assalti Frontali, Après la classe, DJ Lord (Public Enemy), Club Dogo, Kiave (Migliori Colori), Lou X e Cuba Cabal, Babaman e vari sound della scena Salentina e Pugliese, partecipando tra l’altro al TECNICHE PERFETTE di Pisa, Vicenza e Brindisi.
Nell’estate 2007 inoltre vengono scelti per aprire il concerto del Gusto Dopa al Sole, esibendosi prima dei Colle der Fomento, Esa ( El Presidente ), Inoki, Assalti Frontali e Asian Dub Foundation.
Nello stesso periodo partecipano al Writer Master Beat di Taranto, piazzandosi al primo posto nella sfida tra gruppi di Puglia, Basilicata e Calabria con la hit MICROCHIP ESISTENZIALI che fa da apertura al nuovo disco attualmente in lavorazione. Il sound dei R.S. rimbalza tra vecchia e nuova scuola, dando forza a testi carichi di argomenti e liriche d’assalto.

SPINELLI NELLE CASE DI RIPOSO: MODERNE TERAPIE CONTRO DEMENZA E PARKINSON


di Domenico Ciardulli
Sembra fantasia ma è reale la notizia, proveniente da una casa di riposo di Kibbutz Naan (Israele), di anziani affetti da demenza e morbo di Parkinson curati con la marijuana a foglia grande (erez) . Canne terapeutiche che non solo sembrano fare miracoli per la salute dei nonnetti ricoverati ma costituiscono un risparmio enorme nel bilancio di spesa della casa di riposo rispetto ai tradizionali psicofarmaci. A Kibbutz Naan le case farmaceutiche, con i loro intrugli chimici, sono state messe all'angolo da dosi regolari di marijuana. Sembrano testimonianze religiose quelle di anziani che da anni non riuscivano più a farsi la barba da soli e che hanno ripreso a radersi gioiosamente, a muovere meglio le mani, le gambe e ad articolare bene le parole. Ma non si tratta di un bagno a Lourdes o di un pellegrinaggio al santuario di Compostela è solo l'effetto benefico su anziani malati di un ciclo di canne a base di marijuiana nella fumeria della casa di riposo.Una rivoluzione di tal genere nel nostro paese avrebbe effetti enormi sulla spesa sanitaria se pensiamo al volume di affari che si produce attraverso l'uso corrente, spesso troppo disinvolto di sedativi, antipsicotici, antidepressivi, neurolettici, antidolorifici, antitutto.... Non sono rari gli eccessi e gli effetti iatrogeni nelle case di cura, nelle residenze sanitarie assistite e nelle case di riposo. Sanitarizzazione di un anziano con demenza può significare l'immissione senza ritorno in un piano terapeutico, autorizzato dal presidio sanitario pubblico, che stabilizza e controlla le anomalie neurologiche e comportamentali attraverso "bombe chimiche".

Tutte medicine che a volte rappresentano la "giusta soluzione" (di comodo ndr) per chi assiste pazienti con demenza istituzionalizzati, ma non sempre rappresentano la giusta soluzione per il paziente in quanto persona. Non sono rari i tristi casi di cronaca di strutture sanitarie carenti, riguardo le classiche terapie riabilitative fisioterapiche e occupazionali, che invece brillano nel fare uso smodato di psicofarmaci per il controllo e la gestione dei ricoverati. Non solo si rischia di annichilire vitalità e creatività ma si rischia anche di danneggiare seriamente il fegato, sangue e sistema nervoso di persone con patologie preesistenti. Con queste riflessioni non si vuole di certo innalzare a modello esemplare la casa di riposo israeliana ma si può rilevare che l'esperienza innovativa di Kibbutz dovrebbe quantomeno schiodare dalla staticità le politiche sanitarie del nostro paese forse condizionate dalle multinazionali del farmaco.

Domenico Ciardulli da Reset-Italia

L'apocalisse è già qui


di Guido Viale
Apocalisse significa rivelazione. Che cosa ci rivela l'apocalisse scatenata dal maremoto che ha colpito la costa nordorientale del Giappone?
Non o non solo - come sostengono più o meno tutti i media ufficiali - che la sicurezza (totale) non è mai raggiungibile e che anche la tecnologia, l'infrastruttura e l'organizzazione di un paese moderno ed efficiente non bastano a contenere i danni provocati dall'infinita potenza di una natura che si risveglia. Il fatto è, invece, che tecnologia, infrastrutture e organizzazione a volte - e per lo più - moltiplicano quei danni, com'è successo in Giappone, dove la cattiva gestione di una, o molte, centrali nucleari si è andata ad aggiungere ai danni dello tsunami.
Non è stato lo tsunami a frustrare anche le migliori intenzioni di governanti, manager, amministratori e comunicatori: l'apocalisse li ha trovati intenti a mentire spudoratamente su tutto, di ora in ora; cercando di nascondere a pezzi e bocconi un disastro che di ora in ora la realtà si incarica di svelare. È un'intera classe dirigente, non solo del nostro paese, ma dell'Europa, del Giappone, del mondo, che l'apocalisse coglie in flagrante mendacio, insegnandoci a non fidarci mai di nessuno di loro. Solo per fare un esempio, e il più "leggero": Angela Merkel corre ai ripari fermando tre, poi sette, poi forse nove centrali nucleari che solo fino a tre giorni fa aveva imposto di mantenere in funzione per altri vent'anni. Ma non erano nelle stesse condizioni di oggi anche tre giorni fa? E dunque: c'era da fidarsi allora? E c'è da fidarsi adesso?
Per chi non ha la possibilità o la voglia di sviluppare un pensiero critico e si lascia educare dai media, sono gli scienziati e i tecnici a poterci e doverci guidare lungo la frontiera dello sviluppo. I risultati di quella guida sono ora lì davanti ai nostri occhi. L'apocalisse ci rivela invece che sono gli artisti, con la loro sensibilità e il loro disinteresse, a instradarci verso la scoperta del futuro. Leggete Terra bruciata di James Ballard o, meglio ancora, La strada di Cormac McCarthy; o andate a vedere il film tratto da questo romanzo. Vi ritroverete immediatamente immersi in panorami che oggi le riprese televisive della costa nordorientale del Giappone ci mettono davanti agli occhi. E con McCarthy potrete rivivere anche il senso di abbandono, di terrore, di sconforto, di inanità che solo una irriducibile voglia di sopravvivere a qualunque costo e il fuoco di un legame affettivo indissolubile riesce a sconfiggere.
L'apocalisse ci rivela che la normalità - quella che ha contraddistinto la vita di molti di noi per molti degli anni passati, ma che non è stata certo vissuta dai miliardi di esseri umani che hanno fatto le spese del nostro "sviluppo" e del nostro finto "benessere" - è finita o sta per finire per sempre. È finita per il Giappone - e non solo per le popolazioni sommerse dallo tsunami - che ora deve fermare le sue fabbriche, sospendere le sue esportazioni, far viaggiare a singhiozzo i suoi treni, chiudere le pompe di benzina, spegnere le luci, bloccare tutti o quasi i suoi reattori nucleari; senza sapere con che cosa sostituirli e senza sapere se e quando potrà riprendersi da un colpo del genere (un destino simile a quello che potrebbe far piombare di colpo la Francia nelle condizioni di un paese "sottosviluppato" se solo le accadesse un incidente analogo). I tanti programmi di «rinascita del nucleare» varati negli ultimi anni - che sono la risposta più irresponsabile e criminale alla crisi economica mondiale - si rivelano una truffa: il tentativo di far credere che con l'atomo consumi, sviluppo ed "emersione" di paesi che annoverano miliardi di abitanti possano riprendere e continuare a crescere come prima. Tant'è che quei programmi stavano andando avanti - e forse verranno mantenuti ancora per un po' - soltanto nei paesi senza nemmeno la parvenza della democrazia (tra cui l'Italia). Ma adesso tutti, o quasi, si dovranno fermare.
Ma non saranno rose e fiori neanche per i paesi che viaggiano a petrolio, metano e carbone, come il nostro. Il Medio Oriente è in fiamme e se - o meglio, quando - crollerà il regno saudita, anche il petrolio arriverà con il contagocce. Soprattutto in Italia; ma anche in Europa. E allora addio sogni di gloria per l'industria automobilistica: non solo quelli di Marchionne (che sono un mero imbroglio), ma anche per quelli di tutta l'Europa. Per non parlare degli Stati Uniti: a giugno dovranno rinnovare una parte del loro debito, che è ben più serio e in bilico di quelli di tutti i paesi dell'Unione europea messi insieme; ma forse nessuno lo vorrà più comprare. Il che significa che un nuovo crack planetario è alle porte.
Insomma, niente sarà più come prima. Era già stato detto all'indomani dell'11 settembre; ma poi ciascuno ha continuato a fare quello che faceva prima. Comprese le guerre; compresa le speculazioni finanziarie e la reiterazione della crisi che essa si porta dietro; e che è stata invece trattata come «un incidente di percorso», da cui riprendere al più presto la strada di prima, discettando sui decimali di Pil che da un momento all'altro potrebbero invece precipitare di un quinto o di un terzo.
Quello che l'apocalisse dello tsunami in Giappone ci rivela è la "normalità" di domani. L'apocalisse è già tra noi, in quello che facciamo tutti i giorni e soprattutto in quello che non facciamo. Dobbiamo imparare ad attraversare e a vivere dentro un panorama devastato, dove niente o quasi funziona più: non solo per il crollo o il degrado delle sue strutture fisiche; o per l'intasamento della loro "capacità di carico"; ma anche e soprattutto per la manomissione delle linee di comando, per la paralisi delle strutture organizzate, per la dissoluzione dello spirito pubblico calpestato dalle menzogne e dall'ipocrisia di chi comanda.
Volenti o nolenti saremo obbligati a cambiare il nostro modo di pensare e dovremo studiare come riorganizzare le nostre vite in termini di una maggiore sobrietà; e in modo che non dipendano più dai grandi impianti, dalle grandi strutture, dalle grandi reti, dai grandi capitali, dalle grandi corporation che li controllano e dalle organizzazioni statali e sovrastatali che ne sono controllate: tutte cose che possono venir meno, o cambiare improvvisamente aspetto dall'oggi al domani.
Dobbiamo adoperarci per mettere a punto strumenti di autogoverno a livello territoriale, in un raggio di azione che sia alla portata di ciascuno, in modo da avvicinare le risorse fisiche alle sedi della loro trasformazione e queste ai mercati del loro consumo e alle vie del loro recupero: perché solo di lì si può partire per costruire delle reti sufficientemente ampie e flessibili che siano in grado di far fronte a una improvvisa crisi energetica, alle molte facce della crisi ambientale, a una nuova crisi finanziaria che è alle porte, al disfacimento del tessuto economico e alla crisi occupazionale che si aggrava di giorno in giorno; e persino a una crisi alimentare che potrebbe farsi improvvisamente sentire anche in un paese del "prospero" Occidente. Le fonti rinnovabili, l'efficienza e il risparmio energetici, il riciclo totale dei nostri scarti, un'agricoltura a chilometri zero, la salvaguardia e il riassetto del nostro territorio, ma soprattutto uno stile di vita più sobrio e restituito alla socievolezza sono i cardini e la base materiale di una svolta del genere. Va bene tutto ciò che va in questa direzione; anche le piccole cose. Va male tutto ciò che vi si oppone: soprattutto la rinuncia a un pensiero radicale.

da GlobalProject e da il Manifesto del 17 marzo 2011