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venerdì 17 luglio 2009

L’Onu critica ancora l’Italia

A mesi di distanza dal primo respingimento in Libia di un’imbarcazione di migranti, la stampa internazionale continua a occuparsi della strategia del governo Berlusconi per contrastare l’immigrazione. El País racconta oggi che “Laura Boldrini, portavoce dell’Alto commissariato dell’Onu per i rifugiati in Italia, ha dichiarato che il governo italiano sta pregiudicando il diritto all’asilo degli immigrati respingendo in Libia i barconi intercettati in mare. Le critiche dell’Onu si aggiungono alle denunce di alcune ong sull’uso della forza da parte dei militari italiani in un’operazione realizzata il primo luglio scorso. Il governo italiano nega le accuse”.

Altri link sull’Italia
Berlusconi accused over ‘ruling caste’ tax amnesty, Financial Times
Goldfish “novel” by Maria Genisi poses new headache for Berlusconi, The Times

Berlusconi ce l’ha fatta

A conclusione del G8 dell’Aquila, l’Economist fa un bilancio della situazione politica italiana e dei pericoli scampati dal presidente del consiglio. “Silvio Berlusconi ha un angelo custode o una fortuna del diavoloPrima del summit del summit del G8 all’Aquila era dato per spacciato. Giravano voci su una nuova serie di foto compromettenti. All’Aquila si avvertivano nuove scosse di terremoto. La scossa c’è stata, ma solo due giorni dopo la chiusura del vertice. E le foto non sono ancora state pubblicate. Alla fine del G8 Berlusconi è apparso addirittura euforico”.

Il presidente del consiglio, intanto, ha incontrato ieri il primo ministro greco. La stampa greca ha commentato così il vertice: “Il presidente del consiglio italiano Silvio Berlusconi e il premier greco Costas Karamanlis si sono incontrati ieri a Roma per discutere dell’immigrazione irregolare. I due leader hanno parlato anche di una possibile cooperazione in campo energetico. ‘Vogliamo promuovere delle iniziative congiunte nel campo dell’immigrazione irregolare, compresi degli accordi sul rimpatrio degli immigrati tra l’Unione europea e i paesi d’origine e di transito’. Questa settimane l’Unhcr ha criticato sia la Grecia sia l’Italia per il trattamento che riservano ai richiedenti asilo”.

da Internazionale

Storia di due fascisti: da presunti assassini a predicatori da stadio

Ecco chi gestisce il reticolato di fili che muovono il mondo ultra tale da intrecciarlo con quello del neofascismo che dalla curva si è riversato nelle strade con connotati ideologici inequivocabilmente affini all'eversione di estrema destra di trenta anni fa.
Nasce sul finire di un anno fa il comitato "Calcio e Società", il cui promotore è proprio Guido Zappavigna, ex ultrà uno dei capi dei BOYS insieme a quell'altro fascistone Mario Corsi (entrambi ora speker radiofonici), consigliere circoscrizionale per Alleanza Nazionale in XII circoscrizione, accusato per l'omicidio di Fausto e Iaio, fra gli indiziati della strage di Bologna, sempre insieme a Corsi.
E' curioso e insieme darammaticamente comico vedere che ad oggi questi stessi personaggi si occupino di un problema come quello della violenza negli stadi.

http://www.radioradicale.it/scheda/265852/intervista-a......

http://www.radioradicale.it/scheda/265858/presentazion......

Le estreme destre sono passate negli ultimi anni dalla parte della barricata più legalizzata e trasparente, il fronte ufficiale del nuovo fascismo in doppiopetto.
Da teppisti di stadio, come suggerì con anticipo, in apparente preveggenza Boccacci che vide nelle masse di tifosi un bacino elettorale e politico per numero e vuoto ideologico da crescere come coltura per gli anni successivi, cioè quelli che viviamo adesso. Con Fiore, Corsi, Zappavigna, Forza Nuova vari gregari e consorelle sparsi sul territorio.
Ma vediamo, in una breve ricognizione storica, chi sono questi personaggi, entrati alla chetichella nel gotha più fangoso della politica e dell'informazione.

Guido, cugino di Paolo (morto nel 2005 in un incidente stradale) era dirigente di "Lotta al sistema", un movimento di estrema destra attivo negli anni settanta e ottanta. Fu indagato per la strage di Bologna e coinvolto persino nelle indagini sull'assassinio di Fausto e Iaio a Milano e poi risultato estraneo ai fatti. Per altro, tra le persone maggiormente sospettate di aver ucciso Fausto e Iaio c'e' Marione Corsi: un altro estremista di destra, un altro ultras della Roma, oggi animatore di programmi radiofonici dedicati ai tifosi giallorossi. Anche Guido e' stato un leader dei Boys, ha fatto politica nelle istituzioni (consigliere del MSI all'Eur di Roma) ma non e' entrato in AN alla svolta di Fiuggi. Ora e' uno di quelli che con il tifo ci guadagna: la sua pizzeria "Bella Pizza" a via Vetulonia e' ritrovo di tifosi (soprattutto di quelli che cercano il folklore dei Boys mentre mangiano una margherita). Bella Pizza e' anche un "centro servizi" a disposizione dei tifosi: i biglietti per l'ultimo derby della solidarieta', per esempio, si vendevano alla pizzeria di Guido.

I cugini Zappavigna, infatti, sono stati tra i pionieri della commercializzazione del tifo giallorosso, pratica radicalmente respinta da altre componenti del tifo romanista. Guido ha creato la societa' "Un Amore Infinito", che vende il merchandising della Roma e organizza le trasferte in Italia e all'estero per i Boys di Paolo: i "servizi" per il tifoso, appunto.

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Sull’estrema destra romana

Pubblichiamo questa richiesta di proseguimento delle indagini per l’omicidio di Fausto e Iaio (due compagni del C.S. Leoncavallo uccisi a Milano nel 1978), perché fornisce uno spaccato di quello che è stato e di quello che in parte ancora è l’estrema destra a Roma. Ci riferiamo per esempio a Guido Zappavigna consigliere circoscrizionale per Alleanza Nazionale in XII circoscrizione, nonché ex- (o ancora) uno dei capi dei BOYS un gruppo nazi ultras della Roma, nonché titolare della ultra-pubblicizzata pizzeria Palla al Centro insieme a Bruno Petrella altro fascistone (laziale). Ma soprattutto MARIO CORSI che dopo essere stato imputato dell’uccisione di Ivo Zini, ucciso mentre leggeva L’Unità in una bacheca di Via Appia nel 1978, e che poi dopo qualche anno di rifugio in Inghilterra, insieme ad altri suoi camerati (come Fiore che organizza un milionario business con la sua agenzia Easy London, dove i metodi nazi vengono perpetuati). MARIO CORSI è poi tornato a Roma ha guidato i BOYS nella loro ascesa durante la presidenza della A.S. Roma dell’altro fascistone Giuseppe Ciarrapico che mentre portava allo sfascio la squadra e la società, elargiva potere e denaro ai suoi camerati, tra questi, in prima fila, Mario Corsi detto MARIONE che oggi conduce una delle più ascoltate trasmissioni sulla Roma (a Radio Incontro) e con fare innocente e simpatico tra un inno nazionale ed un accenno a Che Guevara e a quei ragazzi che ingannati dai politici si sono sparati per strada anni fa... continua impunito la sua opera dedicando ad esempio canzoni al NAR Kapplerino quando è morto l’altr’anno durante una rapina (ultimamente si è separato dal suo partner Bruno Ripepi (neanche a dirlo ex consigliere del MSI in XII) la coppia è caduta in disgrazia ed ha divorziato dopo che la A.S. Roma ha denunciato i due per un giro di estorsioni contro la società che "ricattavano" potendo gestire tramite il loro programma radio gli umori di una parte della tifoseria, con un loro rendiconto economico, naturalmente, il CORSI infatti gestisce anche il PUNTO ROMA di Via Angelo Emo 59 (sempre nella "sua" Prati) da dove elargisce abbonamenti, introvabili biglietti di Curva Sud, trasferte, gadgets etc. Per non dimenticare MAI chi realmente è il simpatico MARIONE...

Guido Salvini sta conducendo altre importanti inchieste sulla strategia della tensione e come molte altre inchieste di questo tipo sulle stragi questo anno dovranno tirare le conclusioni come tutte le altre che sono state iniziate con il vecchio codice. Se sommiamo a questo il fatto che la Commissione parlamentare Stragi è in fase di conclusione dei lavori deduciamo che la coincidenza di questi avvenimenti avrà un grosso impatto politico e mediatico. Ebbene non vogliamo che a questo il movimento arrivi impreparato, cioè che non ci arrivi esclusivamente con la conoscenza di quello che con la controinformazione siamo riusciti a capire ed interpretare in questi anni. Ormai moltissimo è dato sapere come fatto accertato e non più solo come ipotesi questo sia dalla declassificazione di molti documenti degli archivi CIA, sia da ciò che era rimasto dell’archivio di Gladio e dal resto del milione di pagine nell’archivio della Commissione Stragi sia perché molte indagini e molti processi sono arrivati al termine ed un imponente quantità di materiale, di documenti riservati è divenuta nota. In breve ciò che la controinformazione dei movimenti di lotta degli anni settanta aveva fortemente sostenuto, ossia che la strategia della tensione, la tremenda sequenza di stragi impunite e di operazioni coperte dei servizi segreti e tentativi di golpe siano state messe in piedi portate alle estreme conseguenze per impedire mutamenti politici e sociali a favore della classe lavoratrice. Ebbene tutto questo ne esce non solo confermato nell’impianto generale, ma adesso possiamo leggere molti documenti ed ascoltare le ammissioni e mezze ammissioni (di Cossiga e Andreotti ad esempio) che beatamente ammettono che il governo e gli intelligence degli USA mai avrebbero permesso che i comunisti giungessero al governo, e che anche in caso di un risultato elettorale loro positivo si sarebbe arrivati comunque ad una presa del potere violenta da parte dei militari o dei gruppi paramilitari (come Gladio) sotto l’egida della DC. E moltissimi altri documenti e dichiarazioni in questi ultimissimi anni sono divenuti noti e forniscono un quadro molto più dettagliato e documentato.

da Roma-Indymedia

“Contro rom e rossi”, ultrà-fascisti in guerra (Il Manifesto)

Fascisti di notte e ultrà, quasi tutti della Lazio, di giorno. I ventuno protagonisti dell’ordinanza di custodia cautelare eseguita ieri mattina da ROS e Digos di Roma si dividono tra gli assalti nei “luoghi di ritrovo della sinistra” (al Csoa Forte Prenestino, ad un concerto di Villa Ada o nelle frequenti ronde a S.Lorenzo), quelli ai campi rom e l’organizzazione di trasferte in giro per l’Italia, per colpire le tifoserie avverse. Erano amici di Gabriele Sandri, l’ultrà laziale ammazzato da un agente della polizia stradale l’11 novembre scorso, e quella notte erano nelle prime file dell’assalto alle caserme ed alla sede del CONI, seguiti alla morte del giovane tifoso. Si vedono al bar Excalibur di piazza Vescovio o nella vicina sede di Forza Nuova, la maggior parte di loro porta in curva Nord e sui giacconi simboli della tifoseria “In basso a destra”, ma, quando c’è da picchiare, chiama a raccolta anche i romanisti “BISL, Basta infami solo lame”. Quasi tutti hanno meno di venticinque anni e il leader dell’associazione a delinquere, Francesco Ceci, ha poco più di trent’anni. Qualcuno, come il coordinatore nazionale dell’organizzazione giovanile Lotta Studentesca Daniele Pinti, fa politica attivamente in Forza Nuova. Ventuno di loro sono finiti nel carcere di Regina Coeli: Fabrizio Ferrari, Fabrizio Frioni, Francesco Ceci, Alessandro Petrella, Matteo Nozzetti, Marco Turchetti, Pierluigi Mattei, Emanuele Conti, Andrea Attilia, Roberto Sabuzi, Daniele Pinti, Francesco Massa, Gianluca Colasanti, Furio Natali, Alessio Abballe, Matteo Costacurta, Alessandro Angeloni, Alessandro Piras, Stefano Caponera, Alessio Mastrecchia.
Quatto avranno l’obbligo di firma durante le partite di calcio: Federico Giardina, Gianluca Totonelli, Martino Ferraiuolo, Enrico Maria Di Filippo.
L’elenco di reati cui dovranno rispondere è lungo, dall’associazione per delinquere, alla devastazione e saccheggio (con l’aggravante del terrorismo per l’assalto alle caserme), ma anche violenza o minaccia a pubblico ufficiale, porto di oggetti atti ad offendere, lesioni personali aggravate, invasione di terreni o edifici, e incendio aggravato dalla violazione della legge Mancino.
L’inchiesta dei pm romani Franco Ionta, Pietro Saviotti e Caterina Caputo, parte dall’assalto dello scorso 28 giugno a Villa Ada, durante il concerto della Banda Bassotti. Una aggressione programmata con cura dal gruppo di Francesco Ceci “presso lo stadio Olimpico, verosimilmente nei pressi della manifestazione RomaEstate 2007″, organizzata in Piazza Vescovio e messa in atto subito dopo, attorno alle 2. “Circa 25 persone” racconterà il verbale di uno dei testimoni, che provano ad entrare nella villa armati di “bastoni e coltelli” e “inneggiando al partito fascista e al duce”. Prima dell’arrivo della Polizia lanciano petardi contro i presenti e se ne vanno, lasciando a terra, ferite, due persone.
E’ più o meno lo stesso gruppo, ad ottobre, che prova a mettere in atto l’unica occupazione “sociale” che Forza Nuova abbia cercato di organizzare a Roma negli ultimi tempi, scimmiottando senza riuscirci le Occupazioni non conformi di Fiamma Tricolore. Con questi ultimi non corre buon sangue, per l’anniversario della strage di Acca Larentia (7 gennaio scorso) sono costretti a coordinarsi, ma poi litigano subito perché Ceci ed i suoi “hanno tentato di provocare incidenti, dopo la conclusione della cerimonia, dirigendosi verso la zona della Via Appia Nuova”.
Il 2 ottobre il gruppo di piazza Vescovio si presenta nell’immobile ATAC di Viale Etiopia, quartiere Africano: “gli autori dell’occupazione -spiega l’ordinanza di 91 pagine firmata dal gip G.Muntoni- sostituivano i lucchetti d’ingresso dei locali dell’immobile e affiggevano un cartello in metallo recante la scritta Forza Nuova, federazione romana. L’occupazione dura poco, in dieci giorni è tutto finito.
Il gruppo freme, ai primi di novembre pensa di organizzare un assalto al campo rom in cui viveva l’assassino di Giovanna Reggiani, la donna uccisa il 30 ottobre poco lontano dalla stazione di tor di quinto. Un progetto rimasto nell’aria, anche se “il 2 novembre, al telefono con Alessio Abballe, il Petrella si compiaceva entusiasticamente di una azione compiuta in’ora e mezza prima a Torre Gaia da “dieci bravissimi…tutti coperti”. L’11 novembre Gabriele Sandri “viaggiava a bordo dell’autovettura di Turchetti Marco, detto anche Marco Ovo, indicato come uno dei capi insieme a Ceci e Attilia”. Un poliziotto lo vede insieme agli altri tifosi, poco dopo una rissa con altri ultras e, follemente, spara. La Banda di Piazza Vescovio si mobilita subito. Petrella chiama un amico: “Vojo brucia’ tutto” e l’intero gruppo partecipa al tam tam di quel pomeriggio. Sempre Petrella: “Non andate su, Gianluca, serve gente qui, ce serve la gente qui a Roma, si va sotto lo stadio stasera alle sei e mezzo loro… credo che i romanisti già sanno”. Nel pomeriggio si vedono a piazza Vescovio, poi partiranno tutti per lo stadio Olimpico. Non sono loro, non sono Ceci e i suoi, a governare la marea che si aggira attorno allo stadio, prima assaltando la caserma di via guido Reni, poi dirigendosi verso quella di Porta del Popolo e infine attaccando la stazione dei carabinieri e una sede del Coni. Ma loro, ci sono tutti, le immagini raccolte da polizia e carabinieri e le decine di intercettazioni telefoniche paiono bastare ad identificarli al centro degli assalti peggiori.
Li muove una voglia di rivalsa contro polizia e “compagni” lontana come la morte di Francesco Cecchini, ucciso dalle parti di piazza Vescovio nel 1979, che i Ros citano anche nel comunicato che annuncia la retata. Una fede fascista fatta di assalti più che di iniziative pubbliche. E quella nell’ultras “opposto” che, come spiega uno dei documenti sequestrati “non ha miti né fa di un gioco una questione di vita, ma di certo sfrutta il palcoscenico che una partita di calcio offre per tirare fuori lo spirito ribelle che è in lui”.

da Antifa

Strage di Bologna, i palestinesi non c'entrano


Un grave errore
Mi è stato solo di recente segnalata la presenza di un errore piuttosto serio nel mio libro sulla strage di Bologna «Storia nera», uscito ormai due anni fa per Cairoeditore. Essendo l'errore in questione foriero di gravi equivoci, ho chiesto ospitalità al «manifesto» per porvi un sia pur tardivo rimedio.
Nel libro avevo scritto che Abu Saleh, il militante palestinese in carcere dal '79 in seguito all'individuazione di un lanciamissili trasportato, per conto dei palestinesi, da tre militanti romani del Collettivo di via dei Volsci, era stato scarcerato a metà dell'agosto 1980. L'informazione è certamente errata. Secondo la commissione Mitrokhin, Saleh fu scarcerato sì a metà del mese di agosto, ma del 1981. Le carte processuali parlano invece del 1982. Interpellati, i commissari della Mitrokhin spiegano che in effetti Saleh rimase tecnicamente in carcere fino all'82, ma sostengono che già dall'anno precedente il palestinese si trovava agli arresti domiciliari. I suoi coimputati italiani smentiscono e affermano che Saleh è rimasto in carcere sino al momento della definitiva liberazione.
In ogni caso è certo che Saleh non fu liberato il 14 agosto 1980, cioè meno di due settimane dopo la strage alla stazione di Bologna. Può sembrare un particolare: non lo è. L'ipotesi secondo cui l'arresto di Abu Saleh sarebbe legato alla strage di Bologna parte infatti dal patto segreto stretto tra le organizzazioni palestinesi e Aldo Moro, per il tramite del colonnello dei servizi segreti Stefano Giovannone, in base al quale i palestinesi potevano trasportare liberamente materiale bellico sul territorio italiano purché non lo adoperassero in Italia. L'arresto di Abu Saleh (e il sequestro del lanciamissili) costituivano una violazione di quel patto, e infatti il leader dell'Fplp George Habbash protestò vigorosamente, quasi minacciosamente, con il governo italiano invocando il rispetto degli accordi e reclamando sia la restituzione del lanciamissili che la liberazione di Abu Saleh. È ovvio che, in questo quadro, la liberazione del palestinese solo pochi giorni dopo la strage avrebbe costituito, pur senza alcun valore probatorio, un elemento a sostegno della cosiddetta pista palestinese. Di qui, anche a distanza di due anni, la necessità di correggere pubblicamente l'errore.
Approfitto però dell'occasione per fornire un chiarimento che mi pare necessario. «Storia nera», così come i molti articoli «innocentisti» scritti da me e da altri sul «manifesto» nel corso di circa quindici anni, non si proponeva di individuare i colpevoli della strage, ma solo di indicare chi colpevole non è, pur essendo per quella strage stato condannato. Mi sono pertanto limitato a elencare, nell'ultimo capitolo del libro, tutte le ipotesi che in questi decenni sono state avanzate, inclusa la «pista Saleh», senza minimamente prendere posizione a favore dell'una o dell'altra. In questo contesto, non parlare della succitata ipotesi sarebbe stato impossibile. O gravemente reticente.
Andrea Colombo

Andrea Colombo si accorge di un grave errore contenuto nel suo libro-inchiesta «Storia nera» in base al quale l'ipotesi della «rappresaglia» palestinese poteva sembrare avere una maggiore credibilità. Scrive Colombo a pag. 342 del suo libro : «....avesse spinto Abu Saleh a chiedere l'intervento di tre esponenti di spicco dell'autonomia romana. Daniele Pifano, Giorgio Baumgartner e Luciano Nieri erano i dirigenti di un collettivo, quello di via dei Volsci che, pur non avendo niente a che fare con il terrorismo, era considerato ( a torto ) limitrofo alla lotta armata. Per il generale Carlo Alberto Dalla Chiesa, capo dell'antiterrorismo, i tre «volsci» rappresentavano una preda ghiotta. Così quando il colonnello Giovannone iniziò a darsi da fare per tirare fuori di galera Saleh, arrestato pochi giorni dopo i tre autonomi romani, e onorare così il patto stretto da Moro, Dalla Chiesa si oppose. Contro ogni evidenza, affermò che i missili non erano di passaggio in Italia ma destinati ad uso interno. In aperta violazione dell'accordo, Saleh rimase in carcere. Di conseguenza, l'11 luglio 1980, una nota dell'Ucigos segnalava le reazioni negative dell'Fplp per la permanenza in carcere di Abu Saleh e concludeva: «Non viene escluso che, da parte della stessa organizzazione, possa essere tentata una sorta di ritorsione». La bomba di Bologna sarebbe stata dunque una sorta di rappresaglia per la mancata liberazione di Saleh, il quale fu in effetti scarcerato, con larghissimo anticipo sui tre autonomi romani, pochi giorni dopo la strage, il 14 agosto 1980. L'Fplp avrebbe commissionato la strage a Carlos, che si sarebbe servito, per portare a termine il suo compito, dei tedeschi delle cellule rivoluzionarie».
Dunque Andrea Colombo ora scopre che Abu Saleh è stato scarcerato ben due anni dopo la strage di Bologna, il 15 agosto 1982, e non come asserisce nel libro «all'indomani della strage di Bologna».
C'è ancora da dire che nel libro di Andrea Colombo l'ipotesi palestinese pur inserita nel capitolo «piste alternative», risulta di gran lunga la più sostenibile anche grazie all'incidente-svista-falso in cui è incappato l'autore, che fa derivare «l'immediata scarcerazione di Abu Saleh dalla bomba alla stazione». Peraltro tra i media in grado di deformare la verità rientra la trasmissione televisiva di Minoli «La storia siamo noi», che a più riprese si è interessata della vicenda mettendo pesantemente in relazione la strage di Bologna con la mancata scarcerazione degli imputati arrestati ad Ortona perché trovati in possesso dei due lanciamissili dei palestinesi.
t.d.f.

Non la smetteranno mai
Il riconoscere uno sbaglio effettivamente compiuto è in ogni caso positivo. Sono comunque estremamente scettico sull'ipotesi che la smettano di addossare ai palestinesi la responsabilità di aver compiuto un'infamia così bestiale come la strage di Bologna. Ma proprio per l'enorme nefandezza di quel crimine così come per tutte le altre stragi, i fascisti che ormai stanno tranquillamente al potere cercheranno in tutti i modi di scaricarne la responsabilità sui palestinesi o su qualsiasi altro soggetto debole che non possa contrastare la loro smisurata offensiva massmediatica, la strage di Bologna come la modalità dell'uccisione di Valerio Verbano sono così raccapriccianti che neanche i più sfacciati criminali stragisti riescono a rivendicarne la paternità. Io non sono convinto della colpevolezza di Fioravanti e della Mambro, anche se non lo vedo in contrasto con un agire così insensato e colpevolmente protetto come emerge appunto dalle pagine del libro di Colombo. Una cosa comunque è certa: sia i fascisti in prima persona, sia quelli di loro in organico ai servizi hanno costantemente attuato o solo organnizzato le stragi di persone innocenti allo scopo di limitare le libertà di tutti ed aumentare il potere degli organi militari.

da Indymedia

Salerno - La manovalanza cammorrista di De Luca al congresso dei giovani del PD

NB: Il signore delle ceneri ha, praticamente e struttUralmente, la città in mano, le società miste che gestiscono i servizi della città sono al suo diretto comando chi ci lavora è asservito al sistema mafioso
le principali istituzioni sono sotto il controllo
oramai a salerno per lavorare e guadagnare devi accettare compromessi tipo servilismo estremo e consenso politico non è casuale che capita che intere famiglie lavorano ed altre si ritrovano senza alcun reddito tutto dipende dal grado di servilismo e dalla composizione numerica del nucleo familiare. Una metodologia di ispirazione mafiosa se non accetti questo non lavori e perseguito anche in termini istituzionali.
Questi non sono ne fasci e ne compagni questa è mafia...
Arrivano in un quartiere e fanno un monitoraggio delle famiglie evidenziando le piu numerose o facinorose ed iniziano a risolvere qualke problema tipo lavoro o contributo in cambio di consenso prima se ne serve e poi li rivende alla giustizia.
per gli appalti di lavori pubblici vengono disposte delle ditte costituite in cartelli con un unica finale regia
con le cooperative lo stesso praticamente schierate sul campo coop con un unico terminale
In una estrema sintesi si stanno abbuffando e lo fanno pure con arroganza sia istituzionale usando una legalità formale con una evidente illegalità , sotto il profilo del controllo del territorio hanno uomini dispiegati su tutto il territorio.Comprano consensi con denaro pubblico.

QUESTA è MAFIA E SE Cè QUALKUNO CHE STUDIA DINAMICHE MAFIOSE PUO CONFERMARE...
IL SISTEMA DELL'UOMO DELLE CENERI è INTRISO DI MAFIA

Salerno - La manovalanza cammorrista di De Luca al congresso dei giovani del PD

Polo Nautico, cinquanta persone bloccano l’ingresso. Grimaldi: «Metodi di camorra»
Giovani pd, è rissa al congresso
FULVIO SCARLATA Assalto al congresso dei giovani del Pd: in cinquanta, alle diciassette, bloccano l’ingresso del Polo Nautico, impedendo di entrare e di uscire. Minacce, inseguimenti e botte ai ragazzi del Pd e ai giornalisti: «Siamo di De Luca, il congresso oggi è rimandato, lo vuole il popolo di Salerno. E tu che parli, sappiamo chi sei, ti veniamo a prendere in redazione e scommiamo di sangue». Tutto sotto gli occhi della Digos (che non ha fermato nessuno) e del consigliere comunale Giannicola Bonadies che, pur conoscendo gli aggressori, è rimasto inerte. Il nuovo Pd, ricco di tante ansie e aspettative, nasce a Salerno al Polo Nautico. Motivo del contendere, per un partito in piena crisi che ha appena perso le elezioni, la piccola segreteria provinciale dei giovani. Secondo la vecchia tradizione degli scontri interni, il 9 maggio scorso era stato convocato un primo congresso senza avvertire il segretario regionale Michele Grimaldi: presenti 30 dei 54 delegati, eleggono Liliana Bonadies. Grimaldi e il segretario nazionale Fausto Raciti bloccano la ratifica del congresso, lo annullano. E riconvocano il congresso, da maggioranza bassoliniana, ieri pomeriggio al Polo Nautico. Alle 17, però, sono arrivate una cinquantina di persone con uno striscione: «Bassolino vergogna, dimettiti». «Sono scesi dalle auto di Salerno Sistemi e indossavano magliette delle società miste, tutti accompagnati da ultrà della Salernitana» denuncia Grimaldi che, con altri, resta sequestrato nel palazzo, mentre gli altri venivano fermati fuori. Solo l’arrivo della Digos permette ai ragazzi di uscire dal Polo Nautico, dove però continuano le minacce. Il sindaco di Rofrano, Toni Viterale, tenta di parlare con i manifestanti: «Oggi il congresso non si fa - la risposta - Questa è Salerno, qua comanda De Luca, ve ne dovete andare e basta». Curiosamente, i manifestanti sanno tutto dei vari congressi. I ragazzi provano di tutto ma gli energumeni minacciano di entrare al congresso e «dare fastidio», con toni e sistemi che molto ricordano il linguaggio dei clan. Prendendo di mira, poi, i singoli. «Tu non sei di Salerno, vattene che è meglio per te» l’invito deciso per Grimaldi, condito con insulti e minacce. «Non capisco, questi non mi sembrano né giovani, né democratici» dice Massimiliano Cataldo, minuto ex segretario della Sinistra giovanile Ds mentre parla con un giornalista. «Tu stai provocando, ti devi solo stare zitto»: un uomo, più largo di spalle che alto maglietta blu a righe, si avvicina e colpisce violentemente alla testa Cataldo. Poi botte ai giornalisti: «Ti sappiamo, ti veniamo a scommare di sangue a casa tua, o in redazione al Corso». Spintoni per tutti i ragazzini. «Tu non sai chi sono io - grida uno alto, maglietta bianca, occhiali da sole, sempre presente a decine di manifestazioni deluchiane in funzione di servizio d’ordine - Simmo a camorra, statti attento». Tutto sotto gli occhi della Digos e di Giannicola Bonadies. La figlia Liliana, segretaria dei giovani, preferisce non farsi vedere.

da Indymedia

Italia, il vizio della memoria

L'associazione "daSud" organizza "La lunga marcia della memoria": 10 giorni per non dimenticare e intitolare le vie delle città alle vittime di mafia

Alzi la mano chi si ricorda di Renata Fonte. Renata era un assessore del comune di Nardò, in provincia di Lecce. Si è battuta contro la lottizzazione e la speculazione edilizia all'interno del Parco naturale di Porto Selvaggio e questo le è costato la vita. E' stata assassinata il 31 marzo del 1984, all'età di 33 anni e con due figlie piccole, da un gruppo di sicari che l'aspettavano all'uscita del Consiglio comunale. Dai microfoni di Radio Nardò1, Renata parlava di giustizia e di legalità.Forse qualcuno può ricordarsi di Bruno Caccia. Magari i colleghi in tribunale, o qualcuno particolarmente attento alla nostra storia criminale. Bruno era un procuratore della Repubblica di Torino, "uno con cui non si poteva parlare" come dicevano gli uomini delle cosche. Era uscito a portar fuori il cane da solo, senza la scorta, quella sera del 26 giugno 1983, quando gli uomini di Domenico Belfiore, capo della ‘ndrangheta piemontese, gli si affiancarono per scaricargli contro 14 colpi di pistola. Nella sentenza d'appello, i giudici della Corte d'assise di Milano, non solo posero fine all'opera di depistaggio che aveva attribuito l'omicidio prima alle Brigate rosse e poi ai Nar, ma accusarono anche gli altri magistrati della procura di Torino di favoreggiamento e collusione. Caccia "poté apparire ai suoi assassini eccessivamente intransigente soltanto a causa della benevola disposizione che il clan dei calabresi riconosceva a torto o a ragione in altri giudici - si legge nella sentenza finale - Perché questo clan aveva ottenuto in quegli anni la confidenza, la disponibilità o addirittura l'amicizia di alcuni magistrati".

Rocco Gatto, invece, era un semplice mugnaio, di Gioiosa Ionica, che ha scelto di non sottostare alle regole imposte dal clan. Nel 1977 Gioiosa era un luogo di scontro: da una parte le cosche, con tutto il loro potere intimidatorio, dall'altro personaggi come Francesco Modafferi, battagliero sindaco del Pci, che portò, per la prima volta nella storia d'Italia, il Comune a costituirsi parte civile in un processo.
Il 6 Novembre del 1976 il capocosca Vincenzo Ursini venne ucciso in un scontro a fuco con i carabinieri. In segno di potere e di lutto la famiglia bloccò il mercato domenicale, chiuse tutte le vie di accesso al Paese e impose il coprifuoco. Rocco non ci stette e fece i nomi, prima davanti al capitano dei carabinieri Gennaro Niglio e poi davanti al giudice. Poche settimane dopo venne ucciso mentre consegnava i sacchi della farina. Due, tre colpi di lupara in successione.
Da questa esperienza è nata una lunga storia di battaglie civili, raffigurata nel murale che ancora oggi campeggia nella piazza del mercato, grazie al restauro appena terminato.

Per non dimenticare, o meglio, come dicono loro "per ricostruire una memoria condivisa e non riconciliata" l'associazione "daSud", insieme con "Libera Locride" e "Movimenti" hanno lanciato una singolare iniziativa: "La lunga marcia della memoria". Dal 14 al 25 luglio organizzazioni, gruppi, artisti e semplici cittadini sono chiamati a ribattezzare le vie e le piazze delle città con il nome di una vittima della criminalità organizzata. Il sito offre "la grafica", un cartello che ricalca le insegne delle vie da compilare e scaricare, e la "memoria", una serie di schede che ripercorrono la storia delle vittime e di questo Paese. Altro materiale è conservato sull'archivio web Stopndrangheta.it che, tra le altre cose, ha vinto il bando "Giovani idee cambiano l'Italia". In cambio "daSud" chiede ai partecipanti di fotografarsi nel momento in cui rinominano la città. Tutte le foto verranno pubblicate sul sito e andranno a comporre una "Lunga mappa" dell'antimafia.
Memorie estorte, come dicono quelli dell'associazione, per ritrovare la nostra identità e per resistere al presente. E non solo per il Sud.

da Peace Reporter di Chiara Pracchi

Siria, attivisti chiedono spiegaizoni al governo sulla scomparsa di Osman

Non si hanno notizie del giornalista curdo dal 17 maggio scorso, giorno della sua sparizione

L'Associazione per i Popoli Minacciati (APM) si è rivolta al governo siriano chiedendo chiarimenti sulla scomparsa del giovane giornalista curdo-siriano Emjad Osman, avvenuta il 17 maggio scorso. In passato Emjad Osman è stato più volte arrestato dai servizi di sicurezza siriani per aver pubblicato fin dal 2000 il giornale clandestino in lingua curda "Hogir" nella città di Qamishli, nell'estremo nordest siriano.
La Siria detiene in carcere almeno 150 prigionieri politici curdi. L'APM conosce i nomi di 122 di questi prigionieri. I due milioni di curdi siriani che nel nord del paese lungo la frontiera con la Turchia costituiscono la maggioranza della popolazione, subiscono forti discriminazioni, non vengono riconosciuti i loro diritti a usare la propria lingua e a esercitare la propria cultura. Nel corso della massiccia politica di arabizzazione del 1962, 300.000 curdi sono stati privati della cittadinanza siriana, risultando così illegali a casa propria. L'APM chiede con forza che vengano nuovamente riconosciuti come cittadini siriani con pari diritti.

da Peace Reporter

In Peru i bambini muoiono di freddo

Cambiamento climatico e povertà sono un cocktail micidiale, che continua a mietere vittime anche se pochi ne parlano.
Il Peru è stato messo sotto i riflettori quest’anno a causa delle rivolte indigene, ma il sud del Paese, dove è in corso l’inverno australe, è nella morsa del freddo, che è arrivato addirittura tre mesi prima del tempo.
Circa 250 bambini sono morti di polmonite e altre difficoltà respiratorie. Molti bambini muoiono ogni anno durante i mesi invernali, che sono particolarmente rigidi nelle regioni andine del sud.
Gli esperti danno la responsabilità dell’inverno anticipato al cambiamento climatico, che è iniziato a Marzo, mentre solitamente parte da Giugno. Come se andassimo sotto lo zero a Settembre qui in Italia.
Il freddo estremo, che ha portato neve, grandine, temperature gelate e forti venti, ha ucciso più bambini quest’anno che i quattro anni passati insieme. Un totale di 246 bambini sotto i cinque anni sono morti finora, la metà durante questi ultimi mesi.
I bambini contraggono queste malattie anche a causa della malnutrizione, perché sono più vulnerabili. La povertà è diffusa nelle terre peruviane del sud, e c’è una mancanza cronica di cure di base e servizi medici.
Il governo ha dichiarato lo stato di emergenza nelle aree affette, ma i critici di questo provvedimento dicono che i freddi di questo tipo sono prevedibili, così come le morti annuali. Molti incolpano l’inefficienza del governo per queste morti.
Ma il Ministro della Salute del Peru, Oscar Ugarte, ha detto che gli ufficiali regionali non hanno distribuito efficacemente le risorse del governo.
Nel frattempo a Lima, capitale del Paese, è diventato un rito annule per le aziende e per la gente comune di donare coperte, vestiti e cibo per le vittime del freddo clima nel sud del Paese.

da Reset-Italia di Alex Buaiscia

Bertolaso contestato per la prima volta a L'Aquila

I cittadini terremotati chiedono la requisizione delle case sfitte, denunciano i ritardi nella ricostruzione, pretendono trasparenza sull'attività dell'onnipotente Protezione Civile

L'Aquila. Nella serata di giovedì si è verificata la prima contestazione a Guido Bertolaso in Abruzzo da dopo il terremoto.

Durante una iniziativa pubblica, la Fiera della Creatività, presso la Villa Comunale de L'Aquila, in cui era intervenuto anche il sindaco Massimo Cialente, il capo della Protezione Civile è stato raggiunto dalla protesta dei comitati dei terremotati tra cui la Rete 3e32 ed Epicentro Solidale.


Pochi istanti prima il sindaco Cialente aveva assunto davanti ai cittadini l'impegno di porre la firme sotto il decreto per la requisizione delle case sfitte. Bertolaso invece è stato contestato in merito ai ritardi, all'intero piano C.A.S.E..

Il potentissimo Sottosegretario alla presidenza del Consiglio dei ministri non ha risposto ai cittadini che chiedevano trasparenza sui conti della Protezione Civile rispetto al terremoto. Bertolaso è stato così costretto a lasciare la Villa Comunale scortato dalla polizia, tra i fischi e le proteste dei cittadini.

Il prossimo 27 luglio si svolgerà un Consiglio comunale de L'Aquila, aperto al pubblico, per discutere proprio della requisizione delle case sfitte.

da GlobalProject

REWIND - Si è tenuto oggi il Tribunale del Riesame - pesanti le richieste del pm

Torino - Ore 16.30, conclusa la discussione al Tribunale del Riesame, che ora è riunito per decidere. Fa caldo, caldissimo. Luglio inoltrato. L'onda non si arresta, in continuo movimento anzi. Ieri a Teramo, oggi a Torino. Sono arrivate delegazioni da tutta Italia davanti al Tribunale in attesa del riesame per i 21 arrestati nella cosiddetta inchiesta Rewind. Una lunga attesa quella del presidio che si è dato appuntamento alle ore 10.30 davanti al Palazzo di Giustizia.
da globalproject.info - Intorno alle 16 termina il dibattimento. Nella fase finale del dibattimento l'intervento del Pm Sparagna più che attenersi ai fatti contestati si trasforma in una arringa dai toni che ricordano quelli degli anni '70, nel dipingere gli indagati come portatori di una cultura violenta che inquina i movimenti studenteschi. Chiede la riconferma delle misure cautelari in carcere per 16 degli indagati, per due obblighi di dimora e per altri due gli arresti domiciliari.

L'avvocato Aurora d'Agostino racconta il dibattimento sottolineando come i difensori hanno ricostruito i fatti addebitati agli imputati e la gravità della scelta delle misure cautelari. Il Tribunale del Riesame è riunito e si attende la decisione.

(da infoaut.org) 16.07.2009 Onda vs Rewind. Terminato il tribunale del riesame a Torino: il pm Sparagna delira!

I meridionali emigrano ancora al Nord in cerca di lavoro

Un "caso unico in Europa" secondo il rapporto Svimez sull'economia del Mezzogiorno
Scelgono di spostarsi soprattutto laureati "eccellenti" e "pendolari di lungo raggio
"

Napolitano: per vera ripresa bisogna superare divario tra nord e sud, le istituzioni facciano di più

ROMA - Non hanno più la valigia chiusa con lo spago, ma i meridionali continuano a emigrare al Nord. Fenomeno che fa del Mezzogiorno italiano "un caso unico in Europa", in cui la carenza di domanda di professioni di qualità spinge i migliori "cervelli" a cercare fortuna al Centro-Nord. E' quanto segnala il rapporto sull'economia del Mezzogiorno 2009 dello Svimez, associazione per lo sviluppo dell'industria nel Mezzogiorno.
Napolitano: "Istituzioni facciano di più". In un messaggio inviato allo Svimez, il presidente della Repubblica sottolinea che deve crescere nelle istituzioni, così come nella società, la coscienza che il divario tra Nord e Sud deve essere corretto e superato. "La crisi economica rafforza il convincimento che una prospettiva di stabile ripresa del processo di sviluppo debba essere fondata sul superamento degli squilibri territoriali, necessario per utilizzare pienamente tutte le potenzialità del nostro Paese", afferma Napolitano. Il lavoro della Svimez, prosegue il capo dello Stato, "offre un contributo importante allo sviluppo di un confronto nazionale".

Italia divisa in due. L'Italia, si legge nello studio, "continua a presentarsi come un paese spaccato in due sul fronte migratorio: a un Centro-Nord che attira e smista flussi al suo interno, corrisponde un Sud che espelle giovani e manodopera senza rimpiazzarla con pensionati, stranieri o individui provenienti da altre regioni". Inoltre, i posti di lavoro del Mezzogiorno, in particolare, "sono in numero assai inferiore a quello degli occupati. Ed è la carenza di domanda di figure professionali di livello medio-alto a costituire la principale spinta all'emigrazione".

In dieci anni partiti in 700mila. Tra il 1997 e il 2008 circa 700mila persone hanno abbandonato il mezzogiorno. Nel solo 2008 sono oltre 122mila i residenti delle regioni meridionali partiti verso il Centro-Nord a fronte di un rientro di circa 60 mila persone. Oltre l'87% delle partenze ha origine da Puglia, Sicilia e Campania. In quest'ultima regione si registra l'emorragia più forte (-25 mila), a seguire Puglia e Sicilia rispettivamente con 12.200 e 11.600 unità in meno.

Pendolari di lungo raggio. Da considerare anche il fenomeno dei "pendolari di lungo raggio" che nel 2008 sono stati 173mila, 23mila in più rispetto al 2007. Persone residenti nel Mezzogiorno ma con un posto di lavoro al Centro-Nord o all'estero, "cittadini a termine", come li definisce lo Svimez, che rientrano a casa nel week end o un paio di volte al mese. Si tratta di giovani con un livello di studio medio-alto: l'80% ha meno di 45 anni e quasi il 50% svolge professioni di livello elevato, il 24% è laureato.

Cittadini a termine. "Non lasciano la residenza - sottolinea la ricerca - generalmente perché non lo giustificherebbe né il costo della vita nelle aree urbane né un contratto di lavoro a tempo. Spesso sono maschi, single, dipendenti full time in una fase transitoria della loro vita, come l'ingresso o l'assestamento nel mercato del lavoro". Le regioni che attraggono maggiormente questo genere di pendolari sono Lombardia, Emilia-Romagna e Lazio.

Le matricole scelgono gli atenei al nord. Rispetto ai primi anni 2000 sono aumentati i giovani meridionali trasferitisi al Centro-Nord dopo il diploma che si sono laureati lì e lavorano lì, mentre sono diminuiti i laureati negli atenei meridionali in partenza dopo la laurea in cerca di lavoro.

I laureati "eccellenti" abbandonano il Sud. In vistosa crescita le partenze dei laureati "eccellenti": nel 2004 se ne andava il 25% dei laureati meridionali con il massimo dei voti; tre anni più tardi la percentuale è balzata a quasi il 38%. Fenomeno, quest'ultimo, che si spiega con il fatto che la mobilità geografica Sud-Nord permette una mobilità sociale. I laureati meridionali che si spostano al Centro-Nord vanno infatti incontro a contratti meno stabili rispetto a chi rimane, ma a uno stipendio più alto. Il 50% di quelli che restano nel Mezzogiorno non arriva a 1000 euro al mese, mentre il 63% di quelli che sono partiti dopo la laurea guadagna tra 1000 e 1500 euro e oltre il 16% più di 1500 euro.

da LaRepubblica

La giustizia con la divisa

Altro che giustizia eguale per tutti! Tre anni di reclusione per aver rubato un pacco di biscotti (prezzo un euro e 29 centesimi); 2 anni e 8 mesi a un «ladro» di 74 anni per il furto di un etto di prosciutto. Tre anni e 6 mesi per i poliziotti che hanno ucciso, a colpi di manganellate, Federico Aldrovandi; sei anni per l'agente di polizia che ha spezzato la vita di Grabriele Sandri.
In carcere chi viola la legge per fame; a piede libero chi tronca la vita con una violenza inaudita.
Sentenze emesse «in nome del popolo italiano», mentre la maggioranza parlamentare approvava una legge che, tra le altre nefandezze giuridiche e sociali, punisce con 5 anni di carcere i migranti che non ottemperano all'ordine di espulsione; allunga fino a 6 mesi la detenzione amministrativa; modifica (creando nuovi reati e nuove aggravanti) intere parti del codice penale. Il carcere, ne siamo sempre più convinti, deve essere l'extrema ratio. Ma per tutti; non solo per i potenti o per chi indossa una divisa. E, invece, assistiamo, quotidianamente, a una progressiva, quasi inarrestabile, china discendente della nostra civiltà giuridica e della nostra cultura democratica.
Come è possibile considerare colposo (cioè dovuto a imprudenza, negligenza o imperizia) un omicidio da parte di chi, agente di polizia, freddamente, impugna la pistola, la punta e spara mirando un ragazzo seduto in auto? E come si può parlare di eccesso colposo in legittima difesa in un caso, come quello di Federico Aldrovandi, in cui più poliziotti hanno infierito con violenza inaudita sul suo corpo? La regressione è intollerabile. La giustizia, giorno dopo giorno, ritorna ad essere forte con i deboli e debole con i forti.
Anche altro ci deve far riflettere. Dopo la sentenza per la morte di Aldrovandi, i suoi amici e i suoi genitori si sono abbracciati; «volevo che a mio figlio fossero restituiti giustizia e dignità» ha detto il padre di Federico. Del tutto diversa la reazione degli amici di Gabriele Sandri. Insulti ai giudici; il Tribunale e le piazze trasformate in curve da stadio (violente e razziste, non quelle di una sana tifoseria). Eppure sia Federico che «Gabbo» sono vittime della stessa violenza e di una analoga ingiustizia. Ma ben diverse sono state le reazioni. Da un lato chi, come gli amici di Federico, crede in una giustizia che non deve mai trasformarsi in vendetta; dall'altro, chi, invece, pensa alla giustizia (e alla pena) come strumento di vendetta («gli ultras hanno voglia di vendetta», titolava ieri un autorevole quotidiano).
Una ultima considerazione, a proposito di giustizia ed eguaglianza. Forti, e del tutto condivisibili, sono state le proteste, a sinistra e nel centrosinistra, per l'approvazione del pacchetto sicurezza. Ma molti sono stati i silenzi: basti pensare, ad esempio, ai voti favorevoli, anche nel centrosinistra, alla reintroduzione del reato di «oltraggio a Pubblico Ufficiale». Eppure bastava leggere le parole della Corte costituzionale per opporsi al ripristino di un reato che, ripetutamente, la stessa Corte aveva espressamente invitato ad eliminare dal nostro ordinamento penale, onde evitare censure in relazione a vari articoli della Costituzione, tra cui principalmente, ma non solo all'art. 3, che sancisce il principio per cui tutti i cittadini sono eguali davanti alla legge. I giudici delle leggi, oltre vent'anni fa, aveva detto che tale reato era «espressione di una concezione autoritaria, non consona alla tradizione liberale italiana né a quella europea», e aveva evidenziato come «questo unicum, generato dal codice Rocco» era il prodotto della concezione dei rapporti tra pubblici ufficiali e cittadini tipica dell'ideologia fascista e quindi «estranea alla coscienza democratica instaurata dalla Costituzione repubblicana». La Corte non si era limitata, però, a chiedere espressamente al parlamento l'eliminazione di tale fattispecie penale dal nostro codice, ma - caso rarissimo - aveva autonomamente diminuito la pena allora prevista (massimo 2 anni di reclusione). Ebbene, con il recente pacchetto sicurezza, la pena è stata addirittura aumentata (fino a tre anni di reclusione). Ecco perché, di fonte a decisioni che contrastano con princìpi fondamentali di uno stato di diritto, chi crede nella giustizia non può tacere ma deve usare tutti gli strumenti della democrazia per opporsi a un abisso che ricorda un passato che speravamo definitivamente tramontato.

da IlManifesto

Nardò, crisi giunta: Tolte le deleghe agli assessori


Ieri poco prima delle 13 il sindaco Antonio Vaglo ha richiesto e ottenuto la remissione delle deleghe da parte di tutti gli assessori neretini. Si tratta di una "rimodulazione dll'esecutivo per ridare slancio all'azione amministrativa" ha detto il sindaco. In poche parole è un "film" già visto, una formula classica per dire che c'è l'esigenza di ridistribuire le deleghe assessorili con alcuni cambiamenti in modo da frenare pressioni pervenutegli da alcune parti della coalizione.
A pagare le conseguenze di questa crisi potrebbero essere, in primis, due assessorati: Urbanistica e Ambiente e Lavori Pubblici. Il primo, retto da Mino Natalizio, verrà privato della gestione di Portoselvaggio che, come è noto, è richiesta dagli Uniti per Vaglio. Natalizio si oppone a qualsiasi ingerenza che voglia sfruttare le potenzialità del parco dal punto di vista economico/commerciale:"area naturale è e tale deve rimanere. E se ci sono debiti da pagare se li deve accollare il Comune".
Ma questa è una dichiarazione di intenti visto che, fino ad ora, tutto quel che è stato realizzato nel parco e per il parco è stato pagato da finanziamenti comunitari e regionali.
L'altro ridimensionamento potrebbe essere invece per Cosimo Caputo reo di non aver saputo seguire la parte tecnica del suo assessorato sui fronti che hanno fatto perdere la faccia a Nardò: la Nardò-Pagani e i lavori nel Centro storico.
Da oggi partono le consultazioni da parte del sindaco: sentirà tutte le parti politiche. Dopo di che dovrà varare il nuovo esecutivo. Le previsioni sono di farlo entro una settimana/dieci giorni: auguri!

PS. Voci riferiscono la possibilità che l'ex senatrice M.R.Manieri possa fare il vicesindaco... vedremo come andrà a finire!

POVERA NARDO'

Salerno: Istigazione all’odio razziale, in 4 alla sbarra

Insulti ai partigiani, esibizione del saluto romano, detenzione di armi bianche e manganelli, istigazione all’odio razziale: 4 giovani vicini al gruppo Forza Nuova rinviati a giudizio dal Gup Zarone. Il processo al via nel marzo 2010. Fiducioso il collegio difensivo: «Smonteremo l’intero castello accusatorio»…

Il quadro accusatorio a carico di 4 giovani vicino al gruppo “Forza Nuova”, Guido D’Amore, Vito Mercurio, Raffaele Marino e Luca Lezzi, ha indotto il Gup Dolores Zarone a rinviare a giudizio gli imputati.

I 4 incriminati si sarebbero resi protagonisti di diversi "misfatti". Il 25 aprile 2007, in occasione dei festeggiamenti della Liberazione, avrebbero appeso dei fantocci impiccati al balcone del palazzo dell’ex Procura di Cava de’Tirreni, con al collo cartelli con scritte contro i partigiani.

Nella notte tra il 12 ed il 13 giugno 2007, avrebbero fatto incursione all’interno del centro sociale “Asilo Politico” di Salerno, incendiando mobili e suppellettili e danneggiando l’impianto idrico, provocando così l’allagamento dei locali. Inoltre, durante alcune manifestazioni pubbliche, esibendo il saluto romano, avrebbero istigato all'odio razziale ed etnico. Nelle loro abitazioni sono state rinvenute armi bianche, manganelli e fionde.

Il processo nei confronti dei 4 giovani inizierà il 16 marzo 2010 dinanzi ai giudici della II Sezione penale del Tribunale di Salerno. «In quella sede - ha dichiarato l’avv. Giovine, che insieme a Ciliberti e Felice è parte del collegio difensivo - dimostreremo l’insussistenza del castello accusatorio, perché molte prove addotte dalla Procura sono del tutto insufficienti per determinare la responsabilità penale dei nostri assistiti».


http://www.arechi.it/default.php?cod=Cronaca&id=16418

da Antifa

La pazienza ha un limite - Alle coincidenze non crediamo più

E' stata approvata, 15 luglio, la mozione presentata da Rocco Buttiglione, presidente dell'UDC, che impegna il governo italiano a promuovere, con le opportune modalità di presentazione e supporto, una risoluzione delle Nazioni Unite che condanna l'uso dell'aborto come strumento di controllo demografico ed afferma il diritto di ogni donna a non essere costretta o indotta ad abortire, favorendo politiche che aiutino a rimuovere le cause economiche e sociali dell'aborto, altrimenti nota come "moratoria internazionale dell'aborto".Il documento delle Nazioni Unite condanna, senza espliciti riferimenti a paesi in particolare, tutte le pratiche di aborto selettivo, obbligato, imposto o indotto tuttora in vigore, ma nulla dice né relativamente alle diverse forme di contraccezione possibili né al reale accesso ai servizi di salute femminile da parte delle donne; non affronta neanche il nodo della maternità e di tutti i rischi ancora connessi al parto in ampia parte del mondo, e neppure prende seriamente in esame quella che, nelle intenzioni, è la questione centrale, vale a dire le cause sociali, culturali ed economiche che, attenzione, non obbligano le donne ad abortire, ma piuttosto impediscono loro di scegliere, nel ricco Occidente come nei paesi più poveri.
Non una parola su guerre, povertà o fame.
Temi di grande rilevanza e peso, ancora tutti "giocati" sui nostri corpi, in questa circostanza anche subdolamente: quale donna potrebbe non dirsi almeno sensibile alla questione dell'aborto selettivo, così come viene presentata, o non provare orrore sapendo che altre sono obbligate ad interrompere una gravidanza altrimenti desiderata?
Non è su questo terreno che va collocato il confronto, o lo scontro, piuttosto sono altre le considerazioni che è ragionevole fare, soprattutto alla luce di quanto emerso durante il dibattito parlamentare che ha preceduto l'approvazione della mozione e tenendo anche conto della settimana particolare che stiamo vivendo, dal G8 dell'Aquila all'approvazione del pacchetto sicurezza, passando per la cosiddetta sanatoria per le badanti, che, qui e una volta per tutte, vorremmo almeno definire come loro stesse chiedono, vale a dire assistenti familiari.
Non è probabilmente casuale che la presentazione del testo di moratoria, e relativa approvazione, sia avvenuta a pochi giorni dall'incontro tra il presidente degli Stati Uniti Barak Obama e Benedetto XVI, terminato appunto con l'impegno, da pare di Obama, a far diminuire gli aborti in America.
Il colloquio tra i due è stato infatti richiamato, ovviamente a sostegno delle proprie posizioni, nelle dichiarazioni di voto di Buttiglione e del cofirmatario della mozione, Lucio Barani, capogruppo del Pdl in commissione Affari Sociali della Camera ed esponente del Nuovo Psi, nonché promotore nel comune di Aulla, in provincia di Massa Carrara, della statua dedicata a Bettino Craxi...e tra i redattori del testo sul testamento biologico.
Vale la pena di entrare nello specifico e citare qualche passaggio, ricordando che la mozione è stata approvata con il voto favorevole della teocon Paola Binetti e di altri compagni di gruppo e l'astensione, non l'opposizione, di PD e IdV. Da sottolineare come il centro sinistra abbia sì presentato due testi propri, che sono però molto simili, a parte il richiamo alla contraccezione, a quello di Buttiglione...
E quindi: Buttiglione si guarda bene dall'attaccare la legge 194, anzi, la fa propria esattamente per quanto riguarda il suo impianto politico generale, che il movimento delle donne ha sempre criticato, vale a dire il sostegno alla maternità, e non alla scelta, e il riconoscimento dell'obiezione di coscienza; passa poi a sostenere che il bambino esiste e ha diritto alla vita...d'altro canto Dio affida il bambino in modo così penetrante alla madre che è difficilissimo, forse impossibile, difendere il bambino contro la madre...bisogna difendere il bambino insieme alla madre, rafforzando l'alleanza tra la madre e il bambino e qui riconosciamo la struttura portante della legge 40 sulla fecondazione assistita, che proprio quell'alleanza ha rotto giuridicamente; infine Buttiglione si produce in una vera sciocchezza, affermando che dove cresce l'economia, dove cresce l'educazione e soprattutto l'educazione femminile e i tassi di scolarizzazione femminile, i tassi di natalità decrescono, quando tutti gli indicatori della Banca Mondiale e del Fondo Monetario sostengono esattamente il contrario...ma, evidentemente, educazione vuol dire lavoro e indipendenza e forse, al di là di quanti figli far fare a una donna, il problema è proprio questo: autonome vuol dire incontrollabili.
Uno sguardo alla dichiarazione di voto di Barani, anche questa di per sé eloquente: nell'equiparare nel corso di tutto il suo intervento aborto e pena di morte, come già Giuliano Ferrara lo scorso anno, ripete spesso, e giustamente..., che l'interpretazione della legge 194 ripetutamente formulata dalla Corte Costituzionale italiana è che l'interruzione volontaria della gravidanza sia da intendersi soltanto come risposta ad uno stato insuperabile di necessità e non come esercizio di un diritto di scelta della donna... e che, continua, la maternità ha un valore sociale legato alla tutela della vita umana fin dal suo inizio, tutela di cui Stato e individui si devono preoccupare. Riteniamo superfluo sottolineare come, in tale ottica, non sia assolutamente considerato non solo il concetto di autodeterminazione sul proprio corpo che le donne reputano fondamentale, essenziale e basilare, ma come ormai sia luogo comune quello della pretesa incapacità delle donne, che se non sono, letteralmente, assassine quanto meno hanno bisogno di un intero corpus sociale che dica loro cosa fare.
Questo passaggio è stato particolarmente applaudito dai deputati PdL e Lega.
Buttiglione e Baroni affermano entrambi che una cosa è il dibattito interno sul tema, tutt'altra la situazione dei paesi del "terzo mondo", quelli, per intenderci, da cui provengono le donne, e gli uomini, che per la legge italiana da ieri, 15 luglio, sono criminali per il solo fatto di esistere: clandestini.
Se per le donne europee e nord americane il lavoro è in qualche modo una conquista ed è piuttosto difficile immaginare di poter tornare indietro, come anche i due su citati devono a malincuore ammettere, d'altra parte il ruolo che alla donna viene richiesto di ricoprire al meglio è pur sempre quello tradizionale e il lavoro di cura, tutto legato alla sfera riproduttiva e familiare, è ancora, soprattutto, un "affare di donne", soprattutto tenendo conto del fatto che i servizi sul territorio diminuiscono o vengono ridimensionati drasticamente.
Si può fare riferimento ai tagli previsti dalla Gelmini per quanto riguarda il tempo pieno, ai nuovi piani sanitari che cancellano o ridefiniscono l'assetto di interi ospedali o ai consultori, che spesso funzionano solo grazie all'abnegazione del personale e che spesso rappresentano, soprattutto per le donne immigrate, una risorsa preziosa e irrinunciabile.
A sostegno indispensabile di un welfare precario, oggi ci sono in Italia 660.000 assistenti familiari regolarmente registrati, di cui l'87% donne, l'88% straniere e una stima di circa 500.000 che lavorano in nero: molto più colf che badanti, puliscono, stirano, cucinano, si occupano dei bambini e degli anziani non autosufficienti e si percepiscono più come persone della famiglia che come lavoratrici domestiche, spesso mettendo in gioco, al di là del loro tempo e disponibilità anche un di più di investimento emotivo che in qualche modo colma e ripaga del vuoto degli affetti lasciati nei paesi d'origine.
E' una "catena della cura" che ci coinvolge tutte e che deve cominciare a porre qualche problema, ad aprire qualche contraddizione: 500.000 persone, nella stragrande maggioranza donne, che sarebbero, come tutti gli altri, perseguibili per reato di clandestinità, se non si trattasse di utili schiave nelle nostre case, i cui corpi hanno anche un valore ulteriore, per lo stato italiano: 500 euro pro capite, non deducibili dalle tasse.
Il ddl anticrisi definisce i requisiti e tutte le procedure, tra cui spicca l'acquisizione necessaria del parere della Questura, art. 6, e la schedatura, art. 3 punto b.: utili sì, ma sotto stretto controllo.
La cosiddetta emersione è tutta nelle mani del datore di lavoro, italiano, che, almeno a quanto cominciano a raccontare gli operatori dei centri di assistenza e degli sportelli per gli immigrati, stanno per ora rispondendo in maniera molto semplice, e immediata: buttandole fuori di casa, senza preavviso, dalla sera alla mattina.
L'impianto è chiaro: chi serve in qualche modo rimane dentro, dopo averlo spremuto ancora un po', chi è fuori è preda. Guardie e ladri...
E allora proviamo a seguire il percorso, verosimile, di K., marocchina.
Si occupa di un anziano, 24 ore al giorno, ma non ha il permesso di soggiorno. Legge i giornali, guarda la televisione, si preoccupa. Si rivolge allo sportello migranti della città in cui vive e spiega poi ai suoi datori di lavoro che è possibile regolarizzarla senza rischi, ma la risposta è, testualmente: non abbiamo 500 euro da buttare!
K. è fuori casa, una busta di plastica in mano con dentro tutti i suoi vestiti. Ma K. è fortunata, perché ha un fratello e un posto dove andare. Il fratello, H. è sposato, un figlio in Marocco e uno in arrivo. Anche H. è senza documenti, una mansarda presa in affitto da un italianissimo speculatore.
La cognata di K. ha appena scoperto che sta per mettere al mondo un bastardo, si chiede come farà, lei clandestina, ad andare in ospedale a partorire o, peggio, a registrare la nascita del bambino. E' disperata, anche perché, se per miracolo il padrone di suo marito lo regolarizzasse, per far venire in Italia dal Marocco il primo figlio dovrebbero ottenere una certificazione da parte del Comune dell'idoneità abitativa dell'alloggio, ma la via crucis non finisce qui.... li aspetta anche il superamento di una prova di conoscenza della lingua italiana e il versamento di un contributo economico per ogni rilascio e rinnovo del permesso di soggiorno.
Ma K. e sua cognata sono donne di spirito e non si perdono d'animo: K. le dice che se le donne italiane andranno in pensione a 65 anni, per loro di lavoro, in qualche modo, ce ne sarà sempre!
Coincidenze?
Tutte le donne svolgono un doppio lavoro, uno retribuito e l'altro domestico, l'uno funzionale all'altro, e di quest'ultimo, che non ha confini fisici né limiti di orario, di mansioni o di età, si occupano per circa i 2/3 senza alcun aiuto da parte del compagno o marito, indipendentemente dal ricorso a colf o baby- sitter, dedicandovi, nell'arco della settimana, quasi lo stesso tempo che viene impegnato dal lavoro fuori casa.
E' evidente che non è possibile parlare di parità tecnica, come ha fatto Sacconi, tra uomini e donne.
Il piano prevede che l'età pensionabile delle donne nel pubblico impiego sia portata gradualmente a 65 anni. A partire dal prossimo anno per la pensione di vecchiaia per le donne il computo aumenterà di un anno ogni due anni, l'anno prossimo le donne del pubblico impiego potranno andare in pensione a 61 anni e l'equiparazione con gli uomini, l'uscita a 65 anni, si avrà nel 2018.
Quale discorso viene fatto relativamente alle enormi differenze dal punto di vista delle retribuzioni, dei percorsi professionali e delle tutele sociali che interessano le donne che lavorano? Viene posta la questione, centrale, dell'inconciliabilità tra i tempi di vita delle donne e le "esigenze" e i ritmi del mercato del lavoro? E soprattutto, che tipo di lavoro è quello che le donne dovrebbero svolgere fino a 65 anni?
Sono tutti spunti che vorremmo offrire ad una riflessione più ampia, certe che davvero di coincidenze non si tratti: l'ordine simbolico di riferimento è molto chiaro e vale per tutte e prevede che tutte le donne, come gli uomini, siano schiavi del lavoro salariato al servizio del capitale almeno fino a che, fisicamente e biologicamente ancora costituiscono, per il mercato, una risorsa e non un costo, ma le donne italiane lavoreranno fuori e dentro casa, almeno fino a che il primo figlio non le costringa, entro i due anni di vita del bambino o bambina, ad abbandonare il lavoro (20% del totale, dati Istat), mentre le donne immigrate, costantemente ricattabili e invisibili, andranno a svolgere tutti quei compiti che il welfare non sarà più in grado di assicurare. Le prime angeli del focolare, seppur a intermittenza, fuori e dentro dal mercato del lavoro, le seconde serve e basta...ma tutte, tutte sotto sorveglianza., in casa, al lavoro, in strada.
Le ronde non rispondono ad alcun bisogno di sicurezza, tanto meno delle donne, rappresentano solo l'aspetto più rozzo dell'esercizio di un controllo che ha bisogno di andare a cercare il mostro sempre altrove, salvo poi meravigliarsi, puntualmente, della sua normalità.
Il potere ha sempre lo stesso volto, e più nomi: patriarcato, capitalismo, razzismo...non può più esservi analisi che non li colleghi e non li legga insieme, riconoscendo la specificità di questa alleanza e dei suoi primi bersagli, le donne.
Donne che si muovono nel mondo più facilmente e frequentemente di quanto sia mai accaduto in precedenza, come sottolinea Barbara Ehrenreich, autrice di un importante studio sui fenomeni di migrazione femminile dal Sud al Nord del mondo, e che se per ora sembrano partecipare ad una sorta di catena globale dello sfruttamento, possono proprio in essa trovare le risorse per sottrarvisi ed opporsi, insieme.

Le compagne del Csoa Askatasuna
Collettivo femminista rossefuoco

da Infoaut

Falcone e Borsellino, inchieste riaperte caccia ad un agente segreto sfregiato

Ripartono le indagini sulle stragi di mafia. Sullo sfondo dell'intrigo
gli 007: uno di loro era presente in parecchi luoghi dove esplosero le bombe


CALTANISSETTA - Nessuno conosce il suo nome. Tutti dicono però che ha "una faccia da mostro". è un agente dei servizi di sicurezza. Lo cercano per scoprire cosa c'entra lui e cosa c'entrano altri uomini degli apparati dello Stato nelle stragi e nei delitti eccellenti di Palermo.

Diciassette anni dopo si sta riscrivendo la storia degli attentati mafiosi che hanno fatto tremare l'Italia. Ci sono testimoni che parlano di altri mandanti, ci sono indizi che portano alla ragionevole convinzione che non sia stata solo la mafia a uccidere Falcone e Borsellino o a mettere bombe. É stata ufficialmente riaperta l'inchiesta su via Mariano D'Amelio. É stata ufficialmente riaperta l'inchiesta su Capaci. É stata ufficialmente riaperta anche l'inchiesta sull'Addaura, su quei cinquantotto candelotti di dinamite piazzati nel giugno dell'89 nella scogliera davanti alla casa di Giovanni Falcone. Una trama. Una sorta di "strategia della tensione" - questa l'ipotesi dei procuratori di Caltanissetta titolari delle inchieste sulle stragi palermitane - che parte dagli anni precedenti all'estate del 1992 e finisce con i morti dei Georgofili a Firenze e quegli altri di via Palestro a Milano.

Gli elementi raccolti in questi ultimi mesi fanno prendere forma a una vicenda che non è circoscritta solo e soltanto a Totò Riina e ai suoi Corleonesi, tutti condannati all'ergastolo come esecutori e mandanti di quelle stragi. C'è qualcosa di molto più contorto e di oscuro, ci sono ricorrenti "presenze" - indagine dopo indagine - di agenti segreti sempre a contatto con i boss palermitani. Tutti a scambiarsi di volta in volta informazioni e favori, tutti insieme sui luoghi di una strage o di un omicidio, tutti a proteggersi gli uni con gli altri come in un patto di sangue.

I procuratori di Caltanissetta - sono cinque che indagano, il capo Sergio Lari, gli aggiunti Domenico Gozzo e Amedeo Bertone, i sostituti Nicolò Marino e Stefano Luciani - hanno già ascoltato Vincenzo Scotti (ministro degli Interni fra il 1990 e il 1992) e l'allora presidente del Consiglio (dal giugno 1992 all'aprile 1993) Giuliano Amato per avere anche informazioni che nessuno aveva mai cercato. Su alcuni 007. Primo fra tutti quell'agente con la "faccia da mostro".
É uno dei protagonisti dell'intrigo. Un'ombra, una figura sempre vicino e intorno a tanti episodi di sangue. Il suo nome è ancora sconosciuto, di lui sa soltanto che ha un viso deformato. In tanti ne hanno parlato, ma nonostante quella malformazione - segno evidente per un facile riconoscimento - nessuno l'ha mai identificato. Chi è? Gli stanno dando la caccia. Sembra l'uomo chiave di molti misteri palermitani.

Il primo: l'attentato del 21 giugno del 1989 all'Addaura. C'è la testimonianza di una donna che ha visto quell'uomo "con quella faccia così brutta" vicino alla villa del giudice Falcone, poco prima che qualcuno piazzasse una borsa sugli scogli con dentro la dinamite. Qualcuno? Sull'Addaura c'è a verbale anche il racconto di Angelo Fontana, un pentito della "famiglia" dell'Acquasanta, cioè quella che comanda in quel territorio. Fontana rivela in sostanza che i mafiosi dell'Acquasanta quel giorno si limitarono a "sorvegliare" la zona mentre su un gommone - e a bordo non c'erano i mafiosi dell'Acquasanta - stavano portando i cinquantotto candelotti sugli scogli di fronte alla casa di Falcone.

Un piccolo "malacarne" della borgata - tale Francesco Paolo Gaeta - assistette casualmente alle "operazioni". Fu ucciso a colpi di pistola qualche tempo dopo: il caso fu archiviato come un regolamento di conti fra spacciatori. Dopo il fallito attentato, a Palermo fecero circolare le solite voci infami: "É stato Falcone a mettersi da solo l'esplosivo". Il giudice, molto turbato, disse soltanto: "Sono state menti raffinatissime". Già allora, lo stesso Falcone aveva il sospetto che qualcuno, dentro gli apparati, volesse ucciderlo.
Ma l'uomo con "la faccia da mostro" fu avvistato anche in un altro angolo di Palermo, un paio di mesi dopo. Un'altra testimonianza. Confidò il mafioso Luigi Ilardo al colonnello dei carabinieri Michele Riccio: "Noi sapevamo che c'era un agente a Palermo che faceva cose strane e si trovava sempre in posti strani. Aveva la faccia da mostro. Siamo venuti a sapere che era anche nei pressi di Villagrazia quando uccisero il poliziotto Agostino".

Nino Agostino, ufficialmente agente del commissariato San Lorenzo ma in realtà "cacciatore" di latitanti, fu ammazzato insieme alla moglie Ida Castellucci il 5 agosto del 1989. Mai scoperti i suoi assassini. Come non scoprirono mai come un amico di Agostino, il collaboratore del Sisde Emanuele Piazza (anche lui cacciatore di latitanti) fu strangolato dai boss di San Lorenzo. Una soffiata, probabilmente. Il confidente Ilardo ha parlato anche di lui. E poi ha raccontato: "Io non so per quale ragione i servizi segreti partecipavano a queste azioni... forse per coprire determinati uomini politici che avevano interesse a coprire determinati fatti che erano successi, mettendo fuori gioco magistrati o altri uomini politici che volevano far scoprire tutte queste magagne". Un'altra testimonianza ancora viene da Vincenzo Agostino, il padre del poliziotto ucciso: "Poco prima dell'omicidio di mio figlio vennero a casa mia a Villagrazia di Carini due uomini che si presentarono come colleghi di Nino, uno aveva un viso orribile...".

L'ultimo a parlare dell'agente segreto con "la faccia da mostro" è stato Massimo Ciancimino, il figlio di don Vito, sindaco mafioso di Palermo negli anni '70. Ai procuratori siciliani ha spiegato che quell'uomo era in contatto con suo padre da anni. Fino alla famosa "trattativa", fino a quell'accordo che Totò Riina voleva raggiungere con lo Stato italiano per "fermare le stragi". Un baratto. Basta bombe se aboliscono il carcere duro e cancellano la legge sui pentiti, basta bombe se salvano patrimoni mafiosi e magari decidono la revisione del maxi processo.

Ma Massimo Ciancimino non ha rivelato solo gli incontri di suo padre con l'agente dal viso sfigurato. Ha parlato anche di un certo "signor Franco" e di un certo "Carlo". Forse non sono due uomini ma uno solo: un altro agente dei servizi. Uno con il quale il vecchio don Vito aveva un'intensità di rapporti lontana nel tempo. "Fu lui - sono parole di Ciancimino jr - a garantire mio padre, rassicurandolo che dietro le trattattive, inizialmente avviate dal colonnello dei carabinieri Mario Mori e dal capitano Giuseppe De Donno, c'era un personaggio politico". Di questo "signor Franco" o "Carlo", Massimo Ciancimino ha fornito ai procuratori indicazioni precise. E anche un'agenda del padre con i loro riferimenti telefonici.

Un ultimo capitolo di questi intrecci fra mafia e apparati è affiorato dalle ultime indagini sull'uccisione di Paolo Borsellino. Un pentito (Gaspare Spatuzza) ha smentito il pentito (Vincenzo Scarantino) che 17 anni fa si era autoaccusato di avere portato in via D'Amelio l'autobomba che ha ucciso il procuratore e cinque poliziotti della sua scorta. "Sono stato io, non lui", ha spiegato Spatuzza, confermando comunque in ogni dettaglio la dinamica dei fatti e svelando che Falcone - prima di Capaci - sarebbe dovuto morire a Roma in un agguato. Le armi, fucili e pistole, a Roma le aveva portate lui stesso. Dopo un anno di indagini i magistrati di Caltanissetta hanno accertato che Gaspare Spatuzza ha detto il vero e Vincenzo Scarantino aveva mentito. Si era inventato tutto. Qualcuno lo aveva "imbeccato". Chi? "Qualcuno gli ha messo in bocca quelle cose per allontanare sospetti su altri mandanti non mafiosi", risponde oggi chi indaga sulla strage.

Un depistaggio con frammenti di verità. Agenti segreti e scorrerie in Sicilia. Poliziotti caduti, omicidi di inspiegabile matrice. Boss e spie che camminano a braccetto. Attentati, uno dopo l'altro: prima Falcone e cinquantaquattro giorni dopo Borsellino. Una cosa fuori da ogni logica mafiosa. La tragedia di Palermo non sembra più solo il romanzo nero di Totò Riina e dei suoi Corleonesi.

da LaRepubblica di ATTILIO BOLZONI

MAFIA - ''Paolo sapeva di Stato e mafia''

Il fratello del giudice Borsellino: "E' morto perché conosceva il patto segreto tra cosche e Servizi''


http://tv.repubblica.it/copertina/paolo-sapeva-di-stato-e-mafia/35212?video

da La Repubblica