HOME       BLOG    VIDEO    EVENTI    GLI INVISIBILI    MUSICA    LIBRI    POLITICA LOCALE    POST PIU' COMMENTATI

mercoledì 9 dicembre 2009

LA BANCA RASINI.............

La Banca Rasini era una piccola banca milanese, nata negli anni ‘50 ed inglobata nella Banca Popolare di Lodi nel 1992. Il motivo principale della sua fama odierna è che tra i suoi clienti principali si annoveravano i criminali Pippo Calò, Totò Riina, Bernardo Provenzano (al tempo, uomini guida della Mafia) e l’imprenditore e uomo politico Silvio Berlusconi, il cui padre Luigi Berlusconi ivi lavorava come funzionario. Le dichiarazioni di Michele Sindona sulla Banca Rasini la fanno citare più volte da Nick Tosches, un giornalista del New York Times, nel suo libro I misteri di Sindona, e l’hanno resa nota tra gli studiosi internazionali che si occupano della storia della Mafia italiana.

Storia
La “Banca Rasini Sas di Rasini, Ressi & C.” viene fondata all’inizio degli anni ‘50 dai milanesi Carlo Rasini, Gian Angelo Rasini, Enrico Ressi, Giovanni Locatelli, Angela Maria Rivolta e Giuseppe Azzaretto. Il capitale iniziale è di 100 milioni di lire. Sin dalle sue origini la banca è un punto di incontro di capitali lombardi (principalmente quelli della nobile famiglia milanese dei Rasini, proprietaria del feudo di Buccinasco) e palermitani (quelli provenienti da Giuseppe Azzaretto, uomo di fiducia di Giulio Andreotti in Sicilia).

Nel 1970 Dario Azzaretto, figlio di Giuseppe, diviene socio della banca. Sempre nel 1970, il procuratore della banca Luigi Berlusconi (padre di Silvio Berlusconi) ratifica un’operazione destinata ad avere un peso nella storia della Rasini: la banca acquisisce una quota della Brittener Anstalt, una società di Nassau legata alla Cisalpina Overseas Nassau Bank, nel cui consiglio d’amministrazione figurano nomi destinati a divenire famosi, come Roberto Calvi, Licio Gelli, Michele Sindona e monsignor Paul Marcinkus.

Nel 1973 la Banca Rasini diviene una S.p.a., ed il controllo passa dai Rasini agli Azzaretto. Il Consiglio di Amministrazione della Banca Rasini S.p.a. è costituito da Dario e Giuseppe Azzaretto, Mario Ungaro (avvocato romano e noto amico di Michele Sindona e Giulio Andreotti), Rosolino Baldani e Carlo Rasini. Ma nel 1974, nonostante l’ottima situazione finanziaria della Banca Rasini (che nell’ultimo anno aveva guadagnato oltre un quarto del suo capitale), Carlo Rasini lascia la banca fondata dalla sua famiglia, dimettendosi anche dal ruolo di consigliere. Secondo gli analisti, le ragioni delle dimissioni di Carlo Rasini sono da cercarsi nella sua mancanza di fiducia verso il resto del Consiglio di Amministrazione, e degli Azzaretto in particolare.

Sempre nel 1974, Antonio Vecchione diviene Direttore Generale, ed in soli dieci anni il valore della banca esplode, passando dal miliardo di lire nel 1974 al valore stimato di circa 40 miliardi di lire nel 1984.

Il 15 febbraio 1983 la Banca Rasini sale agli onori della cronaca, per via dell’”Operazione San Valentino”. La polizia milanese effettua una retata contro gli esponenti di Cosa Nostra a Milano, e tra gli arrestati figurano numerosi clienti della Banca Rasini, tra cui Luigi Monti, Antonio Virgilio e Robertino Enea. Si scopre che tra i correntisti miliardari della Rasini vi sono Totò Riina e Bernardo Provenzano. Anche il direttore Vecchione e parte dei vertici della banca vengono processati e condannati, in quanto emerge il ruolo della Banca Rasini come strumento per il riciclaggio dei soldi della criminalità organizzata.

Dopo il 1983, Giuseppe Azzaretto cede la banca a Nino Rovelli. Nino Rovelli è un imprenditore (noto soprattutto per la vicenda Imi-Sir) e non ha esperienza nel settore bancario. Nelle inchieste tuttora in corso sulla Banca Rasini, Nino Rovelli è spesso considerato un uomo che ha coperto la vera dirigenza della banca fino al 1992. Tuttavia, non esistono evidenze al riguardo, né ipotesi sui nomi dei veri amministratori della Banca.

Nel 1992 la Banca Rasini viene inglobata nella Banca Popolare di Lodi, ma è solo nel 1998 che la Procura di Palermo mette sotto sequestro tutti gli archivi della banca. I giudici di Palermo, anche a seguito delle rivelazioni di Michele Sindona (intervista del 1985 ad un giornalista americano, Nick Tosches) e di altri “pentiti”, indicano la stessa banca Rasini come coinvolta nel riciclaggio di denaro di provenienza mafiosa. Tra i correntisti della banca figurava anche Vittorio Mangano, il mafioso che lavorò come fattore nella villa di Silvio Berlusconi dal 1973 al 1975.

Legami con la Mafia
La Banca Rasini deve la sua fama tra gli studiosi della storia d’Italia soprattutto alle dichiarazioni di Michele Sindona del 1984. Quando il giornalista del New York Times, Nick Tosches, chiese a Sindona (poco prima della misteriosa morte di quest’ultimo): «Quali sono le banche usate dalla mafia?». Sindona rispose: «In Sicilia il Banco di Sicilia, a volte. A Milano una piccola banca in Piazza dei Mercanti». In effetti, le indagini successive alla retata dell’Operazione San Valentino dimostrarono ampiamente il ruolo della Banca Rasini nel riciclaggio dei soldi della mafia, ed i contatti dell’istituto coi più alti vertici mafiosi. Il Commissario di Polizia Calogero Germanà ha ipotizzato che l’istituto, al pari della Banca Sicula di Trapani, fosse uno dei centri per il riciclaggio del denaro sporco di Cosa Nostra.

Legami con la famiglia Berlusconi
Tra i personaggi famosi con cui la Banca Rasini ebbe dei legami va citato l’imprenditore e uomo politico Silvio Berlusconi. Il padre di Silvio Berlusconi, Luigi Berlusconi fu prima un impiegato alla Rasini, quindi procuratore con diritto di firma, ed infine assunse un ruolo direttivo all’interno della stessa. La Banca Rasini, e Carlo Rasini in particolare, furono i primi finanziatori di Silvio Berlusconi all’inizio della sua carriera imprenditoriale. Silvio e suo fratello Paolo Berlusconi avevano un conto corrente alla Rasini, così come numerose società svizzere che possedevano parte della Edilnord, la prima compagnia edile con cui Silvio Berlusconi iniziò a costruire la sua fortuna.

La Banca Rasini risulta anche nella lista di banche ed istituti di credito che gestirono il passaggio dei finanziamenti di 113 miliardi di lire (equivalenti ad oltre 300 milioni di euro nel 2006) che ricevette la Fininvest, il gruppo finanziario e televisivo di Berlusconi, tra il 1978 ed il 1983.

Il giornale inglese The Economist cita ripetutamente la Banca Rasini nel suo noto reportage su Silvio Berlusconi, sottolineando come, ad avviso dei recensori del reportage, Berlusconi abbia effettuato transazioni illecite per mezzo della banca. È stato infatti accertato che Silvio Berlusconi ha registrato presso la banca ventitré holding come negozi di parrucchiere ed estetista. Anche per fare chiarezza su questi fatti nel 1998 l’archivio della banca è stato messo sotto sequestro.

fonte - http://l0cutus.wordpress.com/2009/10/10/banca-rasini-wikipedia-tag-berlusconi-banca-mafia/

Difendi la PUGLIA MIGLIORE

Sabato mattina 12 Dicembre a Bari ore 10.00 manifestazione a sostegno di Nichi Vendola


L'appuntamento con il popolo di Nichi è per sabato mattina 12 Dicembre al Teatro Kursaal Santa Lucia di Bari, ORE 10 Largo Adua, 5.
In queste settimane, il popolo pugliese ha preso la parola per sostenere la ricandidatura di Nichi Vendola.
In ogni comune di Puglia, in tutti gli eventi pubblici presenziati da Nichi e sul web si sono moltiplicate le mobilitazioni spontanee, gli appelli, l’apertura di gruppi e di Fabbriche.

E’ arrivato il momento di dare un segnale alle segreterie dei partiti, in Puglia e a Roma.
Sabato 12 Dicembre scendiamo in piazza a Bari per difendere la Puglia Migliore.

Lezioni dalla Puglia

Maksim Cristan è uno scrittore croato nato nel 1966. Nel 2001 è arrivato in Italia.

“Solo rendendo più facile la vita dei cittadini stranieri nel nostro paese, integrandoli a pieno titolo nella comunità, potremo combattere davvero l’illegalità e i fenomeni di irregolarità e clandestinità”. Con queste parole Elena Gentile, l’assessora alla solidarietà sociale e ai flussi migratori della Puglia, ha commentato l’approvazione della nuova legge regionale per l’accoglienza, la convivenza civile e l’integrazione degli immigrati.

Tra le novità, ci sono vari interventi per assicurare le cure sanitarie agli immigrati, scegliendo la via ordinaria dell’iscrizione di tutti gli stranieri (compresi quelli temporaneamente presenti) all’assistenza medica di base, tutto senza costi aggiuntivi.

La nuova legge prevede anche una serie di provvedimenti per contrastare gli abusi, i maltrattamenti, lo sfruttamento sessuale e lavorativo degli immigrati, per potenziare i servizi di mediazione linguistica, per assicurare il diritto allo studio ai bambini immigrati e per garantire agli immigrati regolarmente residenti la possibilità di accedere all’edilizia residenziale pubblica, con uguali diritti e opportunità dei cittadini italiani.

Che dire? Finalmente uno spiraglio di politica cosciente, che punta a rafforzare la legalità e le condizioni di vita degli immigrati, rendendo più stabile e integrata la vita di chi è in una situazione regolare e, in questo modo, contrastare il fenomeno della clandestinità. È esattamente l’opposto della politica del governo, che concentra le risorse sui respingimenti e le ronde contro i clandestini, “trascurando le condizioni di vita dei regolari e le politiche sociali per l’integrazione”, come fa notare l’assessora Gentile.

E infatti i rappresentanti del Popolo della libertà al consiglio regionale pugliese hanno votato contro la legge. Gli esponenti dell’Unione di centro invece si sono astenuti. Storicamente l’Udc ha un forte legame cristiano con i valori di “fratellanza tra i popoli, accoglienza, carità…”. Non mi resta che supporre che, per l’Udc, questi princìpi non fossero sufficientemente presenti nella legge. Maksim Cristan

da Inernazionale

E ora il popolo del No B. Day vuole querelare Vittorio Feltri

La manifestazione del 5 dicembre potrebbe avere un imprevedibile seguito in tribunale. È partita - da Facebook, ovviamente - una campagna per querelare il direttore del Giornale Vittorio Feltri, che all'indomani del No Berlusconi Day scrisse che i manifestanti erano «amici di Spatuzza».

«Se fossimo amici di Spatuzza», si legge nell'appello, «molto probabilmente saremmo Presidenti del Consiglio, mio caro Feltri.
Ora basta con l'informazione deviata e tendenziosa, ci siamo ROTTI di pagare le tasse per versarti i CONTRIBUTI PUBBLICI per poi essere diffamati. NOI NON SIAMO AMICI DI SPATUZZA. In Italia c'è il reato di diffamazione. Facciamoci valere. QUERELIAMO IL GIORNALE!».

Pochi giorni di tam tam e i membri del gruppo sono già quattromila. Nel frattempo è arrivata la disponibilità da parte del popolo delle Agende rosse a offrire gratuitamente supporto legale. Ora l'appello continua a circolare e i promotori puntano a «ottenere un risarcimento danni da devolvere poi ad associazioni anti-mafia». Non fosse altro che per questa ragione, c'è da augurarsi che abbiano successo.

da Indymedia

Africa, la nuova corsa all'oro


L'alto corso del metallo sul mercato globale favorisce la crescita del mercato illegale

di Matteo Fagotto
L'alto corso dell'oro sui mercati mondiali ha riportato in auge l'antico scontro tra compagnie minerarie e minatori illegali in Africa. Dal Ghana alla Tanzania, passando per il Sudafrica, le compagnie che hanno in concessione le maggiori miniere denunciano una crescita esponenziale del commercio illegale del prezioso minerale. E un allargamento del fenomeno anche al settore dell'esplorazione.
In Sudafrica sono chiamati zama-zama, in Ghana galamsey. In parte gente locale, in parte provenienti dai Paesi limitrofi, i minatori illegali operano generalmente attorno e ai margini delle miniere date in concessione alle grandi compagnie. In alcuni casi, come in Sudafrica, scavano tunnel sotterranei paralleli a quelli "legali" per raggiungere le zone aurifere; in altri casi, come per i depositi alluvionali, entrano nei siti durante la notte, spesso con la complicità delle forze di sicurezza, scomparendo la mattina. Quale che sia il loro metodo, i danni che provocano al settore sono ingenti, sottraendo fino al 15 percento dei depositi auriferi, che vengono poi immessi nel mercato legale attraverso intermediari.

Durante la guerra civile in Congo, i commercianti d'oro di stanza al confine con l'Uganda fecero affari d'oro, letteralmente. Ora tocca agli intermediari sudafricani e ghanesi fare la parte del leone in un commercio ravvivatosi negli ultimi mesi, anche grazie all'alto corso mantenuto dall'oro sui mercati globali a séguito della crisi economica mondiale. Ma il conflitto tra compagnie e minatori illegali si sta spostando anche ad altri mercati, primo fra tutti la Tanzania, diventata uno dei principali produttori di oro del continente. Alcune compagnie operanti nella regione di Mara, nel nord del Paese nei pressi del Lago Vittoria, denunciano l'entrata di centinaia di minatori illegali nei propri siti ogni giorno. Un'accusa però respinta dalle comunità locali, le quali sostengono di avere il diritto di cercare oro in una regione dove i cercatori tradizionali furono cacciati a forza dall'esercito in séguito alla privatizzazione delle concessioni, durante gli anni Novanta.

Ma sradicare il fenomeno dell'estrazione illegale rischia di rivelarsi più difficile del previsto. Non solo per la sua ampiezza e costante crescita, ma anche perché l'arrivo dei minatori illegali favorisce spesso una crescita economica che coinvolge la popolazione che gravita attorno alle miniere. Nel centro sudafricano di Barberton, nel nord est del Paese, i minatori illegali provenienti da Swaziland, Zimbabwe e Mozambico sono socialmente una spanna sopra agli altri, grazie agli ingenti proventi che l'attività garantisce (circa 1.000 euro al mese, una fortuna per gli standard locali), e che ha ricadute positive su negozi, alberghi e liquorerie dell'intera città. Ma come spesso succede, anche in questo caso un'attività del genere ha il suo risvolto della medaglia dal punto di vista sociale: a Barberton come a Welkom, un altro centro sudafricano dove i minatori illegali sono presenti in massa, si stanno moltiplicando le denunce per violenze nei confronti dei minori, spesso "venduti" come schiavi sessuali dalle proprie famiglie povere ai minatori. Alcuni di essi vengono condotti all'interno delle miniere, dove rimangono per mesi alla mercé dei lavoratori. Favorendo alla lunga l'emergere di problemi come gravidanze di minori e la diffusione dell'Aids.

Matteo Fagotto da PeaceReporter

FABRIZIO DE ANDRE' - SI CHIAMAVA GESU'



FABRIZIO DE ANDRE' - SI CHIAMAVA GESU'

Venuto da molto lontano
a convertire bestie e gente
non si può dire non sia servito a niente
perché prese la terra per mano
vestito di sabbia e di bianco
alcuni lo dissero santo
per altri ebbe meno virtù
si faceva chiamare Gesù.

Non intendo cantare la gloria
né invocare la grazia e il perdono
di chi penso non fu altri che un uomo
come Dio passato alla storia
ma inumano è pur sempre l'amore
di chi rantola senza rancore
perdonando con l'ultima voce
chi lo uccide fra le braccia di una croce.

E per quelli che l'ebbero odiato
nel getzemani pianse l'addio
come per chi l'adorò come Dio
che gli disse sia sempre lodato,
per chi gli portò in dono alla fine
una lacrima o una treccia di spine,
accettando ad estremo saluto
la preghiera l'insulto e lo sputo.

E morì come tutti si muore
come tutti cambiando colore
non si può dire non sia servito a molto
perché il male dalla terra non fu tolto

Ebbe forse un pò troppe virtù,
ebbe un nome ed un volto: Gesù.
Di Maria dicono fosse il figlio
sulla croce sbiancò come un giglio.

ANCORA UNA LETTERA DA PARTE DI GIOACCHINO BASILE RIVOLTA ALLE ISTITUZIONI

ANCORA UNA VOLTA APPARE CERTO L'INDEGNO SILENZIO MEDIATICO DEI NOTI SERVI DELL'INFORMAZIONE: PER LA DIFFUSIONE DI QUESTO DURO ATTO D'ACCUSA, CONFIDO MAGGIORMENTE SUGLI ONESTI DI QUESTO NOSTRO PAESE, OSTAGGIO DI "PENTITI" E SCIACALLI CHE DELLE STRAGI 1992 GODETTERO IL VANTAGGIO GIUDIZIARIO E POLITICO.
GRAZIE AI POCHI MA BUONI, CHE ATTRAVERSO LA DIFFUSIONE DELLA LETTERA - DENUNCIA AIUTERANNO LA VERITA AD EMERGERE, ANCHE SE QUESTA FA L'INTERESSE DI UN UOMO, CHE MOLTI DI NOI "POLITICAMENTE E MORALMENTE NON STIMIAMO.
GRAZIE
GIOACCHINO BASILE


Prima o poi arriva l’ora in cui bisogna prendere una posizione che non è sicura, nè conveniente, nè popolare, ma bisogna prenderla perché è giusta.
Martin Luter King

Al Presidente del Consiglio dei Ministri On. Silvio Berlusconi
Epc.

Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano

Presidente del Senato Renato Schifani

Presidente della Camera dei Deputati Gianfranco Fini

Presidente della Commissione Antimafia Giuseppe Pisanu

Procuratore Nazionale Antimafia Pietro Grasso

Mezzi d’informazione e tutti gl’indirizzi e-mail conosciuti dallo scrivente.

Signor Presidente del Consiglio dei Ministri, Silvio Berlusconi, dopo la missiva che Le ho inviato in data 10 giugno 2008, torno a scriverLe nella speranza che il suo senso dell’onore e la necessita di porre immediato riparo agli inquietanti scenari giudiziari che si deliniano contro la sua persona e contro la libera volontà democratica del popolo Italiano questa volta lo porti a reagire senza ulteriori indugi alla feccia “pentitistica” ed a “quei tristi convincimenti giudiziari” che posso dimostrare d’essere “la solida casa matta” di quegli imperscrutabili demoni, che farebbero arrossire di vergognosa ingenuità perfino i demoni di Fedor Dostoevskij!!!
La strage di via D’Amelio fù l’infamia statalista, che realizzò le uniche condizioni possibili per fare largo alle indegne omissioni della Procura di Palermo di cui il volto più visibile è l’attuale Procuratore aggiuntoVittorio Teresi: proprio quello che fra l’altro ha avuto recentemente anche il coraggio di scrivere : << E’ questo il periodo, breve ma intensissimo, in cui sono stato più vicino a Paolo Borsellino, la difficile stagione della Procura opaca, che avrebbe potuto produrre enormi risultati se si fosse avvalsa appieno della esperienza di Borsellino, ma che appariva frenata e lacerata, a causa di una dirigenza, che ritardava, frenava, ostacolava Paolo e lo teneva all’oscuro dei fatti maggiormente significativi, la stessa dirigenza che aveva mortificato la professionalità di Giovanni Falcone.>> è conclude scrivendo << Sono stato un “ragazzo di Paolo” solo per poco tempo, con lui in vita. Lo sono rimasto per sempre dopo la sua morte.>>
Signor Presidente, la strage di via D’Amelio è il nervo scoperto dell’infamia consociativa nella quale Lei, seppur ne godeva i vantaggi politici non aveva alcun ruolo istituzionale è decisionale.

Signor Presidente, in patriottica osservanza dell’art. 54 della nostra Costituzione, torno a scriverLe per informarla che al di là d’ogni ragionevole dubbio, posso dimostrare la logicità e piena fondatezza d’un velenoso sospetto che offre in pittorica visione un depistaggio istituzionale fondato sù quella tragicomica “trattativa” che dovrebbe crocifiggere Lei alla calunnia di questa ipotesi investigativa per stravolgere la democratica scelta elettorale degli italiani ed affondare le ragioni della verità che necessitò urgentemente della strage di via D’Amelio per i prossimi 20 anni, nella melma paludosa dei demoni, dei “pentiti”, dei convincimenti di Magistrati speriamo solo inadeguati e dello sciacallaggio politico che da destra a sinistra pur di cancellarlo dallo scenario del potere reale, lo vorrebbe eliminare anche fisicamente dalla faccia della terra.

Null’altro faccio che il mio patriottico diritto dovere dettato all’art.54 della Costituzione, quando affermo che il triste teatrino che emerge da fatti documentai e registrati in sede giudiziaria assume il volto del Procuratore Nazionale Antimafia Pietro Grasso.
La granitica base eziologia del mio motivato sospetto e la lucida nonchè logica cronologia che emerge dai fatti unitamente alle recenti tragicomiche e mai certe dichiarazioni pubbliche rese da Piero Grasso per accreditare “la trattativa” fra lo Stato e la feccia criminale, rendono grande dignità al sospetto che lo vede protagonista in questo triste scenario.

Il Procuratore Nazionale Antimafia, che con le sue pubbliche dichiarazioni ha fatto ridere la gente del nostro Paese ed ha tolto prestigio all’Onore della nostra Costituzione da molti anni sà benissimo che la strage di via D’Amelio realizzò l’urgente ed immediato interesse delle omissioni della Procura di Palermo che uccise i miei ed altrui sogni di libertà e seppellì il dossier mafia-appalti mentre il cadavere di Paolo Borsellino attendeva ancora degna sepoltura.

Signor Presidente Silvio Berlusconi, come può constatare la presente missiva è stata invita per conoscenza anche allo stesso Pietro Grasso, di cui non temo smentite e da cui anzi, mi aspetto la giusta reazione che nel suo interesse dovrebbe rendere onore ad una diversa verità: anche quella che potrebbe vestire lo scrivente nelle vesti di calunniatore. (sic.)

Preciso che, seppur tradito in modo ignobile da pezzi importanti della procura palermitana e forse non solo quella, il mio rispetto per l’Istituzione della Magistratura resta saldo, ma confermo che fino a quando non sarò audito con tutte le garanzie di legge dalla Commissione Antimafia, non accetterò alcun contatto con qualsiasi Magistrato per la totale sfiducia umana accumulata dentro l’animo mio, dopo ben 30 anni di tradimenti subiti ad opera dei noti demoni dell’inferno siciliano.
Di questa scelta, mi scuso fin d’adesso con tutti gli uomini e le donne della Magistratura del nostro Paese che operano con l‘adeguato Onore dei Giusti il loro ruolo Istituzionale
Signor Presidente, non c’è “pentito” che può calunniarmi, non esiste Magistrato che può screditarmi, sono pochi i politici che non si debbono vergognare per aver partecipato ignobilmente all’infame concerto del silenzio che dovrebbe uccidere i miei sogni di verità e giustizia.
Posso gridarlo forte; non c’è ragione che può mettere in discussione il mio patriottismo, ma c’è un’infernale sistema al quale sono costretto da 30 anni a soccombere. Quello che vede protagonisti i demoni che operano con l’indegna mafiosità del tradimento istituzionale e nella certezza d’esser protetti dal depistaggio editoriale e dal silenzio gestito dai potentati statali e privati e dai loro servi - professionisti dell’antimafia - che godettero i vantaggi stragisti del 1992.
Presidente, patriottismo significa difendere la nostra Costituzione anche quando si fà l’interesse personale, morale, culturale ed ideologico di quelli che sono molto distanti da noi.
Presidente, scrivo con la piena consapevolezza che adesso la mia vita è davvero al capolinea, ma scrivo altresì con la determinazione di quelle ragioni della libertà e della dignità umana, che non temono i tradimenti dei vili e l’infame potere di chi usa la legge contro la nostra Costituzione.
Concludo sfidando i miei convincimenti è sperando che essi per una volta nella vita siano sconfitti dall’alto senso dell’Onore Istituzionale e personale di cui Lei ed i destinatari di questa missiva spero vi renderete protagonisti per il bene del nostro Paese.
Cordialmente
Gioacchino Basile

Monfalcone lì 1 dicembre 2009

Che ne sarà del popolo viola?

di Andrea De Luca
Che ne sarà del popolo viola dopo la manifestazione di sabato a Roma? E' la domanda che mi pongo anche io in questo momento. Sabato la manifestazione, grazie alla potenza e all'impatto scaturito dalla rete, ha avuto una risposta impressionante nei numeri. E tralasciando la 'guerra di cifre' su quante persone c'erano, si deve riflettere però su un altra cosa, sul significato. Bisogna guardare alla qualità, non alla quantità. Mandare a casa Berlusconi è stato il desiderio di tutta quella gente che era presente sabato a Roma, che ne siano state 90.000 o 500.000 sinceramente non ci interessa più di tanto.In ogni caso c'è da dire che troppa gente si è stufata di Berlusconi ma anche del suo governo, incapace di reagire alla crisi economica e troppo radicato in pensieri e mosse di orientamento filo-fascista e xenofobo. Proprio per questo motivo, io credo che non ci si debba fermare al 5 dicembre. La gente che si è riversata in piazza sabato ha dato un chiaro segnale di risveglio. Se centinaia di migliaia di persone si radunano tutte insieme e protestano, un motivo ci sarà. Ed è un fatto positivo che fa sperare e, a mio parere, questo non deve essere un dettaglio, ma anzi un punto su cui riflettere e ripartire.Probabilmente l'hanno pensato anche gli organizzatori del No B Day. Infatti da oggi, su Facebook, è stata aperta la pagina 'Il popolo viola'. L'obiettivo principale rimane quello di chiedere le dimissioni di Berlusconi. Ma non solo. In questa pagina si vuole costruire un progetto (non un partito) di rinnovamento per il Paese a partire dalle proposte della gente comune. Non ci fermiamo. La rivoluzione viola deve continuare.

Fonte: http://andreainforma.blogspot.com/2009/12/che-ne-sara-del-popolo-viola.html