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mercoledì 12 agosto 2009

BASILE, NEL SILENZIO GLI AUGURI SCOMODI DI DON STEFANO

Il parroco di Ugento, a pochi giorni da Ferragosto, torna a parlare dello stallo totale sull'omicidio del consigliere. E in una lunga lettera chiede a Fitto di agire e agli assassini di pentirsi

UGENTO - “La voce del sangue di tuo fratello, grida a me dal suolo. Così parlò Dio a Caino e così parla a noi oggi che continuiamo a chiuderci nel silenzio e nell’indifferenza (… sono forse io il custode di mio fratello?, rispose Caino) circa l’efferato omicidio del carissimo Peppino Basile, nostro fratello e rappresentante di una istituzione”. E così parlò don Stefano Rocca, il parroco della chiesa di San Giovanni Bosco, ad Ugento che, a pochi giorni da Ferragosto, quando scoccherà il quattordicesimo mese senza notizie sul nome di chi abbia impugnato il coltello che trafisse più volte il consigliere comunale e provinciale dell’Idv, fino ad ucciderlo, formula i suo “auguri scomodi” alla politica salentina. E anche a chi quella mano ha usato ed eventualmente a chi l’ha armata. “Sono passati quattordici mesi e il suo delitto resta ancora avvolto in uno scandaloso mistero. Molte sono le orecchie da mercante. Numerose sono state le provocazioni lanciate in questi mesi e giorni: presentazioni di libri, lettere indirizzate a politici e presidenti vari. Mi chiedo – scrive do Stefano -, perché ancora oggi si preferisce tacere?”

“Perché questa morte ha provocato una sterile divisione, una rottura di rapporti sino a sfiorare persino condanne, querele e insulti poco edificanti come se fosse solo un “pallino” da parte di qualcuno? Perché ancora oggi, la morte assurda di un uomo è diventata una realtà che al solo parlarne provoca reazioni illogiche anche da parte di esponenti politici? Perché la morte di Peppino deve rimanere solo un triste evento che ha colpito la nostra città di Ugento e la nostra terra salentina? Perché su questa morte – si chiede ancora il parroco -, occorre “metterci una pietra sopra”?”

“No, non può essere così. Quanta tristezza alberga nel mio cuore e nel cuore di tutti coloro che da mesi e mesi invocano e gridano giustizia e verità per Peppino. Lo faremo senza mai stancarci. Abbiamo la fortuna di avere nell’ambito del governo nazionale un ministro, figlio della terra salentina (il riferimento è ovviamente a Raffaele Fitto, Ndr), che nei mesi scorsi abbiamo visto spesso presente nei nostri paesi per suffragare voti per il suo schieramento politico. Per questo non abbiamo niente d’ammonire. Però, perdonate anche noi, e non prendeteci per pazzi o per protagonisti o peggio ancora non schierateci come vostri nemici o avversari se continuamente vi chiediamo di aiutarci nella nostra ricerca della verità di un fatto così grave che sino ad oggi non conosce precedenti. Una cosa è certa – dice ancora don Stefano: - che se fosse accaduto ad uno di voi impegnato nella politica, ugualmente ci saremmo “fatti in quattro” affinché verità e giustizia venissero fuori”.

“La nostra “ battaglia” non è per quello e quell’altro colore politico, come purtroppo si crede, ma per un uomo massacrato, nostro fratello e figlio di Dio. Credo che solo “abbracciandoci insieme” come amava dire Don Tonino Bello – sottolinea il prete - , potremmo abbattere il muro della violenza e della inimicizia, e perseguire insieme i valori della giustizia e della verità, che insieme dovremmo ricercare. Come sarebbe benaccetto da parte di noi cittadini Ugentini, poter sentire dalle labbra del nostro ministro una parola di intercessione presso le più alte cariche dello stato affinché un tale delitto possa avere quanto prima una sua risoluzione, almeno per difendere un uomo politico, al di là del coloro partitico, eletto dal popolo. Come sarebbe bello che la richiesta della verità fosse invocata da tutti senza alcuna distinzione di colore partitico. Eppure… il sangue di tuo fratello grida a me dal suolo, ci ricorda Dio. Grida! Mi auguro che almeno le grida di Dio possiamo sentirle nel nostro cuore, visto che quelle di Peppino quella notte nessuno le ha ascoltate. Così dicono, purtroppo. Mi auguro che queste grida di Dio possano rimanere impresse nelle coscienze di ognuno, senza la tentazione di rimuoverle”.

“Mi auguro – conclude don Stefano - che qualora questa mia lettera capiti tra le mani di coloro che hanno commissionato e commesso questo atto efferato, possano sentire nel loro cuore la tristezza del peccato compiuto e nello stesso tempo la Misericordia di Dio che sarà tanto grande quanto grande sarà il pentimento. Sono questi i miei auguri scomodi per questo Ferragosto”.

da LeccePrima

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