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lunedì 10 agosto 2009

Le accuse di Tehran a Gran Bretagna e Usa

Un centinaio di imputati è comparso ieri davanti al tribunale di Tehran, per la seconda udienza di un inedito processo di massa per le proteste seguite alle contestate elezioni del 12 giugno scorso.
Una seconda fase con nuovi imputati e un’accusa specifica: noti giornalisti e dirigenti politici iraniani, una giovane ricercatrice francese e due iraniani impiegati rispettivamente dell’ambasciata britannica e di quella francese, sono accusati di spionaggio e di aver istigato le proteste d’intesa con potenze straniere per rovesciare la repubblica islamica in modo «soft».
La scena era molto simile a quella della prima udienza, una settimana fa: imputati con la divisa carceraria che sembra un pigiama grigio, nessun avvocato difensore, volti smagriti, deposizioni contrite. Tra gli imputati sono stati visti dirigenti politici come l’ex deputato della sinistra islamica Ali Tajernia, l’attivista Shahab Tabatabaì (capo della sezione giovanile della campagna per Mir Hosein Musavi, il principale candidato presidenziale riformista), e Javad Emaam, capo della campagna per Musavi a Tehran. E’ il gruppo che l’agenzia Fars ha definito «gli antagonisti e affiliati con i servizi stranieri» (prima c’erano stati «gli organizzatori del complotto», da ultimo verranno «gli hooligans» che hanno «disturbato la sicurezza pubblica»).
Tra loro anche Clotilde Reiss, 24 anni compiuti in carcere, arrestata il 1 luglio all’aeroporto: ricercatrice a Isfahan, ha ammesso di aver partecipato a manifestazioni e scattato foto poi inviate via e-mail agli amici, e anche «scritto un rapporto di una pagina inviato alla sezione culturale dell’ambasciata francese». Ha addotto «motivi personali: «Ma ammetto che è stato un errore», facendo appello al perdono.
Clemenza hanno invocato anche Hossein Rassam, analista politico dell’ambasciata britannica, e Nazak Afshar, impiegata a quella francese. Le loro confessioni sono più delicate, soprattutto quella di Rassam: ha detto che aveva un budget di 500mila dollari per stabilire contatti con gruppi politici, attivisti e persone inflienti, e aveva stabilito contatti anche con la campagna di Musavi; il suo compito, ha detto, era raccogliere informazioni da questi contatti a Tehran e altre città e mandare rapporti a Londra, che poi passavano anche a Washington.
Confessioni simili - e quelle di altri imputati, che hanno ammesso contatti con agenti americani - vanno a confermare la tesi dell’intero processo di massa: che la contestazione del voto e le proteste sono state parte di una cospirazione per rovesciare il regime, e che tale complotto era istigato da potenza straniere. L’atto d’accusa letto ieri è chiarissimo: Gran Bretagna e Stati uniti hanno fomentato i disordini per rovesciare il regime attraverso un «rivolgimento soft», ha detto il vice-procuratore capo Abdolreza Mohebbiati (citato dall’agenzia Fars); a questo scopo hanno anche dato assistenza finanziaria a ong e gruppi riformisti.
E’ il «teorema» del complotto straniero. L’Occidente ha cambiato tattica, ha detto il magistrato, ha sostituito il suo approccio militare con uno politico: non pianifica attacchi armati ma «progetti di regime change leggeri», rivoluzioni di velluto. In particolare, dice, l’amministrazione Usa ha organizzato un «programma di scambio», gestito da un ufficio a Dubai, attraverso cui giornalisti, accademici, intellettuali e artisti vengono invitati in Europa e in America e «addestrati» a raccogliere informazioni, creare siti web, diffondere opinioni contrarie al regime.
Se questa costruzione giudiziaria servirà a screditare l’opposizione riformista e chiudere la crisi è difficile dire. Ieri un gruppo di familiari di imputati che protestava davanti al tribunale è stato disperso dalla polizia con manganelli, riferisce il sito web riformista Mosharekat.
lontano dai riflettori, intanto, grandi cambiamenti sono in corso ai vertici militari e dell’intelligence, riferisce il sito Rooz online. Una settimana dopo aver destituito il ministro dell’intelligence Mohseni-Ezhei, il presidente ahmadi nejad ha rimosso due alti dirigenti dello stesso ministero, e numerosi capi della polizia in province dove si erano registrate proteste.

di Marina Forti da Il Manifesto

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