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mercoledì 26 agosto 2009

Il muro di gomma

I parenti degli eritrei morti nel Mediterraneo chiedevano da un mese informazioni sui loro congiunti, ignorati da tutti

La prima mail l'ha spedita il 31 luglio scorso. Al Consiglio dei rifugiati di Bonn, in Germania, dove vive da vent'anni. Suo fratello era partito dalla Libia soltanto tre giorni prima, eppure lei già presagiva che quel viaggio avrebbe potuto trasformarsi in tragedia.Da Tripoli le avevano detto tutti di non preoccuparsi, perché dal gommone avevano telefonato col satellitare il 29 luglio, verso le sette di sera, dicendo che vedevano già Malta all'orizzonte. Tuttavia su internet non c'erano notizie di sbarchi. E nemmeno di respingimenti. Lei glielo aveva sempre detto di non partire. Perché 16 anni sono troppo pochi per sfidare la morte attraversando il Mediterraneo. Gli aveva consigliato di chiedere asilo politico in Libia, ma lui si era scoraggiato. Le Nazioni Unite gli avevano dato appuntamento per il 10 gennaio del 2010, ma con le continue retate della polizia, un futuro in Libia era inimmaginabile. Ed era partito senza dirle niente. A Bonn non sapevano niente, così sempre più preoccupata, ha iniziato a contattare chiunque potesse darle informazioni sulla sorte del fratello. Nel giro di due settimane è arrivata fino al ministero dell'Interno maltese, ma senza risultati. La conferma l'ha avuta soltanto sabato. Dopo vari tentativi, è riuscita a parlare al telefono con uno dei cinque superstiti al centro d'accoglienza di Lampedusa, che suo fratello lo conosceva e come. Prima di partire, a Tripoli, vivevano nella stessa casa.

C'era anche lui sul gommone. L'hanno visto spegnersi lentamente, e poi l'hanno abbandonato in mare come tutti gli altri. Il dolore per il lutto, aggravato dal senso dell'ingiustizia, l'ha spinta a consegnarci una copia del fitto scambio di email che ha avuto nelle prime due settimane di agosto con varie associazioni e autorità a Malta e in Germania, che dimostrano come la notizia della presenza di questa imbarcazione alla deriva fosse filtrata attraverso vari canali fin dalla fine di luglio.
I primi contatti furono con gli eritrei a Malta. Sì perché a Malta correva voce che il tre agosto un eritreo avesse ricevuto una richiesta d'aiuto da un parente che viaggiava a bordo del gommone dei 78. Lo aveva chiamato col satellitare prima che le batterie del telefono si scaricassero definitivamente. A far perdere le tracce di questa pista fu il respingimento del 12 agosto. Un gommone con un'ottantina di persone a bordo era stato respinto in Libia dalla Marina italiana. Una donna somala che aveva partorito in mare era però stata trasferita in elicottero all'ospedale Mater Dei di Malta. Il numero di passeggeri, la posizione, la data, tutto faceva presupporre che fosse quello il gommone dove si trovava il fratello della signora. Nel carteggio spuntano una serie di mail scritte a partire dal 14 agosto proprio all'ospedale Mater Dei.

C'è anche una foto in allegato. La signora chiede di mostrarla alla donna ricoverata per chiederle se lo riconosce. La risposta è negativa. Il Consiglio dei rifugiati di Colonia allora scrive direttamente al ministro dell'Interno maltese. Risponde un funzionario dell'ufficio richiedenti asilo, che il 20 agosto alle 6:40 scrive "Come le ho detto al telefono non abbiamo avuto sbarchi tra il 25 luglio e il 12 agosto, pertanto sono sicuro che suo fratello non sia arrivato Malta". Il consiglio è di rivolgersi alla Croce rossa tedesca. Ma la signora lo ha già fatto, il 12 agosto. E l'ufficio per la ricerca delle persone scomparse di Monaco le ha detto che hanno girato la segnalazione a Malta e a Lampedusa senza risultati. Ma ormai è troppo tardi. Il giorno dopo infatti, sui quotidiani tedeschi campeggiano i titoli della strage a Lampedusa.

Prima di riagganciare il telefono, la signora mi chiede notizie sulla sorte delle salme dei naufraghi ripescate nel Canale di Sicilia. Difficilmente si ripescherà il corpo del fratello e difficilmente sarà identificabile. La famiglia tuttavia confida in una busta di plastica chiusa ermeticamente. Dentro c'è un biglietto di carta con su scritto il suo nome. Se lo era messo in tasca prima di partire, dicono gli amici rimasti a Tripoli. Un giorno i pescatori ritroveranno quella busta in mezza al pescato. E scuoteranno la testa pensando a quando il mare non assomigliava tanto alla morte.

di Gabriele Del Grande da PeaceReporter

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