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martedì 25 agosto 2009

La Fiat tira ma chiude a Imola sciopero della fame


Mentre - ieri mattina - il megapresidente Luca Cordero di Montezemolo assicurava ai giornali che «la proposta Fiat per Opel è ancora sul tavolo e sempre valida», un suo dipendente iniziava lo sciopero della fame contro la chiusura di uno stabilimento della galassia torinese. Guido, 51 anni, da nove operaio alla Case New Holland di Imola, non iscritto ad alcun sindacato, ha preso la propria decisione assicurando tutti i colleghi che da quel momento non avrebbe più lasciato il presidio davanti alla fabbrica.
C'è qualcosa di davvero stonato in questa Fiat a due velocità: da un lato il raider industriale in grado di proporsi come acquirente di marchi Usa mitici (Chrysler, ovvero anche Jeep e Dodge), di concorrenti europei (i tedeschi della Opel), di carrozzerie storiche (Bertone), e dall'altro il tagliatore rapido di interi stabilimenti quando la crisi si dimostra non momentanea. A Imola venivano costruite, tra l'altro, le ruspe Terna - un modello a tre funzioni, con pala meccanica sia davanti che dietro. Un modello che continuerà ad essere costruito - a parte un piccolo restyling - perché ha un mercato. Ma lo si farà a Lecce.
Nessun seguito concreto ha avuto, su questo fronte, il tavolo convocato a palazzo Chigi prima dell'estate per tutto il gruppo Fiat. Il «caso Cnh» era poi stato oggetto di un tavolo separato al ministero dello sviluppo economico. Lì la Fiat si era presentata con in mano l'avvio delle procedure per la cassa integrazione speciale per «cessazione di attività», indisponibile a discutere alcunché. Da parte del governo non si era presentato nessuno: solo qualche «tecnico» ministeriale, ovviamente non abilitato a prendere decisioni che sono eminentemente politiche.
Il presidio, nel frattempo, continua. Era corsa voce che l'azienda stesse per smantellare gli impianti e spostare altrove i macchinari. Per ora, però, il presidio lo impedirebbe. Il prodotto finito veniva invece stoccato altrove, a parte una trentina di mezzi pronti per la vendita.
L'inizio dello sciopero della fame alza naturalmente il tono della protesta. Qui -- diversamente dalla Innse -- non c'è una società fallita da tempo, ma un'azienda «che tira» nel suo complesso, anche se in difficoltà nel settore «macchine per movimento terra». Non si tratta perciò di «trovare un nuovo padrone», ma di mantenere questo personale nel perimetro aziendale esistente. Lo spiega con chiarezza Gianni Rinaldini, secondo cui «la Fiat dimostra un'arroganza senza precedenti: noi chiediamo che alla Cnh si attivi la cassa integrazione straordinaria per crisi di mercato, e che non venga concessa quella per cessazione di attività. Tutto questo nella logica della nostra richiesta più generale di blocco dei licenziamenti. E' importante anche che la famiglia Agnelli esca allo scoperto, sul tema dei capitali da investire e sul futuro degli stabilimenti italiani». Di certo, ne parleremo ancora.

da IlManifesto

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