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sabato 20 febbraio 2010

Tra razzismo di stato e razzismo democratico


Riflessioni verso il 1° Marzo

di Luca Manunza*
Il razzismo in primo luogo, rappresenta il modo in cui,

nell’ambito di quella vita che il potere ha preso in gestione,

è stato infine possibile introdurre una separazione,

quella tra cio che deve vivere e ciò che deve morire.

M. Foucault –Bisogna difendere la società-

Il cammino intrapreso alcuni mesi fa dai collettivi francesi verso “La journèe sans migrés” del prossimo primo marzo,la sua costruzione e la sua riproposizione in Italia nello specifico, da l’occasione di aprire un lungo e denso dibattito sulle “storie-migranti” dei due Paesi.

La loro se pur minima messa a confronto in qualche modo esprime lo stato dell’arte dei due Paesi Comunitari rispetto alla gestione governamentale del fenomeno migratorio.

Non è un caso, infatti, che in Francia sia stata scelta collettivamente la “soluzione” della “giornata senza migranti: ventiquattro ore senza di noi”, in chiave di sciopero, mentre in Italia si decideva di adottare un’inevitabile mutazione: “in una giornata di mobilitazione collettiva sul tema migrazioni, evitando di chiamarla e intenderla come sciopero, perché lo sciopero dei migranti qui in Italia non è possibile, i problemi che hanno i migranti francesi sono differenti dai nostri, è la loro posizione che gli permette di scioperare, se lo facessimo anche qui sarebbe un controsenso”, diceva Jon qualche settimana fa durante una delle assemblee organizzative tenutasi a Castel Volturno. Jon, in rappresentanza del tavolo migranti napoletano spiega bene la sua posizione: “in Francia le migrazioni hanno conosciuto percorsi differenti dai nostri e le loro battaglie, sono iniziate molti anni fa, la nostra è una lotta nuova, e poi lo sciopero lo fa chi ha un lavoro riconosciuto”. Leggendo il manifesto stilato dalle varie realtà territoriali francesi, il dibattito principale verte verso una critica alla annosa questione “identità nazionale” e “cultura”, proprio i due elementi cardine del discorso razzista oggi quanto mai visibile in svariate forme.

In Italia il dibattito è ancora aperto. La spinta verso la ricerca di una piattaforma collettiva di mobilitazione migrante in Italia è aperta da tempo, e sicuramente l’indignazione sui “fatti di Rosarno” , per quanto propulsiva rischia –a mio avviso- di non farci leggere in maniera analitico - pratica la se pur parziale situazione in merito a temi quali integrazione, razzismi, cultura, diversità e governo delle migrazioni. La migratologia e in agguato, e i presupposto culturali e scientifici per il suo fondamento ci sono tutti, sono le belle parole che devono qui far riflettere.

Accanto al primo aspetto rilevante “la dilagante manifestazione di razzismi” in Italia, si riapre come hanno recentemente osservato i vari relatori del seminario organizzati Uninomade, l’annoso tema delle mobilità umane, tema cruciale che lega i processi migratori alla formazione di vita associata degli esseri umani. Nel più dei casi, la letteratura a carattere storico politico articola i propri discorsi, trattando il tema delle mobilità umane
come fenomeni connessi a cause prettamente “strutturali”o raramente “politiche”. Letture tatticamente semplificate che tendono a caratterizzare il migrante come viandante, povero, bancarellaro, in conformità a semplici caratteristiche economiche, oppure cosa assai più rara, come migrante politico in fuga da guerre e persecuzioni.

E’ qui che il processo migratorio deve adeguarsi al pensiero di stato, ed è qui che la maggioranza dei migranti si trova già preventivamente assegnato a delle categorie già socialmente condivise nel paese d’arrivo. Ma c’è spesso chi rifiuta il posto assegnato, Rosarno ne è un esempio, Castel Volturno e le rivolte sulla Domiziana ne sono in qualche modo uno specchio.

Un rifiuto letto come deviante, al pari di chi non vuole dichiarare la propria identità, […]o di chi accumula “alias”, cioè il soggetto non tollerabile dalle autorità dello stato perché on previsto dalla norma che nomina, classifica, disciplina, “normalizza””. Ed è proprio sotto questa categorizzazione in devianza di “gesti politici” totali anch’essi, che si può intravedere la maglia dei razzismi, e provare a rileggerli in quanto tali, non cambiandone nome.

In tutto questo gioco di ruoli, il processo di destrutturalizzazion-e sociale e politica neo-liberale –che concede alcune libertà per poi subito dopo negarne altre- oltre a provocare l’escalation del sicuritarismo, attraverso una politica dell’inclusione fondata sull’esclusione, calmiera spesso i movimenti di cittadini migranti e non mobilitati verso la riappropriazione dei diritti di cittadinanza reali e totali, attraverso concessioni e piccole ipotetiche vittorie, in grado di rallentare i processi di cambiamento. La così detta formazione di vita associata citata in precedenza, s’incrocia ormai da decenni con la gestione di chi questa vita spesso la forma. Bisogna difendere la società rimane probabilmente ancora l’ordine strategico adottato dai governi per la gestione del “fatto sociale totale”.

Una piccola panoramica europea ne racconta le formule più o meno articolate: il modello tedesco del lavoratore ospite, quello anglosassone del melting pot , quello francese dell’assimilazionismo, o quello italiano, dato da un mix dei vari modelli. Pratiche positive dicono in molti, l’interculturalismo ad esempio in Italia è stato per anni utilizzato nelle agende politiche come soluzione ed è stato baluardo spesso anche dei movimenti.

Sono molte però le ricerche e le esperienze in merito, che mettono in luce come la definizione dei modelli e delle varie teorie forgiate dal “pensiero di stato”corrispondano –nonostante la loro post-modernità- al paradigma tradizionale di una sociologia etnocentrica, che rinvia al mito del positivistico “dell’integrazione sociale forgiato in base allo sviluppo dello stato-nazione della società industriale”.Il primo marzo appare un’occasione per ridiscutere i temi delle migrazioni, del lavoro e della crisi che racchiude a quanto pare, il primo marzo significa probabilmente confrontarsi nuovamente con il reale protagonismo dei migranti qui in Italia, troppo posti avvolte a margine anche da chi racconta di sposarne le loro vertenze. Il primo marzo sarà l’inizio forse di una rivoluzione? Speriamo di sì, e speriamo allo stesso tempo che nessun colore, compreso il giallo possa appannarla.

* Membro dell' URIT
“Unità di Ricerca sulle Topografie sociali”
Dipartimento di Sociolgia generale dell'Università degi Studi Suor Orsola Benincasa di Napoli

da GlobalProject

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