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sabato 20 febbraio 2010

Ancora minacce a Giulio Cavalli. E il rischio del silenzio


di Pietro Orsatti
Mi sto fumando una sigaretta sul balcone quando mi arriva un sms. “Un’altro proiettile, questa volta in via Lepontina.Ormai sto diventando un collezionista”. Mittente Giulio Cavalli. Continuano questi piccoli uomini senza coraggio, che siano mafiosazzi fatti e punciuti o emigranti di qualche ‘ndrina appassionati di cotolette panate e panettoni invece che di ‘nduia. Continuano a cercare di spaventare un giullare scomodo e testimone spietato di questo nostro Paese allo sfacelo. A quanta gente rompe le scatole Cavalli con le sue civilissime e oscenamente vere giullarate?La lista è davvero impressionante. Stiddari, picciotti, mezzi boss da operetta o pericolosissimi professionisti dell’intimidazione. O ancora peggio, invidiosi mestatori e imitatori del basso ventre politicante da provincia lumbard spaventati dalla tremenda nudità di questo ragazzo diventato uomo raccontando da un palcoscenico questa Italia dal ventre gonfio di affarucoli e inciuci.
Giù al nord la mafia non esiste, non c’è. Roba da terrun. Ma se il terrun porta sghei? E tanti, poi. Ai soldi non si chiede la certificazione antimafia. I soldi per quest’italietta crepuscolare non hanno peccato.
Questa sera avrei voluto scrivere di Achille Toro e del sottosegretario Cosentino. Avevo già tutti i miei appunti pronti sulla scrivania. Poi m’è venuta voglia di fumare una sigaretta in balcone. E il bip del cellulare. E eccomi qui a scrivere delle minacce a Giulio. Ancora una volta. Mentre tiro giù queste righe mi rendo conto che a tutti gli effetti scrivendo dell’ennesima intimidazione ricevuta dal mio amico, sto scrivendo di questo Paese, di come è ridotto, di come è stato stuprato da decenni di conflitti di interesse talmente diffusi da essere passati da sistema a prassi. Una prassi che non può essere incrinata da persone come Giulio che ne svelano la vera grottesca natura.
E c’è di peggio. Ci stiamo facendo l’abitudine. Alle minacce a Giulio e agli affaristi, ai servitori infedeli dello Stato, ai politici collusi con le mafie, ai premier che oggi promulgano regolamenti elettorali che se applicati a tempo debito avrebbero reso impossibile la loro candidatura.
Io non ci voglio fare l’abitudine a questo schifo. Voglio vivere in un Paese che possa sentire mio. Che sento profondameente mio. Come lo sente suo Giulio. E quei tanti invisibili che stanotte andranno a letto senza sentire i “ma va… ma va.. ma va” di Ghedini e neppure le banalità del Festival in onda sulla rete ammiraglia di Raiset.
Non ci sia silenzio. Non ci sia abitudine. Non oggi, non ora.

da AntimafiaDuemila

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