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sabato 31 ottobre 2009

Don Ciotti: ''Vicini alla famiglia di Stefano Cucchi. Ripensare a sistema carcerario''

Roma. «In questi giorni difficili siamo vicini alla famiglia di Stefano Cucchi» dice don Luigi Ciotti, presidente del Gruppo Abele e di Libera.
«La sua è una morte che non solo chiede verità, ma che impone a tutti una riflessione vera sulle implicazioni penali di certe norme di legge e sulle politiche carcerarie del nostro paese». Politiche che è necessario ripensare perché così come sono penalizzano l’intero mondo carcerario:«Le carceri non possono essere luogo di degradazione, contesti sovraffollati e fatiscenti dove la dignità e i diritti delle persone detenute e di chi ci lavora con grande impegno – agenti, educatori, insegnanti, personale medico, cappellani, volontari – vengono calpestati. Spazi destinati in massima parte ai poveri cristi: immigrati e tossicodipendenti», commenta il presidente del Gruppo Abele. «Nessuno vuole mettere in discussione il principio di responsabilità penale. Chi infrange la legge è giusto che paghi le conseguenze, anche se non va dimenticato che spesso abbiamo leggi a doppio registro, forti coi deboli e deboli coi forti. In nessun caso però la pena deve essere afflittiva, non deve dare alla privazione della libertà il sapore della sopraffazione. E’ il dettato della Costituzione a stabilirlo, nell’interesse di tutti: vittime e detenuti, personale carcerario e società intera».
Aggiunge don Ciotti: «Un carcere umano, capace di coniugare la pena con l’attenzione della persona, è un carcere che non riproduce e moltiplica la violenza ma permette a chi ha sbagliato di ricredersi e di risarcire materialmente e moralmente il danno e le ferite prodotte. C’è una legge nata da questa idea lungimirante di diritto, la Gozzini, poco o per nulla applicata. E non può essere una soluzione, come di recente prospettato, la costruzione di nuovi penitenziari. In una deriva dove i problemi sociali sono affrontati sempre più in un’ottica repressiva, più carceri significa semplicemente più detenzione».
«E’ necessaria una netta inversione di tendenza», conclude il presidente del Gruppo Abele. «Questo ci chiedono Stefano, Marcello, Federico, come i tanti, troppi casi di suicidio avvenuti nei nostri istituti penali. Percorrere una strada diversa, fatta di politiche sociali, di opportunità di lavoro, di reinserimento, di dignità. Nel segno di un diritto giusto e non afflittivo. Diritto che usa la pena per includere, riconoscere, responsabilizzare, che sa conciliare rispetto delle regole e attenzione alla persona».

Tratto da: facebook.com
da AntimafiaDuemila

3 commenti:

  1. ..quanti altri invisibili,dopo federico aldrovandi,aldo bianzino,stefano cucchi e non solo..dovranno morire prima che lo Stato se ne possa accorgere..ripensare al sistema carcerario non basta..perchè in nessun posto si è al sicuro dallo Stato!Non in un parco,dove passeggiava federico,non nella propria casa,dove viveva aldo,non in uno squallido obitorio dov'è finito stefano...
    la chiamavano giustizia...

    francesca

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  2. E' per questo che abbiamo creato la nostra petizione e invitiamo tutti a firmarla.

    Aiutaci a garantire l'effettiva applicazione dell'art. 27 Cost.(funzione rieducativa della pena)

    Per firmare clicca sul link o del comitato

    http://comitatoconcorsoeducatoridap.blogspot.com/

    o della petizione

    http://firmiamo.it/assumiamoivincitorieidoneiconcorsoeducatoricarceri


    A: al governo italiano
    Il grado di civiltà di una società si valuta dalle concrete possibilità, offerte a chi sbaglia, di recuperare. Non concedere una opportunità a chi ha sbagliato significa condannare l’uomo a non poter vivere da uomo, per sempre.

    L’art. 27 della nostra Costituzione sancisce che “le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato”.



    In palese, drammatica e vergognosa violazione di questo solenne principio si pone la situazione attuale delle carceri italiane, dove la carenza di personale specializzato nell’opera di rieducazione e reinserimento è, a dir poco, gravissima: per quasi 60mila persone detenute (la cifra è in costante aumento) si contano in tutto SOLO 660 educatori!



    Eppure, come è testimoniato dai risultati concreti raggiunti, i programmi di recupero sviluppati dai professionisti dell’area educativa creano numerose opportunità di inserimento, portando ad un abbattimento della recidiva di quasi il 90%!

    Inoltre, senza rieducazione, la sicurezza rischia di essere solo repressione, e tutti sappiamo come la pura repressione produca solo odio, rancore ed ostilità: terreno fertile per ogni tipo di criminalità.

    Al contrario, appare immediatamente evidente che solo una reale opera di rieducazione e reinserimento rappresenta il viatico autentico per una sempre maggiore sicurezza per tutto il consesso sociale.

    Questo i nostri Padri Costituenti hanno voluto porre come pietra miliare del vivere civile.

    In ragione della lampante inadeguatezza che emerge dalle cifre e, ben consapevoli che dietro ai numeri, purtroppo, ci sono tantissimi volti e storie di miseria e di dolore, chiediamo la tua firma perché tutti i Professionisti dell’Area Educativa (gli Educatori) vincitori ed idonei (circa 800) di un concorso durato cinque anni(!) possano immediatamente essere chiamati in servizio per cominciare (finalmente!) ad attuare la Costituzione, e porre fine ad uno scandalo che, oltre a gettare ombre cupissime sulla nostra civiltà, rappresenta per le spalle delle persone più deboli, giorno dopo giorno, un fardello sempre più pesante e disumano.



    Ora dipende da te: non puoi più dire che non sapevi!

    RispondiElimina
  3. petizione:

    Aiutaci a garantire l'effettiva applicazione dell'art. 27 Cost.(funzione rieducativa della pena)

    link firma:

    http://firmiamo.it/assumiamoivincitorieidoneiconcorsoeducatoricarceri


    A: al governo italiano
    Il grado di civiltà di una società si valuta dalle concrete possibilità, offerte a chi sbaglia, di recuperare. Non concedere una opportunità a chi ha sbagliato significa condannare l’uomo a non poter vivere da uomo, per sempre.

    L’art. 27 della nostra Costituzione sancisce che “le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato”.



    In palese, drammatica e vergognosa violazione di questo solenne principio si pone la situazione attuale delle carceri italiane, dove la carenza di personale specializzato nell’opera di rieducazione e reinserimento è, a dir poco, gravissima: per quasi 60mila persone detenute (la cifra è in costante aumento) si contano in tutto SOLO 660 educatori!



    Eppure, come è testimoniato dai risultati concreti raggiunti, i programmi di recupero sviluppati dai professionisti dell’area educativa creano numerose opportunità di inserimento, portando ad un abbattimento della recidiva di quasi il 90%!

    Inoltre, senza rieducazione, la sicurezza rischia di essere solo repressione, e tutti sappiamo come la pura repressione produca solo odio, rancore ed ostilità: terreno fertile per ogni tipo di criminalità.

    Al contrario, appare immediatamente evidente che solo una reale opera di rieducazione e reinserimento rappresenta il viatico autentico per una sempre maggiore sicurezza per tutto il consesso sociale.

    Questo i nostri Padri Costituenti hanno voluto porre come pietra miliare del vivere civile.

    In ragione della lampante inadeguatezza che emerge dalle cifre e, ben consapevoli che dietro ai numeri, purtroppo, ci sono tantissimi volti e storie di miseria e di dolore, chiediamo la tua firma perché tutti i Professionisti dell’Area Educativa (gli Educatori) vincitori ed idonei (circa 800) di un concorso durato cinque anni(!) possano immediatamente essere chiamati in servizio per cominciare (finalmente!) ad attuare la Costituzione, e porre fine ad uno scandalo che, oltre a gettare ombre cupissime sulla nostra civiltà, rappresenta per le spalle delle persone più deboli, giorno dopo giorno, un fardello sempre più pesante e disumano.



    Ora dipende da te: non puoi più dire che non sapevi!

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