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sabato 12 settembre 2009

Notte prima della trattativa

Esterno, notte, un uomo seduto su un cornicione di tegole in cima a un tetto fuma pacificamente una sigaretta arrotolata, probabilmente corretta con derivati di sostanze cannabinoidi, i pensieri meravigliosamente in libertà, svolazzanti come libellule nel panorama che si stende tutto attorno, le luci della città immersa nel buio fondo della notte disegnano un'infinità di percorsi che portano ovunque, da ovunque appaiono, verso ovunque scompaiono.

E' proprio bella, Roma, a guardarla dall'alto.

Osservarla dal tetto del campidoglio, poi, nonostante gli arresti e le manganellate e la vita perennemente incasinata e forse proprio per questo, è fortuna riservata a quella nuova casta di eletti che sono i “militanti” .

Interno, tarda mattinata, un uomo, sempre quello di prima, dorme beatamente sul suo letto.

Rincoglionito di sonno come una talpa thailandese dopo il periodo di letargo sento il cellulare, nel senso che squilla il telefonino.

Arfo', che te va de dà er cambio stanotte su 'r tetto de 'r campidoglio?

Mi stai prendendo per il culo?, penso tra me e me di primo acchitto. D'accordo che facciamo occupazioni abitative per tentare di combattere l'emergenza casa, passi che in un delirio di onnipotenza ci siamo messi in testa di salvare fabbriche abbandonate e spazi in disuso da speculazione e rendita, ma occupare il tetto del campidoglio mi par cosa oggettivamente esagerata e irrispettosa dell'Autorità Costituita.

Ma tutto questo l'ho pensato e non glie l'ho detto, che poi si sa, i “militanti” sono permalosi.

E invece eccomi qua a bearmi di una Roma di cui pochi possono godere, senza neanche l'ipotesi di un problema che mi ronza per la testa e dopo aver posato per una comitiva di turiste americane brillantemente anzianotte che mentre dalla statua di Marcaurelio facevano ciaociao con le manine scattavano foto ridacchiando tra di loro e facendoci domande di cui nessuno capiva un benedetto tubo di niente, perchè noi “militanti” duri e puri brutta razza, col cazzo che impariamo l'inglese.

A farmi da cicerone per spiegarmi la situazione mentre saliamo è un compagno di vecchia scuola, uno di quelli tosti come legno stagionato, io lo chiamo “Il torello” . Un metro e sessanta centimetro più centimetro meno, la prima volta che l'ho visto a torso nudo Rocky Balboa mi è apparso come un esserino storto e rachitico a confronto di quest'uomo di cinquant'anni che i muscoli se li è fatti nei cantieri a dargli giù di piccone e cemento, con un sorriso che è una cascata di luci colorate e un cranio senza neanche l'ombra di un capello, lucido come una boccia da bowling, che sebbene possa esteticamente richiamare una certa “mussoliniana” solidità, il cranio, intendo, non per questo risulta essere, il compagno Torello, meno rassicurante.


Esterno, sera, un grappolo di uomini e donne su un tetto.

A un certo punto sembra di essere a una festa. Chi porta un po' di fumo per far passare la nottata, chi qualche birra per rinfrescarsi dall'afa implacabile che al solo atto di pensare ti sembra di stare in una sauna, io me la chiacchiero sul Berlusca e relativa banda bassotti con una compagna del Regina Elena, qualcuno è andato in fissa e gira per statue cercandone una dalla quale far sventolare una bandiera di Cuba, ha cominciato ad osservarle con attenzione, una ad una, un compagno mi confida di aver avuto l'impressione che ci parli come per convincerle a far quel gesto rivoluzionario.

Sono preoccupato, sta girando a vuoto da mezzora e comincio seriamente a pensare che la cosa possa evolversi in patologia.

Altri stanno sbracati a far girar canne e bere vino bianco e echicefermapiù sotto la “cucina” che abbiamo attrezzato con un telo di plastica ed un po' di fantasia, io nel frattempo, vittima sacrificale di una botta di fame chimica, sto attaccando con decisione un piatto di spaghetti al pomodoro fatti da dio, di quelli che sono maledettamente buoni anche se freddi come ghiaccioli.

Vista da quassù scopri che gli eroi non son soltanto quelli di marmo che dalla balaustra vigilano da tempo immemore sulla piazza sottostante.

Uno dei più casinari, che da quando è arrivato non fa che sventagliar cazzate da numero di cabaret scrive il titolo della mia commedia che verrà.

Ridi su 'sto...tetto.

Geniale.


Esterno, mezzanotte circa, sagome più o meno immobili in controluce.

Chi dorme, chi seduto sui vari cornicioni a guardare in basso Mamma Roma che urla e strepita senza posa dall'alba al tramonto, negli occhi di tutti noi ci leggi l'amore per una città tanto bella quanto dilaniata, oppressa, sbeffeggiata da quattro politicanti infami che non riescon a guardare aldilà delle proprie tasche.

Last train home di Pat Metheney ci fa ben sperare, abbiam beccato una radio seria, siam fortunati.

Un gruppetto di compagni appena arrivati salutano tutti, sotto il braccio una scatola di cartone, sorriso a quarantotto denti, si guardano attorno, parlottano tra di loro, poi individuano il punto giusto.

Il resto è magia.

Tiran fuori quattro bottiglie di vino bianco, fresche che dio le manda, puliscono accuratamente la balaustra da sassolini e schifezze varie, aprono il cartone.

Dieci flute, lavati, lucidati, pronti per un brindisi che chi se lo scorda più un momento così fan la loro elegante apparizione.

Sul tetto del Campidoglio.

Sul tetto del mondo così come ci piacerebbe che fosse, almeno un po' .

Insostituibile.


Esterno, notte fonda, un uomo, ancora lui, pare star comodamente sdraiato su una passerella di ferro dalle misure esigue e costringenti, in rapporto alla sua massa corporea, ma questo sembra non preoccuparlo affatto.

Capisco di aver perso la guerra contro le mie palpebre, non voglion più saperne di star aperte.

Mi arrendo, a me la passerella, e meno male che ho rimediato un tappetino, te lo immagini domattina con una ragnatela irregolare di rettangolini stampata sul faccione?

Chiudo gli occhi con l'immagine degli ultimi mohicani che cazzeggiano tranquilli, il compagno della bandiera cubana sta discutendo animatamente con l'unica statua ancora disposta ad ascoltarlo, rattrista vedere una giovane vita andare alla deriva in questo modo, ma si dice che così è la vita.


Esterno, notte fonda, il tetto del Campidoglio, un grappolo di uomini e donne giacciono qui e là beatamente addormentati, come se non si trovassero dove effettivamente sono, aggrappati su un tetto a lottar come babbuini inferociti contro i titani.

Mi addormento pensando a questa bella Italia, quella che resiste, che si abbarbica tenace e fastidiosa su tetti impossibili, cime tempestose di una vita spesa a urlare che non ci stiamo e mai ci arrenderemo allo sceriffo cattivo che vuol colonizzare la vallata.

Che è di tutti, lo tenesse bene a mente.

Esterno, notte fonda, l'omone se la dorme che è una bellezza.

Buonanotte compagni, se ne riparla domani.

Click...

Buio.

da GlobalProject 11/09/2009

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