L'anatema del ministro dell'interno Maroni contro il vizio dei magistrati di interpretare le leggi ha precedenti - seppure ampiamente fallimentari - di tutto rispetto. Il primo è stato l'imperatore romano d'oriente Giustiniano (482 - 565), forse il più grande codificatore della storia che, non potendo sopportare modifiche interpretative nella applicazione della sua ponderosa compilazione di diritto, proibì per legge ai giuristi questo tipo di attività: ovviamente nessuno ne tenne conto.
Secondo, molti secoli dopo, venne l'imperatore Napoleone 1°, altro grande codificatore che, non facendo tesoro di quel precedente negativo, del pari emise un editto con il quale vietava l'interpretazione delle sue leggi: neppure lui ebbe fortuna. Non ci ha provato, invece, ai nostri tempi, Alfredo Rocco che, sebbene fascista, era pur sempre un giurista e sapeva come l'interpretazione delle leggi fosse un dato ineliminabile, dovendosi adattare una norma astratta ad un caso concreto.
Maroni non può non sapere che la nostra Costituzione, sulla quale ha giurato, riconosce ai giudici autonomia e indipendenza anche interpretativa, compreso il potere di rimettere alla Corte costituzionale la verifica di costituzionalità di una qualsiasi legge ordinaria in odore di contrasto con la carta fondamentale. La legge che istituisce il reato di clandestinità è palesemente in contrasto con la nostra Costituzione come sottolineato da moltissimi giuristi, non fosse altro perché punisce una persona per una condizione personale - per quello che è - e non per una attività lesiva - per quello che fa. C'era quindi da aspettarsi una richiesta di verifica avanzata alla Corte da più parti e l'unica reazione istituzionalmente corretta del ministro doveva essere quella di una doverosa attesa dell'esito del relativo giudizio.
Il ministro, però, seguendo le pulsioni repressive non di Giustiniano o di Napoleone (che non avevano mai pensato di far intervenire le guardie imperiali) ma del suo presidente Berlusconi, è andato oltre ed ha invocato l'intervento, assolutamente improprio, del Csm e, addirittura, del giudice penale per punire (con il carcere?) i magistrati rei di non applicare quella sua legge «chiara» anche per un bambino di sei anni. Maroni è, dunque, in linea con l'idea berlusconiana di affievolimento del potere giudiziario e della la riduzione dell'area entro cui può muoversi con autonomia e indipendenza: fino a contestarne però l'attività interpretativa non si era ancora spinto nessuno.
La coscienza democratica di questo Paese ha sempre tenuto presente l'imperativo degli artt. 3 e 10 della Costituzione che impongono a tutti - magistrati compresi - il dovere di rimuovere gli ostacoli che limitano di fatto la libertà e l'uguaglianza dei cittadini e il dovere di garantire i diritti degli stranieri. Il caso del reato di clandestinità è emblematico e bene fanno i magistrati a seguire i dettati costituzionali e a non piegarsi alle istanze sicuritarie, razziste e liberticide di questo governo.
di Peppino Di Lello da IlManifesto
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