HOME       BLOG    VIDEO    EVENTI    GLI INVISIBILI    MUSICA    LIBRI    POLITICA LOCALE    POST PIU' COMMENTATI

martedì 11 agosto 2009

Caldo, disperazione e sporcizia viaggio nel Centro dei clandestini

LA STORIA/ Tra gli immigrati del Cie di Roma. L'allarme del garante: "Vicini al collasso"
Le testimonianze degli extracomunitari: "Per sei anni ho lavorato in nero. E ora..."


ROMA - "Vede queste lenzuola? Le vede? Sono di carta. Non le cambiano da venti giorni. E li vede i materassi in terra? Non ci sono reti, noi dormiamo qui. Stiamo così, buttate in terra, senza niente da fare, in mezzo ai rifiuti".


"Quelli del Centro fanno sempre visitare la prima "stanza" che ha l'aria condizionata e la tv al plasma, ma le altre: guardi. Mi segua, mi segua. Guardi come sono". Visita al Cie - il Centro di Identificazione ed Espulsione di Ponte Galeria, a Roma - con il senatore del Pd Vincenzo Vita, nella canicola agostana che anche qui, in un'isola di cemento in mezzo al nulla della Fiera di Roma di questi tempi deserta, batte implacabile. Le "detenute" prendono per mano, portano nelle altre "celle" di un centro che dovrebbe essere temporaneo, che era stato immaginato come un luogo di transito per un soggiorno di qualche giorno al massimo e che sta diventando sempre più simile a una galera. Con i tempi della galera. Ed è il luogo in cui, all'indomani dell'entrata in vigore della legge Maroni che tramuta in reato la clandestinità, i clandestini appunto finiranno in attesa di essere identificati ed espulsi.

Dodici militari dell'Esercito, due della Finanza, 5 carabinieri e 5 poliziotti, più "I Croci", come "gli ospiti" chiamano i volontari e non della Croce Rossa, alcuni inservienti di una ditta esterna che fanno le pulizie e gli addetti del catering: ecco tutto il personale che si occupa di questo centro che pompa dalle casse dello Stato - dicono alla Croce Rossa - cinque milioni di euro l'anno. E che è destinato ad esplodere anche se, come spiega il direttore Ermanno Baldelli, "noi abbiamo 176 posti letto per le donne, 176 posti letto per gli uomini, un'ala di 12 posti letto riservata ai transessuali. Più di questi non possiamo accogliere. Oggi ci sono 129 uomini e 112 donne per un totale di 241 persone".

Sui numeri c'è un piccolo giallo. Il garante dei detenuti del Lazio Angiolo Marroni l'altro ieri aveva fatto sapere "il Cie di Ponte Galeria è al limite del collasso: negli ultimi venti giorni, dopo l'annuncio dell'inasprimento delle norme in tema di immigrazione, vi sono state trasferite altre 80 persone, che sono passate da 246 a 319. Alcuni immigrati fermati dalle forze dell'ordine sono stati addirittura trasferiti, per mancanza di posti, direttamente in carcere". Marroni aveva parlato poi di "situazione esplosiva dovuta al caldo, ai lunghi tempi di attesa per ottenere i colloqui con le ambasciate di origine, alla scarsità di operatori assenti per ferie e al sovraffollamento".

Che la situazione sia esplosiva lo si è visto l'8 agosto - il giorno di entrata in vigore della legge sulla sicurezza - al Cie di Gradisca d'Isonzo (Gorizia): in serata era scoppiata una protesta contro il sovraffollamento, l'introduzione del reato di clandestinità e l'allungamento sino a 180 giorni della permanenza nei Cie. 120 immigrati erano saliti sui tetti, dove erano rimasti fino al giorno dopo, quando avevano poi danneggiato l'impianto elettrico, divelto porte di sicurezza ed estintori, infranto vetri antisfondamento e distrutto distributori automatici di bevande. E ieri la segreteria provinciale del Sap (Sindacato autonomo di Polizia) di Gorizia ha dichiarato che al Cie "più di qualcosa non funziona. È oggi necessario che gli immigrati vengano sottoposti a normali e elementari restrizioni delle libertà personali per impedire eventi di questo tipo. È finito il tempo del trattenimento in libertà".

La vita al centro si svolge tra tre appuntamenti: alle 8 per la colazione, alle 12 per il pranzo, alle 18 per la cena. In mezzo, il nulla di cemento e sbarre di ferro. Le donne stanno sedute sui materassi buttati all'aperto, le nigeriane si pettinano i capelli lasciando in terra matasse nere, le clandestine dell'est fanno gruppo da una parte, si lamentano di non ricevere carta igienica, mentre le moltissime rom raccontano storie tristi. "Io sono nata qui" dice Susanna. "La mia famiglia viene dalla ex Jugoslavia. Ma io sono nata qui. Ho due figli e un marito. Ma non ho documenti. Così adesso sono qua dentro. Dove mi manderanno? Perché non posso avere una nazionalità?".

Nel reparto uomini è pieno di amache. Stanno allungate tra una sbarra e l'altra. Appena vedono gente estranea, al di là delle sbarre, si bloccano, guardano in cagnesco. C'è un'aria tesa, elettrica. Poi si mettono in fila per il pranzo: ci sono pochi volontari, non si può mangiare a mensa, ognuno prende il suo contenitore, torna alla sua cella, al suo villaggetto di cemento per mangiare. Anche qui storie strappalacrime, come quella di Mohammed, un egiziano di 30 anni, occhi scuri, barba lunga, una tuta sdrucita addosso: "Io da quando sono in Italia lavoro, ho sempre lavorato: e sono ormai sei anni. Ma nessuno mi vuole mettere in regola. Mi hanno preso in ospedale, dove ero andato per un'operazione all'orecchio, e così com'ero mi hanno trasferito al Centro: guardi, non mi posso neanche fare la barba. Non mi posso cambiare. Non ho soldi, non ho niente. È umiliante".

di RORY CAPPELLI da LaRepubblica

Nessun commento:

Posta un commento