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mercoledì 8 luglio 2009

Siamo tutti Clandestini


Da giovedì 2 luglio 2009 andare in giro con la maglietta Clandestino non è più solo un bel gesto. Nel l’Italia dell’apartheid legalizzata che colpisce i nostri concittadini migranti è un dovere e forse è anche un rischio. Ma è un modo esplicito di dire in pubblico: io non sono d’accordo.
Dichiaratevi «clandestino», indossate la maglietta di Carta. Potete vederla sul bottega.carta.org, ordinarla a bottega@carta.org o al telefono 0645495659, potete diventarne diffusori.
Costa12 euro [spese di spedizione incluse], per chi ne ordina più di cinque il prezzo è 10 euro.
E non per caso il cotone con cui è fatta viene dai paesi dei «clandestini».

In questa pagina, in continuo aggiornamento, trovate articoli, lettere e proposte contro la legge razzista approvata.Scrivete a carta@carta.org.

Idee clandestine [Luigi Gallo *, 5 luglio]
1) Per combattere il razzismo in società e per creare una consapevolezza del problema: selezioniamo foto di migranti vessati, respinti e attacchiamole in giro per la città con macchie di pittura rossa.
2) Fare una proiezione notturna di «Come un uomo sulla terra» per strada con numerose candele accese
3) Raccogliere in strada le firme per la petizione lanciata dalle associazioni produttrici di «Come un uomo sulla terra», insieme ad un bel po’ di materiale informativo e foto.

associazione Le Tribù, www.letribu.it
La parte sbagliata dell’umanità [Raffaele K. Salinari, 5 luglio]

Non è affatto eccessivo il paragone fatto tra alcune norme contenute nel pacchetto sicurezza e le leggi razziali del fascismo e del nazismo. Al di là del differente quadro storico e politico nel quale esse furono promulgate, infatti, le accomuna proprio la ragione simbolica per la quale a quel tempo fu dichiarato reato, non un atto commesso contro il resto della società, ma uno stato connaturato alla natura stessa del soggetto, che diventava così non un criminale, ma bensì esso stesso un crimine per il solo fatto di esistere; in altre parole il suo era un vero e proprio “corpo del reato”. Altro non dice l’introduzione del reato di clandestinità, che sancisce come crimine una condizione meramente materiale e, nel caso dell’immigrato clandestino, spesso totalmente contraria alla libera volontà del soggetto. È evidente, allora, che si tratta di affermare una visione orientata a ridurre a reato ogni status di non omologazione alle caratteristiche fondanti del cittadino obbediente poiché buon consumatore, prerogative che, nel mondo contemporaneo, fatto di concentrazioni crescenti di ricchezza, richiedono necessariamente l’esclusione dallo spazio sociale di chi non è in possesso dei requisiti minimi per abitarlo, almeno alla luce del sole, segnatamente: censo, nazionalità, razza, cultura ma anche pensiero politico difforme dall’egotismo egoistico di massa; in poche parole tutti coloro che per qualche motivo radicale non riescano, o non debbano, entrare o muoversi a loro agio nella palude del consumo.
Il significato simbolico della norma è evidente: non è il reato di clandestinità che viene sancito ma quello di situare il proprio corpo dalla parte sbagliata dell’umanità, quella che non potrà mai e in nessun caso essere titolare dei diritti che fanno di ogni «nuda vita» come diceva Walter Benjamin, la scaturigine stessa del Sacro e dunque del Diritto. Questa esclusione dai diritti fondamentali di una parte importante, e soprattutto crescente, di quanti cercano nelle nostre città miglior fortuna, vuole significare che il buco nella diga dei Diritti fondamentali è stato riaperto, come al tempo delle dittature e che, come in tutte le dighe, una volta praticata una falla il resto potrà dunque crollare in tempi brevi. Il fatto che i bambini figli di immigrati clandestini non potranno avere diritto all’identità, e dunque saranno istituzionalizzati, racchiude tutta la portata biopolitica di un provvedimento che, come già analizzava Foucault, vede la politica attuale, quella generata non dalle votazioni popolari ma dai consigli di amministrazione, gestire i corpi a seconda della plusvalenza che se ne potrebbe ricavare, «potenziandoli» o «deprimendoli» a seconda di queste circostanze. È chiaro allora che questa norma non ha nulla a che fare con quella “sicurezza” che noi intendiamo come sicurezza umana e non certo come repressione preventiva delle diversità.
A chi volesse vedere gli effetti palesi della norma, tra qualche mese, possiamo suggerire di dare un’occhiata all’affollamento delle procure o all’aumento esponenziale che certamente ci sarà del traffico di esseri umani e dunque di lavoro clandestino, vera ragione economica della scelta scellerata; ma ci preme evidenziare che per sanare il vulnus aperto nella coscienza civile del paese, bisognerebbe aprire una sede di confronto tra tutte le forze interessate alla revisione dell’impianto stesso del pacchetto, tra quelli che, a diverso titolo, hanno espresso in questi mesi fortissime obiezioni, siano esse basate sul rispetto delle Convenzioni ONU, sulla sacralità della persona, o sull’incostituzionalità stessa della normativa. Se questo non dovesse bastare bisogna essere pronti a raccogliere firme per un’iniziativa di legge popolare finalizzata ad abrogare in toto il pacchetto sicurezza rilanciando al contempo un’idea della politica come riapertura degli spazi di socialità a partire da quelli che prevedono l’inclusione dei più deboli, scuole, ospedali, rilancio degli Obiettivi del Millennio, che oggi vedono il nostro paese spendere più per il Summit dei G8 che per tutti gli aiuti agli impoveriti del mondo, a fronte delle altissime spese militari. Da parte nostra dunque, come la bambina nella favola pattini d’argento, cerchiamo di mantenere il nostro dito nel buco della diga affinché non crolli del tutto.

Prendiamoci cura di chi di prende cura di noi [lettera, 5 luglio]

Un socio dell’associazione antirazzista Todo Cambia di Milano ha scritto questa lettera. Toto Cambia chiede di farla girare il più possibile e invita le persone all’incontro di venerdì 10 luglio presso Arci Corvetto in via Oglio 21 a Milano.

Mi chiamo Paolo. Sono invalido. Da sei anni mi è stata riconosciuta un’invalidità del 100 per cento. Ci sono un sacco di cose che non posso fare senza l’aiuto di qualcuno e in questi anni ho avuto necessità di essere aiutato per le terapie, la riabilitazione e per la vita quotidiana.
Tra chi mi ha aiutato ci sono state soprattutto persone immigrate. C’è chi lo ha fatto per lavoro, in cambio di un modesto compenso, c’è chi l’ho fatto per amicizia, in cambio d’amicizia.
Non mi sono preoccupato di chieder loro se avessero in tasca il permesso di soggiorno o meno.
E… non ho mai notato alcuna differenza – in termini di disponibilità, affetto, professionalità – tra chi poi m’ha detto di averlo e chi, essendone sprovvisto, mi ha chiesto una mano per ottenerlo (cosa pressoché impossibile, stante le leggi in vigore).
Così, adesso, che è stata varata questa nuova legge ingiusta, detta «per la sicurezza», ma sostanzialmente tesa a rendere la vita impossibile agli immigrati che vivono e lavorano in Italia, penso di dover fare qualcosa. E spero di poterlo fare insieme ad altri concittadini e «colleghi» [persone con disabilità come me o anziane, ma anche mamme e bambini che hanno usufruito del “lavoro di cura” di tanti neoconcittadini immigrati]. Ora tocca a noi dare una mano per cercare di mitigare gli effetti nefasti di questa legge e sostenere i nostri amici immigrati e le nostre amiche immigrate (con o senza permesso di soggiorno).

La fabbrica [Paolo Trezzi, 5 luglio]

Ancora quelle grida. Ugo non ne poteva più. Tutte le mattine era sempre la stessa storia. Era tentato di chiudere la finestra ma il caldo sarebbe stato troppo soffocante.
Sperava che almeno in agosto chiudesse quella dannata fabbrica, come tutti gli anni. Invece no.
Aveva sentito parlare di boom di commesse,gli affari andavano a gonfie vele, era stato persino istituito il turno di notte. Ormai lavoravano ventiquattr’ore al giorno per dodici mesi all’anno.
Il cortile della fabbrica, perfettamente visibile dall’alto del quarto piano dove abitava, brulicava di nuovi assunti, per lo più immigrati dato il colore della pelle, che freneticamente caricavano e scaricavano merci dai furgoni di clienti e fornitori.
Le grida erano del becero capo reparto, un bestione di cento chili per un metro e novanta, che scandiva i ritmi del lavoro. Ritmi incuranti dei trenta gradi all’ombra.
Chi si fermava a prendere fiato veniva investito dalla furia del kapò, e non solo verbalmente. Più volte Ugo aveva assistito a violenze fisiche, soprattutto ai danni del più giovane di essi.Avrà avuto si e no sedici anni e subiva con il capo chino ogni più ingiustificata osservazione.
Qualunque cosa facesse era sbagliata. Era chiaro che l’aguzzino si divertiva. esercitava il suo potere con la più ampia discrezionalità. Ogni occasione era buona per sommergerlo di improperi e, se la mancanza era grave, scattavano le pene corporali. Gli piombava alle spalle e torcendogli un braccio o tirandolo per i capelli lo minacciava: “brutto negro di merda, ti raddrizzo io! O impari a lavorare come si deve o ti sbatto fuori!”
Effettivamente Ugo non riusciva a capire perché quale ragazzo si presentasse puntualmente ogni mattina in fabbrica.
Al suo posto si sarebbe licenziato subito. Pii pensò che evidentemente nona aveva alternativa. Forse aveva già lavorato da altre parti, ma l’ambiente era simile. Ovunque è facile incontrare uno stronzo pronto a sfogarsi contro colui dal quale non ha nulla da temere. E in quella fabbrica quell’uomo non doveva temere proprio nulla, visto che l’arroganza verso i sottoposti veniva approvata ed incoraggiata dallo stesso principale, come aveva avuto modo di constatare Ugo.
Quante volte quel giovane imprenditore, attraverso il cortile per raggiungere il suo ufficio, aveva assistito a scene di gratuita crudeltà senza opporsi, anzi sorridendo e scuotendo la testa, come si trattasse di innocenti svaghi.Quel giorno Ugo, alle prese con l’esame di diritto costituzionale da dare ai primi di settembre, era esasperato.
Non riusciva proprio a concentrarsi con quel baccano là fuori. Alle grida del capo reparto questa volta si erano aggiunte quelle del ragazzo, grida di dolore.
Si affacciò e lo vide sanguinante a terra, mentre l’altro fuori di sé, lo colpiva a calci. Stavolta intervennero altri operai per trattenerlo, ma quello urlava: “Lasciatemi! Lo spacco! lo spacco! Prova a rispondermi ancora! Non rompermi i ciglioni mi ha detto! Ma io ti spacco in due!” Dopo qualche minuto tornò la calma. Qualcuno propose di chiamare un’ambulanza, ma non se ne fece nulla. Vide portare a braccia il ragazzo dentro il capannone e per tutto il pomeriggio non lo rivide più. Ugo cominciò a fare le sue ipotesi. Vivo era vivo, su questo non c’erano dubbi. probabilmente era stato medicato con il pronto soccorso della fabbrica e mandato a casa. L’uscita era visibile dalla sua finestra.
“Che schifo” pensò Ugo osservando la macchia scura di sangue rimasta nel cortile. Cosa poteva fare? Non aveva alcuna prova per denunciare quei farabutti. L’immigrato quasi certamente era clandestino, non si sarebbe mai rivolto alla polizia. I suoi connazionali avrebbero taciuto per i medesimi motivi, ma nemmeno sui colleghi italiani si sarebbe potuto contare, visto il clima aziendale.
Ugo tornò sui libri, ma non riusciva a pensare che a quegli episodi di violenza culminati con il pestaggio della mattina. Era certo che non sarebbe stato l’ultimo.
Si lasciò andare ad immaginare la vita di quel giovane: la fame e la guerra in un villaggio del terzo mondo. Il viaggio verso il mondo “civile” stretto con centinaia di altri disperati nella stiva di una di quelle carrette del mare. L’approdo, di notte, di nascosto. I contatti con la criminalità che chissà come, almeno finora, non era riuscita ad arruolarlo. E infine l’arrivo in quella fabbrica dove avrebbe dovuto, letteralmente sputare sangue.
Ad un tratto: l’idea. “Che cretino, perché non ci ho pensato prima? Spostò la sedia vicino all’armadio. Vi salì per poter raggiungere le ante superiori. Le aprì.
Lì teneva, inutilizzata, la cinepresa che gli era stata regalata a Natale. Non era un grande appassionato e, dopo aver filmato, per prova, momenti del cenone con tutti i parenti a tavola, l’aveva dimenticata lassù. La pellicola era quindi quasi interamente libera.
La mattina seguente si appostò alla finestra. Alle otto il cortile iniziò ad animarsi. Dopo dieci minuti fece il suo ingresso, benché zoppicante, anche il giovane extracomunitario. Aveva un polso vistosamente fasciato e, zoomando, Ugo riuscì a vedere anche le tumefazioni sul viso ed il labbro spaccato. Ciò che lo sorprese fu lo sguardo del ragazzo. Non aveva la solita aria remissiva. L’atteggiamento era quasi di sfida. Cercava con gli occhi il suo aguzzino che non tardò a farglisi incontro, probabilmente per chiedergli ragione del ritardo. Ugo non udiva le parole, ma intuì che la scintilla stava per scoccare. Iniziò a registrare.
La faccia del capo reparto era tutta rossa, si vedevano le vene del collo. Gli urlava ad un centimetro dal naso. Ma il ragazzo non appariva intimorito. Sembrava che il cazziatone gli entrasse da u orecchio e gli uscisse dall’altro e lo fissava negli occhi, tranquillo. Ovviamente questa reazione imbufalì vieppiù quel bestione che cominciò ad afferrarlo per la maglietta. A quel punto, vuoi perché tutti gli altri si erano fermati ad osservare, con terrore, la scena, vuoi per il tono delle urla ancora più alto, Ugo poté udire le parole. “ti ammazzo! Stavolta ti ammazzo!” mentre gli rifilava una ginocchiata nel basso ventre. Il ragazzo si piegò in avanti per ricevere un violento cazzotto sul mento. A Ugo parve di vedere saltare un dente, ma mantenne il sangue freddo e continuò a riprendere. Una volta a terra si ripeté la scena del giorno prima, con il giovane rannicchiato per ripararsi dai calci dell’energumeno. Una volta sfogatosi, si fermò e, rivolto agli altri, che questa volta erano intervenuti, gridò:“portatelo via! Non voglio più vederlo.” Eseguirono immediatamente.
Ugo aveva registrato tutto. Era impaziente di rivedere il filmino. Le immagini erano venute nitidissime. Le macchine giapponesi consentono miracoli anche all’operatore più inesperto. Durante la visione si accorse di un episodio che gli era sfuggito al momento della colluttazione. Nell’inquadratura era finito anche il titolare della ditta. Stava passando, con il telefonino all’orecchio e lo sguardo rivolto al poveretto per terra. Eppure nona aveva nemmeno rallentato né smesso di conversare al cellulare.
Ugo provo ad elencare i reati ed infrazioni che quel filmato poteva provare. Aggressione, percosse, omissione di soccorso, sfruttamento di lavoro in nero, evasione contributiva, ecc. Si sa come vanno queste cose: dopo i carabinieri sarebbe arrivato l’ispettorato del lavoro, poi l’asl, poi la guardia di finanza… C’e n’era abbastanza per farli chiudere per sempre.
la settimana seguente Ugo si godeva il sole sdraiato su una spiaggia delle Seychelles. Al diavolo l’esame di diritto costituzionale. Al diavolo la fastidiosissima fabbrica con il suo rumore e le sue urla. Con i duecentomilioni sganciati dal giovane industriale per la distruzione del filmino poteva tranquillamente permettersi di girare il mondo per un paio di mesi. sarebbe tornato in autunno inoltrato.
Con le finestre chiuse avrebbe potuto riprendere a studiare in stana pace.

Le reincarnazione di Maroni [Valentino Zanon, Portogruaro, 5 luglio]

Ho un desiderio nel cuore: sperare nella reincarnazione e che Maroni si reincarni in un ragazzo nero del sud del Niger, che soffra la fame, che il suo paese sia distrutto dalle multinazionali del petrolio, che non trovi nessun sostentamento e che costretto svenda tutto quel poco che ha per fare un viaggio, nascosto in una cisterna, per 15 gioni e che quindi soffra la fame, la sete, la dissenteria e le piaghe sul corpo… che riesca ad imbarcarsi su una carretta, dopo essere sfuggito alle pallottole ghedaffiane che resti in mare 10 giorni, che nessun paese lo voglia, che gli scafisti lo buttino a mare, che nuoti per ore per arrivare alla costa italiana, .che venga catturato e portato in un Cpt e qui rinchiuso per sei mesi in mezzo allo sporco, che non possa uscire ma che riesca a fuggire, che venga preso da un caporale e che lavori per 12/13 ore al giorno per raccogliere pomodori per la cirio guadagnando 20 euro, che dorma su delle catapecchie di cartone e che venga assoldato dalla mafia, che diventi uno spacciatore he si riempia, di droga per dimenticarsi che schifo di vita sta facendo……..

Disobbediamo [Alex Zanotelli, 3 luglio]

Il senato ha approvato il cosiddetto Pacchetto Sicurezza del ministro degli interni Maroni. Mi vergogno di essere italiano e di essere cristiano. Non avrei mai pensato che un paese come l’Italia avrebbe potuto varare una legge così razzista e xenofoba.
Noi che siamo vissuti per secoli emigrando per cercare un tozzo di pane [sono 60 milioni gli italiani che vivono all’estero!], ora ripetiamo sugli immigrati lo stesso trattamento, anzi peggiorandolo che noi italiani abbiamo subito un po’ ovunque nel mondo.
Questa legge è stata votata sull’onda lunga di un razzismo e una xenofobia crescente di cui la Lega è la migliore espressione. Il cuore della legge è che il clandestino è ora un criminale. Vorrei ricordare che criminali non sono gli immigrati clandestini ma quelle strutture economico-finanziarie che obbligano le persone a emigrare. Papa Giovanni 23° nella Pacem in Terris ci ricorda che emigrare è un diritto.
Fra le altre cose la legge prevede la tassa sul permesso di soggiorno [i nostri immigrati non sono già tartassati abbastanza?], le ronde, il permesso di soggiorno a punti, norme restrittive sui ricongiungimenti familiari e matrimoni misti, il carcere fino a 4 anni per gli irregolari che non rispettano l’ordine di espulsione e infine la proibizione per una donna clandestina che partorisce in ospedale di riconoscere il proprio figlio o di iscriverlo all’anagrafe.
Questa è una legislazione da apartheid, che viene da lontano: passando per la legge Turco-Napolitano fino alla non costituzionale Bossi-Fini. Tutto questo è il risultato di un mondo politico di destra e di sinistra che ha messo alla gogna lavavetri, ambulanti, rom e mendicanti. Questa è una cultura razzista che ci sta portando nel baratro dell’esclusione e dell’emarginazione.
«Questo rischia di svuotare dall’interno le garanzie costituzionali erette 60 anni fa – così hanno scritto nel loro appello gli antropologi italiani – contro il ritorno di un fascismo che rivelò se stesso nelle leggi razziali». Vorrei far notare che la nostra Costituzione è stata scritta in buona parte da esuli politici, rientrati in patria dopo l’esilio a causa del fascismo. Per ben due volte la costituzione italiana parla di diritto d’asilo, che il parlamento non ha mai trasformato in legge.
E non solo mi vergogno di essere italiano, ma mi vergogno anche di essere cristiano: questa legge è la negazione di verità fondamentali della Buona Novella di Gesù di Nazareth. Chiedo alla Chiesa Italiana il coraggio di denunciare senza mezzi termini una legge che fa a pugni con i fondamenti della
fede cristiana. Penso che come cristiani dobbiamo avere il coraggio della disobbedienza civile. È l’invito che aveva fatto il cardinale R. Mahoney di Los Angeles, California, quando nel 2006 si dibatteva negli Usa una legge analoga dove si affermava che il clandestino è un criminale. Nell’omelia del Mercoledì delle
ceneri nella sua cattedrale, il cardinale di Los Angeles ha detto che, se quella legge fosse stata approvata, avrebbe chiesto ai suoi preti e a tutto il personale diocesano la disobbedienza civile. Penso che i vescovi italiani dovrebbero fare oggi altrettanto.
Davanti a questa legge mi vergogno anche come missionario: sono stato ospite dei popoli d’Africa per oltre 20 anni, popoli che oggi noi respingiamo, indifferenti alle loro situazioni d’ingiustizia e d’impoverimento.
Noi italiani tutti dovremmo ricordare quella Parola che Dio rivolse a Israele: «Non molesterai il forestiero né l’opprimerai, perché voi siete stati forestieri in terra d’Egitto» [Esodo 22,20].

Noi clandestini [Giovanni Bertoldi, 3 luglio]

Cosa faremo? Noi clandestini ce ne torneremo a casa e chiederemo di rientrare in Italia con un permesso regolare: è così semplice! Più o meno è così in tutto il mondo.
I più cari saluti.

Rassegna stampa sulla legge razziale [3 luglio]

Ecco come questa mattina i giornali hanno raccontato l’approvazione del disegno di legge sulla sicurezza, che molte associazioni e reti antirazziste non esitano a definire «legge razziale». Per il Corriere della sera il nuovo provvedimento merita il titolo principale in prima pagina «La clandestinità ora è reato», ma nelle pagine interne a proposito della dura presa di posizione del segretario del Pontificio consiglio per i migranti, l’arcivescovo Agostino Marchetto [«è una legge che porterà molti dolori»], il quotidiano milanese sostiene che le sue opinioni «non esprimono la posizione del Vaticano». Titolo analogo a quello del Corriere anche per Repubblica in prima pagina: «La clandestinità diventa reato», questa volta supportato all’interno da una lunga analisi di Andriano Sofri dal titolo «Ora l’Italia è più cattiva». Sofri scrive dell’ipocrisia di questa legge perché grazie al lavoro di migliaia di migranti ogni giorno viene garantita l’assistenza ad anziani e bambini, «quello che abbiamo di più prezioso», eppure sono i migranti ad avere i primati delle morti bianchi e sono loro che la legge colpisce considerandoli delinquenti. Si tratta di un provvedimenti contro la Costituzione che provoca effetti devastanti nella vita quotidiana di milioni di persone e che, scrive Sofri, «non farà che accrescere la clandestinità». Ma è anche una legge grottesca che prevede il carcere per chi affitta ai migranti irregolari [e dunque «dovremo vedere grandiose retate» mentre il numero di detenuti in Italia sfiora quota 64 mila, mai raggiunta nella storia del nostro Stato] e «fascista» quando ripristina la galera a chi oltraggi a un pubblico ufficiale. Per Sofri «il fascismo si è andato berlusconizzando» e oggi il presidente del consiglio mostra di essere ricattabile dalla Lega ma non dalla Chiesa cattolica.
Il manifesto invece non dedica a questa notizia il titolo principale, ma all’interno a differenza di altri segnala almeno le prime manifestazioni in programma nei prossimi giorni [il 4 luglio a Verona, il 11 luglio a Reggio Emilia] contro la nuova legge. In un commento di Salvatore Palidda, docente di sociologia delle migrazioni presso l’Università di Genova, tra l’altro si legge: «La legge approvata ieri dal senato può essere considerata il primo epilogo di quell’escalation del fascismo/razzismo democratico innescata negli anni 90». «Se veramente la chiesa, i sinDAcati e altri – conclude Palidda – vogliono difendere i diritti fondamentali di tutti gli essere umani, aprano le sacrestie e sedi per ospitare zingari, immigrati, perseguitati».
«La legge della paura» è il titolo scelto dall’Unità che a pagina 7 pubblica anche un’interessante intervista a Salvatore Geraci, medico [presidente della Società italiana della medicina dell’immigrazione e in passato collaboratore di don Luigi Di Liegro], secondo il quale per i migranti ora «la vita diverrà più dura, pesante e rischiosa», insieme a due brevi interventi di Vittorio Agnoletto, che parla esplicitamente di «apartheid», e di don Luigi Ciotti che dice: «Non pIù sicurezza ma crudeltà. Così si scivola ai temi della discriminazione razziale negando i valori dei diritti umani, della Carta Costituzionale e della Convenzione di Ginevra».
Questi invece i titoli in prima pagina pubblicati rispettivamente da Liberazione e da l’Altro: «Tribunale speciale» e «Da oggi siamo tutti infami. Per legge». Nell’editoriale di Liberazione scrive Giovanni Russo Spena: «Da oggi tutti e tutte siamo meni liberi. Abbiamo di fronte una vergognosa e devastante normativa sicuritaria, incostituzionale per razzismo esplicito, che non solo costruisce un diritto penale speciale e un processo penale speciale contro migranti, ma demolisce lo stato di diritto di tutte le le cittadine e i cittadini».
Abbiamo infine dato un’occhiata ad alcuni settimanali [Espresso, Left e Vita] in edicola da oggi, dunque chiusi prima dell’approvazione comunque ampiamente annunciata e scontata, ma non abbiamo trovato nessuna notizia.
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Lettera aperta ai fratelli e alle sorelle migranti Clandestini [don Vitaliano della Sala]

Care sorelle e fratelli immigrati in Italia o che state per venire,
dopo la giusta presa di posizione della S. Sede contro la legge razzista approvata dal Parlamento italiano in questi giorni, mi sono confrontato a lungo con i documenti del Magistero della Chiesa, con un insegnamento che non tentenna nell’affermare l’assoluta priorità per il cristiano di farsi prossimo a chi non ha prossimo. E, in questo particolare momento storico, chi è più privo di prossimo di voi, sradicati dalla vostra terra, lontani dalla patria e dagli affetti, scacciati dai Paesi ricchi? Accettare fino in fondo il Vangelo e l’insegnamento della Chiesa deve portare noi cristiani a denunciare fermamente l’imperante ondata di xenofobia nei vostri confronti, e deve farci andare controcorrente rispetto al dilagare del razzismo camuffato da presunta “sicurezza”. Inoltre, deve porci di fronte ad un dissidio inconciliabile: l’impossibilità di rispettare le leggi dello Stato che si ergono come muro ad arginare la massa dei disperati che preme.
Nella Bibbia si legge: “non dimenticate la filoxenia, alcuni praticandola, senza saperlo hanno accolto degli angeli” (Eb.13, 2). L’autore della lettera agli Ebrei non chiede solo l’accoglienza dello straniero, ma l’amore per lui: la filoxenia appunto, che è l’esatto contrario della xenofobia. Si dice che l’Italia sia un Paese a maggioranza cattolica, o comunque di radici culturali cristiane, ma sembra che l’onda montante nel Paese abbia ben diversa matrice. E non mancano, ormai, forze politiche come la Lega, che squallidamente cavalcano questa pericolosa onda dell’intolleranza, esclusivamente per fini elettorali.
In questi giorni il Parlamento del mio Paese, che si dichiara a maggioranza cristiana, ha deciso di cacciarvi via, vuole respingervi dall’Italia. Mi sono interrogato su quale sia il ruolo del Parlamento: accettare il ricatto interessato di fascisti e leghisti a recepire e ratificare gli umori del Paese oppure – nel rispetto dello spirito della Costituzione – attraverso le leggi, aiutare questo Paese a crescere. Io non sono un esperto di leggi, né un esperto dei problemi dell’immigrazione, tuttavia mi permetto di ricordare ai parlamentari del mio Paese, che una legge per regolamentare l’ingresso degli immigrati e che costituisca la Carta fondamentale per una convivenza multietnica, non può fondarsi sulla repressione, sui respingimenti indiscriminati e sullo stato di polizia, ma deve avere come presupposto l’accoglienza. Non si può considerare, infatti, “hostis” chi il dato costituzionale e la nostra tradizione culturale considera “hospes”.
Perciò, fratelli migranti, invito a venire e restare in Italia perché non è vero che siete delinquenti, perché non è vero che venite a rubarci il posto di lavoro, perché non è vero che siete troppi, tanto da non poter essere integrati nel nostro tessuto sociale. Vi invito a venire e restare in Italia perché in ogni caso avete qualcosa da regalarci, perché potete aiutare questo Paese a cambiare, perché non ci sono soltanto quelli che non vi vogliono: per fortuna, ci sono tanti che sono contenti di avervi tra noi, e non vedo per quale motivo debba comunque prevalere il razzismo.
Venite e rimanete in Italia se questo è il posto in cui vi piace vivere, perché i confini territoriali, l’idea di patria e di nazione fanno parte del passato; siamo tutti, egualmente, cittadini dello stesso mondo.
Faccio mie le parole di don Tonino Bello, vescovo e presidente di Pax Christi, e vi chiedo di accettarle a nome di tutti i cristiani italiani: “Perdonaci, fratello straniero, se non abbiamo saputo levare coraggiosamente la voce per forzare la mano dei nostri legislatori. Ci manca ancora l’audacia di gridare che le norme vigenti in Italia, a proposito di clandestini come te, hanno sapore poliziesco, non tutelano i più elementari diritti umani, e sono indegne di un popolo libero come il nostro”.
Fratelli migranti, non date retta a chi vuol farvi credere che l’Italia è un Paese razzista; sono invece convinto che ci sono tante persone che sarebbero davvero felici di stringersi un po’ per farvi posto. Io sono tra questi, pronto a disobbedire alla legge appena approvata dal Parlamento, una legge ingiusta, razzista e disumana; pronto ad ospitarvi e, se è il caso, a nascondervi. E sono certo che tantissimi miei confratelli preti e connazionali italiano faranno altrettanto. I padri della Chiesa da sempre hanno affermato che “una legge ingiusta non è una legge, e disobbedirle è un dovere”. Per questo sono pronto a pagare qualsiasi prezzo penale per la mia disobbedienza, anzi, al più presto mi autodenuncerò all’autorità giudiziaria per “istigazione a delinquere” e “apologia di reato”.
Intanto, per quanto mi riguarda, benvenuti in Italia fratelli migranti “clandestini”!

da Carta

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