L'associazione israeliana Breaking the silence ha pubblicato un rapporto con le testimonianze dei soldati impegnati nell'operazione Piombo fuso. I militari tornano sugli abusi commessi nel corso della guerra del gennaio 2008.
«Prima sparare e poi preoccuparsi»: ecco il principio sul quale si è retta l’operazione israeliana Piombo fuso, la guerra lampo che nella Striscia di Gaza tra dicembre e gennaio 2008 ha provocato la morte di 1400 palestinesi e 13 israeliani. Ora a dirlo sono gli stessi soldati dell’esercito israeliano. Le loro testimonianze sono state raccolte da un’organizzazione creata dai soldati, Shovrim Shtika [Rompere il silenzio], che ha pubblicato un rapporto con il racconto di ventisei soldati che questa guerra l’hanno fatta. E’ l’ennesimo colpo alla Israeli defense force dopo le accuse di violazioni avanzate da organizzazioni come Amnesty International e Human rights watch: l’esercito ha subito negato le accuse. Il quotidiano Haaretz ha pubblicato oggi alcuni stralci del rapporto messo a punto dall’organizzazione ‘Rompere il silenzio’ che ha raccolto le testimonianze dei soldati impegnati nell’offensiva del gennaio 2008.
Secondo il racconto ripetuto da un sergente israeliano al reporter di Haaretz, che ha anche pubblicato ampi stralci del rapporto, i palestinesi venivano spesso mandati dentro le abitazioni per verificare se ci fosse qualcuno prima dell’irruzione dei militari. Una pratica – chiamata ‘procedura del vicino’ – già impiegata durante la seconda Intifada e bocciata come inumana dalla Corte suprema israeliana nel 2005. In un episodio riferito dal sergente, gli israeliani avevano localizzato tre miliziani palestinesi asserragliati in un casa. Era stato chiesto l’intervento degli elicotteri che avevano bombardato l’abitazione. Per verificare che i miliziani fossero morti, un civile era stato costretto a entrare nell’edificio pericolante. Ne era uscito dicendo che i tre erano ancora vivi e così l’esercito aveva ordinato un nuovo raid aereo. Il palestinese era stato costretto a entrare di nuovo nell’edificio e ne era uscito dicendo che due erano morti ma il terzo era ancora vivo. Era stato allora chiesto l’intervento di un bulldozer che aveva iniziato a demolire la casa. Solo allora il miliziano si era deciso ad arrendersi e a consegnarsi ai soldati.
Le testimonianze dei soldati concordano: l’ordine del Comando era di minimizzare le perdite tra i militari per non perdere il sostegno dell’opinione pubblica. «Meglio colpire un civile che esitare a sparare su un nemico – era la direttiva – nell’incertezza, uccidete. Nella guerriglia urbana chiunque è tuo nemico e non ci sono innocenti».
A marzo, altre testimonianze di soldati su abusi contro i civili palestinesi erano state rese pubbliche ma la loro affidabilità era stata contestata dai vertici dell’esercito. Anche questa volta, il commento dell’esercito non si è fatto aspettare. «Dalle testimonianze pubblicate e dalle indagini condotte dall’Idf, appare chiaro che i soldati hanno operato nel rispetto del diritto internazionale», dicono. Secondo fonti palestinesi, tra le 1.417 vittime dell’operazione Piombo fuso ci furono 926 civili, secondo l’esercito israeliano il bilancio fu di 1.166 morti tra cui 295 civili.esercito. Per l’esercito israeliano, «anche ora gran parte di quanto detto si basa su voci e testimonianze indirette, senza che sia possibile verificare i dettagli in modo da confermare o smentire l’accaduto». Per Asa Kasher, autore del codice etico dell’esercito, «l’organizzazione Shovrim Shtika intende difendere i valori morali mentre ne fa un’agenda politica: andare nel verso delle accuse palestinesi. Quando i soldati
dicono che potevano sparare a volontà: o hanno agito seguendo la propria volontà e sono da condannare, o non hanno rifiutato gli ordini dei loro superiori, e sono ugualmente da condannare. I soldati hanno l’obbligo legale di rifiutare ordini illegali, di sparare su innocenti. […] E’ molto facile, mesi dopo i fatti, scagliare la pietra all’esercito prendendo i media a testimonio».
«Ci sono abusi in ogni guerra, ma quello che ci turba è di vedere come, nella sua operazione a Gaza, l’esercito israeliano sembra aver cambiato i suoi concetti etici senza dircelo. L’uso di tattiche di guerra contro i civili palestinesi è ingiustificabile», commenta Yehuda Shaul, direttore di Shovrim Shtika.
da Carta
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