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venerdì 26 marzo 2010

La diga che asseta

di Francesco Gastaldon
I rischi del progetto Gibe3, in Etiopia ma con soldi italiani, nell'intervista a Caterina Amicucci, della Campagna per la riforma della Banca mondiale.

Mentre in Italia si manifesta e si organizza un referendum per riaffermare il ruolo centrale dell’acqua come bene comune, in molti Paesi del Sud globale l’acqua e i fiumi stanno diventando un bene sempre più scarso e prezioso. In Etiopia, uno dei Paesi con il reddito pro-capite più bassi al mondo, si sta costruendo la diga Gibe 3, un impianto idroelettrico di dimensioni enormi che rischia di causare danni irreparabili alle vite delle popolazioni della zona. L’impianto sarà realizzato da una azienda italiana (Salini Costruttori) e il governo etiope ha già chiesto un finanziamento milionario al governo italiano (che aveva finanziato l’impianto idroelettrico Gibe 2, sullo stesso fiume).Per ora la Farnesina non si è ancora espressa, aspettando il giudizio delle istituzioni finanziarie internazionali. Proprio per chiedere di non erogare il finanziamento, l’organizzazione italiana Campagna per la Riforma della Banca Mondiale lancia il 23 marzo, all’indomani della Giornata Mondiale dell’Acqua, una campagna di opposizione al progetto Gibe 3. Ne abbiamo parlato con Caterina Amicucci, coordinatrice della campagna.

Perché il governo etiope sta facendo costruire questo impianto?
Gibe 3 fa parte di una strategia particolarmente aggressiva del governo etiope, che punta a sfruttare per intero il patrimonio idrico del Paese, stimato intorno ai 30 mila Mw. Questa potenza supera di moltissimo il fabbisogno energetico dell’Etiopia. La vera logica di una tale strategia, infatti, è la produzione di elettricità per l’esportazione verso i Paesi limitrofi.

Puoi illustrarci brevemente le caratteristiche del progetto Gibe 3?
La diga verrà costruita sul fiume Omo, nel sud dell’Etiopia. Al momento, i lavori per la nuova diga sono al 30% una volta completato l’impianto dovrebbe arrivare a produrre circa 1.870 Mw. Il suo costo si aggirerà intorno ai 2 milardi di dollari. Per questo il governo etiope ha bisogno che intervengano investitori quali la Banca Mondiale, la Banca Europea degli Investimenti e la Banca Africana per poter portare a termine il progetto, affidato alla azienda italiana Salini Costruttori. Noi, ovviamente, ci auguriamo che i soldi non arrivino e che il progetto venga bloccato.

Quali sono le conseguenze di una diga di tali proporzioni?
Il progetto avrà un impatto devastante nella regione della Valle dell’Omo in Etiopia, basti pensare che il flusso del fiume Omo si ridurrà 70%. Alcune comunità locali verranno del tutto cancellate perché saranno private delle loro fonti di sussistenza (il fiume Omo e le sue piene, ndr) e delle risorse necessarie all’agricoltura. Inoltre, il governo etiope non ha previsto alcuna misura di mitigazione dell’impatto, cioè soluzioni alternative per le comunità che vivono nella Bassa Valle dell’OmoUna delle obiezioni comuni è che “le dighe non bloccano l’acqua ma la lasciano fluire il fiume”. Tuttavia il problema è rappresentato dal bacino. Per Gibe 3, il bacino conterrà 11 miliardi di metri cubi d’acqua. E’ stimato che serviranno 5-6 anni per riempire il bacino idrico.
Secondo molti, l’acqua diventerà un bene sempre più raro in Africa a causa di processi di desertificazione e cambiamento climatico.

Qual è dunque il senso di un investimento idroelettrico di questa portata? Gibe 3 non rischia di essere progetto è anche miope dal punto di vista della produzione energetica?
Sì, e purtroppo questo è un punto che hanno in comune molti dei progetti idroelettrici attualmente in corso tutta l’Africa Sub-sahariana, non solo in Etiopia ma anche in Paesi come l’Uganda o la Repubblica Democratica del Congo. Nessuno di questi progetti fa i conti con il fatto che in futuro l’acqua sarà un bene sempre più raro e che tutti gli studi idrogeologici analizzano fenomeni in rapido cambiamento. Spesso, poi, si basano su dati del passato. Quest’anno, ad esempio, non si sono verificate le periodiche esondazioni del fiume Omo, necessarie all’attività agricola, perché nel nord del Paese non è piovuto abbastanza. La strategia energetica dell’Etiopia si basa solamente sulla produzione idroelettrica e non c’è nessuno studio o investimento sulla diversificazione energetica e sull’introduzione di forme alternative di produzione energetica.

Qual è la reazione delle popolazioni sul territorio?
Ci sono vari gruppi attivi sul territorio, che stanno cominciando a far sentire la loro voce e cominciano ad avere credibilità. Oltre ai Friends of Lake Turkana, che sono gli iniziatori del movimento, ci sono vari altri gruppi con cui siamo anche in contatto che stanno facendo un importante lavoro di informazione a livello locale Questo è particolarmente vero in Kenya, dove le comunità stanno dicendo la loro sul loro futuro. Purtroppo in Etiopia la situazione è molto diversa, la situazione politica è molto difficile. Il governo di Meles Zenawi è noto per il suo atteggiamento repressivo e sono state varate nuove leggi che impediscono di fatto il lavoro di gruppi e associazioni di base. A maggio ci saranno anche le elezioni ed è un momento particolarmente teso.

Già in Etiopia i danni saranno enormi. Ma quali le conseguenze a valle della diga?
Il lago Turkana nel nord del Kenya riceve il 90% delle sue acque dall’Omo. Secondo le previsioni, il livello del lago si abbasserà di 10-12 metri. Ci sarà anche un aumento della salinità dell’acqua. Questo sarà molto grave, perché l’acqua del lago è usata per utilizzo potabile, perché si è in mezzo ad un vero e proprio deserto e non c’è altra fonte d’acqua per le comunità. Inoltre, è usata per l’agricoltura, per l’allevamento, per la pesca. Con il cambiamento della quantità e della qualità dell’acqua le 300 mila persone che vivono in una vastissima regione rimarranno senza la principale fonte di acqua. Le attività di pesca, che danno reddito direttamente e indirettamente a 100 mila circa, saranno compromesse in modo molto serio dalla diminuzione di pesci nel lago. Già alcuni anni fa, per una piccola diga costruita in Kenya, la zona del lago era stata colpita da siccità e questo aveva causato scontri piuttosto seri fra le comunità per l’accesso alle risorse fondamentali.

La questione dei conflitti per l’accesso all’acqua è piuttosto rilevante. Si inizia sempre più a parlare di future “guerre per l’acqua”. Credi che sia questo lo scenario che si sta profilando nella regione al confine fra Kenya ed Etiopia?
Le comunità della zona hanno una lunga storia di conflitti per la gestione delle risorse fondamentali, fra cui l’acqua, perché queste risorse sono molto scarse. Ciò è vero sia nel nord del Kenya che nel sud dell’Etiopia. Una delle preoccupazioni più grandi è che gli effetti del progetto Gibe 3 potrebbero risvegliare ed esacerbare dei conflitti latenti, in una zona che si basa su un equilibro economico e ambientale molto precario.

La CRBM sta per lanciare una campagna di pressione e sensibilizzazione contro Gibe 3. In che cosa consisterà questa campagna?
Il 23 marzo (oggi, ndr) verrà lanciata una petizione internazionale insieme ad un cartello di organizzazioni internazionali. Fra queste ci sarà anche Survival International, che ha cominciato a mobilitarsi soprattutto per l’impatto che il progetto avrà sulle comunità locali in Etiopia. La campagna sarà rivolta principalmente al governo etiope, che sta facendo costruire la diga, ma anche alle istituzioni internazionali ed altri possibili finanziatori. A loro chiederemo di non finanziare il progetto. Le firme raccolte sul nostro sito www.stopgibe3.org verranno consegnate ai diversi attori coinvolti, fra cui c’è anche il nostro governo. Organizzeremo una consegna pubblica delle firme al Ministero degli Esteri e alla Banca Europei degli Investimenti.

Cosa vi aspettate come risultato della campagna?
Noi chiediamo a queste istituzioni di non finanziare un disastro e di usare i soldi per finanziare altri progetti. Vogliamo il governo etiope si convinca che questo approccio alla produzione dell’energia è pericoloso e rischioso, ha impatti molto gravi oggi e non porta grandi vantaggi nel futuro. Si potrebbe di certo ragionare su altre modalità di sviluppo energetico.

da Carta

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