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lunedì 15 febbraio 2010

Rivolta di Milano: non solo e oltre uno scontro tra gang


Che miseria quello scorso questa mattina sui giornali nel racconto dell'incandescente sabato sera milanese. Non che si abbia il feticcio dell'aspettativa verso il mainstream, affatto, ma è anche ciò indice e rappresentazione della realtà che ci circonda, dell'inadeguatezza tutta politica nel cogliere ed inquadrare fette consistenti di società del nostro oggi e al contempo del rimuovere soggettività e conflitti che covano nel nostro paese, che non potranno essere ancora a lungo derubricate a questione di ordine pubblico e sicurezza. Perchè il rinchiudere quel che successo ieri sera a Milano dentro una dinamica meccanicamente da gang devianti, nella denuncia della "colonizzazione migrante" dei quartieri popolari e dell'imperversare dell'illegalità, è, per molti versi, con quel metodo, fuorviante.

Gang e metropoli. Via Padova esplode alle 18, la scintilla è l'accoltellamento omicida di un ragazzo egiziano da parte di un gruppetto di giovani sudamericani, sembra strascico di una diatriba nata sul pullman di linea come tante altre. Hamed Mamoud El Fayed Adou aveva 19 anni, è morto su un marciapiede di Milano, con in tasca un posto di lavoro trovato dopo mesi di obbligata "clandestinità" ed un permesso di soggiorno ottenuto da pochi giorni. La stampa si ferma nel definirlo come una vittima di una guerra etnica tra gang, ma ciò è veritiero - se vero - fino ad un certo punto, lo scontro così come l'aggregato da banda non è esclusivo appannaggio su base razziale, tutt'altro, ma un segno, tra gli altri, del nostro tempo: dentro un clima di criminalizzazione di ogni espressione altra, di deserto sociale creato nella valorizzazione capitalistica di tempi e spazi (di vita), di marginalizzazione e individualismo, quella che comunemente viene definita gang è spesso l'antitodo giovanile, piaccia o meno, soprattutto nelle grandi areee metropolitane e nelle sue periferie (da Los Angeles a Roma, da Berlino a Atene), che controbatte all'imperversare della frammentazione sociale, al senso di frustrazione e rabbia che alberga nelle prospettive di vita, spesso migranti perchè soggetti maggiormente deboli ed esposti. Verrebbe da intendere, guardando a quel che spesso accade nelle nostrane metropoli occidentali: l'identità forte del gruppo contro chi e quel che lo circonda.

Italien banlieues. Ma è evidente che, per quanto ciò possa essere reale, è solo una faccia di quel da cui siamo partiti, l'omicidio e la rivolta di Milano. Non può bastarci la declinazione sociologica per cercare di capire quel che è avvenuto, dobbiamo domandarci e indagare anche su dove è nato, da parte di chi. Interrogativi che, seppur nelle differenti accezioni e peculiarità, si dirigono verso la stessa direzione: quel che si muove ai margini - non solamente spaziali - delle metropoli, dentro le rinomate e temute italien banlieues dove fluttua la disperazione e la rabbia, la voglia di riscatto e l'esasperazione verso condizioni di vita aspre e precarie, in bilico spesso sull'ipocrita confine del legale o non, in realtà di ghetto indotto e obbligato, nelle quali provvedere a campare, sotto lo sguardo torvo del bianco, nei caroselli notturni della polizia, facendo da sfondo a qualche politico accorso ad incontrare elettoralisticamente il comitato per la sicurezza del quartiere di turno o a qualche boutade di denuncia giornalistica. Nell'Italia dove ci si comincia ad accorgere, forse, solo ora delle soggettività migranti oltre le sue rappresentazioni classiche della domanda di docile forza-lavoro, della strutturale questione securitaria e delle "orde bramanti" ai nostri confini... Non è una connessione ripetitiva pensare alla rivolta di Castelvolturno e al post-omicidio di Abba, alla sommossa di Rosarno e alle agitazioni nei Centri di identificazione ed espulsione, oggi la rabbia di nuovo a Milano, con tra le righe (soprattutto nella metropoli lombarda) l'emergere forte del protagonismo (anche ma non solo) di quei giovani di seconda generazione che sono italiani ma che debbono essere confinati ad un grado di cittadinanza inferiore nella gerarchia sociale.

Riot di via Padova. Ragionamento generale dal quale interfacciarsi più specificatamente a quel che avvenuto a Milano ieri sera, nel tentativo di cogliere la natura di un'onda d'urto di una rivolta sospinta dalla furia contro l'omicidio, nell'impellenza di esprimere un sentimento di giustizia contro chi ha ucciso un ragazzo. Dinamiche che si danno in un piano complesso e contraddittorio, nemmeno così facili da leggere e capire. Nel giro di mezz'ora sono centinaia e centinaia i migranti di origine africana che scendono in strada, "i sudamericani hanno ucciso un nostro fratello", quindi è contro di loro ed i loro luoghi di ritrovo che si riversa la prima spontanea violenza. La rabbia prende poi la forma di una guerriglia urbana mossa da molteplici campanelli che ribaltano le auto, sfondano le vetrine, rompono le fioriere, strappano la segnaletica stradale. Nelle vie laterali di via Padova si muovono in piccoli gruppetti, colpiscono e cambiano direzione, non dando nessun punto di riferimento alla polizia accorsa, che non è in grado di gestire il caos e che quindi si schiera in via Padova per impedire il raggiungimento del centro cittadino, diventando più esplicitamente, ancor più in quella situazione, una controparte. Quel "italiani di merda" che vola diventa il leit motiv di un altro capitolo della rivolta, la marcia fin sotto il consolato egiziano, tirando fuori negli slogan la loro frustrazione per la condizione neocoloniale nel nostro paese, imprecando contro la sede egiziana percepita come altro corresponsabile delle loro esistenze in balia di lotte quotidiane.

da Infoaut

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