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giovedì 21 gennaio 2010

Processo-breve, condonati 500 mln


Il processo breve approvato oggi non cancellerà solo i dibattimenti ma anche «almeno 500 milioni di euro» che sindaci, parlamentari, ministri e sottosegretari hanno rubato allo Stato truffando e sprecando. Soldi che devono essere restituiti in base alle sentenze della Corte dei Conti. Ma che il ddl 1880 Gasparri-Quagliariello, più noto come «processo breve», nella sua versione corretta e allargata anche ai procedimenti contabili e societari cancella in un colpo solo.
Quando ieri pomeriggio l’aula di palazzo Madama ha messo ai voti la norma transitoria che cancella i processi in corso, il senatore Casson (Pd) lo ha detto chiaro: «Siamo arrivati al vero motivo di questa legge, la norma che non serve solo per cancellare ui processi di Berlusconi ma serve anche anche ad un vostro sindaco, ad un vostro ministro e ad altri che non dovranno più risarcire lo Stato di circa 500 milioni di euro».

Ancora più esplicito Gianpaolo D’Alia (Udc) che rivolto ai banchi della Lega avverte: «Una volta passata questa legge non potrete più fare gli sbruffoni in nome della certezza della pena e contro Roma ladrona perchè non approvate non solo un’amnistia ma anche un clamoroso condono contabile che salverà molti vostri amministratori». Mentre le opposizioni prendono la parola in aula, l’agenzia Ansa pubblica l’intervista al procuratore della Corte dei Conti del Lazio Pasquale Iannantuono che fa nomi e cognomi dei possibili beneficiari della norma: il viceministro Roberto Castelli e il sindaco di Milano Letizia Moratti ma anche lo stesso relatore del processo breve, il senatore Giuseppe Valentino, i deputati Iole Santelli e Alfonso Papa, tutti del pdl. E ancora, cinque membri del vecchio Cda Rai in quota centrodestra tra cui l’ex dg Flavio Cattaneo e l’ex ministro dell’Economia Domenico Siniscalco per la nomina di Meocci.

I gregari imitano il Capo. E se il Capo governa approvando leggi su misura, altrettanto fanno i gregari. Inutile stupirsi, quindi, se il relatore al Senato del processo breve Giuseppe Valentino introduce una norma per salvare se stesso dalla Corte dei Conti. E, se lo stesso fa il viceministro Castelli che, membro della Commissione Giustizia, ha aiutato Valentino a buttar giù il testo del maxiemendamento che oltre alla prescrizione penale ha introdotto anche quella contabile e per le società.

I benefici per la casta sono solo «l’ultimo scempio» - dice il Pd - in tema di giustizia di cui «questa maggioranza si dovrà assumere tutta la responsabilità politica e morale davanti al Paese». Il Pd ieri ha fatto l’unica cosa che ormai poteva fare: ripetere fino all’ossessione «lo scempio» e il «cinico progetto di disarticolazione della giustizia». Sotto la regia di Silvia Della Monica (capogruppo in Commissione Giustizia), di Giovanni Legnini e di una infaticabile Maria Incostante, i senatori hanno ricordato ad ogni dichiarazione di voto «lo scempio della giustizia» e «la rinuncia dello Stato a combattere la corruzione» accusando «una maggioranza ridotta a meri esecutrice di ordini».

Prima Carofiglio, poi Adamo, Maritati, Fassone, Franco... Al quarto intervento maggioranza e Lega hanno capito e hanno cominciato a fischiare, a lamentarsi. Il senatore Piero Longo, il vero king maker del processo breve, ha creduto a un certo punto di spezzare il gioco definito «elegante tantra che ha creato in aula un’atmosfera vagamente orientaleggiante». Voleva dire mantra, ma chissà. E comunque, per non essere da meno, il tutto-d’un-pezzo Longo ha intonato a sua volta il coretto: «Are krishna-krishna are». E via di questo passo. Anche il presidente Schifani ha provato ad interrompere la provocazione dei senatori del Pd, chiedendo interventi nel merito dopo che nelle ultime settimane ha fatto di tutto per non far discutere nel merito articoli ed emendamenti. Ha perso la pazienza anche uno come Luigi Zanda (Pd) che ha accusato Schifani «di aver avuto fin dall’inizio un atteggiamento negativo nei confronti delle opposizioni. Un modo di fare che non ci ha convinto affatto». La seduta finisce con l’Idv che occupa i banchi del governo. Un pessimo clima. E nessuno parla più di dialogo.

Poi arriva l'immancabile colpo finale. Le corti di tribunale in Italia sono come «plotoni di esecuzione», ha detto Berlusconi, precisando di non sapere se si presenterà in aula nelle udienze che lo vedono come imputato. «I miei avvocati insistono che se andassi in tribunale non mi troverei davanti a corti giudicanti ma a dei plotoni di esecuzione», ha detto Berlusconi al termine dell'incontro con Camillo Ruini, a cui ha partecipato anche il sottosegretario alla presidenza Gianni Letta. «Non so se andrò, sto discutendo con gli avvocati», ha aggiunto il capo del governo.

da Indymedia

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