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domenica 24 gennaio 2010

HAITI - Non siamo maledetti

Altro che maledizione di Haiti. Nonostante la povertà, questo paese ha ancora una grande voglia di vivere, scrive Jean-René Lemoine.

Non esiste nessuna maledizione di Haiti. La maledizione, semmai, è quella di un occidente che sembra aver bisogno di una terra su cui sfogare le sue paure. “Haiti, il paese più povero delle Americhe”: scritto con enfasi in tanti articoli, questo slogan è brandito come un esorcismo.

Cosa vogliono dire queste parole? Che il terremoto doveva per forza colpire quei luoghi e non altri? Che non c’è più speranza e mai più ce ne sarà? Che esiste un posto, nel mondo, dove c’è solo orrore? All’inizio degli anni ottanta girava voce che il focolaio dell’epidemia di aids fosse Haiti. La peste era nata lì. Il paese incarnava il pericolo assoluto, proprio come oggi per molti sintetizza la miseria assoluta e la catastrofe annunciata. So quanto questo paese è povero, fragile, malridotto. So che ha sofferto una serie di disgrazie, che ha subìto, tra le altre cose, la dittatura dei Duvalier padre e figlio.

Ma non si racconta un paese, per quanto straziato, concentrandosi su una ferita. Haiti è un paese sconvolgente, che nel suo dolore racchiude anche un’incredibile vitalità. È un paese dove le persone hanno una forza d’animo che gli permette di resistere, un paese dove la violenza ha effetti devastanti, ma dove gli individui non sono aggressivi. Un paese che ha tagliato il suo rapporto edipico con la Francia, di cui fu la colonia più ricca, e che ha saputo conservare e trasfigurare la sua memoria africana. Un paese di pittori, scultori, scrittori e musicisti. È anche un paese dove la religione, il vudù, accompagna con i suoi riti la vita quotidiana di un popolo, rimanendo estranea ai cliché sulla stregoneria.

Molti di quelli che ci hanno vissuto potrebbero confermarlo perché, per quanto possa sembrare paradossale, spesso di Haiti ci si innamora. Quando hanno annunciato la catastrofe sono rimasto di sasso. Poi ho cercato di scoprire dov’erano i miei familiari, chi era vivo, chi morto. A tutti quelli che soffrono vorrei porgere le mie condoglianze, dirgli che soffro con loro. So che è ben poca cosa, ma ricordo che le parole mi hanno consolato quando credevo di essere inconsolabile. Voglio anche salutare lo slancio di solidarietà nato un po’ ovunque.

Un parente lucido
Ci sono persone che stanno agendo con passione, che distribuiscono alle vittime acqua, cibo, cure. Tutto questo è ammirevole. Ma bisogna pensare da subito al futuro. Sappiamo che le catastrofi spesso hanno un impatto spettacolare sulle persone. Sappiamo anche che lo spettacolo passa subito di moda. Ma se non cambiamo atteggiamento, tutte queste immagini trasmesse a ripetizione non saranno servite a nulla. Bisogna pensare alla ricostruzione. Ed è soprattutto la comunità internazionale ad avere questo potere.

Non si tratta di mettere Haiti sotto tutela, come fosse un parente matto da far interdire. Haiti è lucida. So che laggiù ci sono persone capaci di agire. Bisogna consultarsi con loro per progettare la ricostruzione. Se sarà fatto, ci sarà speranza. Ricostruire un vero luogo di vita è un progetto straordinario, che può portare a una grande svolta.

Quando mi hanno chiesto una testimonianza, ho risposto che non ero in grado di scrivere. Un attimo dopo, ho cominciato a scrivere, nella mia testa. So che altri autori diranno cos’è successo. Spero che le loro parole raccontino non solo il disastro, ma anche che qualcosa si è mosso, che una speranza esemplare è nata in quest’isola dei Caraibi, compagna di sventura di tante altre isole, di tanti altri paesi.

Jean-René Lemoine è un attore e drammaturgo haitiano. Vive e lavora a Parigi.

da Internazionale

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