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venerdì 23 ottobre 2009

Prove tecniche di stabilità


Tremonti e le dichiarazioni sul lavoro flessibile

Proprio quando si arriva di fronte all'ineluttabilità di una riforma del welfare per milioni di precari, il Ministro fa marcia indietro. Ma quale stabilità ha in mente?

di Augusto Illuminati

When the music's over, yeah, spengere le luci. Così a crisi dilagante (almeno lui non crede alle rassicurazioni governative!), Tremonti annuncia che la stabilità del posto di lavoro e' «un obiettivo fondamentale», mentre la mobilità «di per sé non e' un valore per una struttura come la nostra ». Lo ha spiattellato agli attoniti intervenuto a un convegno sulla partecipazione dei lavoratori all'azionariato delle imprese organizzato dalla Bpm, a cui erano presenti anche i segretari dei tre maggiori sindacati, Epifani, Bonanni e Angeletti. «C'e' stata una mutazione quantitativa e anche qualitativa del posto di lavoro, da quello fisso a quello mobile ma il posto fisso è la base su cui fare progetti e fondare famiglie. La mobilità per altri e' un valore in sé, per me no. Per me l'obiettivo fondamentale è la stabilità del lavoro, che è base di stabilità sociale». Wow! «Certamente, se dovessi dire se è meglio il posto di lavoro fisso o il posto di lavoro mobile dico che è meglio il posto fisso».

Il tutto con riferimenti accorati all'enciclica Caritas in veritate e confronti con altri paesi extraeuropei «che non corrispondono al nostro portato fondamentale storico». Lapalissiano. Vallo a raccontare ai precari della scuola e dell’Alitalia. Il ministro ha infine osservato come sulla base del posto di lavoro fisso sia stato possibile costruire un ordinamento del welfare che garantisce sanità, scuola e pensioni, mentre dove prevale il modello del posto mobile, come ad esempio negli Stati Uniti, così non è.

«La crisi - ha concluso - ha dimostrato che è meglio avere l'Inps e la famiglia». Berlusconi precipitosamente si dichiara d’accordo. Si sa, lui non sarà un marito perfetto (ha dichiarato il sodale Fedele Confalonieri), ma è un padre esemplare. E poi è meglio non lasciare emergere concorrenti.
Le reazioni a destra sono state furiose o perplesse, Brunetta si è scatenato, la Confindustria ha detto seccamente di essere contraria, il Foglio ha tessuto l’elogio della flessibilità creativa e risparmiosa e Annalena Benini, la loro esperta di prostate e calzini turchesi, si è avventurata in un fantastico “precario è bello, anzi fichissimo”.

L’associazione Liberiamo il lavoro (sic) del bocconiano Piercamillo Falasca sproloquia sulla mobilità come innovazione culturale che sarebbe sbagliato abbandonare e richiede a gran voce «una diminuzione delle garanzie a chi ne ha troppe» e la preparazione a «un futuro lavorativo meno lineare, che non significa meno soddisfacente», insomma un «patto intergenerazionale, un nuovo ’68 (ri-sic), questa volta della libertà» perché si creino le opportunità di cui il mercato e i giovani hanno bisogno. A cominciare dall’aumento dell’età pensionabile, il solito rimedio infallibile per creare posti ai giovani…

Editorialisti più pensosi hanno rilevato che rimettere in questione la flessibilità, cioè di fatto la legge Biagi, equivale a rileggere criticamente tutti i passi avanti che, in vario modo, sono stati compiuti sul fronte lavoristico negli ultimi quindici anni. Non tutti, come l’ineffabile Tiraboschi, erede piuttosto invasivo del Biagi-pensiero, hanno esultato candidamente proclamando che non c’è contraddizione. Dario Di Vico sul Corriere ce la vede e come, chiosando peraltro saggiamente che quelle di Tremonti al momento sono solo chiacchiere da bar. Alesina la pensa più o meno allo stesso modo.

Da sinistra gaudio, corretto solo dal timore che siano parole al vento. Scattano i vecchi riflessi lavoristi della Cgil, mentre Cisl e Uil (dimentiche di essersi battuti per la flessibilità selvaggia cercando di garantire solo i propri iscritti) cooptano il Ministro nella loro campagna di tesseramento. Proprio questo incredulo consenso ci svela, al di là delle furbizie tattiche di Tremonti che cerca di cavalcare la crisi economica e i travagli della successione a Berlusconi, quanto di reazionario ci sia in un’affermazione di apparente buon senso, che viene incontro ai desideri legittimi di tanti.

L’enfasi sul “posto fisso” serve a depotenziare il problema degli ammortizzatori sociali: problema di spesa dietro ai quali si profila lo spettro sempre rimosso di un reddito di esistenza. Inoltre la stabilità occupazionale è associata a un’idea disciplinare e familistica di stabilità sociale, per unioni etero e legittime di rito cattolico e pelle bianca. Integrazione di un’economia autarchica con l’impresa e i valori tradizionali, non integrazione etnica e culturale in un mondo dinamico.

Quale idea conservativa e dispersiva dell’economia italiana vi sia sottintesa è inutile spiegarlo. Le banche l’hanno già capito e così pure altri pezzi dei poteri forti. Speriamo che anche lavoratori e precari l’afferrino al volo. Fra i pasdaran social-nazionali del merito eugenetico alla Sacconi-Brunetta e il paternalismo tremontiano c’è poco da scegliere.

Constatiamo infine che la tendenza Tremonti si inserisce in un contesto più internazionale di neo-sviluppismo biopolitico, che sogna (in una prospettiva mitologica di pieno impiego) la riproletarizzazione delle vittime del neoliberismo in un progetto di gestione neocoloniale della forza lavoro, fissazione della popolazione (etnica) al territorio condita occasionalmente di welfare familiare e sistematicamente di segmentazione razzista e retorica comunitaria (cfr. l’analisi Inquietudes en el impasse del collettivo Situaciones). Una variante reazionaria dei processi di unbundling che contraddistinguono i tentativi di uscire dalla crisi con una ristrutturazione più efficiente.

da GlobalProject

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