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venerdì 30 ottobre 2009

La fine di un’illusione


Appunti di tettonica della rappresentanza

di Augusto Illuminati
Prendiamola alla lontana. In due paesi con sistemi elettorali diversi, la Gran Bretagna uninominale e la Germania proporzionale, e con sinistre al potere ben diverse (il laburismo neoliberista e la socialdemocrazia “renana”) il ciclo elettorale ha posto in crisi il modello bi-polare e quasi bi-partitico coi cui finora si erano retti. Ovviamente è bi-polare anche un sistema in cui si instaura, per equilibrio dei seggi, una grosse Koalition. Bene, in Gran Bretagna il crollo laburista non si è tradotto nell’ascesa secca del contrapposto schieramento conservatore, ma nell’emergenza del terzo partito liberale e in un imprevisto rafforzamento dell’estrema destra del British National Party, così da installare tendenzialmente un sistema a tre, malgrado le difficoltà tecniche inerenti all’uninominalità dei collegi.
Nella Germania con il sistema del doppio voto abbiamo avuto del pari un crollo socialdemocratico, ma una stagnazione del Cdu (che comunque è un partito doppio per base regionale e confessionale), con una crescita liberale, una relativa tenuta dei Verdi e un clamoroso esito della Linke: da un sostanziale bipartitismo a un sistema a geometria variabile di 4-5 partiti, che al momento ha aperto la strada all’alleanza di governo democristiano-liberale, consentendo però altre soluzioni intanto a livello dei Länder.
Anche in Francia lo score dei Verdi (con relativo declino socialista e stagnazione dell’estrema sinistra) ha rimesso in discussione il bipolarismo che era sembrato affermarsi con l’elezione di Sarkozy (ma presidenzialismo e semi-presidenzialismo raggruppano forzosamente gli schieramenti). In Spagna il bipartitismo maschera il ruolo decisivo dei partiti regionali, ago della bilancia parlamentare e riserve esplosive di autonomismo.
E in Italia? Il bipolarismo italiano, con tanto di enfatizzazione a-costituzionale del ruolo dei leaders –dal culto di Berlusconi ai cacicchi locali–, ha avuto sempre una debolezza intrinseca per la sopravvivenza dei vecchi e litigiosi apparati di partito e corrente.
L’ultima tornata elettorale, con il colpo di mano fusionale di Berlusconi che aveva agglomerato nel PdL Forza Italia e Alleanza nazionale e la simmetrica proclamazione veltroniana della vocazione maggioritaria del Pd seguita dalla sparizione delle sinistre radicali dal Parlamento, sembrava aver semplificato il sistema italiano, lasciando fuori solo la ristretta area centrista dell’Udc.
In realtà l’elemento di latente contraddizione era costituito dal ruolo parlamentare e politico determinante della Lega, appena attenuato dal suo limite regionale. Tuttavia il castello di carte è crollato su se stesso con lo scoppio di tensioni interne insopportabili tanto nel PdL quanto nel Pd: da un lato il declino del carisma berlusconiano scatena non tanto le vecchie componenti forzitaliote e missine, quanto le correnti formatesi trasversalmente e alla disperata ricerca di un programma organico per gestire a proprio favore la crisi, dall’altro il malriuscito amalgama di Pds e Margherita ha frantumato un partito sconfitto e danneggiato dalla stolida arroganza veltroniana.
A differenza dalla Germania il declino della sinistra parlamentare non ha rilanciato quella radicale, che non dà cenni di uscire dal coma, ma ha scatenato un populismo di sinistra che trascina i delusi e i pasdaran dell’antiberlusconismo. Il tentativo di Repubblica di sostituire un partito in dissoluzione con una campagna permanente di opinione (non priva di agganci con gli interessi economici del gruppo De Benedetti) è naufragato con la ricattatoria controffensiva del Papi, il boom dipietrista e del Fatto e la sconfitta di Franceschini nelle primarie del Pd.
Adesso lo schieramento ex-bipartitico si è modificato come segue. A destra l’egemonia berlusconiana vacilla e cresce l’influenza di Fini in evidente tensione con Tremonti appoggiato dall’esterno dalla Lega ma con scarsi appoggi entro il Pdl. Non si tratta tanto di correnti ideali (per quanto esistano schemi alternativi di uscita dalla crisi) quanto piuttosto del contrasto fra vincoli europei ed esigenze elettorali.
Berlusconi è bravissimo a vincere le campagne elettorali, incapace poi di gestire il successo. Il punto critico evidentemente è come promettere di tagliare le tasse senza sfondare il deficit di bilancio (vedi la farsa Irap). Il tutto sotto crisi, con il rischio che la disoccupazione e il fallimento seriale delle piccole imprese esploda proprio a ridosso delle regionali di marzo. Le nubi oscure sulla finanza internazionale e il calo del potere d’acquisto della famiglie italiane ne sono sintomi allarmanti.
Il ricatto della Lega completa il quadro, mentre la mossa delle elezioni anticipate sembra troppo rischiosa. In questa situazione più che una spaccatura verticale immediata del Pdl o fra Lega e PdL appare probabile un lento deflusso da destra verso il centro di Casini. In pari tempo la vittoria di Bersani nel Pd spinge una parte dell’ex-Margherita anch’essa verso il centro di Casini. Con calma. Rutelli ma non solo (si leggano le frasi oracolari di Veltroni).
Bersani, d’altra parte, è ben attrezzato per recuperare Verdi e Sinistra e Libertà, mentre Rifondazione (con o senza Pdci) gravita ineluttabilmente verso un Di Pietro in crescita. Ecco dunque un sistema ad almeno 5 componenti, passibili di diverse combinazioni, in cui l’unico leader carismatico vero, Berlusconi, si dibatte in difficoltà crescenti.
Abbiamo tracciato un quadro in cui la società è presente solo indirettamente: più che altro è un elenco delle fortificazioni (e delle falle) contro cui dovranno scagliarsi i movimenti di lotta, a cominciare dalla riforma pseudo-meritocratica a costo zero (anzi a saldo negativo) dell’Università e della contraddittoria gestione degli ammortizzatori sociali, cui si continua a negare sia un adeguato finanziamento sia un carattere universalistico. Il tutto sullo sfondo di un fallimento globale della politica internazionale dell’Impero.

da GlobalProject

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